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di Carmela Di Agresti

2. Attività umana e problemi di formazione

L’essere umano, in quanto natura spirituale dotato di ragione, è l’unico tra gli esseri viventi senza una determinazione coartante ad un fine; que­ sto deve essere da lui liberamente perseguito. La libertà manifesta quindi la natura più profonda dell’uomo e qualifica il suo modo di rapportarsi con l’alterità nelle differenti forme. La libertà, poi, desume la sua qualificazio­ ne dalla qualifica attribuita all’essere dell’uomo e dal significato assegna­ to alla vita. Per realizzare il suo fine l’uomo ha perciò bisogno di chiarire la scelta di sé, di chi vuol essere, e da tale scelta dipendono tutte le singole scelte che costellano il suo vivere (cfr. Ducci 1994, p. 51). La realizzazione del fine rende necessaria la scelta dei mezzi. Il potere della ragione gli per­ mette di conquistare i mezzi necessari, sia di natura materiale sia spiritua­ le, per rendere raggiungibile il fine. La ragione, poi, esplica la sua funzio­ ne anche dando motivazione e senso al proprio agire. In quanto spirituale l’uomo, a differenza da ciò che è naturale e che può comportarsi soltan­ to in conformità con le immanenti determinazioni normative, agisce assu­ mendo un comportamento o condotta tanto nei confronti della realtà og­ gettiva quanto nei confronti degli altri esseri razionali con cui si rapporta. Il comportamento dell’uomo, tuttavia, obbedisce a leggi diverse nell’uno o nell’altro caso. Se si tratta di dare forma o elaborare realtà naturali secon­ do principi e scopi, gli oggetti possono essere trasformati in beni o servizi per raggiungere un fine che viene loro imposto, se invece si relaziona con altri soggetti, questi non possono essere trattati come mezzi a cui si impon­ gono scopi, ma l’agire si attua mediante una comunicazione comprensibi­ le di significati. In altri termini, nel rapporto con dati di natura oggettiva, mancando ad essi la capacità di reagire consapevolmente, l’uomo può usar­ li per scopi imposti, mentre nel rapporto con gli esseri umani, in quanto essi sono portatori di razionalità, vige la legge della reciprocità e non è le­ gittimo agire con essi trasformandoli in mezzi utilizzabili per scopi imposti da altri. Ciò fa si che ogni essere razionale ha fine in se stesso, è portato­ re di un diritto originario di essere se stesso, e perciò va accolto e rispetta­ to in quanto tale.

La distinzione del modo di comportarsi nei confronti dell’oggetto o nei confronti del soggetto non toglie, tuttavia, che entrambi hanno in comune

un elemento che qualifica l’agire umano, ossia che in ogni azione è neces­ sario sia porre un fine da raggiungere sia usare mezzi per la sua concreta realizzazione. L’uomo, infatti, agisce sempre secondo progettualità, e ogni progettualità presuppone che vi sia un fine da raggiungere come pure con­ dizioni reali, materiali e/o spirituali, che lo rendono concretizzabile. Dis­ sociare queste due componenti costitutive dell’azione umana, mezzo/fine, mezzi e scopo da conseguire, è togliere all’azione la qualifica propriamente umana. Questo vale per ogni agire, e per quello educativo in maniera tut­ ta propria.

Analizzando la prassi educativa attuale a me sembra di poter rilevare un forte squilibrio tra le due componenti. Le cause di tipo culturale vanno rin­ tracciate nei cambiamenti verificatesi nell’arco di tempo in cui si è passa­ ti dal sogno illuministico tipico della modernità, fondato sulla pretesa di poter prevedere e governare tutti gli ambiti di vita e di azione dell’uomo con l’unico paradigma della razionalità scientifica, al susseguente disincan­ to con il crollo delle ideologie forti e del mito del progresso indefinito. Il paradigma della post-modernità ha prodotto una forte divaricazione tra le due componenti: da una parte, infatti, si è affermata, grazie anche all’uso di sofisticate strumentazioni tecnologiche, l’avanzata inarrestabile dei sa­ peri scientifici, a cui si riconosce un potere forte, dall’altra la crisi dei sa­ peri che sono interessati a interrogarsi sul significato dell’essere e della vi­ ta umana, sulle leggi che regolano il vivere personale e comunitario, sui criteri fondativi dell’attività umana, sulle finalità comuni perseguibili ecc. Tali saperi, non potendo rispondere ai canoni della conoscenza oggettiva, sono considerati saperi deboli e non trovano il giusto riconoscimento rela­ tivamente alla loro insostituibile funzione. Nel frantumato orizzonte cultu­ rale che ne è derivato il discorso sui fini ha gradualmente perduto terreno, e, di conseguenza, anche la concezione dell’insegnamento si è venuta mo­ dificando.

L’insegnamento è tra le attività più qualificate che un soggetto adul­ to svolge verso un altro soggetto il quale, pur possedendo il diritto alla re­ ciprocità e quindi alla libertà di scelta per il possesso del potere razionale, non può ancora pienamente fruirne perché detto potere si trova in lui sol­ tanto allo stato germinale. La libertà è ancora soltanto possibilità e non re­ altà in senso vero. A chi insegna la responsabilità gli impone di rispettare la legge che regola il comportamento interpersonale e può farlo solo po­ nendo al centro di ogni sua azione il diritto fondamentale dell’alunno di es­ sere istruito, aiutato, orientato a sviluppare il potenziale di cui dispone per acquisire la capacità di operare scelte libere. Il modo attraverso cui l’inse­ gnante esplica il suo dovere è quello di emancipare nell’alunno il potenzia­ le conoscitivo offrendo nutrimento adatto alla mente sia per conquistare i mezzi di cui ha bisogno, sia per comprendere il fine da raggiungere.

