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ELEMENTI NELLO SPAZIO POLITICO DEL MOMENTO RIVOLUZIONARIO

2.2.1 Deferenza e cris

ELEMENTI NELLO SPAZIO POLITICO DEL MOMENTO

RIVOLUZIONARIO

In questa sezione ci proponiamo di analizzare lo spazio politico del momento rivoluzionario a partire da alcuni elementi che riteniamo importanti per inquadrare l’analisi sulle constinuità e discontinuità della produzione costituzionale degli Stati Uniti. Questi elementi sono la deferenza, sia nella sua dimensione concettuale che vista come rapporto sociale e politico nel periodo in questione, le diverse forme di crowd actions e di espressione di una politica ‘di strada’, i movimenti dei regulators che precedettero la Rivoluzione, e infine alcune dinamiche che si verificarono durante la guerra d’indipendenza contro la Gran Bretagna.

2.2.1 Deferenza e crisi

La crisi dei meccanismi di deferenza politica e gerarchizzazione sociale non era limitata all’ambito dell’esercizio del voto all’interno delle istituzioni regolate dalla legge, e non era nemmeno una novità del periodo postrivoluzionario. Occorre piuttosto considerare questi dispositivi per loro natura, come si è anticipato, forti e deboli allo stesso tempo: forti, perchè poggiando principalmente su un universo simbolico e rituale potevano essere adattati a diverse situazioni sociali e politiche. La loro declinazione poteva variare in modo flessibile a seconda dei contesti e, soprattutto, avevano il pregio di non legare, come invece era nel caso della vecchia aristocrazia, il differenziale gerarchico ad una posizione materiale specifica come la proprietà terriera o l’appartenenza ad una grande famiglia; ma erano anche deboli, proprio a causa di questi stessi motivi. Come strumenti flessibili, i comportamenti basati sulla deferenza avevano un alto potenziale dinamico, ma un più basso potenziale disciplinante: essi erano sempre esposti all’insubordinazione che, sebbene avesse spesso una comparsa momentanea e locale, ne metteva in crisi i presupposti.

Occorre forse, a questo punto, aprire una parentesi e specificare ulteriormente che cosa si intenda nel parlare di deferenza, un termine già più volte utlizzato in questo lavoro e spesso ricorrente nella storiografia sulla società americana del ‘700. Ci riferiremo ad una connotazione che Pocock ha definito «classica»; secondo questa definizione

«A deferential society in classical – that ist, eighteenth-century English and American – sense is usually conceived of as consisting of an élite and a nonélite, in which the nonélite regard the élite, without too much resentment, as being of a superior status and culture to their own, and consider élite leadership in political matters to be something normal and natural»1.

La necessaria approssimazione di questa definizione ci permette di considerare in modo positivo alcuni suoi limiti descrittivi: in primo luogo, non essendo specificato se le élite debbano necessariamente direttamente governare, possiamo usare il termine anche in situazioni nelle quali il gioco politico, come nel caso dell’America rivoluzionaria, viene in un certo senso ‘aperto’ alla presenza di nuovi attori che non provengono dalle élite. Potremo considerare allora deferenti anche comportamenti politici che, per quanto prevedano una partecipazione non elitaria alle decisioni politiche, nondimeno riproducano l’ordine di prorità e di linguaggi – di ‘modi’ – avanzato dalle élite. Un altro elemento decisivo della definizione proposta da Pocock, oltre all’accento sulla «normalità» e sulla «naturalità», è la specificazione che la deferenza deve essere «spontaneamente esibita, piuttosto che imposta». Vorremmo intendere questa indicazione non tanto nei termini della coazione o della violenza che possono venire richiamati dall’immagine dell’imposizione, ma nei termini più rarefatti di una introiezione di una posizione di inferiorità che porterebbe il ‘deferente’ a lasciare (letteralmente) che siano gli esponenti delle élite a ‘gestire’ le materie politiche, che per ora consideriamo in termini generali come quelle che coinvolgono una certa collettività.

