• Non ci sono risultati.

Ciò che deve essere messo in risalto dell’indagine che qui viene presen­ tata nei primi risultati conseguiti è che, diversamente dalla tendenza affio­ rata nelle ricerche e negli studi sinora svolti, la condizione di esercizio del­ la professionalità docente viene esaminata nella prospettiva di auspicabili e possibili miglioramenti. Non che gli aspetti di criticità siano trascurati o posti in ombra, ma l’intenzionalità dell’Osservatorio sulla salute e sul be­ nessere degli insegnanti è quella di ricercare i percorsi attraverso i quali il ruolo sociale e professionale di chi si dedica all’insegnamento e all’educa­ zione possa essere rilegittimato e rigenerato.

Partirei da questa osservazione iniziale per svolgere un ragionamen­ to, necessariamente breve, sulla necessità che l’indagine sia estesa al con­ testo generale che ha incidenza sull’esercizio della professionalità docente. In particolare, non riesco a sottrarmi alla tentazione di rinvenire nei carat­ teri che questo contesto denuncia la possibile difesa della professionalità di cui si discute o le premesse per una sua deriva. Ancora più in dettaglio, an­ drebbe tenuto presente che l’istituzione scolastico-educativa, nel cui ambito si spende l’azione dei docenti e degli educatori, è essa stessa oggi indebo­ lita dal punto di vista della sua credibilità sociale e della fiducia che in es­ sa ripongono i genitori e gli stessi allievi. Si ha riscontro di tale rilievo da parte di scrupolose indagini ricorrentemente svolte da istituzioni ed enti di ricerca quali Eurispes, Telefono Azzurro e altri.

Se l’Istituzione della quale si fa parte non conserva prestigio sociale e credibilità, è improbabile che si possa rivendicarne, per i suoi rappresen­ tanti e componenti, il carattere di alto profilo culturale che un tempo le ve­ niva riconosciuto, per il fatto che ad essa si dovevano l’acculturazione, la qualità degli apprendimenti e l’ascesa sociale di soggetti che nella Scuo­ la rinvenivano le occasioni e le opportunità per dare senso ai principi di li­ bertà, di uguaglianza, di solidarietà, di democrazia ispiratori del vivere in comunità.

Potrei essere tentato, come ho fatto in altra occasione, di osservare che il malessere che tocca la professionalità docente, non soltanto nel nostro Pae­ se, è espressione di un più generale malessere che ha interessato per lunghi lustri la civiltà occidentale europea, e che trova nelle vicende del “seco­ lo infelice” (secolo ventesimo) di cui parla I. Kertesz un fattore generativo i cui effetti si propagano anche all’inizio del secolo che stiamo attraversan­ do. Tuttavia, per ripiegare su terreni meno esposti alle provocazioni sugge­ rite dalla filosofia dell’educazione, e meno sensibili ai rischi che si possono correre guardando pessimisticamente a quella che, tenuto conto delle gran­ di sfide che oggi si pongono, un pensatore ha chiamato la possibile “cata­ strofe educativa in preparazione”, si è costretti ad ammettere che il ruo­ lo sociale, le funzioni e la preparazione del personale che si occupa della Scuola appaiono, senza alcun dubbio, severamente contrassegnati da note preoccupanti, riconducibili a quadri sociologici e psicologici che andrebbe­ ro maggiormente esplorati.

Anche se tali riferimenti non sono da rimuovere, non ci si può fermare a registrare, sulla base di ricerche e indagini sia interne che internazionali (vedi quelle svolte sotto l’egida dell’Unesco), che i docenti hanno una me­ dia di età anagrafica elevata; che sono stati talora formati sommariamente senza un reale sostegno accademico (il trenta per cento di essi risulterebbe privo di diploma di laurea); che sono esauriti emotivamente e non si sento­ no realizzati professionalmente; che sono ancora in buona misura (quindici per cento, almeno) in situazione di precariato; che vivono la loro professio­ ne ormai senza particolari stimoli e spesso in condizione di conflittualità (con gli allievi, con i genitori).

Si abdicherebbe all’imperativo, proprio della pedagogia, di avvalora­ re l’impegno dei docenti come alto mandato e funzione sociale di qualità, se ci piegassimo ad una lettura della loro condizione professionale nei ter­ mini costrittivi, sacrificali e martoriati che ne mettono in ombra le profon­ de ragioni che sono alla base di quella che nell’immaginario collettivo, fino a qualche tempo fa, veniva intesa come una vera e propria “chiamata” per l’educazione.

