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STORIOGRAFIA E PROSPETTIVE INTERPRETATIVE DELLA

REPUBBLICANA E LIBERALE DELLA STORIA AMERICANA

1.3.1 Storia e ideologia tra narrativa e sintes

STORIOGRAFIA E PROSPETTIVE INTERPRETATIVE DELLA

QUESTIONE ANTIFEDERALISTA OLTRE LA QUERELLE TRA VISIONE

REPUBBLICANA E LIBERALE DELLA STORIA AMERICANA

1.3.1 Storia e ideologia tra narrativa e sintesi

L’inevitabile intreccio tra storiografia americana e storiografia sull’antifederalismo che abbiamo affrontato nei capitoli precedenti ci porta ora a svolgere alcune considerazioni sul carattere generale delle diverse interpretazioni affrontate. Quello che ci chiediamo, una volta messe in campo alcune delle linee interpretative più influenti, è se sia possibile, e utile, un confronto sul loro statuto. La risposta ci sembra essere positiva. È in particolare la mole di studi collegati a quella che abbiamo indicato come «storia sociale» o «bottom up» a rendere a nostro parere importante un confronto di questo tipo.

Come abbiamo avuto modo di vedere, le «nuove storie» emerse a partire dagli anni ’60 hanno avuto un impatto determinante nell’allargare il campo dei

protagonisti della storia americana.1 Schiere di persone oscure, common people,

vennero esposte sul palcoscenico della storia, spesso a partire dalla considerazione che la loro rilevanza derivava proprio dal loro essere sconosciuti, persone qualunque. L’impatto della nuova storia fu dunque quello di ricollocare l’esperienza rivoluzionaria all’interno di una realtà popolata da uomini e donne, coloni e nativi, liberi e schiavi, che spesso non trovava espressione all’interno dei linguaggi colti delle élite. Questa produzione storiografica, riflettendo il proprio oggetto studio, si è spesso espressa attraverso saggi, articoli o testi collettanei; come i tre volumi curati da Alfred Young, che raccolgono alcuni dei contributi più significativi e tentano di fornire un quadro complessivo della portata del

radicalismo popolare nell’America della seconda metà del ‘700.2

1 Una buona rassegna sul complesso della «nuova storia» si trova in E. Foner, New American History. Critical Perspectives on the Past (Expaned edition), Temple University Press, 1997.

2 Il riferimento è a Alfred F. Young, ed., Dissent. Explorations in the History of American Radicalism, De Kalb, Northern Illinois University Press, 1968; id., The American Revolution. Explorations in the History of American Radicalism, De Kalb, Northern Illinois University Press, 1976; id., Beyond the American Revolution. Explorations in the History of the American Radicalism, De Kalb, Northern Illinois University Press, 1993. Young è uno dei principali esponenti della «new social History», la sua prima importante monografia, The Democratic republicans of New york: the origins, 1763-1797, University of North Carolina Press, 1967, rimane un magistrale case study sui movimenti popolari e radicali di New York, mentre con The Shoemaker and the Tea Party. Memory and the American Revolution, Beacon Press, 2000, ha offerto, attraverso la storia del calzolaio Gorge Robert Twelves Hewes, uno spaccato del protagonismo popolare nella Boston rivoluzionaria. Di recente ha pubblicato una raccolta nella quale affronta l’impatto della nuova storia e la paura che le

Sebbene non direttamente rivolta alla storiografia della «sintesi repubblicana» che andava parallelamente consolidandosi, la nuova storia, per chi voglia considerarne la portata, pone non pochi interrogativi alle narrazioni di Bailyn, Gordon Wood e, soprattutto, Pocok. La questione che ci pare centrale è quella che differenzia metodologicamente le microstorie portate alla luce dagli studiosi degli «inarticolati» e dagli altri contributi che hanno permesso di andare «oltre i fondatori»3, le prime intente a tracciare i legami di lungo periodo tra il pensiero

politico dei rivoluzionari e dei partecipanti al dibattito sulla ratifica con le correnti di pensiero europee, i secondi invece rivolti alle tante specificità delle esperienze politiche delle persone comuni. E proprio la differenza delle produzione editoriali dei due approcci, grandi volumi e raccolte di saggi, dice qualcosa sulle loro diverse prospettive: le seconde, delle quali si è già detto, si differenziano dalle prime, identificate come espressione della corrente ideologica della storiografia americana4.

