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Risultati preliminari e descrittivi 1. Rilevazione dei livelli di burnout

di Virna Galimberti, Aldo Conforti, Caterina Fiorilli

1.2. Risultati preliminari e descrittivi 1. Rilevazione dei livelli di burnout

Nella traduzione italiana il termine burnout è tradotto come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito” e sta ad indicare il crollo dell’operatore rispetto al­ le aspettative derivanti dall’attività professionale, inoltre esso indica il suo cedimento a livello fisiologico, psicologico e comportamentale. La sindro­ me è stata studiata da molti autori tra i quali: Freudenberger (1974), Cher- niss (1983) e Kristensen (2005). I primi studi e le ricerche più approfondite sulla sindrome del burnout sono da attribuire alla ricercatrice statunitense Maslach (1986) che iniziò a studiare la sindrome nel campo socio-sanitario.

La ricercatrice presentò le sue prime idee nel corso del convegno annua­ le dell' American Psychological Association tenutosi nel 1973. Successiva­ mente, nel 1976, sviluppò un costrutto più organico del processo di burnout che descrisse in un contributo nella rivista Human Behaviour, l’articolo eb­ be una reazione positiva sia nella comunità scientifica che nell’opinione pubblica di allora. Infatti, gli studiosi iniziarono ad interessarsi al proble­ ma e tale articolo fu assegnato come lettura obbligatoria in vari program­ mi di formazione e di aggiornamento. A lei va riconosciuto sia il merito di avere accentuato maggiormente gli aspetti emotivi di tale concetto, che di aver fornito un’attenta definizione concettuale e operativa del fenomeno, come anche il merito di aver affrontato lo studio del burnout in modo siste­ matico e approfondito.

Malach (1986) definisce la sindrome del burnout come una reazione al­ la tensione emozionale cronica creata dal contatto continuo con altri esse­

ri umani, soprattutto quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza; il nucleo della sindrome è uno schema di sovraccarico emozionale segui­ to dall’esaurimento emozionale, l’individuo si sente svuotato e sfinito, gli manca l’energia per affrontare un altro giorno, le sue risorse sono consu­ mate e non ci sono sorgenti da cui attingerne di nuove.

Il modello ultimo della sindrome proposto dalla ricercatrice americana mette in risalto tre aspetti: esaurimento emozionale, depersonalizzazione e la ridotta realizzazione professionale.

L’esaurimento emotivo si riferisce alla perdita di energia ed alla sensa­ zione di aver esaurito le proprie risorse emozionali per affrontare la quo­ tidianità, in questo ambito il sintomo ricorrente è il terrore dell’idea di do­ versi recare al lavoro il giorno seguente.

La depersonalizzazione si presenta come un atteggiamento di allonta­ namento e di rifiuto nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura; essa consiste nel trattare i destinatari della prestazione come oggetti e non come persone, nel dimo­ strare distacco ed insensibilità verso gli utenti, i collaboratori e l’organiz­ zazione.

I sintomi della depersonalizzazione comprendono: l’utilizzo di un lin­ guaggio denigratorio, risposte comportamentali negative e/o sgarbate, pau­ se e conversazioni prolungate con i colleghi. L’operatore tenta così di sottrarsi al coinvolgimento limitando la qualità e la quantità dei propri in­ terventi professionali, sino al punto di sfuggire alle richieste di aiuto e di sottovalutare i problemi dell’utente.

La ridotta realizzazione personale fa riferimento ad un sentimento di fallimento professionale in quanto l’operatore percepisce la propria inade­ guatezza al ruolo e al lavoro svolto; rappresenta, in sostanza, la tendenza ad autovalutarsi negativamente.

Nel 1981 Maslach e Jackson elaborarono una scala standardizzata di mi­ surazione del burnout: Maslach Burnout Inventory (MBI).

Recentemente Kristensen e collaboratori (Kristensen, Borritza, Villadse- na e Karl, 2005) hanno proposto l’idea che il burnout possa avere origine e sostanza anche in altri ambiti relazionali non direttamente lavorativi, in questo senso le difficoltà del lavoratore sono considerate su tre piani: la vi­ ta privata, i compiti legati al lavoro e le relazioni nei contesti professiona­ li. A tale scopo gli autori hanno elaborato uno strumento per la misurazio­ ne del burnout: il Copenhagen Burnout Inventory (CBI).

