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STORIOGRAFIA E PROSPETTIVE INTERPRETATIVE DELLA

REPUBBLICANA E LIBERALE DELLA STORIA AMERICANA

1.3.3 Ipotesi per una ricerca senza centro

E’ a questo punto possibile avanzare alcune ipotesi di ricerca che dovranno necessariamente tradursi in direzioni nei prossimi due capitoli. Nel tracciare la lunga storia della storiografia sulla Rivoluzione e la Costituzione americana ho voluto far emergere una serie di problemi che possono essere compresi all’interno di tre direttrici tra loro strettamente connesse: la presenza di storie in competizione all’interno della tradizione storica degli Stati Uniti, la presenza di una pluralità di

soggetti che popolano ed agiscono nel periodo in analisi, e i diversi esiti cui

giungono i diversi approcci nella ricerca.

La diffusione di storie «in competizione» ha avuto un’impennata tra gli anni ’60 e ’70 in relazione all’allargamento dell’orizzonte della ricerca storica con i contributi delle storie sociali. Questo ha portato sia ad una maggiore comprensione sia ad una complicazione del quadro, introducendo elementi come la cultura, le mentalità, gli inarticolati: tutte parole che indicavano soggetti e concetti prima esclusi dalla narrativa storica. Ma la competizione non riguarda soltanto le narrative storiche e la storiografia, bensì coinvolge, come ho cercato di suggerire confrontando le ‘storie’ ibride di Ramsay, Yates e Otis Warren, la percezione e il giudizio che gli stessi protagonisti degli avvenimenti e del periodo che stiamo affrontando avevano.35

Da questa ragionamento bisognerà concludere che i problemi che ha dovuto affrontare la storiografia non sono limitati ad essa, ma ci dicono qualcosa della Rivoluzione, del dibattito sulla Costituzione e della loro dimensione ideologico- politica. Un esempio in questo senso è il dibattito tra la lettura liberale e quella repubblicana: dovremmo forse concludere che queste due ideologie non erano in competizione al tempo, ma intrecciate. Soprattutto, non erano viste come variabili discorsive dai protagonisti e, dunque, le incoerenze all’interno dei loro discorsi vanno considerati come frutto di definizioni di repubblicanesimo e liberalismo successive. Proprio questa definizione successiva ha spesso impedito di vedere che alcune parole che la storiografia ha considerato come concetti politici fondamentali associati ad esempio al liberalismo o al federalismo sono state importanti anche per la formazione di culture politiche radicali e di resistenza, ma erano interpretate in modo differente. Per comprendere meglio i discorsi e le loro ‘complicazioni’ è dunque necessario capire le loro derivazioni, ma anche e soprattutto il significato datogli dai loro protagonisti: i soggetti che pronunciavano, scrivevano o agivano in un determinato modo. In altre parole, se il primo approccio ci permette di capire perchè una certa idea veniva espressa in uno specifico linguaggio, il secondo ci permette di comprendere a che cosa quel

35 Si veda J. Appleby, L. Hunt e M. Jacob, “Competing Histories of America”, in id., Telling the Truth about History, cit., pp. 129-159.

linguaggio si riferiva concretamente; in questo senso è dunque insufficiente la constatazione della presenza di un vocabolario repubblicano: sarà necessario comprendere come quel vocabolario assumeva un diverso senso a seconda dei soggetti che lo utilizzavano.

Nella Rivoluzione i patrioti nordamericani si erano uniti per uno scopo comune: liberarsi dal governo britannico. Nonostante all’interno del fronte rivoluzionario fossero presenti diverse componenti, dunque, le tensioni poterono in parte essere sopite da questo scopo comune; ciò non toglie che per noi rimarranno una serie di interrogativi cui rispondere: il come e cosa fece scatenare il sollevamento generale e la lunga guerra contro gli inglesi, di quali vocabolari e ideologie questo sollevamento si nutriva e quale significato i soggetti che partecipavano alla Rivoluzione davano, nella dimensione immediata e concreta dello scontro, a queste parole. Le complicazioni della storiografia, allora, segnalano che oltre alle diverse interpretazioni covava, al di sotto delle élite rivoluzionarie, un pensiero radicale capace di evocare un immaginario politico diffuso, che certo non aveva i tratti di una teoria coerente, né a volte di un pensiero compiuto, e tuttavia esisteva e spingeva gli uomini e le donne ad agire o non agire e a scegliere in che modo agire e a quali parole d’ordine rispondere.