Questa corrente non era stata introdotta dagli autori della «sintesi repubblicana», ma era una diretta conseguenza del tentativo compiuto dagli storici del consenso, nel secondo dopoguerra, di delegittimare la storiografia progressiste. Alla lettura puramente lockiana della Rivoluzione avanzata da Hartz fu dunque portato negli anni ’60 un doppio attacco: l’uno intento a riportare alla luce le dinamiche moltitudinarie e conflittuali della Rivoluzione, l’altro teso a spodestare Locke dal trono quale fonte primaria del pensiero politico americano.5

Il primo, attraverso la «storia sociale» e «bottom up» cercava di svincolarsi dalla filosofia politica per portare alla ribalta la presenza di una cultura politica popolare che non poteva essere spiegata con riferimento ai grandi pensatori, ma solo attraverso l’individuazione delle dinamiche sociali vissute nello specifico contesto coloniale e del dopoguerra. Questo non voleva però dire un ribaltamento in chiave popolare dell’eccezionalismo americano, né isolare quelle esperienze nel contesto continentale. Al contrario, questo approccio accoglierà gli studi di E. P.

componenti popolari della fondazione riflettono nella memoria storica degli Stati Uniti; id., Liberty Three. Ordinary People and the American Revolution, New York, NYU Press, 2006.

3 Qui intendo gli «altri fondatori» in una accezione più ampia rispetto a quella utilizzata da Cornell e riferita agli antifederalisti. Ci riferiamo in particolare alla storiografia sintetizzata in D. Waldstreicher, J. L Pasley e S. W. Robertson, ed., Beyond the Founders: New Approaches to the Political History of the Early American Republic, University of North Carolina Press, 2004, “Introduction”, pp. 1-28.

4 E’ necessario specificare che la definizione di «corrente ideologica» fa riferimento ad un’espressione in uso nella storiografia statunitense per indicare gli storici, come Bailyn e Pocock, che concentrano la loro discussione sulle dimensioni ideologiche della Rivoluzione americana, per differenziarli dalla storia sociale o dalla storia tout court; non vuole in alcun modo suggerire che l’approccio o le tesi di tali autori siano ‘ideologiche’.

5 Nel 1969 Stanley Katz osservava che il vecchio motto «Locke et praetera nihil» appariva ormai superato e continuava: «We are only in the opening phases of a major reassessment of our constitutional heritage»; Katz, THE ORIGINS OF AMERICAN CONSTITUTIONAL THOUGHT, Perspectives in American History, numero 3, 1969, p. 474. Tre anni dopo Shallope avanzerà l’ipotesi della «sintesi repubblicana».

Thompson sull’«economia morale» nell’Inghilterra del ‘700 e di George Rudè sul ruolo della folla in Francia e Inghilterra.6

Questo percorso verso la cultura politica popolare si trovò inevitabilmente a lasciare la storia sociale priva di una sintesi, sebbene tentativi in questo senso vennero fatti, ma questi si occuparono soprattutto del ruolo specifico del

radicalismo nella storia angloamericana,7 piuttosto che tentare una rilettura

complessiva della storia della Rivoluzione e della nascita degli Stati Uniti. La fine della storia del «consenso» aprì di fatto una fase nella quale gli storici stessi diventavano oggetti di studio per comprendere il loro utilizzo delle fonti, non senza gli strascichi di un clima accademico che non aveva ancora accettato la nuova legittimità di una lettura critica della fondazione.8 L’interesse per la

dimensione ideologica dell’esperienza politica non mancava a questi storici, ma essi lo coniugarono nei termini di mentalità e cultura politica, piuttosto che in quelli di ideologia, pensiero politico o discorso; anche per questo era necessario legare ogni conclusione ad eventi ed esperienze specifiche, evitando generalizzazioni difficili da dimostrare.

