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Riflessioni conclusive Mead, Dewey e la mente incorporata

Alla luce delle problematiche riguardanti la naturalizzazione del mentale e il carattere sociale del linguaggio e della conoscenza umana la proposta meadiana consente di mediare tra una prospettiva che tende ad appiattire il fenomeno mentale ai processi cerebrali e una posizione che invece tende a ricalcare la prospettiva dualistica che indica nella mente un

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G. H. Mead, What Social Objects Must Psychology Presuppose?, cit., pp. 175-176. Secondo Mead, solo la formulazione di scienze sociali certe possono determinare le leggi dei cambiamenti sociali con esattezza matematica, in modo da poter accettare i sé allo stesso modo in cui si accettano gli oggetti fisici, poiché la «conoscenza esatta assicura l’esistenza dell’oggetto conosciuto» (G. H. Mead, What Social Objects Must

Psychology Presuppose?, cit., p. 176). La posizione meadiana si rivela qui una posizione migliorista della

società, legata ai suoi studi sulla determinazione sociale e sulla educazione dei bambini; egli sostiene la possibilità di correggere i difetti degli individui attraverso una scienza sociale in grado di proporre una ‘salubre’ condotta sociale, nell’apprendimento da parte dell’individuo della consapevolezza delle sue relazioni con gli altri. (G. H. Mead, What Social Objects Must Psychology Presuppose?, cit., p. 177). Tale visione è fortemente condizionata dall’idea di una visione razionale (non razionalista) della realtà e della possibilità di ricondurre a ragione i fenomeni sociali, educativi, psicologici. Cf. F. Carreira da Silva, Mead and Modernity, cit. (in part. pp. 9-48). Carreira da Silva sostiene che il “sistema di pensiero” di Mead, che intreccia la questione propria della psicologia sociale dello sviluppo dell’individuo, al ruolo che la scienza sperimentale riveste nell’evoluzione della conoscenza umana intrecciata all’importanza che la politica riveste nel contribuire all’evoluzione dei significati condivisi dalla società umana, rappresenti un punto di riferimento inaggirabile all’interno del dibattito proprio della “modernità”.

Questo modo di considerare l’essere umano non è nuovo, è uno dei caratteri principali della interpretazione pragmatista dell’evoluzionismo darwiniano. Già James, ad esempio, aveva parlato della capacità da parte dell’uomo, in quanto altamente indeterminato, di essere altamente educabile e quindi rivolto al miglioramento della società (W. James, Are We Automata?, in EPs, p. 54). In uno scritto inedito Mead esponeva la possibilità di un applicazione del metodo funzionalista alla scienza sociale (cf. G. H. Mead, “On the methodology of the social sciences”. Box XIII Folder 20).

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fenomeno completamente indipendente dai processi cerebrali.405 In questo quadro ruolo fondamentale riveste la relazione attiva, organica, tra individuo e ambiente. Tale relazione, da una parte si mostra alla base della condotta motivata, ovvero dell’agire secondo “idee”,406 dall’altra parte si rivela fondamentale anche per lo sviluppo del gesto simbolico dal gesto significativo. Alla base di questa possibilità è presente una dotazione biologica strettamente intrecciata alla dimensione sociale innata dell’organismo umano che ricalca implicitamente l’idea sviluppata nelle più recenti teorie cognitive riguardo alla mente incorporata. Più in generale sono rintracciabili degli elementi comuni tra la centralità che la dimensione corporea assume nella teoria meadiana e le teorie contemporanee della Embodied Mind in cui la corporeità gioca un ruolo centrale per lo sviluppo dei processi cognitivi e di interazione sociale, nella teorizzazione di un rapporto inter-causale tra corpo, ambiente e coscienza.407

Ora, non intendiamo affrontare questo tema che è vasto e richiederebbe un lavoro a parte rispetto al percorso di indagine che qui stiamo cercando di svolgere; ciò che vogliamo evidenziare è semplicemente la similitudine che i presupposti teorici alla base delle differenti

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Interessante al riguardo è la raccolta di saggi curata da Andrea Lavazza, L’uomo a due dimensioni. Il

dualismo mente-corpo oggi, Bruno Mondadori, Milano 2008.

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Il termine “idea” è qui ripreso da James, il quale aveva prospettato la differenza di comportamenti di primati e umani rispetto agli altri animali, sostenendo che mentre questi ultimi agiscono come automi, primati ed esseri umani attuano seguendo delle motivazioni, che egli chiama idee (Cf. W. James, Review of The Functions of the Brain, by David Ferrier; The Physiology of Mind, by Henry Maudsley; Le Cerveau et ses fonctions, by Jules

Luys (1877), in ECR, p. 336).