Per anni, lo scontro contro l’Inghilterra era andato radicalizzandosi sul piano del linguaggio: perdendo progressivamente i tratti di una moderata disputa costituzionale, le élite rivoluzionarie, in cerca di spiegazioni plausibili della loro volontà di sottrarsi al potere inglese, avevano elaborato un discorso al centro del quale stava la sovranità popolare, l’idea della radice consensuale e contrattualista del governo e, infine e come conseguenza, il diritto di un popolo di sciogliere i vincoli governativi qualora il sovrano fosse venuto meno ai suoi doveri ed impegni. Questo apparato argomentativo era poi stato esplicitato nella

Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, che fu fatta circolare e diffusa largamente in

tutte le colonie: la critica alla rappresentanza virtuale, che poteva essere tecnicamente svolta all’interno delle istituzioni, si reggeva ora su presupposti talmente comprensibili e diffusi da poter essere considerati da Jefferson come «verità autoevidenti». La comunicatività della Dichiarazione è un elemento che va considerato al pari dei debiti che essa deve ai pensatori politici europei: il suo carattere di atto pubblico contribuì a determinarne il significato, per i contemporanei, al pari di quanto, per gli storici, contribuì l’influenza del giusnaturalismo o del sensismo scozzese; non stupisce dunque scoprire che Jefferson fu incaricato di redigerla anche perchè gli era riconosciuta un’abilità oratoria e una chiarezza di linguaggio particolari: scopo della Dichiarazione era infatti argomentare, legittimare e supportare un atto politico, la rottura dei vincoli costituzionali con la Gran Bretagna e la presa delle armi.

Come ebbe a notare Charles Becker la qualità letteraria del testo è dunque per noi rilevante, perchè si fonde con la filosofia dell’autore e con il suo pensiero, ma

anche perchè, in un gioco di specchi, ci parla delle aspettative e del pensiero diffuso in quella che era l’audience di quel testo. Nel caso della Dichiarazione il destinatario era, letteralmente, il «candid world», ma chi popolava questo «candid world»? Certamente in primo luogo gli Stati europei che assistevano da tempo alla controversia americana, ma ne facevano parte anche gli americani stessi, non tutti egualmente convinti della scelta radicale compiuta dal Congresso Continentale nel luglio del 1776, né tutti convinti per gli stessi motivi della giustezza o dell’errore di quella scelta.36

Per comprendere appieno la portata o la rilevanza della Dichiarazione nel contesto della guerra e del dopoguerra, il suo significato, allora, sarà importante capire la situazione sociale complessa delle tredici colonie, con i rapporti di potere che la attraversavano. Se è vero che nelle colonie non c’era una nobiltà di sangue come quella europea, è anche vero che non si trattava di una società egalitaria, ma una nella quale i meccanismi della deferenza e del consenso servivano per mantenere determinate relazioni differenziali che erano al tempo stesso forti ed instabili37.

Queste considerazioni non valgono soltanto per la comprensione della

Dichiarazione, sebbene questo aspetto non sia trascurabile vista la storia sotterranea

delle diverse attualizzazioni e riletture della Dichiarazione da parte di soggetti che non erano inclusi, di fatto, nel «popolo» da essa dominato38. Per l’oggetto della nostra ricerca non è forse questo l’aspetto più importante, tuttavia queste stesse indicazioni devono spingerci a porci nuovi interrogativi riguardo l’interpretazione e la comprensione del dibattito sulla ratifica della Costituzione. Per gran parte della seconda metà del ‘900 la storiografia è stata impegnata ad individuare il contesto ideologico dei discorsi politici presenti nel dibattito sulla ratifica, e a lungo ha tentato di comprendere all’interno di modelli coerenti gli scritti di Federalisti e antifederalisti, semplicemente sovrapponendo la lettura complessiva delle origini ideologiche della Rivoluzione al dibattito sulla Costituzione. Il riconoscimento della presenza di una pluralità di discorsi è, come abbiamo visto, recente.