Il CBI si compone di tre scale su scala Likert a 5 punti (sempre, spesso, qualche volta, raramente mai): burnout personale, composta da 6 item (BP, ne sono esempi: “Quanto spesso si sente sfinito?”, “Quanto spesso si sen­

te di non avere più energie?”), burnout lavorativo, composta da 7 item (BL,

nata di lavoro”, “Ritiene di avere sufficienti energie ne tempo libero per la famiglia e gli amici?”) e burnout legato all’utenza, composto da 6 item

(AB, ne sono esempi: “Pensa sia faticoso lavorare con gli studenti?”, “Pen­

sa di dare molto di più di quello che riceve lavorando con gli studenti?”).

La scala del burnout personale è stata introdotta per facilitare il con­ fronto tra gli individui analizzati, indipendentemente dallo status lavorativo che ricoprono. Tale scala è stata elaborata per individuare lo stato di stan­ chezza e affaticamento del lavoratore, infatti gli autori del CBI definiscono il burnout personale come il grado di fatica fìsica e psicologica e lo stato di esaurimento vissuto dalla persona.

La scala del burnout lavorativo è stata elaborata poiché ogni persona ha un’attribuzione soggettiva dei propri sintomi ed è utilizzata per cercare di capire se lo stato di malessere del lavoratore è dovuto a cause lavorative o extra lavorative come ad esempio problemi di salute.

Kristensen et al., infatti, definiscono il burnout lavorativo come il gra­ do di stanchezza psicologica e fisica percepita dal lavoratore in relazione al suo lavoro. Il confronto delle prime due scale del questionario permette di individuare le persone in burnout e soprattutto coloro che attribuiscono tale sindrome al lavoro svolto.

La terza scala valuta il burnout correlato all’utenza (nel nostro caso gli studenti), questa dimensione vuole individuare le persone in burnout che percepiscono il lavoro con un continuo contatto con le persone come fon­ te di stanchezza fisica, psicologica e di esaurimento emotivo (vedi tab. 1).

Dalla letteratura nazionale e internazionale analizzata anche nei capitoli precedenti emerge che la sindrome è un processo in cui lo stress si conver­ te in meccanismo di difesa, una sorta di strategia che la persona adotta per rispondere alle tensioni stressanti che si accumulano durante lo svolgimen­ to della propria attività con conseguenti comportamenti di distacco emo­ zionale ma anche di corrosione psicologica dovuta al contatto prolungato con le esigenze e i bisogni altrui.

Tab. 1 - Statistiche descrittive punteggi ottenuti dal nostro campione sulla scala del CBI

Media Deviazione std.

CBI Personale 3,20 ,906

CBI Lavorativo 3,62 ,854

CBI Studenti 3,52 ,866

Nel dettaglio le risposte degli insegnanti ai diversi item che compongo­ no il CBI sono rappresentante nelle figure successive (vedi Fig. da 1 a 19).

Quanto spesso si sente sfìnito/a? 4 0 % 35% 3 0 % 2 5% 20% 15% 10% 5% 0%

Sempre Spesso Qualche Raramente Mai volta

Fig. 8 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Personale (item 1)

Quanto spesso si sente affaticato/a fisicamente? 4 0 % 35% 3 0 % 25% 20% 15% 10% 0% S e m p re S p e sso Q u a lc h e R a ra m e n te M a i v o lta

Fig. 9 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Personale (item 2)

Quanto spesso si sente emotivamente spento/a? 40% ' ... ... ... ... ...35%

Sempre Spesso Qualche Raramente M ai volta

Fig. 10 - Frequenze di risposta agli items che compongono la scala del Burnout Personale (item 3)

Sempre Spesso Qualche Raramente Mai volta

Fig. 11 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Personale (item 4)

Quanto spesso si sente di non avere più energie?

Sempre Spesso Qualche Raramente Mai

volta

Fig. 12 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Personale (item 5)

Quanto spesso si sente debole e che sta rischiando di ammalarsi?

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Q u a n to s p e s s o si s e n te e s a u r ito /a a lla fin e d i u n a g io r n a ta d i lav o ro ?

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Fig. 14 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Lavorativo (item 1)

Al mattino si sente privo/a di energie al pensiero di un altro giorno di lavoro?

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Fig. 15 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Lavorativo (item 2)

30% 25% 20% UH 10% 5% 0%

Sente che ogni ora di lavoro in più è stancante per lei? ... i..29%

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Ritiene di avere sufficienti energie nel tempo libero per la famiglia e gli amici?

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Fig. 17 - Frequenze di risposta agli items del B urnout Lavorativo (item 4)

Il suo lavoro è emotivamente estenuante?

Fig. 18 - Frequenze di risposta agli items del B urnout Lavorativo (item 5)

Il suo lavoro la frustra?

