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In questa sezione ci proponiamo di analizzare le dinamiche politiche e costituzionali del periodo rivoluzionario utilizzando come chiave di lettura la categoria del tempo ed assumendo come evento nodale il 1776, anno della

Dichiarazione d’Indipendenza. A partire dalla definizione del nostro strumento di

indagine, analizzeremo in che modo, per comprendere le questioni aperte nella formazione e discussione della Costituzione federale, sia necessario definire un quadro costituzionale complesso e molteplice. Nel fare questo, divideremo in tre direttrici la nostra analisi: nella prima affronteremo le origini coloniali del lavorio costituzionale statunitense, nella seconda affronteremo gli esiti rivoluzionari di quella stessa elaborazione costituzionale e nella terza ci concentreremo sulle produzioni costituzionali che possiamo leggere alla luce di questi esiti. Tra queste produzioni, considereremo sia la formazione delle costituzioni degli Stati, che le eccedenze a queste, rivolgendo in particolare lo sguardo alle dinamiche della frontiera e del backcountry.

2.3.1 Il problema del tempo e della durata: quando finisce la Rivoluzione?

Abbiamo nei paragrafi precedenti delineato alcuni tratti dell’America nel periodo rivoluzionario utilizzando come coordinata lungo la quale muoverci quella dello spazio politico, intendendo con questo in particolar modo riferirci ad una «categorie di pensabilità della politica» che non sempre è aderenti agli spazi fisici, ma li supera e li rielabora. Proprio per questo siamo consapevoli del fatto che gli elementi che abbiamo sollevato non esauriscono la complessità del problema dello spazio nel momento rivoluzionario. Non è dunque nostra intenzione ora abbandonare questa dimensione, ma accompagnarla ad una seconda, quella del tempo, che ci consente di cambiare prospettiva per far emergere anche altri elementi che compongono quegli stessi spazi politici, ed insieme di poter riprendere e completare le questioni che abbiamo sollevato in precedenza1.

1 Il tema degli spazi politici è più complesso ed articolato di quanto siamo riusciti qui a far emergere. Carlo Galli individua almeno quattro elementi che concorrono alla definizione di «spazio politico» come qui utilizzata: le «rappresentazioni spaziali implicite» al pensiero politico; la «politicità (esplicita) dello spazio», vale a dire il modo nel quale la politica organizza concretamente gli spazi dal punto di vista del diritto e di «efficacia delle istituzioni»; la dimensione

Utilizzeremo la categoria di tempo per affrontare principalmente tre questioni. La prima ci rimanda all’inizio di questo lavoro e al problema della storia e della storiografia: dovremo chiederci in che modo il tempo della storia e le scansioni temporali utilizzate influiscono sulla nostra comprensione del tempo politico della Rivoluzione, fino ad arrivare al dibattito sulla ratifica della Costituzione. La seconda solleva il problema delle connessioni e sconnessioni temporali che possiamo osservare nello svolgimento di una nebulosa di eventi all’interno della quale collochiamo alcuni fatti specifici, per valutare la doppia dimensione della continuità e della discontinuità tra il prima del momento rivoluzionario e il suo

dopo: le risposte a queste domande dipenderanno ovviamente dalle risposte alle

domande precedenti, perchè è evidente che la relazione tra i fatti specifici che valuteremo e quella nebulosa di eventi che abbiamo nominato sarà influenzata dalle scansioni temporali che vorremo utilizzare e dalla determinazione dei limiti di quella nebulosa. La terza questione è quella, soggiacente alle prime due, che ci impone di valutare il tempo non soltanto come elemento riflessivo per valutare per così dire il nostro metodo storiografico e di analisi, ma anche come pluridimensione in grado di segnare lo stesso spazio politico che stiamo analizzando. Da questo punto di vista sarà dunque importante considerare i tempi propri e specifici delle diverse dinamiche e dei processi che andremo ad individuare, le loro cadenze e il loro intreccio.