Come conseguenza di questa impostazione, spesso è stato trascurato il contesto materiale all’interno del quale questi dibattiti si svolgevano, assumendo come unica connotazione di contesto quella discorsiva. Questo ha permesso di cogliere influenze e differenze importanti all’interno dei dibattiti, ma non ne ha impedito una lettura forzata, all’interno di schemi interpretativi generali: la «sintesi repubblicana» di cui si è parlato è stato il più potente di questi schemi tra gli anni

36 Cfr. Becker, The Declaration of Indipendence, cit., pp. viii-ix. 37 Sul punto torneremo in infra, 2.1.1.

38 A questo proposito è particolarmente significativa la raccolta curata da Philip S. Foner We, the Other People. Alternative Declarations of Independece by Labor Groups, Famrers, Woman’s Rights advocates, Socialists, and Blacks, 1829-1975, Urbana-Chicago-London, University of Illinois Press, 1976c.

’70 e gli anni ’90. Da questo punto di vista, la riscoperta degli antifederalisti ha rappresentato, per chi ci si confrontava, una sfida importante: la varietà delle posizioni espresse rendeva infatti difficile comprendere tutto all’interno di un discorso repubblicano e tantomeno come una riedizione del dibattito inglese tra

country e court. Come abbiamo visto, questo stesso dibattito era stato riletto a

partire da nuove interpretazioni della presenza di argomenti lockiani, ma, per rimanere al nostro oggetto, nelle posizioni antifederaliste si sono trovati argomenti che mettevano in discussione sia la definizione di «common good» che era stata avanzata da Gordon Woods, sia la lettura anti-commerciale che era stata avanzata da Murrin, Bailyn e Pocock39.

La storiografia progressista, invece, ha inizialmente trascurato la dimensione ideologica, non comprendendo che all’interno del contesto materiale devono essere considerate non soltanto le dinamiche economiche, ma anche quella serie di convincimenti e comportamenti che sono stati chiamati mentalità, o cultura politica in senso lato. L’ibridazione tra le diverse storiografie ci permette dunque di abbozzare un’interpretazione che cerchi di leggere i testi, ove questi ci sono, alla luce di quel complesso di convinzioni, idee, discorsi ed atteggiamenti che denotano la presenza di qualcosa che possiamo chiamare costituzionalismo popolare degli inarticolati. È solo l’incrocio tra le due dimensioni del costituzionalismo tout court e questo peculiare, spesso incoerente e difficilmente individuabile costituzionalismo popolare, infatti, che permette di comprendere in modo più completo la portata e il significato dei discorsi per i soggetti, siano essi voci parlanti o audience, che ne erano coinvolti. Questa operazione è certamente difficile e si espone al rischio di generalizzazioni più difficilmente dimostrabili che non quelle che ci possono venire dall’analisi dei contesti discorsivi, ma come ha per primo suggerito Saul Cornell, permette di introdurre nello studio dell’antifederalismo quei «testi sociali» come i rituali di massa o i comportamenti diffusi del ‘people on the streets’40. È utile in questo senso anticipare come a

cavallo tra la Rivoluzione e la ratifica della Costituzione la storia degli Stati Uniti sia tempestata di piccole e grandi insorgenze spesso considerate dalle storiografie ‘mainstream’ (quelle cioè, per citare Appleby, Hunt e Jacob, che determinano il contenuto dei libri di testo e quel «processo invisibile che muove risorse e

39 A ragione in un momento di massima presa della «sintesi repubblicana» Tortarolo osservava, sulla base dei testi raccolti Storing, che in alcuni scritti antifederalisti l’umanesimo civico era presente, ma era intrecciato e a volte scalzato da concezioni del potere che contrastavano radicalmente con il principio della deferenza. La stessa società è a volte vista come un tutto organico, altre volte trattata come una «problematical entity» nella quale il «common good» non era concepito in relazione all’ordine sociale, ma ad una difesa dei diritti individuali nei confronti del potere, cosa che questi scrittori ritenevano meglio garantita a livello statale. Allo stesso tempo era presente un discorso radicale per il quale l’attacco in termini antiaristocratici alla Costituzione era connesso alla distanza tra allineamenti politici e allineamenti sociali acuitasi a cavallo della Rivoluzione. Si veda E. Tortarolo, ANTIFEDERALISM: A CHALLENGE TO THE REPUBLICAN SYNTHESIS?,

cit., in particolare pp. 180-182.