Sempre Spesso Qualche volt* Raramente ■ Mai F ig . 19 - F r e q u e n z e d i r i s p o s t a a g li ite m s d e l B u r n o u t L a v o r a t i v o (ite m 6)

Si sente esaurito/a a causa del suo lavoro?

Sempre Spesso Qualche volti Raramente Mai

Fig. 20 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Lavorativo (item 7)

Pensa sia faticoso lavorare con gli studenti?

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Fig. 21 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Studenti (item 1)

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Pensa sia frustrante lavorare con gli studenti?

Sempre Spesso Qualche Raramente Mai volta

Fig. 23 - Frequenze di risposta agli items che compongono la scala del Burnout Studenti (item 2)

Pensa di dare molto di più di quello che riceve lavorando con gli studenti?

35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0%

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Fig. 24 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Studenti (item 4)

È stanco/a di lavorare con gli studenti?

70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0%

Sempre Spesso Qualche volta Raramente Mai

Sempre Spesso Qualche volta Raramente M ai

Fig. 26 - Frequenze di risposta agli items del Burnout Studenti (item 6)

1.2.2. Rilevazione dei livelli di engagement

Pur essendo tutti sottoposti allo stesso stress professionale non tutti rea­ giscono allo stesso modo. Gli insegnanti, ad esempio, si differenziano an­ che per il livello di engagement che avvertono verso la propria professio­ ne. Con questa espressione (engagement) si fa riferimento all’impegno che si avverte verso il proprio lavoro e alla disponibilità verso di esso in termi­ ni di energie da investire.

L’engagement non è una condizione opposta al burnout ma può esser­ ne considerato il “lato positivo”, in quanto, i vissuti legati allo stress pos­ sono presentarsi in ogni aspetto della vita quotidiana e il coinvolgimento nell’attività lavorativa rappresenta un fattore di protezione rispetto ai vissu­ ti stressogeni.

L’engagement non è soltanto lavorare con passione e soddisfazione, ma è anche produttività, in quanto un lavoratore engaged ha risultati migliori vista la dedizione che mette nel lavoro. Queste persone lavorano intensa­ mente perché spinte da una forte motivazione intrinseca, ovvero lavorano per il gusto di farlo e non per una ricompensa esterna, si divertono, so­ no particolarmente attivi e tendono a trasmettere feed-back positivi; i lo­ ro valori, inoltre, sono coincidenti con quelli dell’organizzazione. Il work engagement, quindi, porta molti benefici, sia a livello individuale, che aziendale.

È necessario, però, distinguere tra work engagement e dipendenza da lavoro (Van Horn, Taris, Schaufeli e Schreurs, 2004). La differenza tra questi due aspetti è nella spinta che porta a lavorare intensamente e non nell’intensità con cui si lavora. Per un individuo dipendente il lavoro diven­ ta un obbligo e un dovere ed è spinto da un bisogno compulsivo di lavorare

per non sentirsi in colpa o inutile, a scapito spesso di molti aspetti della vi­ ta privata. Per un lavoratore engaged, invece, lavorare è un piacere a nello stesso tempo danno valore e investono anche nella vita privata.

L’eccessivo carico di lavoro, in alcuni casi, può determinare stress cro­ nico che, in aggiunta a richieste emotivamente impegnative, come nel caso degli insegnanti, possono portare a sviluppare la sindrome del burnout. In­ vece di sentirsi piene di energie le persone in burnout si sentono senza ri­ sorse, esaurite, e invece di dedicarsi al loro lavoro se ne distanziano men­ talmente ed emotivamente (Schaufeli e Bakker, 2004).

C’è anche un altro aspetto da considerare: il sottocarico di lavoro, come nel caso dei lavori routinari. In questo caso le persone si sentono annoiate e demotivate e rischiano di sviluppare un altro tipo di sindrome, quella del

boreout (annientamento) (Schaufeli, Dijkstra e Borgogni, 2012).

Si può dire, quindi, che sia richieste lavorative eccessive sia richieste troppo poco stimolanti possono essere dannose per il lavoratore.

La condizione lavorative ideale si viene a creare quando la persona si sente engaged e non annoiata, esaurita oppure dipendente.

L’engagement lavorativo è definibile come una condizione psicologica associata al lavoro, positiva e soddisfacente, caratterizzata da vigore, de­ dizione e coinvolgimento (Schaufeli, Salanova, Gonzalez-Roma e Bakker, 2002). L’engagement si riferisce a uno stato cognitivo ed emotivo persisten­ te e pervasivo, non focalizzato su uno specifico oggetto, evento, individuo o comportamento.