È vero, come rimarca Pocock riportando il termine all’uso che ne viene fatto da Harrington nel suo Oceana, che esso presuppone una relazione di uguaglianza: soltanto un’eguale capacità di giudizio fa sì che alcuni riconoscano in altri un diritto ad occuparsi, anche a nome loro, della cosa pubblica e delle decisioni. In questo senso, la deferenza indica anche una sottomissione come esito di una libera scelta: è questa «accettazione volontaria» del comando di un élite da parte di chi non vi appartiene da rendere la deferenza un atto politico2. Se questa definizione ci

convince, va però nondimeno annotato che un discorso di questo tipo ci parla molto di più di un’evoluzione interna alle élite3, che non di un rapporto concreto

tra élite e non élite. Nei passaggi successivi Pocock affronta il tema della differenza rilevata da Harrington tra le virtù della «theoria», della decisione, e ciò che accade dopo, vale a dire la realizzazione di una determinata politica: in questo viene introdotto il fattore dell’esperienza che, letta in altri termini, singifica per noi la

1 J. C. A. Pocock, T

HE CLASSICAL THEORY OF DEFERENCE, AHR, Vol. 81, No. 3, Jun. 1976, pp. 516-523,

p. 516.

2 Cfr. ibid., pp. 517-518.

3 E dunque della già accennata questione dell’emergere di nuove élite negli anni attraversati dalla rivoluzione; si rimanda a A. Taylor, William Cooper’s Town. Power and Persuasion on the Frontier of the Early American Republican, cit., in particolare parte II, “Power”, pp. 141-291.

necessità di includere all’interno del processo d’implementazione delle decisioni politiche una cerchia più ampia di protagonisti, non necessariamente un rapporto stabile tra élite e non élite. Nel New England del ‘600 non c’era un’oligarchia feudale che poteva vantare un possesso monopolistico della terra, ma, rispetto alla situazione europea, la presenza di un più ampio numero di proprietari indipendenti significava la presenza di un numero di soggetti dotati di capacità politica che, di fatto, eliminava la possibilità di una vera aristocrazia.

Questo aveva creato le condizioni per parlare di «aristocrazia naturale»: il significato implicito di questa locuzione era, come osserva Pocock, affermare che nessun’altra aristocrazia era nei fatti possibile, date le condizioni materiali. La teoria della deferenza, unita all’idea di «aristocrazia naturale», significava che non era sufficiente la posizione personale, la ricchezza o l’appartenenza famigliare per essere riconosciuti come élite, ma erano necessarie delle capacità e dei «segni culturali» spendibili in un’arena pubblica4. D’altra parte questo significava anche

che il rapporto che veniva così creandosi era fortemente contingente: la base di uguaglianza nel giudizio e di libertà nella deferenza presuppone infatti che, oltre alla capacità e la possibilità di decidere chi riconoscere come élite, fosse possibile anche giudicare le loro azioni. In questo senso la deferenza era non soltanto compatibile, ma pienamente inclusa nella concezione repubblicana di virtù pubblica5.

Svolte queste necessarie precisazioni, ci sembra però limitante adottare la definizione di società deferenziale, un’escamotage storiografico per semplificare uno spazio attraversato da numerose striature incarnate in una pluralità di esperienze. L’elemento della deferenza risulterà allora utile non nella sua dimensione ‘tranquillizzante’ di chiave interpretativa positiva, non in ciò che afferma, ma piuttosto in ciò che implicitamente nega. Il primo elemento lo