Nei confronti degli studiosi del pensiero politico, questo approccio era al contempo complementare e scomodo: poteva essere considerato complementare perchè contribuiva a fare luce su quegli aspetti della quotidianità che, inevitabilmente, le grandi narrazioni lasciavano in sottofondo, ma era anche scomodo perchè precipitava la discussione politica delle élite all’interno di una realtà molto più complessa, conflittuale e stratificata, nella quale il conflitto con la

6 Si vedano E. P. Thompson, THE MORAL ECONOMY OF THE ENGLISH CROWD IN THE EIGHTEENT CENTURY, Past and Present, No. 50, Feb. 1971, pp. 76-136 (trad. it. “L’economia morale delle classi

popolari inglesi nel secolo XVIII”, in E. P. Thompson, Società Patrizia Cultura Plebea, Torino, Einaudi, 1981, pp. 57-136) e George Rudé, La folla nella Storia (1981), trad. it Torino, Editori Riuniti, 1984. Il debito della «history from below» verso gli studi di Rudé è ribadito in Frederick Krants, ed., History From Below. Studies in popular protest and popular ideology in honour of George Rudé, Montreal, Concordia University, 1985.

7 Cfr. Margareth C. Jacob e James R. Jacob, The origins of Anglo-American radicalism, London, George Allen & Unwin, 1984; gli studiosi del radicalismo dovevano in primo luogo affrontare un problema che potremmo definire di legittimazione del loro oggetto studio. Le posizioni espresse dai rivoluzionari ‘illuminati’ sui radicali come uomini meno razionali venivano ricondotte alla filosofia lockiana del Saggio sull’Intelletto Umano, nel quale la libertà era definita a partire dalla capacità umana di sospendere il giudizio e dunque di «agire o non agire»: non erano solo Locke e i Padri Fondatori a condividere questo giudizio, la sua sedimentazione storica, infatti, si rifletteva anche nella storiografia del secondo ‘900, per le quali la dimensione popolare e radicale della rivoluzione era come un oggetto scabroso. Cfr. Friedman, THE SHAPING OF THE RADICAL CONSCIOUSNESS, cit. Si veda anche S. Lynd, Intellectual Origins of American radicalism, Cambridge-London, Harvard University Press, 1982 (1968).

8 Alfred Young si trovò a dover affrontare, come egli stesso racconta, le etichette di «rosso» e «militante» nei comitati editoriali di alcune riviste con le quali collaborava. La stessa etichetta di «new Left», pur se ben accettata da alcuni dei suoi protagonisti, denota questo differenziale di trattamento suggerendo una lettura parziale sulla scia di quella «old Left» legata al nome di Franklin Jameson e di The American revolution Considered as a Social Movement uscito nel 1926; in generale venivano definiti come «new Left» i circoli di studiosi vicini a Young, definendo in termini politici una diversa prospettiva metodologica alla disciplina. Si veda Young, AN OUTSIDER AND THE PROGRESS OF A CAREER IN HISTORY, WMQ, 3rd. Ser., vol. 52, No. 3, Jul. 1995, pp. 499-512,

madrepatria Gran Bretagna, pur rappresentando un momento unificante, non assumeva per tutti lo stesso significato. Le parole, i ragionamenti e i concetti utilizzati per giustificare la resistenza contro gli inglesi diventavano, sulla bocca dei ceti popolari, pericolose armi di insubordinazione, renitenza e, a volte, ribellione. Mentre gli storici sociali dalle pagine della Radical History Review focalizzavano la loro attenzione sull’impatto che la politica popolare aveva sulle élite, e su come queste erano costrette a ripensare la loro azione politica9 gli

studiosi delle ideologie potevano sentirsi al riparo, grazie alla differenza di statuto tra le diverse discipline e alla specializzazione della materia, che lasciava le grandi narrazioni quali unici ‘contenitori’ in grado di restituire un senso generale e complessivo del periodo rivoluzionario. La sfida più immediata alla «sintesi repubblicana» venne invece dal controrevisionismo liberale.