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Questo quadro concettuale viene maggiormente esplicitato in The Social Self, in cui Mead sottoscrive l’idea che l’Io dell’introspezione assuma il carattere del Sé che entra in relazione sociale con gli altri Sé, e che il Me dell’introspezione sia l’oggetto della condotta sociale degli altri.367 In questo saggio del 1913 Mead ritorna sulla distinzione Io-Me, affrontandola in relazione al processo introspettivo che si rivela essere non tanto un’auto-osservazione scientifica à la Wundt, quanto piuttosto un’analisi di come il soggetto agisce e ha agito in relazione a come gli altri Sé agiscono nei suoi confronti. Si tratta, in altri termini, di un discorso interiorizzato che il soggetto intraprende con se stesso nel momento in cui egli si ritrova ad essere cosciente delle proprie risposte agli altri:

«Il meccanismo dell’introspezione è […] dato dall’attitudine sociale che l’uomo necessariamente assume verso se stesso, e il meccanismo del pensiero, nella misura in cui il pensiero usa simboli usati nell’interazione sociale, è solo una conversazione interiore».368

Nell’accezione wundtiana l’introspezione, intesa come auto-analisi messa in atto tramite una terminologia scientifica imposta dall’esterno, consente solamente di cogliere il carattere simbolico dello stato psichico in quanto prodotto logico, ma non permette di recepire realmente l’elemento psichico che si esprime nell’immediatezza dell’esperienza soggettiva e che caratterizza la fase di interpretazione, ricostruzione ed elaborazione della risposta ad una situazione problematica da parte del soggetto.

L’accezione meadiana di «introspezione», invece, si mostra come dimensione discorsiva del soggetto con se stesso all’interno di una situazione problematica. Questo significato di introspezione, tematizzato per la prima volta nel 1900, tanto da Mead quanto da Dewey e

367

G. H. Mead, The Social Self, in SW, p. 144.

368

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ripreso da quest’ultimo anche in Experience and Nature,369 permette di superare la tensione tra, da un lato il solipsismo epistemologico che relega il Sé ad una sorta di combinazione di stati di coscienza staccati dal contesto sociale,370 dall’altro lato il riduzionismo materialista che non consente di cogliere i «fenomeni verso i quali solo l’individuo in sé dispone di un accesso esperienziale».371

Il «discorso interiorizzato» permette all’individuo di assumere un’attitudine non rivolta ai propri stati e sensazioni interiori, ma alle reazioni ad essi da parte degli altri individui, le cui realtà sono implicate inevitabilmente nelle inibizioni e riorganizzazioni della coscienza interiore.372

In questo quadro il Me dell’introspezione si mostra come l’oggetto della condotta sociale degli altri, il che significa che il Me dell’introspezione si mostra come l’Altro generalizzato, ovvero come la cristallizzazione degli atteggiamenti particolari che gli altri soggetti sociali assumono normalmente nei confronti dell’individuo.373 Mead non parla ancora, in questi primi anni, di Altro generalizzato, ma ciò non di meno gli elementi essenziali che lo compongono sono già costituiti.374 Il Me viene così identificato con l’insieme delle attitudini che gli altri rappresentano in una comunità. L’Io è la risposta a queste attitudini, mai veramente determinata socialmente e che può comportare un cambiamento delle attitudini

369

J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 134.: «Quando chi crede nell’introspezione – scriverà in Esperienza e

natura – crede di essersi ritirato in un regno di eventi completamente privato, radicalmente diverso per genere da

quello degli altri eventi, costituito di materiale mentale, non fa altro che volger la sua attenzione mentale al soliloquio con se stesso. E il soliloquio è il prodotto e il riflesso del colloquio con gli altri; non è la comunicazione sociale ad essere un effetto del soliloquio».

370

What Social Objects must Psychology Presuppose?, pp. 175-76. Scrive James nei Principles of Psychology: «Introspective Observation is what we have to rely on first and foremost and always. The word introspection need hardly be defined – it means, of course, the looking into our own minds and reporting what we there discover. Every one agrees that we there discover states of consciousness.» (p. 185).

371

G. H. Mead, MSS, p. 43.L’approccio duale, da una parte l’osservazione del comportamento, dall’altra l’intro- spezione come naturale evoluzione dell’intro-iezione, permette a Mead di parlare di stati non accessibili dall’esterno e quindi di una parte prettamente «soggettiva» dei fenomeni psichici di cui l’osservazione esterna può rintracciare solamente gli effetti, ma che non può definire.

