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HE I NCOMPLETE A NTIFEDERALIST , RAH, 1983, PP 204-207.

1.2.5 Il vaso di Pandora scoperchiato

Su queste dinamiche, qui soltanto accennate, torneremo in seguito. Ciò che ora preme sottolineare è l’indicazione generale che da questi esempi, e dal contributo della storia sociale in genere, viene per l’analisi del pensiero politico negli Stati Uniti tra la Rivoluzione e la ratifica della Costituzione federale.89 Nel complesso

viene messa in luce una chiave interpretativa degli inarticolati, delle mentalità e del

88 Cfr. Henretta, FAMILIES AND FARMS, cit., pp. 7, 9 e 25.

89 Gli aspetti di quella che indico genericamente come storia sociale sono ovviamente più vasti dei materiali qui utilizzato. Per una esaustiva trattazione dei contributi della «new social history» negli anni ’70, le sue prospettive e i suoi limiti nell’elaborazione teorica, rimando a James A. Henretta, SOCIAL HISTORY AS LIVED AND WRITTEN, AHR, vol. 84, no. 5, Dec. 1979, pp. 1293-1322. Per una più

recente analisi del riallineamento della storiografia americana negli ultimi decenni in relazione ai nuovi approcci apportati dalla «social history» possono invece essere utili Thomas Bender, THE

NEW HISTORY – SHEN AND NOW, RAH, vol. 12, no. 4, Dec. 1984, pp. 612-622 e id., STRATEGIES OF

NARRATIVE SYNTHESIS IN AMERICAN HISTORY, AHR, vol. 107, no. 1, Feb. 2002, pp. 129-153. Inoltre la

«history from below» ha avuto importanti ripercussioni sulle discipline confinanti; la «legal history from below» ha infatti introdotto una ridefinizione di «che cosa è legge» a partire dal presupposto che i testi giuridici e le interpretazioni ufficiali non siano le sole fonti sulla base delle quali stabilire che cosa sia legge, portando alla luce dinamiche di ribellione negli Stati Uniti dell’800 che, sebbene contrarie ai codici contemporanei, rispondevano ad una cultura giuridica «dal basso» che li legittimava. Vale la pena citare il passo seguente, dall’introduzione al “symposium” sulla «legal history from below» sulla Wisconsin Law Review: «These people, industrial workers, women, and artisans in the 19th century, did not simply consent or acquiesce to the law as authoritatively given; nor was rebellion against the law their only alternative. Often, they contested official versione of law as counterfeit. Even more often, they simply continued to assume and assert, adn where they could, enforce, their own distinctive norms and interpretations of norms –theyr own law – as the prevailing authority», William E. Forbath, Hendrik Hartog e Martha Minow, INTRODUCTION: LEGAL HISTORY FROM BELOW, Wisconsin Law Review, July/August 1985, p. 759. Queste considerazioni andranno ricordate nel corso di questo lavoro e sono di particolare importanza per l’interpretazione dello spazio politico della Rivoluzione. La controversia sulla politicizzazione della legalità ricopre anche, come vedremo, un ruolo importante nell’interpretazione di alcuni aspetti del discorso antifederalista.

backcountry che porta a considerare insufficiente il concentrarsi sul discorso

rivoluzionario delle élite e l’accontentarsi del discorso sulla deferenza come chiave di lettura del consenso e della legittimazione politica. Ciò che emerge è infatti una complessa trama di dinamiche di conflitto ed espressione di comportamenti politici e di discorso inespressi, una pluralità di voci che devono essere incluse nell’interpretazione del pensiero politico del periodo rivoluzionario. Un’ultima precisazione su quanto detto in precedenza ci pare però a questo punto necessaria: inarticolati, mentalità e frontiera sono infatti termini che rimandano a piani differenti tra loro e non sono immediatamente sovrapponibili. Questa pluralità semantica deve essere tenuta presente, e rappresenta secondo noi un elemento metodologico utile ad allargare lo sguardo seguendo le tre dimensioni della soggettività, dell’immaginario e dello spazio (inteso qui nella sua duplice connotazione fisica e politica) all’interno del quale ci muoviamo. È a partire dal valorizzare questo riconoscimento, dunque, che continueremo la nostra indagine.