4 Pocock parla a riguardo di «genius of a gentleman», THE CLASSICAL THEORY OF DEFERENCE, cit., p. 518.

5 Cfr. Ibid., p. 519. Si legga quanto scritto da Pocock in chiave comparativa con la Gran Bretagna: «In America [..] the relative unimportance of hereditary station and political patronage meant that political élite, where they existed, were, above all in the postindependence era, cast more exclusively in the role of natural aristocracy and compelled to rely upon the expectation of deference to the exclusion of any other means of maintaining their status. Both societies were postfeudal, but one had been directly modified by Whig parliamentarism in ways that the other had not. This explains why American political thought soon became and long remained preoccupied with acclaiming or deploring the failure of natural aristocracy, and the Federalists with the role of aristocrats struggling to understand the failure of the deference due them. Likewise, it dramatizes, if it does not fully explain, the fact that America preceded Britain in experiencing the rise of equality in a revolutionary, Tocquevillian sense in which established élite characteristics were considered irrelevant to claiming political leadership», Ibid., p. 523. In questo senso si capisce l’enfasi posta dai Federalisti sull’educazione e sul suo declino come elemento di un’offensiva democratica, ben riflesso nell’episodio dell’incontro del Capitano Farrago con la Società dei Filosofi narrato da Brackenridge in infra 2.1.3. Su questo si consideri anche Wood, The Radicalism of the American Revolution, cit., pp. 347-369; B. Bailyn, Education in the Forming of American Society: Needs and Opportunities for Study, Chapel Hill, North Carolina University Press, 1960 e Lawrence A. Creemin, American Education: The national Experience, 1783-1876, New York, Harper and Row, 1980.

abbiamo già indicato e riguarda l’impossibilità di un’aristocrazia in senso feudale, ma ve ne sono almeno altri due di pari interesse: il primo riguarda il fatto che non abbiamo, nel rapporto deferenziale così inteso, posizioni precostituite, ma soltanto posizioni che si determinano in una relazione di riconoscimento tra soggetti e posizioni differenti. Sostenere questo non vuol dire certamente cancellare o sottovalutare le condizioni materialmente differenti dei soggetti e delle posizioni che prendono parte alla relazione, né ricadere in un volontarismo che presuppone una cosciente cessione di parte del proprio potere decisionale, o meglio un suo utilizzo del tipo indicato precedentemente6. Piuttosto, e veniamo al secondo

elemento, significa rilevare come costitutivi nella relazione l’instabilità e la costante possibilità di un suo mancato funzionamento.

Queste considerazioni ci portano a vedere i dispositivi della deferenza come un’orizzonte dello spazio politico del Nord America della seconda metà del ‘700, che ci sono utili per delinearne i tratti se ne assumiamo le contraddizioni e limiti. Con Alan Taylor osserviamo uno spazio nel quale il «genteel prestige» svolge un ruolo importante e pieno di contraddizioni, dato che

«Cultural acceptance, rather than formal law, underlay the ideal of genteel authority in eighteen-century America. For lack of a legally established aristocracy, claims to genteel superiority in America depended on public acceptance. By giving or withholding deference, the public played a key role in defining who enjoyed genteel prestige. An American was a gentleman only if other people, common as well as genteel, publicly conceded that he had crossed – by breeding, education, and acquisition – that critical but subtle line separating the genteel few from the common many».

A questi elementi va aggiunta la valenza ambigua della mobilità sociale, con le prospettive che apriva e le trappole che comportava; troviamo ancora nelle parole di Taylor la competizione tra vecchie e nuove élite e quella sensazione di spaesamento e spiazzamento che abbiamo visto all’opera nel racconto di Brackenridge, quando Farrago tentava in più occasioni di dissuadere Teauge, un common man, dal ricoprire ruoli che non erano i propri:

«Social mobility was vaguely suspect as subversive of a recognized, respected, and stable social hierarchy. The self-made man was vulnerable to the biting epiteth “mushroom gentleman” – one who had sprung uo overnight from the dung. A man of new wealth needed the approval of those already

6 Non ci nascondiamo, allora, che buona parte delle relazioni deferenziali avevano una componente consuetudinaria ed erano basate su tutt’altro che un’adesione volontaria. Una simile descrizione del dispositivo deve essere allora intesa, qualora la si voglia applicare ad una complessità sociale che eccede la dimensione – per quanto estesa e dinamica – delle élite, nei termini di un modello o di un’astrazione.

accepted by themselves and by others as possessing the full range of gentility. Colonists of new wealth hastened to complete their portfolios of genteel ways by retraing themselves to speack, walk, gesture, dress, pose, and think like aristocrats. Prestige and high office rewarded those who succeded, while those who fell short reaped ridicule. Nothing was considered more foolish, mor fit for satire, than the upsart who assumed airs he could not master»7.