distribuisce riconoscimenti») come corollari41. Quasi come se le esperienze

concrete delle persone che abitavano i tredici Stati fossero irrilevanti, le insurrezioni come la Shays’s rebellion, che ebbe luogo in diversi Stati alla vigilia della Convention Costituzionale di Philadelphia, sono state relegate a poche citazioni e alla registrazione del fatto storico. Il dibattito più acceso di chi vi ha prestato attenzione è stato poi quasi interamente svolto intorno al problema se, e quanto, la Shays’s Rebellion avesse influenzato la Convention e, di conseguenza, la Costituzione. Una domanda senza risposta evidentemente: a meno di non ricadere nell’annullamento del ruolo degli attori concretamente, coinvolti, infatti, è evidente che non si può tracciare una diretta discendenza della Costituzione dall’insurrezione che ebbe il suo epicentro nel Massachusetts. Allo stesso tempo è altrettanto evidente che i movimenti dei regulators erano presenti come convitati di pietra dentro le stanze chiuse di Philadelphia.

Domanda mal posta, dicevo, perchè questo dibattito non tiene conto di quello che è, a nostro giudizio, l’aspetto più importante da considerare: quanto la presenza di diffuse dinamiche sociali come quelle dei regulators influissero nel determinare il diverso significato delle parole e dei concetti che circolavano e venivano usati al tempo sia rispetto al significato che noi oggi attribuiamo loro sia riguardo a ‘chi’ li utilizzava e in quale contesto. Ancora nel 2005, Gary Nash ha potuto dare alle stampe un corposo volume dal titolo The Unknown American

Revolution, the Unruly Birth of Democracy and the Struggle to Create America: sebbene

come abbiamo visto da almeno trent’anni la «history from below», gli storici «new left» ed altri avessero in realtà portato alla luce gli aspetti meno conosciuti del periodo rivoluzionario, a ragione Nash poteva programmaticamente dichiarare che la storia che andava presentando fosse «sconosciuta»42. Il sottotitolo evocava

un contesto di lotta e conflitto difficilmente comprensibile all’interno delle dinamiche delle élite e delle produzioni letterarie dei celebri Adams, Jefferson, Wilson o Dickinson. E allora il reale significato dell’annunciare una storia «sconosciuta» non era quello di presentare fatti o documenti realmente mai visti prima, ma di costruire una contro-narrativa della Rivoluzione, dal punto di vista delle dinamiche concrete e specifiche che ne costituirono l’effettivo sviluppo. Rispondendo alle esigenze di sintesi di gran parte della produzione storiografica della «history from below», il testo di Nash giungeva dopo che, al livello dell’analisi delle ideologie e del discorso politico, la battaglia tra la visione repubblicana e quella liberale aveva lasciato il posto alla «multiple tradition»:

41 Si veda J. Appleby, L. Hunt e M. Jacob, “Competing Histories of America”, in id., Telling the Truth about History, cit., p. 157, che aggiungono: «The values it [this grand narratives] propagated determined the character of American ambition and established the magnetic poles of virtue and vice, attention and indifference, success and failure».

42 Gary B. Nash, The Unknown American Revolution, the Unruly Birth of Democracy and the Struggle to Create America, Viking Press, 2005.

rimane da chiedersi, allora, se non siano da considerare per una volta insieme questi diversi approcci per districare la questione antifederalista.

La risposta, ancora una volta, ci sembra essere positiva. Non si tratta di privilegiare l’uno o l’altro aspetto, né di costruire una «history from below» dell’antifederalismo. Non è nostra intenzione, insomma, proporre una contro- storia dell’antifederalismo. La sfida che ci troviamo può essere piuttosto racchiusa, ancora una volta, in alcune domande: cosa ci dice la storia sotterranea e sconosciuta del periodo rivoluzionario sulla circolazione delle parole e dei concetti che innervavano il dibattito intorno alla ratifica? Come dobbiamo supporre che quei discorsi venissero accolti dalle diverse audience cui erano rivolti? Quale tipo di costituzionalismo e quale costituzione erano immaginati dietro le diverse posizioni? L’ultimo interrogativo che dovremo porci coinvolge direttamente l’oggetto della ricerca: che cos’era l’antifederalismo?