Merril Jensen scriveva, nel 1970, che

«Most histories of the American revolution have been told largely in terms of the periods seen by its leaders. The role of the American people has been neglected or ignored despite the fact that the two fundamental political decision of the age, and the documents which embodied them, the Declaration of Independence and the Constitution of 1787, were based on the theoretical foundation of the sovereignty of the American people».90

Come abbiamo potuto vedere, da quando Jensen ha scritto queste righe molte cose sono cambiate, ma spesso le diverse discipline hanno visto con sospetto la contaminazione con i nuovi approcci. È in particolare la storia del pensiero politico, sovente in bilico tra l’esigenza di sintesi e la ricerca della diversa influenza degli scrittori europei sulla formazione dei padri fondatori, ad avere recepito con più fatica ciò che da questi contributi stava emergendo. Il punto mi pare essere certamente non quello di cadere in una sorta di eccezionalismo americano «dal basso», ma quello di considerare quanto e in che modo la specificità delle diverse condizioni sociali e politiche a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del settecento potesse influire sulla comprensione e sull’interpretazione di un discorso politico che pur si esprimeva attraverso un linguaggio conosciuto e radicato nelle sue origini inglesi e, per alcuni, scozzesi. Per molti anni, oltre al problema dell’approccio metodologico, è però rimasto vivo il problema delle fonti. Non che non ci fossero, ma esse rispondevano in parte ai limiti denunciati da Du Bois e lasciavano silenziosi molti protagonisti della vita politica americana.

90 Merril Jensen, T

HE AMERICAN PEOPLE AND THE AMERICAN REVOLUTION, JAH, vol. 57, no. 1, Jun.

Questo quadro è cambiato negli ultimi tre decenni seguendo le tappe di quella che può essere a pieno titolo definita come la più importante operazione editoriale mai avviata negli Stati Uniti. Si tratta del progetto di The Documentary History of the

Ratification of the Constitution of the United States, il cui primo volume è uscito nel

1976 e che si propone di pubblicare tutte le fonti disponibili intorno al dibattito sulla ratifica della Costituzione e così di coprire le lacune delle Farrand’s Records e

Elliot’s Debates. Opera titanica, la Documentary History nasce, non a caso, sotto la

direzione di Merril Jensen, e ad oggi è giunta al suo diciannovesimo volume e ne prevede altri dieci.91 Se letto considerando quanto osservato poco sopra, il progetto

di Jensen assume un valore crescente: esso permette infatti di fare luce su una dimensione del dibattito sulla costituzione più complessa, nella quale la supremazia del Federalist si perde nella miriade di testi, lettere ai giornali e discorsi pubblici che sono stati tirati fuori dagli archivi statali e resi disponibili agli studiosi.

Grazie all’intrecciarsi di questi diversi sviluppi storiografici sono sorti nuovi studi sull’antifederalismo che ne hanno rilevato un carattere in certi tratti

alternativo dal punto di vista del discorso politico, la complessità e la

multidimensionalità. Confermando sia le iniziali osservazioni di Beard che l’analisi di Main emerge come l’antifederalismo sia stato anche portatore di un discorso radicale e democratico e abbia saputo coagulare le diverse dimensioni dell’opposizione alla costituzione perché capace di interpretare anche il radicalismo popolare. Questo fa emergere una serie di considerazioni che complicano ulteriormente il quadro, che si possono sintetizzare in cinque punti. Primo, la persistenza di diverse interpretazioni della Rivoluzione e dei suoi esiti tra gli americani; secondo, la persistenza di un senso di insicurezza riguardo ai suoi esiti, qualsiasi fosse questa interpretazione; terzo, la presenza di dinamiche complesse di coagulo del consenso tra federalisti ed antifederalisti, che dipendevano da diversi fattori, quali la situazione politica locale, le condizioni socio-economiche della regione, le dinamiche dei rapporti con lo Stato, il livello di

91 Merril Jensen, ed., The Documentary History of the Ratification of the Constitution. Volume I. Constitutional Documents and Records, 1776-1787, Madison, State Historical Society of Wisconsin, 1976. Con la morte di Jensen, nel 1980, il comitato editoriale è composto da John P. Kaminski, Gaspare J. Saladino, Richard Leffler, Charles H. Schoenleber e Margaret A. Hogan. Si veda