Insegnare è farsi mediatori della conoscenza, ossia formare l’intellet­ to dell’alunno in modo che egli diventi padrone del percorso da compie­ re per acquisire conoscenze. La trasmissione deve avvenire in maniera che il sapere sia insieme il fine da raggiungere, ma anche il mezzo per raggiun­ gerlo. La funzione più propria dell’insegnante, perciò, non consiste tanto nel trasmettere saperi già pronti, bensì nel dare inizio a processi conosciti­ vi con lo scopo di portare l’alunno a perfezionare la sua capacità di pensa­ re. Sotto questo aspetto l’insegnante più che trasmettitore di conoscenze è l’iniziatore di processi che attivano il potere di conoscere nell’alunno e, in qualità di guida esperta, lo introduce nella comprensione della diversità di strutturazione dei differenti percorsi conoscitivi secondo la natura dell’og­ getto. Risvegliatore di questo potere essenziale, l’insegnante guida l’ap­ prendistato dell’alunno ad imparare ad apprendere nel rispetto delle leggi proprie dei tre fattori costitutivi di ogni conoscenza: l’oggetto o argomento da conoscere, le condizioni del soggetto che comprende, il tipo di attività o atto conoscitivo che il medesimo soggetto deve compiere. Tutti e tre questi fattori sono soggetti a mutamento: la conoscenza cambia in rapporto alla natura dell’oggetto da conoscere, il soggetto e l’atto conoscitivo in relazio­ ne ai differenti livelli raggiunti e alle predisposizioni naturali. L’arte/com- petenza dell’insegnante è quella di modulare diversamente e adattare con cura i percorsi da sviluppare in base a condizioni reali soggettive e ogget­ tive. Come accennato, i percorsi differiscono perché le conoscenze da ac­ quisire rispondono a tipologie diverse (cfr. Stein, 1999, p. 37). Non volendo appesantire più del consentito il discorso sulla diversità di strategie attra­ verso cui funziona la mente umana nel conoscere mi soffermo a indicare pochi elementi essenziali relativi al primo fattore, il conoscere determinato dalla natura dell’oggetto.

Nell’insegnare essenziale è aiutare a distinguere tra i diversi approcci, come, per es., tra un approccio scientifico mirante alla scoperta di leggi co­ stitutive e necessarie e/o di funzionamento sulla base di realtà già date, e un approccio di tipo filosofico che parte dalla domanda sul che cosa è ed è in­ teressato al senso e valore dell’oggetto di riflessione. L’insegnamento perde­ rebbe un suo obiettivo primario se trascurasse di avviare alla comprensione di queste differenti strategie di pensiero che sono alla base di ogni agire ra­ zionalmente motivato. Conoscenza del dato di realtà e conoscenza del sen­ so valore necessariamente devono trovare giusta coniugazione nella pras­ si umana per un agire finalizzato. In altri termini, riportando il discorso nell’ambito educativo che qui interessa, i contenuti oggetto di insegnamen­ to devono servire a sviluppare la capacità di acquisire sapere, sia quello di natura oggettiva (sapere scientifico), sia quello di natura argomentativo-in- terpretativo (di natura filosofica), e sia, infine, quel sapere di tipo pratico in cui i due precedenti trovano confluenza. La razionalità pratica, infatti, tende

a sviluppare sia competenze tecniche e comprensione del loro retto uso, sia competenze di tipo valutativo e capacità di decisioni prudenti e consapevoli per realizzare il bene-essere umano globale conosciuto e voluto.

In questa prospettiva l’insegnamento acquisisce una valenza ricca e arti­ colata quale attività che promuove acquisizione di conoscenze, competen­ ze, mediante l’iniziazione di processi conoscitivi differenziati che attivano le diversi dimensioni del potere conoscitivo dell’alunno. La qualità dell’in­ segnamento, perciò, non dipende dalla quantità dei contenuti trasmessi, né dal privilegiare un asse culturale a discapito di un altro, ma dal far rag­ giungere la padronanza degli abiti per mezzo dei quali l’alunno è avviato ad elaborare le nozioni che apprende sottoponendole alle leggi della ragio­ ne. L’azione dell’insegnare, quindi non si risolve nel fatto che l’alunno rice­ ve in condivisione il sapere dell’insegnante - a tale scopo potrebbe andare altrettanto bene, e forse anche meglio, un computer o un libro -, ma nel ri­ svegliare e guidare la capacità di saper rendere conto di ciò che ha impara­ to sotto la guida del maestro, e di come può servirsene nel passare poi dal conoscere al fare. Solo questo percorso porta alla vera autonomia l’alunno.

Ho già sottolineato l’importanza dei mezzi per raggiungere il fine e ho anche in parte motivato la scelta di riflettere particolarmente su quest’ulti­ mo. La scelta non intende deprezzare i mezzi né sottovalutare il loro pote­ re, ma contribuire a chiarire come servirsene in maniera costruttiva con un uso appropriato, restituendo in tal modo giusto senso alle conquiste dell’in­ gegno umano. Sarebbe ingenua presunzione affrontare la realtà dell’inse­ gnamento nell’era digitale senza tenere presente i cambiamenti avvenuti sia per effetto della crescita delle conoscenze in tutti gli ambiti, sia per le nuo­ ve possibilità di trasmissione delle stesse conoscenze. Solo una buona com­ prensione dei processi in atto consentono l’individuazione di alcuni nodi problematici della formazione oggi e pongono nuovi interrogativi circa la seconda componente dell’attività formativa, quella che per il momento de­ finirei la dimensione etico-valutativa. Il motivo della preferenza nasce dal fatto che il tema mi sembra abbastanza marginalizzato nel dibattito peda­ gogico, tema di cui non si parla o si parla malvolentieri.