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Percezione, coscienza, linguaggio: dal gesto alla parola

Nel 1907 Mead indica nel carattere psico-fisico della percezione e nella dimensione sociale della relazione tra individuo e ambiente fisico gli elementi che hanno reso possibile il sorgere della coscienza umana. La questione centrale è da sempre quella di comprendere la linea di discrimine tra la percezione e i processi cognitivi superiori, tra la capacità cognitiva non razionale propria degli animali non-umani e la coscienza umana.293 Mead si pone questa

291 Ivi, p. 5. 292 MSS, p. 463. 293

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domanda alla luce dell’incompletezza delle teorie sulla percezione, incompletezza causata a suo parere da due limiti. Il primo riguarda l’impossibilità di una misurazione psico-fisica oggettiva e certa, sia della percezione dell’uomo che degli animali, a causa del fallimento nell’analisi delle condizioni di possibilità delle percezioni negli animali.294 Il secondo limite fa riferimento sia all’incompletezza della teoria della percezione nella psicologia umana (ricordiamo la critica che Mead muove alla nozione di “appercezione” di Wundt e più in generale l’attacco al metodo introspettivo e la denuncia di ambiguità dei concetti psicologici che in questi anni si fa sempre più forte), che alla difficoltà di tracciare una linea di demarcazione netta tra percezione animale e percezione umana.295 A differenza di Watson che, come vedremo nel prossimo capitolo, eviterà la questione negando di fatto le differenze tra il comportamento umano e animale rimuovendo il concetto di coscienza dallo studio psicologico, Mead propone una soluzione che in parte anticipa, almeno nelle intuizioni, le più recenti ipotesi formulate nelle scienze della mente riguardo alla filogenesi della coscienza e del linguaggio. La risposta alla questione riguardante la possibilità di una linea di demarcazione tra esperienza percettiva umana e animale viene indicata da Mead nella fase

manipolatoria dell’esperienza percettiva, fase che negli uomini e nei primati si intromette fra

lo stimolo e la risposta.296 Presupponendo, infatti, l’impossibilità di inferire dall’introspezione

294

Le testimonianze scritte dell’interesse di Mead per la psicologia comparata risalgono al 1895 anno in cui egli affronta la questione della relazione tra psicologia comparata e psicologia umana. Ciò testimonia il fatto che in Mead lo studio ontogenetico del fenomeno mentale nell’uomo è sempre stato strettamente intrecciato allo studio filogenetico della coscienza umana dalle forme di vita inferiori (cf. F. Carreira da Silva, Mead and Modernity, cit., in part. pp. 109-25). Nonostante la crescente importanza della psicologia comparata, però, Mead si rivela scettico rispetto ai suoi risultati e ritiene che essa sia ancora troppo intrisa di antropocentrismo nei suoi sviluppi. Nella recensione al volume di Morgan del 1895, evidenzia il «carattere omocentrico dell’analisi psichica» della psicologia comparata (G. H. Mead, Review of “An Introdution to Comparative Psychology” by C. Lloyd Morgan, in «Psychological Review», 2 1895, p. 399). In questa recensione, sebbene Mead prenda in seria considerazione i risultati della psicologia comparata, all’opposto di Watson egli palesa non tanto il rischio di valutare i dati comportamentali in termini analogici rispetto all’essere umano quanto, all’opposto, il limite dell’apparato concettuale della psicologia comparata poiché il trattamento del fisico e dello psichico viene affrontato, con scarso successo, in termini di analogia, senza alcuna attenzione alla distinzione prettamente logica fra il fisico e lo psichico. Mead denuncia così la mancanza di una analisi approfondita dei concetti fondamentali, poiché le analogie si rivelano ai suoi occhi più degli espedienti che delle vere e proprie spiegazioni e presentano un valore di illustrazione più che di vera conoscenza (Ivi, p. 401).

La questione che pone Mead, però, non è affatto nuova; Wundt, ad esempio, concepisce il metodo della psicologia comparata come analogo allo studio della psiche umana, avendo indicato la vita psichica degli animali come «simile a quella dell’uomo» e quindi conoscibile per analogia attraverso l’osservazione dei fenomeni della coscienza umana, la quale si rivela «l’unità di misura immutabile, secondo la quale soltanto possiamo misurare la vita psichica» (W. Wundt, Vorlesungen über die Menschen- und Tierseele (1863), p. 17, citato in W. Wundt,

Opere scelte, p. 17).