http://www.wisconsinhistory.org/ratification/ . Merril Jensen, studioso della Confederazione, ha sostenuto in The Articles of Confederation: An Interpretation of the Social-Constitution History of the American Revolution, 1774-1781 (1980) e in The New nation: A History of the United States durino the Confederation, 1781-1789 (1950) delle tesi che rovesciavano l’ottica sul critical period avanzata da Fiske e presentavano il periodo della Confederazione come un epoca nella quale gli Stati riuscirono a sviluppare forme istituzionali basate sugli esiti della Rivoluzione ed incarnati negli Articoli della Confederazione, salvaguardando le forme di partecipazione ed influenza seguite alla democratizzazione della vita politica e sociale. Al contrario, con l’approvazione della nuova Costituzione federale questi risultati sarebbero stati cancellati e a favore di un sistema che limitava l’impatto della democrazia radicale che proveniva dalla politica locale. Il lavoro sulle fonti che Jensen ha avviato è teso dunque, in continuità con quanto detto, ad offrire un quadro il più completo possibile, al fine di far emergere le fratture ideologiche presenti negli Stati Uniti nel periodo della fondazione.

organizzazione e autonomia politica raggiunto e infine il rapporto con la frontiera e il backcountry, che assume diverse connotazioni a seconda delle situazioni specifiche; quarto, la multidimensionalità dell’antifederalismo e del federalismo, e il fatto che negli anni concitati del periodo rivoluzionario non si debba ricercare una coerenza dei discorsi e che questi vadano letti considerando che la divisione intorno alla ratifica fu temporaneamente tra due fazioni anche perché la scelta era tra due opzioni.92 La quinta ed ultima considerazione riguarda la persistente divisione

tra élite e popolo nell’antifederalismo.

La storiografia ha registrato queste evoluzioni, prima comprendendo l’antifederalismo all’interno di una tradizione radicale e alternativa del dissenso nella storia americana93, poi iniziando a considerare l’antifederalismo come

oggetto di studio specifico. In questa nuova considerazione il ruolo determinante è stato certamente quello di Saul Cornell, che dopo aver fatto il punto sulla storiografia in un articolo del 1990, ha applicato all’antifederalismo i suggerimenti venuti dalla riscoperta del backcountry in un saggio l’anno seguente ed ha infine pubblicato nel 1999 il testo che più di ogni altro restituisce la complessità della

questione antifederalista.94 Il contributo di Cornell è il primo che si propone in

modo organico di comprendere nella trattazione dell’antifederalismo le componenti popolari più radicali, dando ampio spazio ai riot di Carlisle e agli scritti di William Petrikin, uno dei protagonisti dei tumulti ed autore di alcuni saggi che circolarono nell’area. Questo non è il solo apporto dell’opera di Cornell. Considerando gli antifederalisti come «gli altri fondatori», egli si propone di

92 Va considerata la scelta specifica adottata dalla Convention di Philadelphia, che optò per sottoporre il testo della Costituzione ad una scelta secca tra il si e il no, evitando un processo consultivo sul modello del procedimento legislativo della Pennsylvania e consentendo così un’artificiosa forzatura del dibattito politico nella quale nessuna logica, singolarmente, può spiegare esaustivamente la genesi delle due coalizioni. La «grande discussione nazionale» intorno alla ratifica, come era stata chiamata nel primo numero del Federalista da Madison, misurava così l’«influenza relativa» dei diversi scrittori politic europei, senza trovare però una risposta ultimativa; quello che emerge è piuttosto un uso piuttosto disinvolto dei diversi canoni linguistici e dei concetti politici. Cfr. Donald S. Lutz, THE RELATIVE INFLUENCE OF EUROPEAN WRITERS ON LATE

EIGHTEENTH-CENTURY AMERICAN POLITICAL THOUGHT, The American Political Sciente Review, vol. 78, no. 1, Mar. 1984, pp. 189-197 e Isaac Kramnick, THE “GRET NATIONAL DISCUSSION”: THE

DISCOURSE OF POLITICS IN 1787, WMQ, 3rd. Ser., vol. 45, no. 1, 1988, pp. 3-32. Una buona sintesi dei temi presenti nel dibattito e delle difficoltà della storiografia si trova in Peter Onuf, REFLECTIONS ON THE FOUNDING: CONSTITUTIONAL HISTORIOGRAPHY IN BICENTENNIAL PERSPECTIVE, WMQ, 3rd. Ser., vol. 46, no. 2, Apr. 1989, pp. 341-375.

93 In questo senso si veda John F. Manley e Kenneth M. Dolbeare, ed., The Case against the Constitution. From the antifederalists to the present, London, Scarpe, 1987.

