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Tanto nei due articoli pubblicati negli anni ’20, A Behavioristic Account of the Significant

Symbol e The Genesis of the Self and Social Control, quanto nel corso tenuto all’Università di

Chicago nel 1928, Mead fa riferimento alla psicologia comportamentista indicandola come la scienza che descrive l’attività cosciente nei termini della condotta umana ed evidenziandone l’importanza per la comprensione dei processi psichici dell’essere umano.445 Egli però tiene a specificare anche che l’osservazione del comportamento è uno dei metodi della psicologia e non l’unico. È possibile, ed anzi è inevitabile, assumere l’osservazione del comportamento come punto di partenza; non è possibile, però, negare a-priori l’esistenza della coscienza solo per il fatto che non esiste un significato condiviso di questo termine. Non a caso Mead indica il rifiuto di Watson della coscienza ai limiti della fantasia, identificando l’essenza della sua psicologia con la frase pronunciata dalla regina di Alice nel paese delle meraviglie: “Tagliate loro la testa!”.446

Nel primo dei due articoli Mead presuppone alla base della propria argomentazione l’idea che gli oggetti e l’ambiente in cui si trovano assumano significato in relazione agli individui bio-sociali che agiscono attraverso la selezione attiva delle qualità sensibili degli oggetti, qualità che si rivelano funzionali al compimento dell’atto in cui gli individui sono implicati. Il

442

J. B. Watson, Il comportamentismo, cit., p. 137.

443

J. B. Watson, Psychology as the Behaviorist views it, cit., p. 166.

444

Ivi, p. 167.

445

G. H. Mead, A Behavioristic Account of the Significant Symbol, in SW, p. 242, pp. 240-47; The Genesis of the

Self and Social Control, in SW, pp. 267-93, trad. it. La genesi del Sé e il controllo sociale, in La voce della coscienza, cit., pp. 107-29 ; MT, pp. 386-404.

446

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che significa che per quanto la realtà sia lì presente ed esista indipendentemente dal soggetto assume significato solo nel momento in cui il soggetto pone attenzione ad essa.447 Questa idea la ritroviamo anche in MSS:

«La natura, cioè il mondo esterno, sussiste autonomamente in opposizione alla nostra esperienza di essa, o in opposizione al singolo pensatore individuale. Benché gli oggetti esterni siano indipendenti rispetto all’individuo che realizza la propria esperienza, essi posseggono certe caratteristiche, dovute alle loro relazioni con la sua esperienza o con la sua mente, che sicuramente non possederebbero al di fuori o a prescindere da tali relazioni. […] La distinzione fra gli oggetti fisici o la realtà fisica e l’esperienza mentale o autocosciente di tali oggetti o di tale realtà, cioè la distinzione fra esperienza esterna ed esperienza interna, risiede nel fatto che la seconda è costituita da significati, oppure ha a che fare con essi. Gli oggetti investiti dall’esperienza posseggono significati ben precisi per gli individui che ne fanno oggetto di pensiero».448

Ne consegue che sebbene non ci sia una chiara e diretta connessione fra ciò che un soggetto prova, sente, pensa, desidera, ecc., e ciò che egli sta facendo, l’osservazione del comportamento non permette di cogliere che «una parte del processo che ha avuto inizio all’interno».449 In base all’atto esterno che noi osserviamo, quindi, non possiamo avere molte notizie in riferimento alla psicologia dell’individuo. Da questa prospettiva il comportamento figura «l’estensione delle attività interiori in un ambiente esterno».450

Proprio il coinvolgimento attivo del soggetto nell’atto – la messa in campo della capacità selettiva che permette una fase intermedia tra lo stimolo e la risposta immediata, fase intermedia che Mead considera il carattere discriminante tra condotta animale e condotta

447

G. H. Mead, A Behavioristic Account of the Significant Symbol, in “ Journal of Philosophy” 19 (1922), pp. 157-58. Come scrive anche Maria Antonietta La Torre: Mead «intende rifiutare tanto il fenomenismo, quanto il razionalismo cartesiano e l’idealismo, ma anche il realismo ingenuo consistente nel presupporre strutture stabili entro le quali il reale si ordina e una mente come spettatrice ininfluente, e tuttavia adotta parimenti un approccio di tipo realista sostenendo che la realtà esperita è indipendente dalla percezione, sebbene riconosca che il mondo viene trasformato e arricchito ad opera della mente attraverso la formulazione di nuovi significati (di nuove strutture per il mondo)» (Cf. M. A. La Torre, L’io comunitario nel pensiero di G.. H. Mead, cit., pp. 18 ss.).

448

MSS, pp. 187-88n.