Gli strumenti metodologici che utilizziamo per avanzare queste riflessioni sono quelli suggeriti da Koselleck nei suoi appunti per una semantica dei tempi storici2. L’esponente della Begriffsgechichte tedesca ha segnalato le «infinite transizioni e sovrapposizioni» tra tre gruppi di concetti visti dal punto di vista temporale: ai concetti «tradizionali» i cui significati verbali continuano ad avere una corrispondenza empirica anche nelle situazioni analizzate dallo storico, egli aggiunge quei «concetti il cui contenuto è cambiato così decisamente che, nonostante l’identità delle parole, i significati del passato non sono più quasi paragonabili a quelli attuali» e hanno dunque bisogno per essere colti di una riflessione «strettamente storica».3 A questi due gruppi va poi accostato un terzo,

che abbiamo ricordato di «pensabilità della politica»; e infine lo spazio come «arena» fisica e concreta della «prassi» politica e di dispiegamento del potere. Parlare di spazi politici significa dunque rimandare continuamente ad una dimensione fisico-geografica dello spazio e contemporaneamente alle possibilità concettuali-metaforiche che l’utilizzo dell’espressione permette. Si veda per una trattazione complessiva dell’argomento C. Galli, Spazi politici. L’età moderna e l’età globale, Bologna, il Mulino, 2001. Per gli aspetti trattati qui in particolare alle pp. 11-15.

2 R. Koselleck, Futuro Passato. Per una semantica dei tempi storici (1979), trad. it. Genova, Marietti, 1986.

3 Per una riflessione in ambito italiano sul ruolo di Koselleck e della Begriffsgechichte si veda Luca Scuccimarra, USCIRE DAL MODERNO. STORIA DEI CONCETTI E MUTAMENTO EPOCALE, Storica, n. 32,

anno XI, 2005, pp. 109-134 e Sandro Chignola, STORIA DEI CONCETTI E STORIOGRAFIA DEL DISCORSO POLITICO, Filosofia Politica, n. 1, 1997, pp. 99-122. Il dibattito sulla Begriffsgechichte ha portato ad

una serie di rielaborazioni concettuali dei temi della modernità, per le quali rimandiamo in particolare alle raccolte di saggi curate da G. Duso Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Bologna, Il Mulino, 1987 e ll potere: per la storia della filosofia politica moderna, Roma, Carocci, 1999.

che comprende quei «neologismi che emergono di volta in volta» come reazione «a determinate situazioni politiche o sociali, di cui cercano di registrare il carattere di novità o addirittura di provocarlo»4. Nel considerare questo intrecciarsi di

prospettive di relazione tra tempi storici, concetti e tempi politici noi ci troviamo ad un problema che, potremmo dire, è costantemente duplicato: accanto alla questione generale posta in questi termini da Koselleck dovremo infatti considerare che la l’esperienza e la parola, o la voce inarticolata, del common people producono uno sdoppiamento della prospettiva. Avremo dunque sempre un problema 1b, 2b e 3b: più ci troviamo di fronte ad una situazione fluida, meno questa è certa e più sono i soggetti in gioco e diversi i loro modi di lasciare tracce, più questo diventa rilevante.

Il contesto storico del quale stiamo parlando è uno nel quale si sta sviluppando una prospettiva che chiamiamo nazionale nella quale anche il linguaggio politico di derivazione inglese parla già d’altro: siamo in un momento liminale di trasformazione del discorso politico e di definizione di un immaginario costituzionale, nel quale la prospettiva semasiologica non può in alcun modo prescindere dalla storia sociale e non far proprio al plurale l’uso tocquevilliano della locuzione di «stato sociale», collocandosi all’intersezione dei suoi molteplici singolari.5 Se è vero, come sostiene Koselleck, che «è un dato generalissimo della

lingua che ognuno dei suoi significati verbali vada oltre quell’unicità temporale cui possono aspirare gli eventi storici», non potremo allora nasconderci che nel momento in cui gli eventi, intesi come fatti umani, si traducono nella narrazione, nella storia orale e in quella scritta (nei loro effetti), essi diventano parte dell’immaginario e della costruzione collettiva della memoria, così perdendo la loro unicità temporale. Questo significa, per l’esperienza e l’immaginazione politica, che essi concorreranno in qualche misura alla determinazione della pensabilità di un futuro.

Potremmo allora chiederci: che cosa c’è di unico in un evento? E daremo come risposta: tutto, perchè non si dà l’evento al di fuori di sé; nulla, perchè non c’è evento che coinvolga gli uomini che essi non si portino dietro in qualche modo: anche la ‘sorpresa’ di un’eruzione vulcanica lascia le sue tracce, siano esse la paura o la constatazione del fatto6. Questo però ci dice poco o nulla sul piano di aderenza

4 Koselleck, Futuro Passato, p. 100.

5 Ci riferiamo qui nel parlare di immaginario nazionale alla costruzione della nazione come interpretata a partire dagli studi di Ernest Gellner, Nazioni e nazionalismo (1983), trad. it. Roma, Editori Riuniti, 1985, E. J. Hobsbawn, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà (1990), trad. it. Torino, Einaudi, 1991 e Benedict Anderson, Comunità immaginate (1991), Roma, manifestolibri, 1996.