94 Saul Cornell, THE CHANGING HISTORICAL FORTUNES OF THE ANTI-FEDERALISTS, Northwestern University Law Review, n. 84, 1989, pp. 39-73; id., ARISTOCRACY ASSAILED: THE IDEOLOGY OF

BACKCOUNTRY ANTI-FEDERALISM, JAH, n. 76, 1990, pp. 1148-1172; id., The Other Founders: Anti- Federalism and the Dissentine Tradition in America, 1788-1828, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1999. Negli anni precedenti erano già apparsi, in ordine sparso, studi parziali sull’antifederalismo dal punto di vista del radicalismo democratico: Philip A. Crowl, ANTI- FEDERALISM IN MARYLAND, 1787-1788, WMQ, 3rd. Ser., vol. 4, no. 4, oct. 1947, pp. 446-469; Eric Robert Papenfuse, UNLEASHING THE “WILDNESS”: THE MOBILIZATION OF GRASSROOTS

ANTIFEDERALISM IN MARYLAND, JER, vol. 16, no. 1, spring 1996, pp. 73-106; Staughton Lynd, Anti- Federalism in Dutchess County, New York: A Study of Democracy and Class Conflict in the Revolutionary Era, Chicago, Lodola University Press, 1962.

rileggere, attraverso gli antifederalisti, l’intero momento della fondazione dell’Unione. In sostanza, Cornell recepisce ciò che l’insieme delle analisi che siamo andati a ripercorrere suggeriscono, vale a dire la necessità di considerare il dibattito sulla ratifica come uno dei momenti principali della fondazione e inizio del percorso di interpretazione della Costituzione che avrebbe, negli anni successivi, prodotto prima l’adozione del Bill of Rights, poi la frattura del fronte del Federalista e la conquista del potere da parte di Jefferson, nella cui amministrazione confluirono numerosi antifederalisti. Proprio il passaggio tra la prima amministrazione Washington, guidata .dal ministro delle finanze federalista Alexander Hamilton, e l’ascesa al potere di Jefferson agli inizi dell’800, assistito questa volta al ministero del tesoro da Albert Gallatin, testimonia dello scarto tra il tempo politico della Confederazione e quello della Costituzione, un passaggio che avviene attraverso il dibattito sulla ratifica, e non semplicemente con la vittoria di una delle parti sulle altre.95 La nuova Costituzione lasciava, come avevano

denunciato gli antifederalisti, vasti margini d’interpretazione, enunciava poteri, ma non ne fissava i limiti, proclamava principi, ma non ne specificava del tutto la portata. Eppure era netta la differenza tra il testo della Costituzione e la

Dichiarazione d’Indipendenza, con la prima improntata al linguaggio giuridico per la

formazione di un governo e di un ordine costituzionale, quanto la seconda volta a legittimare una rivoluzione attraverso il ricorso al discorso dei natural rights e delle

self-evident truth.96 Se questa differenza non si tradusse, dopo la ratifica, in uno

scontro diretto sulla legittimità della Costituzione, bensì in un uso conflittuale della stessa a partire da sue diverse interpretazioni, fu anche perché i mesi del dibattito sulla ratifica avevano obbligato ad esplicitare la visione politica dei suoi autori, che si trovarono a dover fare concessioni argomentative ai loro avversari per assicurarsi il consenso nelle situazioni in bilico.

I primi ad introdurre gli antifederalisti all’interno dell’interpretazione della Costituzione in modo organico furono gli esponenti della scuola conosciuta come

original intent, evolutasi in ambito giuridico, che sostiene la necessità di tornare ai

principi dei Padri Fondatori per comprendere il significato della Costituzione. A partire dagli anni settanta, alcuni storici del diritto iniziarono ad introdurre gli antifederalisti nell’analisi della Costituzione, principalmente per sferrare una critica alla pratica dell’interventismo statale e alla teoria dell’affirmative action emersa per la prima volta dopo l’adozione del Civil Rights Act del 1964, che prevedeva la possibilità da parte dei tribunali federali di imporre discriminazioni

95 Sul ruolo di Gallatin e la sua formazione antifederalista e l’impatto che ebbe su di lui la ribellione del Whiskey, si veda Marco Sioli, “Where Did the Whiskey Rebels Go?”, in Loretta Valtz Mannucci, a cura di, When The Shooting Is Over: The Order and the Memory, Milan Group in Early United States History, quaderno 4, pubblicazione del Dipartimento di Storia delle Società e delle Istitutzioni dell’Università degli Studi di Milano, pp. 23-32.