E, dunque, se di crisi si dovrà tener conto, quando ci si riferisce alla condizione in cui oggi si esercita l’insegnamento, non si dovrà commette­ re l’errore di accentuarne i caratteri e gli elementi di complessità, spargen­ do su di essa lacrime e rimpianti; piuttosto, occorrerà fondare su possibili aspetti di positività, che pure non vengono negati, la fiducia che questa cri­ si possa verosimilmente risolversi.

I risultati ai quali per il momento perviene l’indagine svolta dall’Osser­ vatorio, e di cui qui si dà conto, non offrono, a mio avviso, elementi di par­ ticolare novità relativamente sia al contesto di appartenenza, sia agli aspetti di natura psicologica e medica che riguardano l’esercizio della

professiona-lità docente. Il quadro generale risulta confermato nel degrado delle strut­ ture fìsiche e materiali; le relazioni tra colleghi sono difficili; i fattori di ri­ schio perché le energie psichiche e fìsiche possano accusare sfinitezze sono rilevanti; le patologie al livello psichiatrico derivanti da un impegno che costa sempre più fatica o noia, molestia o pena si rivelano inconsuete ri­ spetto ad una tradizione professionale ammantata una volta dalla bellezza, dalla creatività, dalla voglia di ricerca, dagli ideali, da quella che M. Luisa Bigiaretti ha chiamato “un’affascinante avventura”.

Tutto questo è pur vero e appare confermato, ma come fronteggiare le numerose difficoltà in cui ci si trova? L’indagine propone, come si può evincere dalla lettura dei risultati ai quali per il momento perviene, alcune ipotesi d’intervento che vanno dall’organizzazione di un Osservatorio sulla salute e sul benessere dei docenti alla promozione di azioni di fronteggia- mento e di difesa (resilienza, coping). Queste misure si collocano, così mi sembra di poter osservare, in una prospettiva di positività piuttosto che di azione di contrasto. Tale visione va condivisa perché fondata su quei fattori (vigore, dedizione, orgoglio, senso di efficacia) che, nonostante tutto, sem­ brano sopravvivere nella professione docente all’andamento dei dati patolo­ gici e di sofferenza.

C’è, però, un aspetto del problema che andrebbe approfonditamente in­ dagato e che va oltre tutto ciò che i dati sociologici rilevati rappresentano e denunciano. Non si può trascurare il fatto che assistiamo da tempo ad un processo di vera e propria mutazione antropologica dovuta a cause di varia natura. L’avvento delle nuove tecnologie, i nuovi orizzonti aperti dalle sco­ perte in ambito scientifico, le insicurezze, il relativismo, la riflessione pre­ occupata sul futuro, le scelte da operare sul piano dell’etica: tutto ciò ha in­ cidenza sui contesti sociali e sulla stessa visione che si ha dell’uomo e dei fini cui tende. L’ambito dell’educazione ne risente sensibilmente e mette in discussione in modo severo il ruolo di chi deve occuparsi dei processi d’i­ struzione e di formazione. Questo ruolo risulta oggi appannato, posto in forse dalla minacciata perdita di legittimazione sociale del luogo in cui per elezione si sono svolte e si svolgono ancora le attività d’istruzione e la fun­ zione educativa. Non ci si può sorprendere se una sorta di “male oscuro” si fa strada nel modo d’essere e nei comportamenti collettivi e, di conseguen­ za, in quelli dei docenti e degli educatori.

Sarà, quindi, buona cosa riuscire nell’intento di restituire ai docenti quelle condizioni di libertà e, come ho osservato in altra occasione, il ruo­ lo di orgogliosa soggettività e presenza che è proprio dell’educazione. Pro­ babilmente, si potrà, così, andare alla radice di quei fenomeni di stress che hanno procurato e procurano tanto malessere tra gli insegnanti.

Ecco, un Osservatorio sul benessere dei docenti dovrà rovesciare i ter­ mini della propria indagine, non cessando certo d’indagare sui fattori che

guastano la bellezza dello stare in classe, ma prestando attenzione priorita­ ria a tutti quegli elementi che sono in grado di costruire una professionali­ tà felice, in grado di governare in modo sereno e motivato la relazione edu­ cativa.

Va da sé che occorre intervenire radicalmente sulla formazione inizia­ le e in servizio del personale docente, rivedendo l’offerta formativa,la strut­ tura didattica e le metodologie dei corsi universitari che portano all’inse- gnamento. Condivido le affermazioni fatte dall’amico I. Fiorin circa il fatto che l’Università non ha prestato la dovuta attenzione alla dimensione pro­ fessionale dell’insegnamento; ma, questo è un discorso da sviluppare in al­ tra sede.

Postfazione