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Scopo delle prospettive embodied è quello di riabilitare all’interno dello studio dei processi cognitivi il ruolo attivo e determinante del corpo. Sul piano metodologico ciò che l’approccio embodied cerca di proporre, in particolare da parte di autori come Varela, Thompson e Rosch, è di rintracciare una base comune tra la mente così come viene studiata nella scienza e la mente che opera nell’esperienza in modo da poter avere una comprensione della cognizione maggiormente esaustiva (Cf. F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, The embodied

mind: Cognitive science and human experience, MIT Press, Cambridge MA 1991; trad. it., La via di mezzo della conoscenza : le scienze cognitive alla prova dell’esperienza, Feltrinelli, Milano 1992). Alla base dell’idea embodied, così come formulata anche da Shaun Gallagher e Dan Zahivi (S. Gallagher, D. Zahivi, La mente fenomenologica, Raffaello Cortina, Milano 2009, in part. pp.197-230) sta la relazione percettivo-fenomenica

uomo-mondo, relazione la cui esplicazione teorica affonda le proprie radici nella fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty. Non abbiamo la preparazione adatta ad esporre qui nello specifico la teoria del filosofo francese e soprattutto la vicinanza che la sua fenomenologia mostra nei confronti della filosofia di Mead. A questo riguardo rimandiamo all’interessantissimo lavoro di Sandra B. Rosenthal e Patrick L. Bourgeois, Mead

and Merleau-Ponty. Toward a common vision, State University of New York Press, New York 1991. In

particolare, Rosenthal e Bourgeois ritiengono che la psicologia sociale di Mead includa una forte dimensione fenomenologica ma che questo aspetto possa essere meglio compreso proprio in un paragone con la fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty. Per un confronto tra Mead e la prospettiva fenomenologica husserliana rimandiamo invece a Maurice Natanson, The Social Dynamics of George Herbert Mead, Public Affairs Press, Washington, D. C. 1966. Riguardo ai punti comuni rintracciabili tra la filosofia di Mead e la fenomenologia di Husserl, Joas evidenzia che la differenza cruciale tra Mead e Husserl sia rintracciabile nell’insistenza di Mead riguardo al fatto che il Sé non è originalmente data all’agente, come invece assumerebbe Husserl, quanto esso è un prodotto sociale (Cf. H. Joas, G. H. Mead, cit., pp. 41-42).

È possibile, inoltre, rintracciare sul piano ontogenetico delle similitudini anche tra la tesi meadiana della percezione manipolatoria e la teoria di Eleanor Gibson sul comportamento esplorativo del bambino come processo fondamentale per lo sviluppo della percezione, dell’azione e dell’acquisizione della conoscenza; tale teoria, infatti, sostiene la tesi secondo la quale la fase manipolatoria del bambino sia alla base della possibilità dello sviluppo delle capacità cognitive superiori (Cf. E. Gibson, Exploratory Behavior in the Development of

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ipotesi sulla mente incorporata mostrano con la teoria meadiana e deweyana, e in particolare: i presupposti che la cognizione sia dipendente dalla dotazione corporea e che il corpo sia una entità sociale.408

Abbiamo visto con Mead il ruolo che la percezione ha per lo sviluppo della coscienza umana: la dotazione fisiologica – la mano – consente di introdurre all’interno dell’atto di stimolo-risposta una fase di intermediazione che apre la strada alla riflessione. Abbiamo inoltre notato che in parte Mead ha intuito l’esistenza di una dotazione neurale che possiede in

nuce già tutte le potenzialità, le quali, però, necessitano come co-determinante per il proprio

sviluppo la stimolazione dall’ambiente. Tale fase di stimolazione è innanzitutto percettivo- motoria, legata alla relazione organica tra corpo e ambiente, il che implica necessariamente che anche l’ambiente sia dotato di stimoli adatti all’azione dell’individuo.