96 Cfr. Daniel T. Rodgers, Contested Truths. Keywords in American Politics since Independence, Cambridge and London, Harvard University Press, 1987, pp. 45-79.

positive per superare le violazioni alla legge, poi divenuta oggetto di un forte scontro politico negli anni settanta.97 Il discorso giuridico sull’original intent

recuperava perciò gli antifederalisti, ed in particolare la critica che essi fecero ai poteri «necessary and proper», per condurre un attacco conservatore alle politiche progressiste di enforcement dei diritti civili. Negli anni ’80 questa scuola ebbe un’impennata in relazione alla nuova disciplina economica liberista imposta dall’Amministrazione Reagan, chiamata reaganomics, proponendo un’interpretazione del federalismo americano che riecheggiava i discorsi dei difensori della Confederazione. Anche questa volta, quelli che Gordon Wood chiamò «i fondamentalisti», avanzarono un discorso sul self-government e la virtù pubblica che, nell’ottica della deregulation reaganiana, cercava di fondare storicamente il programma di smantellamento dell’intervento pubblico e il programma fiscale voluti da Reagan.98

Uno degli aspetti ancora oggi più scottanti intorno al quale si aprì la controversia sull’original intent è quello sull’interpretazione del secondo emendamento, che sancisce il «diritto a portare armi». Negli anni ottanta, in una situazione molto diversa da quella della fondazione, ma anche da quella della frontiera dell’800, parallelamente all’attacco contro l’interventismo della Corte Suprema e i poteri del governo, venne avanzata un’interpretazione del diritto a portare armi su base individuale, che secondo Laurence Cress si fondava sulla mancata considerazione del legame tra il secondo emendamento e la concezione di cittadinanza repubblicana nell’America Rivoluzionaria. Un errore prospettico che forniva però argomenti atti a fondare le pretese dei sostenitori della libera vendita di armi leggere, capeggiati dalla rivista The American Rifleman, organo della potentissima NRA.99 Il discorso sull’original intent, avviato in questo modo, con il

97 Cfr. “Federalism and the Constitution: The original Understanding”, in L. Friedman-H.Scheiber, American Law and the Constitutional Order: Historical Perspectives, 1978, pp. 85 e 95.

98 Come ad esempio Gary L. McDowell, W

ERE THE ANTI-FEDERALISTS RIGHT: JUDICIAL ACTIVISM AND THE PROBLEM OF CONSOLIDATED GOVERNMENT, Publius, vol. 12, no. 3, summer 1982, pp. 99-108, che a p. 108 osserva: «In light of the Anti-Federalist argument, the “crisis of confidence” wich currently plagues the United Statesi is the result, in part, of a consolidated government, far removed from the great body of the people. It is not the result of a failure of ledaership: it is the result of a government which attempts to do more than it was designed to do. [..] Given the extent to which local affaire are governed by the national government – be it by Congress, the Court, or the bureaucracy – there is less self-government; and the less self-government, the less chance there is for civic virtue». Si noti anche quanto sostiene Daniel J. Lazar nell’introdurre lo stesso numero di Publius: «By now is apparent to alla students of American politics as well a to most citizens that the federal courts have played a major role in fostering this concentration of power, to an extent which may have exceeded all expectations, exept those of the Anti-Federalists», Daniel J. Lazar, FEDERALISM , CENTRALIZATION, AND STATE BUILDING IN THE MODERN EPOCH, pp. 1-10, p. 9; si

vedano anche Powell, THE ORIGINAL UNDERSTANDING OF ORIGINAL INTENT, Harvard Law review, XCVIII, 1985, pp. 885-948; Bernstein, CHARTING THE BICENTENNIAL, Columbia Law Review,

LXXXVIII, 1987, pp. 1597-1607. G. Wood osservò che per gli originalisti «Ronald Reagan became the quintessential Anti-Federalist in his opposition to Washingtonm centralization», in THE

FUNDAMENTALISTS AND THE CONSTITUTION, The New York Review of Books, Vol. 35, no. 2, Feb. 18, 1988.

99 La National Rifle Association è una potente lobby che riunisce i produttori di armi leggere degli Stati Uniti e i sostenitori del diritto individuale a possedere ed usare armi. Nella presentazione di

tempo si è però arricchito di visioni molto diverse tra loro: è stato capace, in un certo senso, di costringere ad una costante «negoziazione della Costituzione» a partire da quelle fonti primarie che proprio in quel periodo, grazie ai lavori di Storing e all’inizio del progetto diretto da Jensen, crescevano in mole e pluralità di posizioni espresse.100 Una volta ripresa in mano dagli storici e dagli studiosi del

pensiero politico la controversia sull’original intent assunse dunque un diverso