La deferenza va dunque vista dal nostro punto di vista non soltanto come un orizzonte dello spazio politico americano, ma anche come orizzonte, costantemente in tensione, di crisi delle sue stesse condizioni8. In questo modo

possiamo considerare pienamente il paradosso di una situazione in transizione, nella quale si ha allo stesso tempo un passaggio da una dimensione più aristocratica ad una più – in senso lato – ‘democratica’ e dove si va affermando uno schema di governo che pur dovendo basarsi sempre più sul consenso popolare, mantiene viva l’esclusione del common people dalle posizioni di potere9. Il problema era come abbiamo già notato duplice: se tra le élite era

condiviso l’ideale di un governo dei virtuosi, non c’era accordo su come identificare chi poteva aspirare al consenso popolare: il linguaggio e la retorica del repubblicanesimo classico non risolvono, in questo senso, il nostro problema. In primo luogo questo linguaggio era sufficientemente indefinito da poter essere utilizzato sia da parte delle élite per arrogarsi il diritto a comandare, sia da parte del common people per pretendere il rispetto di regole non scritte che

7 A. Taylor, William Cooper’s Town. Power and Persuasion on the Frontier of the Early American Republican, cit., p. 14.

8 Utilizziamo qui il termine di crisi in una dimensione processuale e non come evento o rottura. Il nodo concettuale non ci sembra essere quello della ricerca di un equilibrio sociale nei confronti del quale far valere una rottura, quanto piuttosto la considerazione metodologica di uno spazio teso ed increspato, che vede dunque nello squilibrio una costante – anche se non sempre manifesta – fibrillazione delle sue condizioni. Per una meditazione sui problemi concettuali che questa ipotesi solleva, si veda B. Accarino, “Immagini filosofiche dell’equilibrio”, in B. Accarino (a cura di), la bilancia e la crisi. Il linguaggio filosofico dell’equilibrio, Verona, Ombre Corte, 2003, pp. 13-69, in particolare le pp. 52-59.

9 Cfr. J. R. Pole, HISTORIANS AND THE PROBLEM OF EARLY AMERICAN DEMOCRACY, AHR, vol. 67, no. 3, Apr. 1962, pp. 626-646, in particolare p. 641. Nello stesso saggio Pole riconosce che l’utilizzo del termine democrazia in questi termini non risolve, ma piuttosto apre un problema di definizione scrivendo: «The use of the world “democracy” is to raise, but not I think to solve, a problem of definition. And it is not an easy one. There is so little agreement about what is meant by “democracy”, and the discussion has such a strong tendency to slide noiselessy from what we do mean to what we ought to mean, that for pourposes of definition it seems to be applicable only in the broadest sense». Pole non nasconde che questa ambiguità descrittiva può rivelarsi un limite, se non debitamente maneggiata: uno degli accorgimenti che accogliamo è quello di considerare la ‘crisi’ della deferenza come conflittuale, ibid., pp. 627 e 646. Si veda anche lo sviluppo di questi argomenti in relazione ai mutamenti della rappresentanza in Inghilterra in J. R. Pole, Political Representation in England and the Origins of the American Republic, New York, St. Martin’s Press, 1966. In termini simili si era espresso anni prima Charles S. Sydnor nel suo importante studio sulla Virginia: riconoscendo la presenza di meccanismi oligarchici e gerarchici in un sistema politico che vedeva crescere l’elemento consensuale, Syndor osservava che aristocrazia e democrazia «non erano reciprocamente esclusive»; cfr. Gentlemen Freeholders: political practices in Washington’s Virginia, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1952, p. 132.

dipendevano da una diversa interpretazione del virtù e del ‘common good’; in secondo luogo, considerando la non corrispondenza immediata tra retorica e realtà politica, gli stessi membri delle élite che usavano il linguaggio della virtù pubblica mostravano, nei processi elettorali, un elevata attenzione al proprio interesse10.

