STORIOGRAFIA E ANTIFEDERALISMO TRA NAZIONALISMO E RISCOPERTA
1.2.3 Antifederalismo tra idee e falsa coscienza: la riscoperta dei test
La letteratura sull’Antifederalismo rimase, dopo gli anni ’60, piuttosto residuale. Spesso citati, ma raramente affrontati, gli antifederalisti erano, come del resto denuncia il nome che ad essi era stato dato fin dai tempi del dibattito costituzionale, la controparte di chi la storia aveva costruito. Erano i non federalisti, ed era ai federalisti che la storiografia guardava per ricostruire ed interpretare la fondazione della repubblica. In questo contesto di scarsa attenzione, la lettura di Kenyon e quella di Main esercitarono una grande
The Anti-Federalists, cit., pp. 219n, 242 e 245. Un testo che fece discutere riguardo l’esatta identificazione delle «forze» dietro la Costituzione fu E. James Ferguson, The Power of the Purse: A History of American Public Finance, Chapel Hill, 1961, che Lynd utilizza quale elemento critico nei confronti della dicotomia personalty e realty. Intorno a questo testo si sviluppò una accesa discussione riguardo alla sua posizione rispetto a Beard, una polemica che testimonia come lo schieramento rispetto alle tesi di Beard andasse ben al di là del loro contenuto scientifico. Ferguson nomina questa discussione «the Beard controversy», indicando con questo il semplice riferimento alla «composizione delle forze dietro alle due parti della questione costituzionale». Cfr. Stuart Bruchey, THE FORCES BEHIND THE CONSTITUTION: A CRITICAL REVIEW OF THE FRAMEWORK OF E. JAMES FERGUSON’S THE POWER OF THE PURSE, With a Rebuttal by E. James Ferguson, WMQ, 3rd.
influenza nei campi contrapposti degli interpreti liberali della storia americana e di quelli progressisti. Ma per la differenza di approccio e l’impatto che l’ideologia del consenso aveva prodotto, fu l’articolo di Kenyon ad avere maggiore impatto tra gli studiosi del pensiero politico. Si deve poi, cosa non trascurabile, alla stessa Kenyon la pubblicazione di raccolte di testi antifederalisti, che contribuirono a fissarne la lettura all’interno dello schema da lei proposto.57
Le fonti disponibili al tempo comprendevano già The Debates in the Several State
Conventions on the Adoption of the Federal Constitution pubblicati da Jonathan Elliot
(1836), ma il loro utilizzo, in mancanza di una pubblicazione moderna e con la digitalizzazione ancora lontana, era piuttosto relativo e certamente non paragonabile a quello che fu riservato all’altra opera documentale sulla Costituzione, The Records of the Federal Convention of 1787 di Max Farrand (1911).58
La diversa fortuna delle due collezioni va valutata tenendo conto di quanto detto sopra e del fatto che l’attenzione degli studiosi fosse rivolta molto di più all’interpretazione dell’esatto significato della Costituzione, che si riteneva deducibile dalla lettura dei dibattiti a porte chiuse di Philadelphia, che non alla visione conflittuale della ratifica e della costituzione stessa.59 Gran parte della
scuola di stampo progressista non faceva eccezione a riguardo: avendo come scopo principale quello di provare che la costituzione fosse un documento studiato dai Federalisti per promuovere i loro interessi particolari, si riteneva che fosse tra le motivazioni espresse a porte chiuse che bisognava guardare per trovare la prova di questi scopi.
Ciò che avvenne fuori dalla convention di Philadelphia era da questo punto di vista meno rilevante: da parte degli storici liberali la storia successiva, l’approvazione del Bill of Rights e il rapido rientrare all’interno della dinamica istituzionale prescritta dalla costituzione da parte degli antifederalisti, apparivano come la prova che la durezza del dibattito del 1787-1788 non rivelasse una spaccatura sociale e ideologica, ma rispondesse a logiche di corto respiro, sopite nel giro di pochi anni. I toni radicali che riecheggiavano in alcuni testi antifederalisti andavano compresi all’interno della dinamica specifica del dibattito politico e dunque visti come espressione di una deformazione che la lotta politica porta con sé, soprattutto quando coinvolge e mobilita in modo relativamente
57 C. Kenyon, ed., The Antifederalists, Indianapolis, Bobbs-Merrill, 1966 (ripubblicato nel 1985 con un’introduzione di Gordon Woods); negli stessi anni venne pubblicata una raccolta più modesta curata da Alpheus Mason, The State rights debate: antifederalism and the Constitution, Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall, 1964.
