• Non ci sono risultati.

Dal gesto alla parola: le affinità con le recenti teorie evolutive

2.4. Il primum della cooperazione sociale per la formazione

2.4.2. Dal gesto alla parola: le affinità con le recenti teorie evolutive

L’affinità con le più recenti scoperte riguardanti il sistema mirror apre la strada ad una comparazione tra la teoria di Mead e la più recente ipotesi sull’origine del linguaggio umano di Michael Corballis.329 In Dalla mano alla bocca Michael Corballis ammette che «anche il linguaggio parlato può avere origine nei gesti silenziosi dei nostri lontani antenati» giacché il linguaggio non è solo verbale ma fatto anche di lingue gestuali che utilizzano principalmente mani, braccia e volto; in breve, il linguaggio è più spesso di quanto crediamo discorso

figurale.330 In particolare, Corballis sostiene che il linguaggio abbia origine nella cultura (non ci sono prove che altre specie siano in grado di apprendere qualcosa di simile ad un linguaggio grammaticale) e affonda la propria radice nella capacità imitativa dell’uomo. Oltre ad essere imitativo, il linguaggio umano è anche generativo, oltrepassa l’imitazione permettendo la comunicazione di nuovi pensieri.331 L’ipotesi di Corballis sembra ricalcare il nucleo dall’idea meadiana di evoluzione della coscienza in quanto rappresentazione figurale dell’interazione gestuale con l’esterno, tanto che al pari di Mead il neuroscienziato neozelandese fa derivare la generatività e l’imitazione alla base della comunicazione dal carattere cooperativo dell’essere umano.332 Inoltre, egli ipotizza che il linguaggio derivi dalla nostra capacità di pensare ricorsivamente, capacità che ci consente di «‘proiettarsi nella

328

G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, op. cit., p. 96.

329

Cf. M. C. Corballis, Dalla mano alla bocca, Raffaello Cortina, Milano 2008. Per una ricostruzione del dibattito tra teoria gestuale e teoria vocale sulle origini del linguaggio cf. N. Masataka,

The Gestural Theory of and the Vocal Theory of Language Origins Are Not Incompatible with One Another, in

N. Masataka (ed.), The Origins of Language. Unraveling Evolutionary Forces, Springer, Hicom, Japan 2008, pp. 1-10.

330

M. C. Corballis, op. cit., p. 22.

331

Ivi, pp. 20-21.

332

Ivi, p. 128: «La cooperazione su larga scala sembra essere unicamente attribuibile agli esseri umani, almeno tra gli animali di grossa taglia, e potrebbe benissimo essere la fonte delle nostre tipiche capacità mentali, compreso il linguaggio». Ciò deriverebbe da un gene “altruistico”, ovvero un gene «capace di indurre un comportamento altruistico, anche a rischio della vita o almeno della progenie» se di fatto aiuto un parente con lo stesso gene ad avere più progenie.

120

mente’ degli altri»,333 il che giustificherebbe anche il fatto che «noi usiamo il linguaggio principalmente per influenzare le menti altrui».334

Ora, l’espressione “proiettarsi nella mente dell’altro” ha un significato analogo al meadiano “assumere il ruolo dell’altro”, ovvero anticipare mentalmente la reazione dell’altro ad un proprio stimolo. Questo è possibile proprio all’interno di una concezione della conversazione come inizialmente gestuale, ovvero come il frutto di aggiustamenti di atti in corso in un’interazione tra due soggetti in cui sono coinvolti mutamenti preliminari che non fanno parte degli atti completi a cui competono, essendo preparatori e manifestandosi nell’«atteggiamento del corpo da cui queste azioni prendono il via».335 Queste espressioni mutano in base agli atteggiamenti di risposta, il che stimola la capacità di reagire in modo differenziato, di discriminare e riconoscere, ovvero di significare e soprattutto di attribuire lo stesso significato nel momento in cui si ripresenta una situazione simile.

Come nota anche Kang, il processo di genesi del linguaggio simbolico in Mead presenta due caratteristiche fondamentali: la “riflessività” e la “regolarità”: il processo riflessivo è la capacità del soggetto di assumere il ruolo dell’altro, anticipando in se stesso la sua risposta al proprio stimolo; la regolarità deriva dal processo riflessivo e consiste nella ripetizione di una risposta, frutto di una generalizzazione del ruolo dell’altro – riconducibile alla nozione di “altro generalizzato” – in situazioni simili.336 Tali caratteristiche sono il frutto delle interazioni sociali che forniscono certe «precondizioni “primitive” delle situazioni riflessive e regolative comuni».337 Il processo percettivo manipolatorio legato al gesto significativo fa parte di queste relazioni con l’ambiente e segna la linea di discrimine tra condotta umana e condotta animale. La dotazione biologica è essenziale poiché presenta già tutte le potenzialità in forma embrionale, le quali necessitano dell’interazione sociale per il loro sviluppo completo. Inoltre, come abbiamo visto nel primo capitolo, la fase ludica viene considerata da Mead la condizione necessaria affinché le “coordinazioni” delle “cellule cerebrali” e le “coordinazioni delle coordinazioni” possano svilupparsi.338 È paradigmatico notare che questa fase risulta

333

Ivi, pp. 83-84: «la ricorsività può essere limitata dai vincoli cui è sottoposta la memoria a breve termine, ma il

concetto è aperto, e in linea di principio possiamo applicarlo quante volte vogliamo. Se questa capacità non è

presente negli scimpanzè e nei bonobo, allora probabilmente non lo era neanche nel progenitore comune che condividiamo con questi animali e, dunque, deve essere apparsa in un momento successivo dell’evoluzione della nostra specie».