449

Ivi, p. 44. L’atto è l’impulso che mantiene il processo vitale attraverso la selezione di certe specie di stimoli di cui necessita. Come ha notato La Torre, la psicologia meadiana è connessa alla filosofia dell’atto sviluppata in

Philosophy of the Act (M. A. La Torre, op. cit., pp. 99-104).

450

«Questa estensione sorge entrando in relazione con gli oggetti esterni attraverso i sensi, muovendo attorno agli oggetti sotto qualche direzione di questi sensi, ed entrando in contatto con gli oggetti che vengono ingeriti o usati per qualche scopo che indicano le attività interiori» (Box X Folder 35. Untitled fragment on sense of perception and behavior (typescript, not necessarily continuous, p. 1).

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umana – indica un elemento essenziale per distinguere la psicologia sociale meadiana dal comportamentismo watsoniano: il processo riflettente ha per Mead un ruolo centrale nell’esperienza poiché svolge il compito di selezionare gli stimoli dall’ambiente, introducendo così nella discussione sulla condotta umana oltre alla causalità dello stimolo sensibile anche il processo mentale di interpretazione, elaborazione e decisione, processo non riducibile allo schema lineare S-R:

«La cognizione è semplicemente uno sviluppo dell’attitudine selettiva di un organismo in riferimento al suo ambiente e del suo riadattamento che segue la selezione. […] Il processo riflettente è la tua capacità di ricostruire il tuo ambiente di modo da poter agire in maniera differente, di modo che la tua conoscenza si trovi dentro al processo e non sia qualcosa di separato. […] Ciò che la selezione, e il suo sviluppo nel pensiero riflettente, ci dà sono gli attrezzi di cui abbiamo bisogno, gli strumenti di cui abbiamo bisogno per mantenere il nostro processo vitale nel senso più largo».451

Se Watson critica l’idea di una scienza dei fenomeni della coscienza in cui gli oggetti fisici (stimoli) siano visti come mezzi per un fine,452 poiché in un tale contesto teorico i dati comportamentali della psicologia comparata non avrebbero nessun valore o se lo avessero questo risponderebbe al solo riferimento analogo rispetto agli stati mentali,453 Mead dal canto suo sostiene la necessità di ricorrere alla coscienza per spiegare la condotta umana,454 e ritiene addirittura improbabile la possibilità che gli animali abbiano «sentimenti degli oggetti» poiché la percezione, che offre all’uomo il contenuto delle immagini, si ritrova già all’interno della coscienza.455

451

MT, pp. 350-51. Cf. A. M. Nieddu, George Herbert Mead, cit., pp. 133 ss.

452

J. B. Watson, Psychology as the Behaviorist views it, cit., p. 158.

453

Una posizione simile era stata sostenuta da James nella recensione a The Function of the Brain di David Ferrier, in cui sosteneva che le teorie fisiologiche della correlazione fra mente e cervello fossero al massimo «a mere hypothetical schematization in material terms of the laws which introspection long ago laid bare» Review

of The Functions of the Brain, by David Ferrier; The Physiology of Mind, by Henry Maudsley; Le Cerveau et

ses fonctions, by Jules Luys (1877), in ECR, p. 336.

454

MSS, 50. Come abbiamo visto nel capitolo precedente egli rintraccia l’elemento discriminante tra percezione e processi cognitivi superiori nella fase manipolatoria fra lo stimolo e la risposta.

455

G. H. Mead, The Relation of Imitation to the Theory of Animal Perception (Abstract of a paper read to the fifteenth annual meeting of the American Psychological Association, 1906) , in «Psychological Bulletin» 4 (1907), p. 211. Questo punto di vista è palesemente contrario a posizioni come quella di Thorndike, il quale invece rifiuta agli animali la capacità di trarre dalle esperienze rappresentazioni che possano essere ricordate in situazioni future simili, negando in tal modo agli esseri inferiori all’uomo la capacità di astrazione, ma attribuendo loro una coscienza sensoriale simile «a quello che sentiamo noi quando la coscienza presenta un esiguo contenuto di pensiero intorno a checchesia, quando sentiamo le impressioni sensoriali nella loro prima

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La percezione viene intesa come una selezione di stimoli in grado di indirizzare l’azione, per quanto, quindi, rintracciamo nelle prime pagine di MSS il riferimento di Mead allo studio del comportamento come al terreno comune tra la psicologia sociale e il comportamentismo watsoniano, quest’ultimo risulta agli occhi di Mead troppo limitato e fuorviante per la conoscenza della psicologia dell’individuo, per tale ragione egli ritiene che il comportamentismo nel senso in cui viene utilizzato nella teoria del Sé sociale rappresenti «un