L’ipotesi che questo lavoro vuole avanzare è che sia necessario adottare una definizione larga di antifederalismo, e per questo motivo si è scelto di parlare di

questione antifederalista. Questa definizione deriva dalla risposta alle questioni che

abbiamo appena sollevato e, specularmente, dalla definizione che vogliamo dare di Federalismo. Diciamo subito che ci sembra legittimo, ma nella nostra ottica limitato, ridurre Federalismo e antifederalismo ai soggetti che presero parte alla ratifica della Costituzione. Da questo punto di vista si tratta di una definizione piuttosto semplice: chi era a favore della Costituzione deve essere considerato Federalista, chi contro antifederalista. Si tratta però di una separazione al tempo stesso netta ed ambigua, perchè spesso la determinazione finale del voto sulla costituzione derivava da un complesso di motivazioni che non rispondevano a criteri unitari; usare questa classificazione, utile quanto necessaria per avvicinarsi al problema, impedirebbe dunque paradossalmente di cogliere la specificità delle posizioni espresse: trattandosi di una catalogazione ‘tecnica’ registra dati di fatto, ma ci fornisce poche indicazioni per la loro comprensione e interpretazione.

La seconda possibilità è quella di considerare anche coloro che produssero scritti o discorsi a favore o contro la ratifica della Costituzione. Questo è l’approccio più comunemente adottato e permette di entrare nel dibattito sulla ratifica, di coglierne le molteplici voci e dimensioni, di cogliere i discorsi politici che vi si svilupparono. Una terza possibilità, allargando il cerchio mantenendo al centro il voto sulla Costituzione, consiste nell’includere anche gli elettori dei delegati nelle Conventions statali, una prospettiva che impone già di considerare quel complesso di dinamiche che abbiamo nominato in precedenza, perchè le motivazioni delle constituency non erano sempre le stesse delle persone che queste eleggevano e le dinamiche locali, comunitarie, di patronage e famigliari avevano un influenza molte volte decisiva.

C’è poi un quarto modo di guardare alla questione, più inafferrabile ma potenzialmente produttivo. Secondo questa visione occorre gettare uno sguardo

alla relazione tra l’agire politico e quelle che Otto Brunner chiama «costruzione interna» o «struttura», per comprendere se nel periodo in questione si stesse sviluppando una trasformazione costituzionale, intendendo con questo un mutamento dell’«ordine interno delle comunità politiche, secondo le singole connotazioni proprie di ciascuna di esse», che si sovrappose, nel biennio 1787- 1788, con la Costituzione proposta a Philadelphia, ma non era al suo interno compresa, né da essa determinata. In questo caso, e anche alla luce della separazione successiva tra Federalisti e Repubblicani, dovremmo indicare genericamente come Federalisti quelle dinamiche e quei rapporti sociali che andavano sviluppandosi in questo senso, e antifederaliste quelle pratiche, quei comportamenti e quelle relazioni politiche che si posero in contrasto, anche se non sempre immediato, con le prime.

Da questo punto di vista occorrerà necessariamente abbozzare, nei limiti di questa ricerca, delle generalizzazioni, fondate su avvenimenti, discorsi e scritti specifici, per segnalare la multidimensionalità temporale e spaziale dell’orizzonte politico nel periodo rivoluzionario e dell’adozione della Costituzione, partendo dalla considerazione del dibattito sulla ratifica e delle divisioni a cui questo condusse come problemi aperti.43

43 Questo approccio comprende al suo interno, ma non è sovrapponibile bensì eccede, la concezione di costituzione e costituzionalismo adottata tra gli altri da McIlwain come organizzazione del potere e problema del giusto equilibrio tra giudizio privato ed autorità costituzionale, cfr. Charles H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno (1947), trad. it Bologna Il Mulino, 1990, pp. 9 e 27-46. Come nota Griffin «l’idea fondante del costituzionalismo americano consiste nel disciplinare l’attività di governo attraverso le previsioni di una legge fondamentale», intendendo in questo modo «controllare la politica democratica, un qualcosa che non può essere controllato», in Stephen M. Griffin, Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica (1996), trad. it. Bologna il Mulino, 2003, pp. 28-29. Per una visione della costituzione e delle strutture cui si è fatto ricorso si veda O. Brunner, Per una nuova Storia costituzionale e sociale, trad. it. Bologna il Mulino, 1970, pp. 1-50, 23 e l’introduzione allo stesso di Pierangelo Schiera, pp. xi-xxiv, xxi. Per uno studio in questo senso si può considerare R. Gherardi, Potere e costituzione a Vienna fra Sei e Settecento, Bologna, il Mulino, 1980.

Parte seconda:

S

PAZI E

T

EMPI POLITICI