334

Ivi, p. 128; 135.

335

G. H. Mead, La coscienza sociale e la coscienza del significato, cit., p. 68.

336

W. Kang, op. cit., pp. 130-131.

337

Ivi, p. 131.

338

121

centrale anche nella teoria di Corballis. A vantaggio della fase ludica dell’apprendimento del linguaggio, infatti, Corballis afferma che

«è durante questo periodo [dai 2 ai 4 anni] che la grammatica si radica nel cervello infantile. Durante questo periodo, i bambini si trovano spesso in contesti ludici nei quali sono anche esposti al linguaggio e agli oggetti (giocattoli) ed è così che acquisiscono le abilità costruttive del linguaggio, nella manipolazione degli oggetti e della ‘teoria della mente’».339

La relazione con il mondo rende così merito di una spiegazione del rapporto tra mente e linguaggio che sorregge l’ipotesi tutt’oggi in evidenza del sorgere della mente dall’interazione con l’ambiente e del sorgere di gesti significativi dalla mente in quanto capacità di interpretare la conversazione di gesti.

Mead identifica tre condizioni fondamentali per la coscienza del significato: una situazione sociale, in cui sia possibile individuare l’atto di un individuo come stimolo per quello di un altro individuo in una reciproca “contaminazione”; la conoscenza del fatto che il proprio gesto induce un cambiamento in quello dell’altro; le condizioni sotto cui si affaccia alla coscienza tale relazione.340 La percezione del proprio atteggiamento, che sorge spontaneamente per far fronte a quello di un altro, e l’immagine del cambiamento di questo gesto in risposta al nostro atteggiamento, rendono merito del carattere ricorsivo del pensiero, ovvero della capacità di proiettarsi nella mente dell’altro, di comprendere o di «vedere il mondo dalla prospettiva di una altra persona».341

Questo aspetto si rivela particolarmente interessante alla luce delle ultime ipotesi teoriche riguardanti tanto l’origine della mente e del linguaggio quanto della loro interazione reciproca. Il cognitivista sociale Bertram Malle, ad esempio, delinea una possibile spiegazione filogenetica del legame tra teoria della mente e linguaggio, ovvero tra la capacità da parte di un individuo di attribuire stati mentali a sé e agli altri,342 e la formazione del linguaggio inteso

339

M. C. Corballis, op. cit., pp. 282-83.

340

G. H. Mead, La coscienza sociale e la coscienza del significato, cit., pp. 75-6.

341

M. C. Corballis, op. cit., p. 134.

342

Cf. C. Meini, Psicologi per natura. Introduzione ai meccanismi cognitivi della psicologia ingenua, Carocci, Roma 2007, p. 31. Per quanto riguarda le ipotesi sui legami tra mente e linguaggio cf. B. F. Malle, The Relation

Between Language and Theory of Mind in Development and Evolution, in T. Givón & B. F. Malle (Eds.), The evolution of language out of pre-language, Benjamins, Amsterdam 2002, pp. 265-284. D. Premack, How ‘theory of mind’ constrains language and Communication, «Discussions in Neuroscience», 1 1994.

122

come sistema simbolico il cui uso, a differenza dei sistemi espressivi delle emozioni, presuppone dei segni arbitrari.343