intenzione, per così dire, quando sentiamo il nostro corpo e gli impulsi che diamo ad esso». Secondo Thorndike è possibile dall’inferenza dell’esistenza di una tale coscienza negli animali attraverso l’osservazione del comportamento giungere a descrivere le esperienze soggettive degli animali, fermo restando che queste descrizioni non possono essere osservate come può esserlo il comportamento. Egli considera infatti le inferenze obbiettive tratte dall’osservazione del comportamento distinte da quelle fatte sulle esperienze soggettive. Nonostante questa separazione, però, egli ricade comunque nell’argomento per analogia, criticato tanto da Watson quanto da Mead, in base al quale egli ammette che gli animali hanno un certo tipo di esperienze osservandolo in esperienze umane e paragonandolo ad una immagine di una certa fase di attivazione della coscienza umana. Se noi abbiamo coscienza di certi fenomeni solo attraverso la nostra esperienza, come potremmo conoscere altrimenti il tipo di esperienza cosciente degli animali? (Cf. E. L. Thorndike, Animal

Intelligence: An Experimental Study of the Associative Processes (1898), in Animal Intelligence, Macmillan,

New York 1911, pp. 99 ss).

In seguito a Thorndike, la psicologia comparata, nella sua estremizzazione da parte di Hobhouse – che, sebbene giunga ad affermare che ciò «che non appare agire, in un punto o nell’altro, dev’essere considerato come inesistente» (L. Hobhouse, Mind in Evolution, Macmillan, London 1901, p. 54), deve comunque rimanere all’interno del procedimento per analogia con gli stati umani per poter descrivere l’elemento causale dell’azione – porta Mead a distaccarsi dalla posizione estrema che la psicologia comparata ha assunto ma a non negare il valore dello studio delle percezioni come fondamentali alla comprensione dello sviluppo della coscienza. Cf. B. D. Mackenzie, Il comportamentismo e i limiti del metodo scientifico, Armando, Roma 1980, pp. 107-110. In un recente articolo Peter Carruthers sostiene la possibilità di rappresentare i pensieri animali dall’esterno, attraverso una descrizione indiretta. Secondo Carruthers possiamo dire qualcosa riguardo il comportamento degli animali non-umani, sebbene non possiamo conoscere come il loro pensiero funzioni (Cf. P. Carruthers, On being

simple minded (apparso inizialmente in «American Philosophical Quarterly», 41-2004), in http://www.philosophy.umd.edu/Faculty/pcarruthers/, p. 3). Egli sostiene che «molti dei processi mentali responsabili dei comportamenti animali sono anche responsabili per il nostro proprio comportamento» (P. Carruthers, Why the question of animal consciousness might not matter very much, (apparso inizialmente in

«Philosophical Psychology», 17-2004), in http://www.philosophy.umd.edu/Faculty/pcarruthers/, p. 21). Sebbene

egli si rifiuti di affermare che gli animali non-umani hanno la stessa coscienza degli umani, ipotizza per essi un altro tipo di coscienza con funzioni analoghe a quelle della coscienza umana. Egli presenta l’esempio di un pomodoro rosso, sostenendo che il processo umano di selezione del pomodoro rosso per il suo colore attraente è lo stesso della scimmia. Tanto l’uomo che la scimmia fanno la loro scelta in base all’attraente colore rosso del pomodoro: «It is because the human sees the redness of the surface of the tomato (and hence enjoys a first-order analog content representing worldly redness), not because her percept also has the higher-order analog content

seeming redness, that she chooses as she does. Likewise with the monkey» (Ivi, p. 8).

Ciò nonostante, seguire il ragionamento di Carruthers ci porta troppo lontano dal semplice fatto, facendoci

interpretare l’azione attraverso la stessa motivazione tanto nell’essere umano quanto nell’animale. Sostenere che

la motivazione di scelta del pomodoro rosso è dovuta al desiderio di un frutto maturo, sapendo che il rosso è sinonimo di maturo, è qualcosa più che ammettere il fatto che scimmia e animale scelgono il pomodoro rosso: significa inferire che la scimmia sa cosa significa “frutto maturo” e associa il rosso con il maturo, il che è, se abbiamo capito l’argomento di Carruthers, attribuire una coscienza umana a un animale non-umano. Ciò nonostante, potremmo dire che affermare che un organismo ha una esperienza cosciente significa che c’è qualcosa ad essere quell’organismo, e che è presente un carattere soggettivo dell’esperienza. Parafrasando Nagel possiamo affermare che anche formare una concezione di cosa significhi essere una scimmia, uno deve assumere il punto di vista della scimmia. Nagel nega la possibilità di descrivere in maniera adeguata l’esperienza di un animale per i limiti che dimostrano la nostra natura (Cf. T. Nagel, What is to be like a bat, in «The Philosophical Review», Vol. 83/4 Oct. 1974, p. 436).

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approccio allo studio dell’esperienza dell’individuo, in particolare, ma non in modo esclusivo, dal punto di vista della sua condotta, così come è soggetta all’osservazione altrui».456