Arriviamo così a rintracciare le similitudini della riflessione meadiana con la prospettiva deweyana secondo la quale l’esperienza che coinvolge l’organismo si rivela essere un processo organico in cui tanto l’individuo quanto l’ambiente entrano in relazione. Dalla relazione sorge la mente intesa come «la proprietà di un particolare campo di eventi che interagiscono tra loro».409 Ciò non legittima l’idea di una mente come effetto degli eventi naturali, né che la mente sia un fenomeno sopravveniente al sostrato fisico. L’approccio che deve essere invece assunto nei confronti del problema della relazione tra mente e corpo sta nel considerare la differenziazione delle qualità sensoriali negli organismi più complessi che esperiscono le qualità dando origine ad atti di utilizzazione che trasformano le qualità in una serie di atti, alcuni preparatori altri consumatori.410 Alla base di questa prospettiva sta l’idea secondo la quale la mente è in connessione con il corpo che esiste in un ambiente naturale col quale instaura una relazione di adattamento. E questa relazione di adattamento è resa possibile dalla dotazione fisiologica di organismi di ordine superiore.411

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Due sono le versioni più recenti delle teorie embodied, la prima affida all’azione il ruolo centrale per la cognizione incorporata (cf. A. M. Glenberg, What memory is for, «Behavioral and Brain Sciences», 20, pp. 1-55) mentre la seconda riconosce l’importanza del sistema senso-motorio per la cognizione, e in particolare il fatto che la cognizione faccia riferimento alla capacità simulatoria, al contesto in cui l’azione si svolge, agli stati corporei (cf. B. C. Smith, Situatedness/Embeddedness, in R.A. Wilson e F.C. Keil (eds.), The MIT Encyclopedia

of the Cognitive Sciences, MIT Press, Cambridge MA 1999, pp.769–770; L. W. Barsalou, Grounded Cognition,

«Annual Review of Psychology», 59, 2008, pp. 617-645).

409

J. Dewey, Natura ed esperienza, cit., p. 194. È paradigmatico notare anche che Dewey stesso evidenzierà qualche anno dopo Mead l’esigenza di una prospettiva maggiormente sociale da cui guardare i fenomeni sociali. In particolare, nel 1916 davanti alla American Psychological Association, Dewey sosterrà la necessità di considerare i fenomeni psichici sia come fenomeni fisiologici che come fenomeni sociali e proporrà la formazione di un nuovo funzionalismo in grado di dare importanza alla neurofisiologia e al comportamento sociale (J. Dewey, The Need For Social Psychology (1916), in J. A. Boydston (ed.), The Collected Works of John

Dewey. Early Works (1882-1898), Volume 10, Southern Illinois University Press, Sotuhern IL 1980, pp. 53-63).

410

J. Dewey, Natura ed esperienza, cit., p. 199.

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Ora, questo modo di intendere la mente è analoga alla prospettiva delle teorie embodied, il cui presupposto teorico è rintracciabile nel fatto che la dotazione corporea della cognizione influenza e condiziona l’azione dell’individuo allo stesso modo in cui l’ambiente in cui l’individuo è situato opera un condizionamento sulla possibilità di selezionare gli stimoli adatti all’azione dell’individuo. Questa analogia viene notata, ad esempio, da Mark Johnson, il quale evidenzia, riferendosi all’opera di Dewey Natura ed esperienza, numerose assonanze con la teoria della embodied cognition.412 Dewey, in effetti, definisce l’attività dell’organismo psico-fisica, intendendo con “psico” il fatto che «l’attività fisica ha acquistato proprietà addizionali, cioè di reperire, nell’ambiente circostante, un particolare tipo di supporto interattivo dei bisogni […] lo psicofisico denota il possesso di certe qualità e caratteri strumentali che non si manifestavano nell’inanimato».413 Ciò implica che

«[c]ome la vita è un carattere degli eventi in particolari condizioni di organizzazione e il “sentire” è una qualità delle forme vitali caratterizzata da reazioni complessamente mobili e discriminanti, così la “mente” è una proprietà aggiuntiva assunta da una creatura dotata di vita sensibile, quando raggiunge quell’interazione organizzata con altre creature viventi che si chiama linguaggio, o comunicazione».414

La mente sorge nell’esperienza, relazione organica tra individuo e ambiente. Sostenere che la mente sia una proprietà che si acquisisce con l’interazione comunicativa significa quindi presupporre necessariamente la dinamica relazionale, e in particolare la relazione gestuale.415

412

Cf. M. Johnson, Cognitive science and Dewey’s theory of mind, in The Cambridge Companion to Dewey, cit., pp. 122-44. In particolare Johnson mette paragona la teoria della mente deweyana con la teoria embodied proposta da Don Tucker (cf. D. Tucker, Mind from Body: Experience from Neural Structure, Oxford University Press, Oxford 2007).

413

J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 189.

414

Ivi, p. 191.