372

What Social Objects must Psychology Presuppose?, p. 176. Già nei primi scritti Mead posponeva l’introspezione alla conversazione sociale; attraverso lo sviluppo della conversazione gestuale il bambino apprende un bagaglio di risposte che sostengono anche la formazione della sua immaginazione; egli ricorre alla memoria di conversazioni interiorizzate che in passato ha affrontato, e attraverso l’immaginazione e la memoria il soggetto comincia a formare anche gli oggetti sociali che lo circondano. In tal modo la coscienza sociale degli altri sé precede la coscienza di se stessi che sorge attraverso l’introspezione. (Cf. Social Psychology as

Counterpart to Physiological Psychology, cit., in part. pp. 407-8). Per una esposizione sintetica di questa

posizione vedi G. A. Cook, The development of G. H. Mead’s Social Psychology, cit., in part. pp. 178-81). Cf. il § 244 delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein in cui si descrive come il bambino potrebbe apprendere dai genitori il modo di esprimere le sensazioni.

373

Cf. MSS, p. 138. In un altro punto di MSS Mead parla del Me come un freudiano “censore” e inibitore dell’azione dell’Io (MSS, p. 277 nuovo).

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della comunità.375 Ma l’Io comporta che il Sé non sia mai consapevole di se stesso, di ciò che è.376 Una volta messa in atto l’azione, però, questa diventa parte del Me, aggiungendosi alle altre risposte e stimolando così nuove risposte da parte degli altri Sé. Queste nuove risposte consentono lo sviluppo dell’Altro generalizzato, ovvero consentono l’evoluzione delle risposte sociali a certi atteggiamenti e a certe condotte. In breve, il soggetto agente si contrappone alla convenzione immettendo nella società una nuova risposta che può diventare a sua volta convenzione. Questo è maggiormente possibile nella società umana civilizzata poiché, come scriverà Mead,

«nella società umana primitiva il sé individuale è determinato in modo più completo, in merito al suo pensiero e al suo comportamento, dal modello generale dell’attività sociale organizzata […] la società umana primitiva offre una possibilità molto minore per l’individualità – per un pensiero e un comportamento originale, irripetibile e creativo da parte del sé individuale che si trova al suo interno o che ad essa appartiene – di quanto non offra la società umana civilizzata».377

Questo, però, non risolve completamente la questione riguardante la possibilità di conoscere ciò che è l’esperienza immediata, lo stato psichico soggettivo che caratterizza l’azione. Non risolve, quindi, il problema psicologico principale di una conoscenza oggettiva degli stati psichici. Sebbene Mead cerchi di limitare il valore dell’introspezione intesa come unico metodo per la conoscenza degli stati psichici, allo stesso tempo, però, egli è consapevole che tale limitazione non risolve il problema dell’accessibilità a certi stati soggettivi che, per quanto abbiano un riferimento sensibile legato al corpo, si rivelano totalmente differenti da essi. Infatti, se noi ci concentriamo solamente sulla funzione dell’introspezione all’interno dell’atto da compiere come metodo per analizzare le risposte che diamo agli altri, e se ciò che conosciamo attraverso l’introspezione sono solo le conversazioni con gli altri, sembra che non sia possibile decifrare in maniera chiara ciò che stiamo provando al momento, ma solamente l’effetto che esso ha all’esterno, nell’espressione, in base alla reazione degli altri. L’introspezione si rivela una riproduzione delle conversazioni

375

Come sostiene anche J. David Lewis, l’Io meadiano è la risposta, la parte agente, la logica presupposizione del Me e non una attitudine del soggetto (cf. J. David Lewis, A Social Behaviorist Interpretation of the Meadian

“I”, in P. Hamilton (ed.), George Herbert Mead. Critical Assessments, cit., pp. 60-83.

376

MSS, pp. 236-42; 258-66; 276-90.