La concezione a tre dimensioni dell’engagement proposta da Schaufe­ li e collaboratori riprende quella introdotta da May, Gilson e Harter (2004) secondo la quale l’engagement è costituito da una dimensione fìsica (vigo­ re), da una dimensione emotiva (dedizione) e da una dimensione cognitiva (coinvolgimento).

Il vigore risulta caratterizzato da elevati livelli di energia e resistenza mentale allo stress durante il lavoro, dall’essere disponibili a investire ener­ gie nel proprio lavoro, e dalla persistenza anche di fronte alle difficoltà. La dedizione si riferisce alla sensazione di dedicarsi con passione al proprio lavoro e, conseguentemente, dall’esperire un senso di significato, entusia­ smo, ispirazione, orgoglio e sfida. Il coinvolgimento riguarda l’essere pie­ namente concentrati e felicemente assorbiti nel proprio lavoro, attraverso il quale il tempo passa velocemente e si ha difficoltà a distaccarsene (Schau­ feli e Bakker, 2004).

Se la preoccupazione principale degli psicologi del secolo scorso è sta­ ta quella di rimediare ai deficit e alle disabilità degli individui, ora il fo­ cus sembra spostarsi sul tentativo di costruire quelle caratteristiche posi­ tive che possano permettere ad individui, comunità e società di crescere e

migliorare: una visione esaustiva può emergere soltanto dall’analisi sia de­ gli aspetti negativi che di quelli positivi, così come dallo studio della loro interazione.

Si assiste pertanto al passaggio da un atteggiamento di correzione ad uno di progettazione: dalla focalizzazione sul disagio e sulla devianza al pensiero positivo, dalla preoccupazione di curare i sintomi alla promozione delle potenzialità. Questa attenzione sul funzionamento ottimale dell’essere umano, sulle potenzialità piuttosto che sulle debolezze o disfunzioni rien­ tra in quel movimento più generale definito Psicologia Positiva (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000).

L’idea di fondo è che una situazione lavorativa sana non si sviluppi sol­ tanto grazie all’assenza di fattori negativi, ma può essere raggiunta pro­ muovendo caratteristiche positive.

Anche i lavoratori engaged si sentono stanchi alla fine di una giorna­ ta, ma la loro stanchezza è associata ad un senso di appagamento ed è uno stato facilmente recuperabile, mentre i lavoratori in burnout sperimentano soltanto gli aspetti negativi della stanchezza e si sentono privi delle risor­ se necessarie a far fronte alle richieste del lavoro. Quindi, quello che dif­ ferenzia un lavoratore coinvolto ed entusiasta del proprio lavoro ed uno in burnout è la capacità di adattamento alle situazioni stressanti. Fondamen­ tali quindi sono due aspetti: la resilienza, ovvero la capacità di persistere e fronteggiare efficacemente le difficoltà e l’utilizzo di efficaci strategie di coping.

Wilmar Schaufeli e Arnold Bakker (2003) hanno sviluppato un questio­ nario self-report - chiamato Utrecht Work Engagement Scale (UWES) - che misura i livelli di engagement dei lavoratori ed è stato inserito nel pro­ tocollo dell’ONSBI. Può essere utilizzato sia con finalità di ricerca che di verifica dell’efficacia di interventi di promozione della salute nei contesti lavorativi.

Lo strumento è composto da 17 item, con scala di risposta formato Li­ kert a 7 punti (da 0 = “Mai” a 6 = “Sempre”) che misurano le tre dimen­ sioni del costrutto: il vigore (6 item, di cui un esempio è “Nel mio lavoro,

mi sento pieno di energia”), la dedizione (5 item, per esempio “Trovo il la­ voro che faccio ricco di significati e obiettivi ”) e, infine, il coinvolgimento

(6 item, tra cui “Il tempo vola quando lavoro”).

Qui di seguito verranno riportati i punteggi medi e le deviazioni stan­ dard per la scala totale dell’engagement e le relative tre dimensioni: vigore, dedizione e coinvolgimento (vedi Tab. 2).

Tab. 2 - P u n te g g i m e d i o tte n u ti d a g li in s e g n a n ti s u lla s c a la U W E S * Media Deviazione std. Engagement totale 4,52 ,884 Engagement VIGORE 4,31 ,893 Engagement DEDIZIONE 4,72 ,994 Engagement COINVOLGIMENTO 4,58 ,925

Nelle figure che seguono sono riportate le risposte degli insegnanti alle singole domande che compongono le tre sotto-scale dell’UWES (vedi Fig. da 20 a 37).