415

Potremmo vedere un riferimento implicito a questo aspetto nelle più recenti ricerche sull’enaction, ovvero sul legame tra conoscere e agire in riferimento al modo di contatto tra soggetto percipiente e oggetto percepito. Evidenze sperimentali dimostrano come il contatto “enacted” – “agito” – tra soggetto e mondo fisico sia caratterizzato dal condizionamento della visione sull’azione e viceversa e che l’azione e la percezione siano condizionate dalla semantica (Cf. A. Borghi, F. Cimatti, Embodied cognition and beyond: acting and sensing the

body, «Neuropsychologia» 5 2009; A. Borghi, A. Flumini, F. Cimatti, D. Marocco, C. Scorolli, Manipulating objects and telling words: a study on concrete and abstract words acquisition, «Frontiers in Psychology», 2

2011). Ovviamente dovremmo qui allargare l’accezione di semantica e riferirla ai gesti significativi prima ancora che alle parole. Varela sostiene un concetto di “enazione” che appunto sostiene la reciproca formazione di mente e mondo (Cf. F. Varela, Un rimedio metodologico al “problema difficile”, in M. Cappuccio (a cura di),

Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Bruno Mondadori, Milano

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Il limite che però noi notiamo in riferimento all’aspetto della relazione gestuale riguarda il fatto che Dewey non sviluppa una teoria ontogenetica del linguaggio, dando per assodato il fatto che «gli uomini cominciano a parlare e devono fare uso di suoni e gesti che sono antecedenti all’esistenza del linguaggio»,416 presupponendo quindi il passaggio dai gesti naturali ai gesti simbolici.

A questo riguardo, allora, Mead si ritrova ad essere rispetto a Dewey un referente privilegiato per un confronto con le ipotesi sviluppate all’interno delle scienze della mente odierne. Come stiamo vedendo, infatti, Mead ha raggiunto una sintesi già in questi primi anni di produzione che completa la teoria delle emozioni con una prospettiva in cui il gesto comunicativo rende possibile la messa in atto di quegli istinti sociali innati che caratterizzano l’individuo. Come abbiamo visto, Dewey riconduce a certe espressioni emotive l’elemento sociale che segna il passaggio dall’attitudine emotiva al gesto,417 ma non porta a termine questo processo poiché non arriva a considerare il fatto che la coscienza del significato richieda più della sola capacità di un individuo di rispondere appropriatamente al gesto di un altro. Nell’esempio, presente in The Theory of Emotions, dell’animale la cui posizione di

attesa figura la risposta allo stimolo dell’altro animale che lo vuole attaccare, la dinamica

gestuale non viene portata a termine ma finisce in questa risposta di attesa, senza proseguire nel processo di immaginazione delle conseguenze e nella prosecuzione dell’interazione gestuale. Ma il significato, abbiamo appena visto in Mead, appare solamente nell’immaginare le conseguenze del gesto. Nell’abstract del 1894 Mead declina il passaggio dall’atto istintivo allo stimolo simbolico, se nel saggio di Dewey troviamo solo un accenno al gesto, Mead invece già suggerisce il passaggio dallo stimolo istintivo allo stimolo estetico, il quale si esprime in un fenomeno sociale e culturale come la danza.418 Possiamo ora spiegarci meglio come avvenga nel fenomeno dell’interazione sociale quel passaggio dallo stimolo istintivo allo stimolo estetico che non eravamo riusciti a comprendere prima. Attraverso la comunicazione gestuale ciò che è istinto è già sociale e il passaggio dallo stimolo istintivo allo stimolo estetico ha come minimo comun denominatore il gesto inteso come meccanismo alla base della socialità innata degli organismi, socialità intesa come capacità di interagire con l’ambiente all’interno di un processo organico. Nelle dinamiche di interazione tra organismi simili tale gesto assume il valore di un atto troncato, rappresenta gli inizi dei movimenti inibiti

416

J. Dewey, Esperienza e natura, cit., p. 209.

417

J. Dewey, The Theory of Emotions: Emotional Attitude, cit., p. 168.

418

Cf. L. Ward & R. Throop, The Dewey-Mead analysis of emotions, in “Social Science Journal”, 26 (1989). See D. D. Franks, Mead’s and Dewey’s Theory of Emotion and Contemporary Constructionism, in “Journal of Mental Imagery”, 15 (1991), p. 128.