295

Per una introduzione alla storia delle differenti concezioni di percezione e dello sviluppo di metodi propri della psicologia della percezione rimandiamo a M. Cesa-Bianchi, A. Beretta, R. Luccio, La percezione. Una

introduzione alla psicologia della visione, Franco Angeli, Milano 1970, in part. cap. I. Come nota Musatti nella

prefazione al volume, la confusione riguardo ai limiti delle concezioni di una teoria della percezione adeguata è presente sino agli anni ’70 dell’Ottocento (pp. 13-27).

296

Mead trae da Stout il carattere della manipolabilità (cf. G. F. Stout, A Manual of Psychology, University Tutorial Press, London 19243, pp. 365-389) e lo ripeterà in vari altri scritti riguardanti la percezione e lo sviluppo

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umana qualche forma di coscienza negli animali non-umani, Mead rintraccia il discrimine nella caratteristica corporea dell’organo manipolatorio.

Due sono le differenze fondamentali tra l’esperienza percettiva umana e quella animale: innanzitutto la conformazione della mano che non è funzionale alla manipolazione da parte degli animali inferiori all’uomo e ai primati; in secondo luogo le differenze qualitative proprie delle esperienze di contatto, che negli animali non-umani sono una parte dell’immediata consumazione dell’oggetto, tanto che, afferma Mead, «è difficile credere che la coscienza di un ‘oggetto’ possa essere segregata in queste attività istintive».297 La mano umana, invece, media all’interno dell’atto, introducendo una fase di mediazione attraverso la quale la valutazione del possibile contatto dello stimolo a distanza appare all’interno dello stimolo: la percezione è, in altri termini, una mediazione attraverso la quale siamo consci degli oggetti fisici, mentre gli atti del mangiare, del lottare, ecc, non sono mediazioni all’interno dell’atto ma culminazioni immediate dell’atto stesso. In tal modo la presentazione di un oggetto fisico, che deve far sorgere i contatti necessari per l’attuale processo del cibarsi o del muoversi, non può offrire un campo utile per il sorgere della percezione manipolatoria: possiamo avere coscienza dell’oggetto solo attraverso la percezione di esso come oggetto, e questo è possibile per l’interruzione che intercorre tra l’istinto e il suo soddisfacimento. In questo senso l’esperienza della manipolazione dovrebbe essere intesa come una precondizione biologica per l’interazione cosciente. Alla capacità manipolatoria si lega infatti la possibilità di un’interazione che si serva di gesti simbolici per la cooperazione tra esseri umani. Come abbiamo accennato riguardo all’interpretazione meadiana del gesto in Wundt, la coscienza del significato sorge dal rapporto di adattamento reciproco tra la stimolazione sensibile e la risposta dell’individuo, rapporto che coinvolge anche la relazione del soggetto con gli oggetti fisici, giacché in questi casi la coscienza dell’individuo rispetto all’oggetto a cui sta per reagire si mostra come la coscienza del significato di quell’oggetto.298 Sul piano filogenetico

filogenetico della coscienza. In particolare in The Physical Thing Mead sostiene l’imprescindibile ruolo della manipolazione e della resistenza per riuscire a formare all’interno del soggetto la coscienza del mondo esterno – dell’oggetto fisico – come formato da un “inner structure” che apre la strada da un lato allo studio stesso di tale struttura, dall’altro sviluppa nella formazione del sé quella capacità distintiva cosciente fra l’oggetto fisico in termini di manipolazione ed esperienza di distanza e dell’organismo inteso come oggetto fisico distinto proprio per la “resistenza” che l’oggetto fisico oppone alla percezione (Cf. G. H. Mead, The Physical Thing, in PP, pp. 135-151).

297

G. H. Mead, Concerning Animal Perception, in «Psychological Review», 14 (1907), p. 388.

298

Riguardo a questo aspetto vedi anche G. H. Mead, La coscienza sociale e la coscienza del significato, in La

voce della coscienza, cit., p. 69. Inoltre, come vedremo, ne Il meccanismo della coscienza sociale (1912) la

relazione dell’individuo con gli oggetti fisici che fa riferimento alla fase percettivo-manipolatoria viene affiancata alla relazione tra individui, ovvero a quel meccanismo che porta alla formazione del Sé inteso come soggetto auto-cosciente. L’esperienza percettivo-motoria si rivela di cruciale importanza perché ad essa fa riferimento il meccanismo di sensazione e memoria grazie al quale un oggetto assume un certo significato per la