58 Le due raccolte sono universalmente note come Farrand’s Records ed Elliot’s Debates. Sono state completamente digitalizzate dalla Library of Congress e rese disponibili all’indirizzo
http://memory.loc.gov/ammem/amlaw/lawhome.html .
59 Questo intento assunse una diversa direzione negli anni ’80 del ventesimo secolo, quando in campo giuridico la scuola dell’«Original intent» avanzò un’interpretazione della Costituzione basata non più sulle discussioni in seno alla Convention, ma derivata dalla lettura dei dibattiti sulla ratifica; come vedremo in seguito è probabilmente a questa attenzione che si deve la spinta decisiva per la riscoperta dell’antifederalismo.
massiccio la gente comune. Secondo questa visione, uno dei meriti senza tempo della costituzione fu proprio quello di riuscire ad incanalare queste energie potenzialmente pericolose all’interno dei binari istituzionali, mediante la creazione di un’arena pubblica controllata. Il carattere costituzionale della rivoluzione, perciò, trovava il suo compimento con la Costituzione, la cui durata stava a dimostrare la riuscita del progetto.
Nel campo progressista la lettura dei fatti era diversa, ma vi si possono individuare alcuni elementi simili. Anche per i progressisti, infatti, il dibattito sulla ratifica non era il momento centrale per la comprensione della costituzione e della Rivoluzione: la ratifica e il voto espresso dai diversi gruppi sociali ed economici stavano a dimostrare, in parte, la tesi progressista, ma partendo dal punto di vista che i padri fondatori avessero qualcosa da nascondere delle loro reali intenzioni le opinioni espresse pubblicamente non potevano essere considerate una valida lente attraverso la quale studiarli. È evidente che in questo approccio l’interesse per il discorso politico era limitato, così come limitata, sebbene corretta sotto molto punti di vista, era un’interpretazione eccessivamente dogmatica della definizione della Costituzione come «documento economico».60
60 Convenzionalmente la storia progressista, assieme a quella populista, è legata al nome di Charles Beard, ma negli anni ’90 Clyde Barrow ha avanzato una lettura che incrina questa visione, sostenendo che vi fosse una netta differenza tra gli approcci di Beard e quelli dei Progressisti e dei Populisti. Barrow sostiene che mentre i populisti di fine ‘800 e molti progressisti vivessero in una sorta di nostalgia Jeffersoniana, e derivassero perciò la loro critica ai padri fondatori attraverso la rievocazione di un mondo rurale composto di piccoli proprietari ed artigiani, repubblicano ed individualista (ma senza gli elementi di finanziarizzazione ed intermediazione imposti dallo sviluppo capitalistico), Beard abbia invece la nuova dimensione evolutasi a cavallo tra ‘700 e ‘800. In particolare, Beard vedeva di buon occhio la burocratizzazione e la razionalizzazione della vita pubblica. Piuttosto che il ritorno ad un mondo di libero scambio dominato dalla sacralità dei piccoli proprietari, secondo Barrow Beard pensava la sua critica nell’ottica di un interventismo statale di tipo socialdemocratico, dove la proprietà non poteva essere una barriera invalicabile verso la realizzazione di obiettivi pubblici. È per questo, dunque, che Beard chiama la costituzione un documento «economico» e non «aristocratico» e non individua le divisioni intorno alla ratifica sulla base dei principi del governo, ma in riferimento ai gruppi economici e le classe sociali. Da questo punto di vista, la lettura di Beard è sicuramente più attenta di altre, poiché non parlando di radicali, ma di «landed interests», non lega il linguaggio aggressivo di alcuni settori antifederalisti ad un discorso democratico, ma al fatto che, ad esempio, anche molti padroni e piantatori fossero indebitati nei confronti degli intermediari che avevano legami con le reti commerciali del nordest, e dunque potevano (rispondendo ai loro interessi) unirsi al linguaggio radicale e popolare contro i creditori e a favore della carta moneta. La Costituzione, dunque, non era che uno strumento tecnico che, se ben usato, poteva favorire la promozione dello sviluppo capitalistico. Cfr. Barrow, BEYOND
PROGRESSIVISM: CHARLES A. BEARD’S SOCIAL DEMOCRATIC THEORY OF AMERICAN POLITICAL
