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di Carmela Di Agresti

1. Temperie culturale e interrogativi sulla formazione

Il contesto storico culturale in cui gli insegnanti oggi operano ha mol­ te caratteristiche inedite e riflette contraddizioni che sono proprie del pen­ sare e del vivere contemporaneo. La società è stata sottoposta a rapide tra­ sformazioni che impongono una profonda revisione della formazione a tutti i livelli di scolarità. Per l’incidenza che hanno sui processi formativi richia­ mo in particolare: i cambiamenti in atto in tutti gli ambiti di vita e di azio­ ne dell’uomo per effetto dell’esplosione inarrestabile delle conoscenze nei diversi campi del sapere; il capillare diffondersi delle strumentazioni tec­ nologiche che hanno rivoluzionato la comunicazione umana, le modali­ tà conoscitive e relazionali, gli stili di vita e di pensiero, le scelte valoriali, i legami di convivenza; le accresciute richieste di formazione professionale provenienti dal mondo occupazionale per l’inserimento nel lavoro dei gio­ vani. Questi e molti altri fenomeni rivelano un variegato insieme di nuove opportunità e di altrettanti condizionamenti, di problemi insoliti e di inter­ rogativi sull’oggi e sul futuro del genere umano, di tacite o espresse esigen­ ze reali e sovraccarico di bisogni indotti. La ricaduta di tutto ciò sui giova­ ni, sul modo di guardare la realtà o di subirla è facile da rilevare. Si tratta di un pensare e sentire che irrompe prepotentemente nelle aule scolasti­ che, traducendosi in sfide educative. Interrogativi spontanei nascono in chi si occupa di formazione: quale scuola serve e con quali competenze deve essere formato l’insegnante per dare risposte adeguate alle esigenze attua­ li degli alunni?

Questi interrogativi ho rivolto a me stessa tante volte nei non pochi an­ ni in cui sono stata impegnata nella docenza per la formazione degli inse­ gnanti, sollecitata anche, per non dire costretta, dal costante confronto con le diverse stagioni riformistiche della politica scolastica in Italia (ma non solo). Trasformazioni continue non restavano senza effetti sulle aspettati­ ve professionali dei futuri insegnanti e sui loro bisogni formativi. Ho avuto modo di riscontrare rapidi e inattesi cambiamenti di direzione politica cir­ ca contenuti, obiettivi, modalità attuative, tentativi di sperimentazioni, ri­ cavando, dall’insieme, l’idea di un quadro prospettico fluttuante, confuso, frettoloso. Le coordinate istituzionali consolidate entravano gradualmen­ te in crisi e diventavano sempre meno riconoscibili; l’interrogativo su qua­ le formazione per coloro che si preparavano ad operare nel mutato contesto scolastico non poteva che diventare sempre più sentito.

Gli interrogativi sui luoghi, sui tempi e sui modi della formazione del­ le nuove generazioni, e sulla qualità della formazione dei responsabili del­ la loro crescita non sono esperienza nuova nella riflessione pedagogica co­ me negli ambiti di saperi affini. Tante volte essi sono stati posti con serietà e impegno lungo il cammino storico dell’umanità, prevalentemente nei

mo-menti di forti trapassi culturali. Le domande attuali sono nuove nella for­ ma, ma identiche nel riproporre problemi di sempre relativi al diritto/do- vere degli adulti di educare le nuove generazioni. In contesti di riferimento dissimili, in altre condizioni di vita, con differenti sensibilità e consapevo­ lezze, sempre ci si è interrogati su come garantire ai giovani il fondamen­ tale diritto di essere orientati, motivati nella crescita, accompagnati nei pri­ mi passi per acquisire conoscenze e responsabilità. Gli interrogativi, come accennato, diventano più assillanti nei momenti di dubbi e incertezze sul presente e sul futuro dell’uomo e della convivenza umana, segno di un av­ vertito squilibrio che si riscontra tra le diverse dimensioni dell’essere e dell’agire umano.

Riproporre l’interrogativo oggi mi sembra atto doveroso per rintracciare gli squilibri e riflettere sulle contraddizioni che attraversa la nostra odier­ na cultura. Tra questi squilibri vorrei sottolinearne in particolare uno che, a mio parere, ha una forte incidenza sul tema che qui interessa, ed è la ten­ denza a sminuire la funzione dell’insegnante nel processo formativo, fino al punto di giudicarla quasi del tutto sostituibile. Non sono sufficienti le ge­ neriche affermazioni che la sua presenza è importante, se si considerano proposte avveniristiche che ipotizzano la sua totale scomparsa nei proces­ si di apprendimento/formazione delle giovani generazioni in un futuro non lontano. Le sue funzioni, si sostiene, possono essere sostituite con strumen­ tazioni appropriate, di più sicura efficacia e di minor costo. L’incompren­ sione di una delle più qualificate attività umane è rivelazione, a mio parere, di un riduzionismo della complessa realtà uomo che è pericoloso e fuor- viante. Una idea uomo stretta e unidimensionale ha come conseguenza la perdita di significatività di chi ha il dovere/compito di trasmettere l’uma­ no a chi si prepara a viverlo pienamente Ipotesi suddette producono un ac­ crescimento di sfiducia nel ruolo dell’insegnante come “maestro di vita” e non solo come trasmettitore di conoscenze, e ne mortificano la vera identi­ tà professionale.