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e in quanto tale stimola la condotta degli altri individui. Ed è proprio l’inibizione che è la condizione per l’attenzione volontaria, caratteristica principale dell’essere umano rispetto agli animali non-umani, per la selezione degli stimoli e, con l’aumentare dell’inibizione, l’aumento di gesti in quanto segni significativi. Le condizioni per avviare il «processo di interiorizzazione delle strutture di senso» avviene quindi in riferimento alle capacità e rapidità di reazione alle richieste di adattamento alle richieste che vengono dall’ambiente fisico e sociale.419

Mead fa riferimento al gesto comunicativo perché esso «non solo porta attualmente l’oggetto-stimolo nella serie delle reazioni delle altre forme ma […] vi indica anche la natura dell’oggetto».420 In altri termini, il gesto, oltre a inserire lo stimolo all’interno della catena di reazioni degli altri individui, indica anche la natura dell’oggetto, ovvero il significato che ad esso viene assegnato e che non si rivolge solamente al soggetto che risponde allo stimolo percependo e interpretando l’oggetto-stimolo in un determinato modo ma che esiste anche per gli altri soggetti negli stessi termini. Questo ci permette di identificare il pensiero di Mead come il termine medio tra la teoria comportamentista e le teorie riconducibili alle scienze della mente. Mead, infatti, riconduce l’universalizzazione del significato di un gesto ad una generalizzazione dell’atteggiamento dell’individuo agente nei confronti dell’oggetto, atteggiamento che essendo osservabile dall’esterno può essere spiegato anche in termini comportamentistici.421 Il gesto simbolico ha lo stesso significato per chi lo emette e per il destinatario proprio perché chi lo emette assume il ruolo del destinatario riguardo al proprio gesto vocale immaginando, in tal modo, gli effetti del proprio gesto sull’altro. Ed è in una chiave di possibile interpretazione dei fenomeni della coscienza che Mead rintraccerà nel comportamentismo uno strumento essenziale per la spiegazione psicologica della condotta del soggetto. Questa prospettiva non esclude a priori la possibilità di parlare dei fenomeni coscienti o delle esperienze del soggetto, al contrario essa sembra tematizzare un elemento che nella Teoria della Mente viene dato per assodato: la possibilità di attribuire agli altri una mente. La presupposizione degli altri Sé alla formazione della coscienza del soggetto permette di legittimare l’idea che il soggetto attribuisca agli altri Sé una mente prima di attribuirla a se

419

Cf. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, cit., pp. 560-61. È necessario notare che una spiegazione siffatta in qualche modo risponde alle osservazioni che possono essere mosse all’interpretazione habermasiana della genesi del linguaggio umano in Mead. Habermas sembra infatti non dare il giusto rilievo alle condizioni fisiche per il sorgere della comunicazione intenzionale significativa. Egli infatti analizza gli aspetti dell’interazione gestuale non ancorando in maniera determinante, però, le due condizioni per il sorgere del gesto significativo – l’intenzione comunicativa e la concordanza dell’uso di un gesto in un contesto definito – alla dotazione biologica.

420

A Behavioristic Account of the Significant Symbol, cit., pp. 160-61.

421

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stesso. In breve, la coscienza degli altri precede l’autocoscienza e tale precedenza deriva dalla conversazione di gesti che l’individuo intrattiene con gli altri “oggetti sociali”; tale conversazione è esteriore e rientra nell’osservazione che l’individuo fa della condotta degli altri e delle proprie risposte alla condotta degli altri.422 E questa presupposizione si fonda proprio sulla stessa capacità istintiva dell’essere umano a comunicare sulla base di una tendenza innata che fa riferimento a ciò che potremmo definire, utilizzando una terminologia wittgensteiniana, «modi istintivi naturali» che si esprimono nel comportamento.423 Ed è proprio grazie all’evidenziazione del carattere “socialmente naturale” che si esprime nella condotta umana, che Mead affida un ruolo importante all’osservazione del comportamento per la comprensione dell’individuo.

Sembra dunque quasi naturale che Mead trovi sempre più interesse per gli studi sul comportamento umano, ma anche in questo caso la contaminazione deweyana si rivelerà maggiore di quanto possa sembrare a prima vista. La centralità della condotta umana come espressione del processo psichico dell’individuo è stata sin dall’inizio sostenuta tanto da Mead quanto da Dewey: rintracciamo già nella teoria delle emozioni di Dewey l’esplicito riferimento al comportamento come attitudine ad agire in un certo modo, e nel 1903 Dewey parla di «thinking behavior» – comportamento riflessivo – per esprimere il carattere organico del pensiero logico.424 E proprio questo aspetto porterà Mead a distinguere due tipi di comportamentismo: il comportamentismo watsoniano e quello deweyano. Ma questo è già