DEVELOPMENT, Studies in American Political Development 8, Fall 1994, pp. 231-281. Questa posizione è per certi versi compatibile a quella espressa da alcuni storici neo-liberali come Joyce Appleby, non a caso espressa come critica al revisionismo repubblicani di Pocock, che sottolineano come il problema sia il comprendere le motivazioni e le azioni dei padri fondatori all’interno dello sviluppo del capitalismo liberale, un qualcosa che non iniza né finisce dalla penna e dai gesti dei padri fondatori. Cfr. le tesi espresse in Appleby, Capitalims and New Social Order: the Republican Vision of the 1790s, New York University Press, 1984 e Appleby, COMMERICAL FARMING AND THE
‘AGRARIAN MITH’ IN TE EARLY REPUBLIC, JAH 48, 1982, pp. 833-849. La lettura di Barrow deve essere
considerata tenendo conto di un altro fattore, che in parte contraddice le sue tesi; Beard, come praticamente tutti gli storici Progressisti, metteva in discussione la lettura convenzionale del «critical period» e soprattutto aveva rimarcato in modo piuttosto netto la divisione tra i «few», i «wealthy» Federalisti e i «many», «poor» antifederalisti, confermando così che la divisione economica cui rispondeva la costituzione era anche espressione di una dinamica antidemocratica,
Nel 1981 la storiografia sugli antifederalisti è giunta ad un punto di svolta con la pubblicazione di The Complete Anti-Federalist di Herbert Storing, che si presentava un po’ pomposamente come la prima collezione completa dei testi antifederalisti. La collezione si compone di sei volumi ed è in realtà tutt’altro che
completa: dietro al titolo si nasconde un’opera più modesta, e che il numero dei
volumi è certamente sproporzionato tenuto conto dei contenuti, mentre chi si dovrà confrontare con l’antifederalismo si accorgerà del maremagnum di testi, pamphlet, articoli e discorsi che non sono inclusi in questa raccolta.61 È comunque
vero che Storing ha portato per la prima volta all’attenzione di un più vasto pubblico di studiosi una quantità rilevante di testi scritti durante il dibattito sulla ratifica della Costituzione del 1787-1788, dando ampio spazio agli scritti provenienti dagli articoli di giornale, sovente anonimi.62
Si trattava di un’opera che permetteva per la prima volta di avere uno sguardo complessivo sulla produzione politico letteraria dei contrari alla ratifica della Costituzione federale che vada oltre alle tesi spesso trancianti di chi si era occupato dell’argomento. Nei volumi curati da Storing, infatti, è possibile trovare esempi di tutte le diverse componenti dell’antifederalismo, dai membri delle élite dissidenti (nonché della Convention Costituzionale di Philadelphia) Luther Martin, Gorge Mason ed Elbridge Gerry, alle serie di saggi delle firme più conosciute “Federal Farmer”, “Cato”, “Brutus” e “Centinel”; dai discorsi tenuti nelle Conventions da celebri rivoluzionari come Patrick Henry della Virginia agli scritti radicali ed irriverenti come quelli a firma “Aristocrotis” di Carlisle. Si tratta insomma di una mole di materiali capaci di incrinare, a volerlo vedere, una lettura univoca dell’antifederalismo: ciò che colpisce è la varietà di voci, ma ciò che la lettura suggerisce è l’esistenza di un’ancor maggiore varietà, nascosta o persa nei polverosi scaffali delle biblioteche e librerie locali non raggiunte da Storing.
Di questa mole di materiale è lo stesso Storing ad offrire un’interpretazione nel primo, breve, volume della collezione intitolato «What the Anti-Federalists Were For», per sottolineare l’intento dell’autore di offrire una visione non semplicemente subalterna degli scritti che andava a proporre. Un’idea di che cosa gli antifederalisti volessero era già emersa tra le righe delle monografie precedenti e soprattutto nella lettura progressista, ma il titolo scelto da Storing rivela (ed annuncia) di per sé la necessità di liberarsi dall’ipoteca negativa degli anti Federalist. È questa parte dell’opera di Storing, dunque, e non la completezza o
poiché impediva l’espressione della reale maggioranza. Oltre a ciò, Beard e i Progressisti condividono la scarsa considerazione delle idee cui si è fatto prima riferimento, elementi questi che costituiscono i «core assumptions» dell’interpretazione Progressista. Cfr. A. Gibson, Interpreting the Founding. Guide to the Enduring Debates over the Origins and Foundations of the American Republic, University Press of Kansas, 2006, pp. 111-112n; Beard, An Economic Interpretation of the Constitution, pp. 47-48, 61, 252, 159-168.
61 Si veda la recensione di J. H. Hudson, T