L’ipotesi che Malle avanza vede alla base del sorgere del linguaggio una teoria primitiva della mente (ToM1) che fa affidamento sulla ricognizione del comportamento e che include tre elementi: una capacità di imitazione (che mette a confronto il comportamento degli altri individui con i propri stati interiori e fornisce una condizione necessaria per le inferenze riguardo agli stati interiori degli altri); una capacità di attenzione congiunta tra più individui nell’occuparsi di uno stesso oggetto; una sensibilità inferenziale verso alcuni stati mentali associati con l’azione che si rivelano indicativi di un desiderio o di un concetto di scopo.344 I tre elementi dell’imitazione, dell’attenzione congiunta e della sensibilità inferenziale connessa al desiderio, si ritrovano alla base dei gesti espressivi e delle vocalizzazioni prevedibilmente associati con oggetti dell’ambiente a cui l’azione cooperativa è diretta. Ma soprattutto gettano le basi per un proto-linguaggio semplificato: l’imitazione permetterebbe, infatti, di convalidare l’attendibilità intersoggettiva della vocalizzazione, l’attenzione congiunta convaliderebbe l’attendibilità degli atti di riferimento vocale, il desiderio consentirebbe di avviare l’interpretazione del riferimento vocalizzato come una forma di intenzione comunicativa.345 Il proto-linguaggio permetterebbe a sua volta di implementare le interazioni tra individui e tra individui e oggetti, differenziando tra tipi di comportamento (intenzionali e non intenzionali) e tra specifici atti linguistici. Lo sviluppo successivo vede il passaggio al ToM2, ovvero ad una teoria della mente avanzata caratterizzata da un incremento della capacità introspettiva e delle capacità cognitive. Parallelamente a questo si ha un protolinguaggio più avanzato, proprio perché se il proto-linguaggio primitivo presentava la vaghezza e l’ambiguità delle interazioni gestuali, in quanto le prime dinamiche di interazione linguistiche servivano ad esplicare una relazione tra individuo e oggetto e presentavano quindi una caratteristica maggiormente olistica, lo sviluppo delle capacità introspettive e di memoria consentono una sempre maggiore conoscenza dei propri stati interiori e quindi di un passaggio ad un linguaggio in grado di esprimere in maniera sempre più precisa questi stati.346 Questi avanzamenti a loro volta hanno implicazioni per la teoria della mente poiché

«se gli agenti rendono i propri stati interiori espliciti agli altri (quantomeno a condizione di intimità e fiducia) i percettori sociali ricevono informazioni più

343

B. F. Malle, The Relation Between Language and Theory of Mind in Development and Evolution, p. 266.

344 Ivi, pp. 272-73. 345 Ivi, pp. 273-74. 346 Ivi, p. 275.

123

valide per le loro inferenze sugli stati mentali, i quali potrebbero diventare sempre più differenziati ed evolvere verso un livello di ToM3».347

Ora, è interessante notare i presupposti concettuali alla base della teoria di Malle, presupposti che consentono di evidenziare gli elementi comuni con la teoria meadiana.

La teoria di Malle si basa su un’argomentazione contro l’idea che il linguaggio preceda la teoria della mente e in linea con altri autori sostiene che una delle precondizioni per il sorgere del linguaggio sia rintracciabile nella capacità da parte dell’individuo umano di inferire le intenzioni comunicative degli altri.348 Malle sostiene che nel momento in cui un individuo percipiente inferisce che il gesto espressivo G di un altro individuo agente indica un certo stato mentale M, e a sua volta l’agente inferisce che il percipiente ha effettuato questa G-M inferenza, allora l’agente può usare il gesto espressivo G per comunicare intenzionalmente al percipiente che a G consegue M.349 Questo schema può espandersi dai gesti espressivi naturali ai simboli arbitrari, ovvero ai gesti simbolici, e può includere vari stati mentali, dagli stati fisici ai sentimenti, ai desideri, ai piani d’azione, alle percezioni e alle credenze.

Ciò che si pone come maggiore limite per l’accettazione di tale ipotesi è la possibilità di giustificare scientificamente l’emergenza della sensibilità di un desiderio. Per superare questo ostacolo Malle ricorre alla proposta di Gallese e Goldman, secondo i quali la possibilità di una inferenza proiettiva dei propri stati mentali agli altri si radica sull’apparato biologico del sistema mirrors. Questo consente di convalidare l’idea del passaggio dalla percezione del comportamento sofisticato da parte anche dei primati agli inizi delle analisi mentali.350 Ma per fare questo è necessario, seguendo Malle, considerare che la capacità inferenziale deve essere connessa anche ad una capacità introspettiva tramite la quale l’individuo è consapevole di sé in quanto distinto dagli altri individui. L’introspezione risulta quindi una “terza variabile guida”, insieme a imitazione e attenzione congiunta.351

Il problema che si pone, a questo punto, è in che senso vadano intese l’inferenza e l’introspezione. Malle, infatti, deve presupporre l’individuo per la comprensione del

347

Ibidem.

348

Cf. D. Sperber, Metarepresentations in an evolutionary perspective, in Id. (ed.), Metarepresentations: A

multidisciplinary perspective, Oxford University Press, New York 2000, pp. 117-137; G. Origgi, G. & D.

Sperber, Evolution, communication and the proper function of language. In P. Carruthers & A. Chamberlain (Eds.), Evolution and the human mind: Modularity, language and meta-cognition, Cambridge University Press, New York 2000, pp. 140-169.

349

Cf. B. F. Malle, op. cit., p. 269.

350

Cf. V. Gallese & A. Goldman, Mirror neurons and the simulation theory of mind-reading, in «Trends in Cognitive Sciences», 2, 1998, pp. 493-501.

351

124

significato del gesto, ma su cosa si basa tale presupposizione? L’idea dell’introspezione cade nella stessa problematica: essa non può darsi, da questa prospettiva, se non in un organismo dotato di autocoscienza, ma da cosa è data l’autocoscienza? Per rispondere a queste domande la prospettiva di Mead può fornire a nostro parere degli elementi utili. Vediamo come.

2.5. La coscienza sociale e il Sé. La conversazione gestuale come presupposto per