6 Occorre specificare che non ci proponiamo in queste poche riflessioni di esaurire il dibattito sul tema filosofico dell’evento. Avanziamo piuttosto una semplificazione che ha l’unica pretesa di essere concretamente spendibile all’interno del ragionamento che stiamo facendo. Per una riflessione più puntuale richiamiamo e rimandiamo alla distinzione tra evento e fatto compiuta da Alan Badiou, per il quale l’evento si da come «molteplice singolare» che può vedere un’anticipazione solo nella «forma astratta» ed essere presente in una susseguente «pratica

tra realtà e concetto: ci dice che nei concetti troviamo tracce, residui di realtà ed esperienze, ma questi residui sono in fermento, in preda a quella che Koselleck chiama una «vivace tensione» che si mostrerà a tutti i livelli, compresi quelli del «linguaggio delle fonti» e del «linguaggio scientifico»7. Il tentativo di inserire

all’interno della nostra narrazione rimandi a fatti specifici e piccoli avvenimenti non risponde perciò né alla volontà né al tentativo di produrre una microstoria da contrapporre ad una storia di lungo periodo in un discorso di verità. È piuttosto sperando di restituire un senso concreto ai concetti che usiamo che compiamo questa operazione. Ma siccome quel piccolo fatto difficilmente si ripeterà uguale, e ancor più difficilmente a distanza di secoli, esso imporrà di cercare che cosa esso significhi nel presente, quali parole possano dirlo: in questo modo saremo costretti a farci carico della storia di quel discorso o quel concetto che leghiamo a quel fatto8.

Dovremo a questo punto specificare queste riflessioni per renderle utilizzabili al nostro scopo. Per arrivare al problema della durata partiremo dai tre «modi temporali di esperienza» segnalati da Koselleck: l’«irreversibilità degli eventi», la «ripetitività degli eventi» e la «contemporaneità del non-contemporaneo». I primi due modi hanno una forma tutto sommato semplice: il primo rimanda alla scansione di una prima e un dopo rispetto al fatto di esperienza e il secondo alla possibilità di misurare un’«identità» degli eventi «sia come ritorno di costellazione; sia come loro coordinamento figurale o tipologico». In questo ultimo caso, dunque, ci riferiremo anche alla possibilità di tipizzare un fatto o un’esperienza per poi ritrovarla calata all’interno di altre costellazioni materiali tra le quali possiamo però azzardare un raffronto o un parallelo. Il terzo modo è però quello che ci pare, interpolato con i primi due, più produttivo perchè introduce dei salti geometrici che graffiano la superficie lineare e bidimensionale dell’asse prima-dopo. Vale la pena citare per intero il passo dove Koselleck spiega la contemporaneità del non contemporaneo:

«In presenza di un’identità cronologica naturale si possono avere differenti classificazioni di decorsi storici. In questa rifrazione temporale sono contenuti strati temporali diversi, che hanno una durata differente a seconda dei soggetti dell’azioni o delle situazioni esaminate, e che dovrebbero essere misurati gli uni rispetto agli altri. Nel concetto della contemporaneità del non- contemporaneo sono anche contenute diverse estensioni temporali. Rinviano

riflessa»; e alla vicina riflessione di Jean-Luc Nancy sull’evento come «potenza di interruzione». Cfr. A. Badiou, L’essere e l’evento, ed. it. A cura di G. Scibilia, Genova, Il Melangolo, 1995, pp.182 e 184 e Jean-Luc Nancy, L’esperienza della libertà (1988), trad. it. Torino, Einaudi, 2000, p. 78.

7 R. Koselleck, Futuro Passato, cit., p.107.

8 Mutuando da riferimenti linguistici diversi dai nostri, ci accorgeremo allora che lo strumento metologico che stiamo costruendo non deriva la sua forza dalla sua rigida coerenza, quanto piuttosto dal suo essere composto di una materia fluida, dotata di struttura interna ma passibile di molteplici forme.