Le idee e il linguaggio repubblicano assunsero già prima della rivoluzione un carattere dinamico, ma il loro adattamento alle nuove condizioni che si erano determinate nel passaggio rivoluzionario non poteva essere immediato e senza problemi. Esse si basavano su messaggi che facevano perno su una retorica dell’ordine, per la quale una società virtuosa è anche una società armoniosa dove c’è comprensione tra i ‘rulers’ e coloro che li seguivano: l’elemento della deferenza – intesa nella complessità qui proposta – assumeva perciò un carattere centrale, destinato a crescere a seguito dell’allargamento della base di partecipazione alla politica11. In questa linea di continuità si presentavano però condizioni nuove e se

da un lato la ‘democratizzazione’ della partecipazione mediante gli organismi della rappresentanza politica sembra suggerire un declino di elementi in parte retaggio di ritualità aristocratiche, proprio a causa della ‘democratizzazione’ questi stessi elementi assumevano una ruolo maggiore. La diffusione del metodo elettorale per la scelta delle cariche e dei rappresentanti, infatti, non eliminava né diminuiva l’influenza di alcuni criteri personali considerati importanti, quali l’educazione, la proprietà, la discendenza. Questi però dovevano essere spesi non più all’interno di una cerchia ristretta di membri delle élite, ma nei confronti di altri che fino a quel momento erano stati considerati «parvenus».

In un momento di massimo climax della rivoluzione, solo una settimana dopo l’approvazione da parte del Congresso Continentale di una risoluzione che John Adams considerava «the most important Resolution, that ever was taken in America»12, lo stesso Adams aveva descritto a James Warren la situazione di

fermento che stava attraversando le Colonie:

10 Cfr. Richard R. Beeman, DEFERENCE, REPUBLICANISM, AND THE EMERGENCE OF POPULAR POLITICS

IN EIGHTEENT-CENTURY AMERICA, WMQ, 3rd. Ser., vol. 49, no. 3, Jul. 1992, pp. 401-430, alle pp. 402 e ss., che aggiunge: «It seems that the frequency and effusiveness with wich Americans used the language of republican virtue were often inversely proportional to the extent to which virtue actually prevailed». La virtù è qui intesa come capacità di trascendere dal proprio interesse personale per perseguire il bene comune, che sembra cedere di fronte al meccanismo elettorale: «We should [..] perhaps pay less attention to the whining of the losers-for whom declarations about the declining state of republican virtue came easily and offered a helpful dose of self- justification and solace-and watch more carefully the behavior of the winners. The winners were concerned not with maintaining republican virtue but with winning elections. [..] Equally important, winners and losers alike were discovering that voter support frequently depended less on their personal qualities as disinterested public servants than on active and faithful advocacy of their constituents' interests. Political men were learning, however dimly and reluctantly, that the process of political transformation was not going to be controlled wholly from the top». Ibid., p. 430.

11 Cfr. Ibid., p. 405.

12 La Risoluzione era quella che sanciva di fatto la rottura decisiva con la Gran Bretagna, sostenendo che Sua Maestà, insieme alla camera dei Lords e dei Comuni, aveva escluso gli abitanti delle Colonie dalla protezione della Corona e non aveva fornito nessuna risposta alle Petizioni che

«The Management of so complicated and mighty a Machine, as the United Colonies, requires the Meekness of Moses, the Patience of Job and the Wisdom of Solomon, added to the Valour of Daniel. They are advancing by slow but sure Steps, to that mighty Revolution, which You and I have expected for Some Time. Forced Attempts to accellerate their Motions, would have been attended with Discontent and perhaps Convulsions. The News from South Carolina, has aroused and animated all the Continent. It has Spread a visible Joy, and if North Carolina and Virginia should follow the Example, it will Spread through all the rest of the Colonies like Electric Fire. The Royal Proclamation, and the late Act of Parliament, have convinced the doubting and confirmed the timorous and wavering. The two Proprietary Colonies only, are still cool. But I hope a few Weeks will alter their Temper».

La situazione descritta con un certo entusiasmo da Adams era difficile da