377

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di gesti tra individui, ciò che comporta un mutamento della sua funzione da osservazione degli stati interiori del soggetto ad una visione dell’interiorità impegnata nell’analisi delle interazioni tra i Sé. Certo, gli stati psichici sono provocati dall’interazione con l’esterno, ciò non di meno essi conservano un carattere soggettivo. Questo carattere soggettivo non ha nessun significato se non in base alla reazione che la sua espressione può stimolare negli altri, ma tale significato non è lo stato soggettivo stesso. L’Io che agisce rimane inafferrabile e l’immediatezza rimane tale nel senso che non può essere analizzata se non quando è oggetto di mediazione. Ma, e qui sta l’innovazione meadiana, lo psichico – essendo espresso in parte nell’azione, proprio per la sua origine e il suo fine in essa – è già in parte potenzialmente noto. L’Io non risulta più, quindi, un ente metafisico, ma l’espressione dell’ineludibile “relazionalità” del soggetto. Tale relazionalità è caratterizzata dal linguaggio – gestuale, vocale, simbolico – ed è essa stessa alla base di ciò che è soggettivo.378 Lo stato immediato del soggetto è già mediato dalla conversazione, ed anzi è il prodotto di questa mediazione, per quanto però mantenga il carattere istintivo dell’azione immediata. Ma tale carattere istintivo dice già socialità.379

Ciò comporta anche un ulteriore mutamento, forse ancor più importante: il passaggio da una visione positivistica della psicologia, in cui la stessa introspezione doveva rispondere a parametri sperimentali di induzione, ripetitività, controllo e condizionamento linguistico del fenomeno da osservare, ad una visione in cui la scienza deve riferirsi all’osservazione della situazione reale contingente, problematica, che coinvolge i soggetti nelle loro interazioni spontanee e già contestualizzate. Per tale motivo l’introspezione viene delineata da Mead come una fase all’interno di un atto. Essendo la causa esterna ciò che stimola una attitudine ad agire, essa comporta anche una serie di sensazioni, sentimenti, stati d’animo che, sebbene

378

A questo riguardo, è senz’altro condivisibile l’osservazione di Habermas riguardo al fatto che Mead «trascura la distinzione fra l’autoriferimento originario, che spiana anzitutto il passaggio da una comunicazione mediata da gesti vocali ad una genuinamente linguistica, e quell’autoriferimento riflesso che si produce solo nel dialogo con se stessi, e quindi che già presuppone la comunicazione linguistica», e che questa trascuratezza sia dovuta ad una debolezza riscontrata nella filosofia del linguaggio di Mead (J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 213). È necessario però notare anche che è qui in discussione la stessa nozione di linguaggio: in Mead questa nozione non viene definita nei termini esclusivamente proposizionale-simbolici quanto nei termini gestuale-simbolici, nel senso che il linguaggio assume una accezione più ampia in termini di “comunicazione” e di “interazione”. Poiché viene messo in risalto l’aspetto della reazione degli altri e di se stessi in riferimento a gesti vocali, ciò implica, ci sembra, una visione della comunicazione e della rappresentazione immaginativa della comunicazione come figurale e proposizionale e non esclusivamente proposizionale, per cui la stessa idea di una introspezione come discorso interiore appare più come un susseguirsi di immagini e parole che di sole parole.

379

Potremmo anche vedere questa esperienza immediata come ciò che Malcolm, seguendo Wittgenstein, chiama il “comportamento istintivo” che coinvolge l’agire immediato e irriflesso. In questo caso l’esperienza è la reazione ad uno stimolo esterno che precede lo stesso linguaggio. Lo stesso utilizzo del linguaggio come espressione immediata mantiene un carattere ‘istintivo’ di reazione ad una causa esterna (N. Malcolm, The

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giungano a formulare una risposta allo stimolo, non di meno necessitano di essere analizzati per essere compresi, proprio per la formulazione della risposta. Ne consegue che la stessa idea di scienza sociale sia in Mead rivolta alla funzione che essa può giocare nella società, sia nella formazione degli individui, sia nella capacità di conoscere le dinamiche di interazione sociale che si presentano tra i componenti di un determinato ambiente sociale.

È innegabile, in ogni caso, che il presupposto dell’ambiente sociale per lo studio dei fenomeni psichici renda accessibile una conoscenza maggiormente oggettiva del fenomeno psichico del soggetto, e questo perché lo rende accessibile ad una psicologia che considera l’espressione esterna come una delle parti focali del processo psichico dell’individuo. Ne consegue che le esperienze psichiche presentano già degli elementi oggettivi – nel senso di sociali – che permettono di dare una indicazione e degli elementi per l’interpretazione e ricostruzione di essi da parte e dell’individuo e degli altri che interagiscono con esso. 380Ciò però non significa la totale trasparenza dell’individuo agli altri. Come potremmo altrimenti giustificare tutti quei fenomeni di incomprensione reciproca tra soggetti, di confusione, di timore e rischio di malintesi che caratterizzano le nostre esperienze quotidiane? Ma di questo parleremo nei capitoli successivi.