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ciò si traduce nella dotazione fisiologica che permette la manipolazione della realtà da parte dell’individuo e quindi una differenziazione della condotta grazie al mutamento dell’esperienza sensibile in situazioni che richiedono nuovi sforzi di interpretazione e selezione degli stimoli ambientali.299 È necessario, in breve, l’attivazione di un meccanismo di anticipazione che renda merito dell’inibizione di certe possibili risposte nei confronti di stimoli esterni, il che comporta la possibilità di dare significato all’oggetto esterno. Mead sostiene l’idea che sia possibile nella relazione con l’oggetto fisico dare un significato all’oggetto quando questo, presente ad una distanza dal soggetto tale che risvegli in questo l’anticipazione mentale delle risposte manipolatorie, chiama in causa nell’organismo ciò che è continuo con la sua propria natura interiore, di modo che il significato dell’oggetto venga rintracciato nella sua relazione con l’organismo. Grazie a questo processo diventa possibile per l’organismo piazzarsi assieme alla propria area manipolatoria a qualsiasi distanza dall’oggetto ed estendere lo spazio manipolatorio indefinitamente. Ciò che è necessario è che l’oggetto fisico faccia sorgere nell’organismo la propria risposta di resistenza, che

l’organismo in quanto materia agisca come l’oggetto fisico agisce. L’inibizione di risposte

rispetto al contatto con l’oggetto costituisce la possibilità per il sorgere del significato sia dell’oggetto fisico a cui il soggetto è rivolto, sia delle possibili risposte ad esso. Tale inibizione esprime il conflitto delle risposte in competizione all’interno di un certo atto, offrendo le condizioni per la prosecuzione dell’atto. Non si tratta, quindi, di indeterminazione dell’organismo, quanto piuttosto dell’espressione conflittuale di un indefinito numero di possibili risposte.300 Certo, tale processo è innanzitutto fisiologico, neurale ed è rintracciabile nella resistenza che l’oggetto fisico oppone all’individuo. Ma nel momento in cui questa attitudine di resistenza dell’oggetto all’organismo viene risvegliata all’interno dell’organismo stesso in una reiterazione dell’interazione in tal modo si ha nell’organismo il sorgere di una idea. Tale idea sorge proprio a seguito del processo manipolatorio, il quale si rivela essere l’elemento di sviluppo stesso della coscienza.

Nelle prime fasi dell’infanzia le risposte di resistenza immediata alla pressione che l’oggetto attua nei confronti dell’organismo si esprimono all’interno di una relazione condotta nell’ambiente di riferimento a cui fa riferimento il processo introspettivo in quanto mezzo di analisi della capacità soggettiva di affrontare la situazione sociale attraverso l’immaginazione e la memoria. Cf. G. H. Mead, Il meccanismo della coscienza sociale, in La voce della coscienza, cit., p. 78. Vedi anche G. A. Cook, The

Development of G. H. Mead’s Social Psychology, cit., pp. 167-86. La fase manipolatoria si rivela essenziale

anche per la conoscenza scientifica della realtà, e in particolare per il carattere di verifica sia del realismo empirista, sia per l’esistenza dell’oggetto fisico come opposto al corpo. Cf. G. H. Mead, PA, pp. 17 ss.; 103 ss.; PP, pp. 124 ss. Cf. anche A. E. Murphy, in PP, p. 23.

299

Cf. anche PA, pp. 103 ss.

300

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dell’organismo con l’ambiente attraverso un’organizzazione esclusivamente neurale, dovuta all’esplorazione dell’ambiente circostante sulla base del carattere di resistenza degli oggetti circostanti il soggetto, resistenza che si rivela di carattere comune alla resistenza dell’organismo stesso e non ancora definito in una opposizione consapevole fra organismo e ambiente esterno. Ma proprio l’opportunità di entrare in contatto con l’ambiente attraverso il processo manipolatorio permette di giungere ad organizzare in seguito i processi che sorgono prima di essere realizzati, attraverso appunto la formazione delle idee nel processo mediatore della manipolazione dell’ambiente circostante. La risposta dall’interno deve venire dall’organismo e non dall’oggetto fisico, ma non può essere collocato nell’organismo fino a quando questo non si sia definito attraverso le interrelazioni con gli altri oggetti.