Prendere a tema di riflessione la qualità della formazione degli inse­ gnanti ha un preciso obiettivo: giustificare la ferma convinzione che tale presenza è insostituibile in quanto ciò che è umano, nell’uomo, si trasmet­

te soltanto attraverso l ’umano (Ebner, 1931). Con diverse formulazioni, il

sintagma attraversa le alterne vicende della riflessione pedagogica di ogni tempo e oggi, in un momento di vera mutazione antropologica, rispunta con una particolare cogenza, considerato il dilagare di tante forme di di­ sumanazione e di smarrimento esistenziale delle nuove generazioni. In sin­ tesi, con l’enunciato che l ’umano si trasmette soltanto attraverso ruma­

no si vuole sottolineare che per diventare uomo c’è bisogno di un tipo di

trasmissione che è possibile soltanto mediante una modalità che può esse­ re definita esemplare o, come i grandi maestri scandagliatori dell’umano

amano esprimersi, per via di contagio. Del contagio protagonista può esse­ re soltanto l’uomo.

Si è fatto già cenno alle molteplici frustrazioni che subiscono oggi gli insegnanti. Esse non sono dovute soltanto alle non chiare linee di politi­ ca formativa, ma ci sono anche gli spostamenti di focus, segnatamente sui contenuti da trasmettere e sulle aspettative enfatizzate di esiti garantiti da raffinate strumentazioni tecnologiche. Nelle linee emergenti si riscontra un interesse prevalente per l’asse culturale scientifico e tecnologico, men­ tre scarsa è l’attenzione prestata all’asse culturale umanistico. Il motivo, in­ sistentemente ripetuto a giustificazione di questo slittamento, è la necessità di recupero del vistoso ritardo della cultura scientifica nella scuola italia­ na, ritardo che ci vede penalizzati nella competizione internazionale rela­ tiva alla evoluzione dei saperi e allo loro applicabilità al mondo del lavoro. Sarebbe di certo ingenuità negare tale stato di fatto, come pure sottovaluta­ re che i saperi scientifico-tecnologici giocano un ruolo essenziale nelle sfi­ de che la società della globalizzazione deve affrontare anche attraverso la formazione. La questione sollevata, però, pur legittima per l’esigenza che pone, non convince e non giustifica la marginalizzazione dell’interesse per l’asse culturale umanistico che da sempre ha rappresentato il vivaio di mo­ tivazioni forti per l’identità professionale del docente. A me sembra che la soluzione vada cercata nel migliorare la qualità dell’insegnamento scienti­ fico da cui è derivato il ritardo riscontrato e non nel ridurre il problema ad una semplice quantità di contenuti.

Si chiarirà meglio in seguito il senso di quanto appena affermato. Qui mi limito a dire che se trasmessi in maniera rigorosa e appropriata senza dubbio i saperi scientifici e tecnologici costituiscono un insieme di cono­ scenze adeguate a fornire gli uomini di informazioni utili e sicure per im­ mettersi nel mondo vasto della cultura, della politica, dell’economia, del lavoro ecc. Della loro indiscussa efficacia testimoniano l’autorevolezza, unanimemente riconosciuta ed apprezzata di cui gode chi ne è in posses­ so, il progresso che ne scaturisce, i bisogni che soddisfa. Questi innegabili vantaggi, tuttavia, hanno spinto ad affrontare il problema della crisi educa­ tiva su un solo versante, quello di aumentare contenuti scientifici e di forni­ re metodologie e strumenti di garantita efficacia, ignorando altre cause che generano vuoto di significati. In altre parole, aumentare le competenze de­ gli insegnanti in tale direzione è obiettivo importante da non trascurare, ma non sufficiente, se non si prende atto della seconda componente della crisi che è anche di senso. Le due componenti non si possono identificare o con­ fondere. Una migliore strumentazione oggettiva è indispensabile per mi­ gliorare l’attività di insegnamento, ma non può sostituire quella che Edda Ducci chiama la strumentazione soggettiva (Ducci, 2002, p. 15). La natura complessa dell’uomo e l’eterogeneità dei bisogni formativi che essa esprime

contrasta con il tentativo di cercare risposte esaustive su un solo versante. Chi forma deve guardare all’alunno nella sua totalità e prestare attenzione a tutti i bisogni formativi che sono diversi e non interscambiabili. Un breve richiamo alla struttura costitutiva di ogni agire umano aiuta a individuare la diversità di tali bisogni e la necessità di offrire risposte adeguate.