Nel mio lavoro mi sento pieno/a di energie 40%

Quad mai Raramente Qualche vota

37%

Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 27 - Frequenze di risposta alla scala Vigore d ell’UWES (item 1)

Nel mio lavoro mi sento forte e vigoroso

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

La mattina quando mi alzo, ho voglia di andare al lavoro

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Motto spesso Sempre

Fig. 29 - Frequenze di risposta alla scala Vigore d ell’UWES (item 3)

Sono in grado di lavorare per lunghi periodi senza sosta

Fig. 30 - Frequenze di risposta alla scala Vigore d ell’UWES (item 4)

Nel mio lavoro, quando sono sotto pressione, ho notevole capacità di recupero mentali

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Motto spesso Sempre Fig. 31 - F r e q u e n z e d i r is p o s ta a lla s c a la V ig o re d e l l ’U W E S (ite m 5)

Nel mio lavoro sono sempre perseverante anche quando le cose non vanno bene

Quasi mai Raramente Qualche v o ta Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 32 - Frequenze di risposta alla scala Vigore d ell’UWES (item 6)

Trovo il lavoro che faccio molto ricco di significati e di obiettivi

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 33 - Frequenze di risposta alla scala Dedizione d ell’UWES (item 1)

Sono entusiasta del mio lavoro /

40%

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso M olto spesso Sempre

Il m io lavoro m i ispira

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso M otto spesso Sempre

Fig. 35 - Frequenze di risposta alla scala Dedizione dell’UWES (item 3)

Sono orgoglioso del mio lavoro

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 36 - Frequenze di risposta alla scala Dedizione dell’UWES (item 4)

Per me, il mio lavoro è stimolante 40%

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso M olto spesso Sempre

Il tempo vola quando lavoro

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 38 - Frequenze di risposta alla scala Coinvolgimento dell’UWES (item I)

Quando lavoro mi dimentico di tutto il resto

Quasi mai Raramente Qua lche volta Spesso Molto spesso Sempte

Fig. 39 - Frequenze di risposta alla scala Coinvolgimento dell'UW ES (item 2)

Sono felice quando lavoro intensamente

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

Sono immerso/a nel mio lavoro

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 41 - Frequenze di risposta alla scala Coinvolgimento dell’UWES (item 4)

Mi lascio prendere completamente quando lavoro 40%

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Molto spesso Sempre

Fig. 42 - Frequenze di risposta alla scala Coinvolgimento dell’UWES (item 5)

E difficile distaccarmi dal mio lavoro 2 9 %

Quasi mai Raramente Qualche volta Spesso Motto spesso Sempre

1.2.3. Rilevazione dei livelli di self-efficacy e supporto sociale

L’autoefficacia costituisce una valutazione soggettiva delle proprie carat­ teristiche e abilità ed è indubbio che la percezione di sé possa influenza­ re la persona a livello cognitivo, emozionale e motivazionale e influenzare, a sua volta, eventi e contesti. L’impegno e la soddisfazione lavorativa sono determinati in modo importante da questo aspetto.

L’autore che più si è occupato di questo costrutto è stato Bandura, che definisce la self-efficacy come le «credenze nei confronti delle proprie ca­

pacità di aumentare i livelli di motivazione, di attivare risorse cogniti­ ve e di eseguire le azioni necessarie per esercitare controllo sulle richieste di un compito» (Bandura, 1990, p. 316). La persona è considerata, quindi,

nella prospettiva sociocognitiva come un agente attivo in grado di cambia­ re l’ambiente che la circonda.

L’autoefficacia in quanto più specifica e “compito dipendente”, si diffe­ renzia dall’autostima, che riguarda invece un aspetto più globale dell’im­ magine di sé. Da vari studi, infatti, l’autostima si è dimostrata meno predit­ tiva per comportamenti specifici (Ajzen e Fishbein, 1980).

Le credenze di autoefficacia, ovvero la percezione di poter produrre de­ terminati effetti con le proprie azioni, vanno ad influire sull’individuazione e la scelta degli obiettivi da porsi (Earley e Lituchy, 1991), sulla persistenza impiegata nel raggiungimento degli obiettivi prefissati o nonostante i falli­ menti (Whyte, Saks e Hook, 1997) e sulle emozioni sperimentate nella ri­ soluzione di situazioni difficili (Maddux e Lewis, 1995).

Coloro i quali hanno un alto senso di autoefficacia si pongono obietti­