Per diventare Sé coscienti è necessario il meccanismo della comunicazione, ma la fonte della comunicazione è lo stimolo che diamo a noi stessi per agire come quelli su cui stiamo agendo agirebbero. Due sono quindi i caratteri dell’oggetto fisico: il primo è la continuità dell’esperienza di pressione nell’organismo e di resistenza nell’oggetto fisico, poiché ciò di cui facciamo esperienza è la resistenza dell’oggetto fisico e l’esperienza di questa resistenza è essa stessa resistenza nell’organismo. Il secondo carattere, che l’oggetto riprende dall’organismo, è quello dell’azione attuale o potenziale che esso può attuare sull’organismo. Il carattere di resistenza è identico nell’organismo e nell’oggetto: assumere da parte dell’organismo l’attitudine a premere contro un oggetto è far sorgere nell’organismo l’attitudine della contro-pressione.301

In sintesi, la struttura dello spazio nell’esperienza dell’organismo trova il suo centro nell’organismo stesso, da cui si estende lo spazio dell’area manipolatoria. Questo rivela un aspetto fondamentale: il sorgere della coscienza dall’interazione con l’ambiente inteso primariamente come insieme di oggetti sociali verso cui la reazione è innanzitutto emotiva, di simpatia o antipatia. Come ritroviamo scritto nel tardo Philosophy of the Act, due sono le caratteristiche dell’esperienza percettiva che Mead intende evidenziare. Il primo è che

«la percezione degli oggetti fisici presuppone un atto che è già rivolto all’avanzamento della percezione ed è un processo entro il quale è presente la

301

Ivi, p. 149. Al riguardo vedi anche PA, p. 148: «I caratteri di distanza degli stimoli sono spaziotemporalmente lontani dall’organismo; ma, se la resistenza degli oggetti, la loro materia interna, è data simultaneamente all’organismo, questa resistenza deve essere eccitata nell’organismo, e così strappa i caratteri temporalmente distanti degli stimoli dal loro futuro. Questo si accorda con i giudizi di percezione sviluppati. Gli stimoli visivi e uditivi sono semplicemente presenti. La loro realtà fisica è un contenuto ipotetico che salta fuori dalle reazioni organiche e attendono la loro giustificazione nel contatto attuale. L’organismo si estende la propria area manipolatoria nel presente esistente reagendo ad esso nei ruoli degli stimoli distanti».

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percezione [che] implica una inibizione di questo processo di movimento attorno o lontano dallo stimolo distante, una inibizione che sorge dalla presenza nell’organismo di compimenti alternativi dell’atto […]. Il campo percettivo è un campo nel quale l’azione è per il momento bloccata ed è favorevole, quindi, all’astrazione dal passaggio nel presente di strutture che sono irrilevanti per il passaggio. […] questa astrazione dovrebbe prendere posto nei termini di un “ora”».302

La seconda caratteristica, invece, riguarda il carattere sociale dell’esperienza percettiva, che si esprime nella resistenza dell’oggetto, il quale richiama in causa il

«processo cooperativo attraverso il quale l’organismo si mantiene in equilibro, si muove contro la resistenza dell’oggetto, e manipola oggetti effettivi. La resistenza che l’organismo riceve dall’oggetto è della stessa natura di quella che può eccitare in se stesso. […] questo carattere sociale del processo percettivo è una astrazione da una più concreta attitudine sociale attorno al campo percettivo, simile a quella che rintracciamo nelle nostre non premeditate attitudini di irritazione o affezione attorno agli oggetti inanimati, e che è ancora più evidente nella condotta degli uomini primitivi e nei bambini».303

E in un altro punto afferma:

«l’individuo, preparandosi ad afferrare l’oggetto distante, assume l’attitudine di resistere al suo stesso sforzo nell’afferrare, […] la raggiunta preparazione per la manipolazione è il risultato di questa co-operazione o conversazione di attitudini. Il meccanismo coinvolto presumibilmente sorge dall’interazione delle differenti parti del corpo in contrasto tra loro, primariamente le mani. Se questo fosse elaborato nei dettagli, equivarrebbe a un’ipotesi sociale di ciò che accadrà quando un individuo entra in contatto manipolativo con l’oggetto distante».304

302

G. H. Mead, PA, p. 149.

303

Ivi, pp. 149-50. Corsivo nostro.

304

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2.4. Il primum della cooperazione sociale per la formazione della coscienza. Tra