• Non ci sono risultati.

e le applicazioni delle sue teorie alla politica finanziaria dei paesi a moneta deprezzata,

• ma non annullata (franco, lira, ecc.)

J. m. Keynes: A Tract on Monetar y Beform. (Macmillan, London, 1924.

Prezzo $ 6d).

— Lo stesso volume tradotto in francese dal titolo: La Riforme

moné-taire. Traduction de P A U L F R A N C K . ( À U X Éditions du Sagittaire, chez Simon

Kra, 6, Rue Bianche, Paris. Prezzo frane. 7,50).

Il volume del Keynes, già meritatamente celebre, più che un vero ed organico libro è una raccolta di saggi disposti secondo un criterio discutibile, che si giustifica però tenendo presente la preoccupazione dell'autore di giun-gere al gran pubblico e di interessarlo ai problemi monetari.

Non per nulla si incomincia dalla patologia coi due deliziosi cristallini capitoli relativi alle «conseguenze perla società dei cambiamenti nel valore della moneta » e alla * finanza pubblica e i cambiamenti nel valore della moneta ». Il Keynes si dimostra in queste pagine oltre che economista insigne — anzi, per dirla col Pantaleoni, in quanto economista insigne — finissimo psicologo; il lettore profano è condotto a toccare con mano le rovine del sistema monetario prebellico ed è indotto tacitamente a riconoscersi nelle fortunate o dolenti schiere dei favoriti o degli spogliati dall'inflazionismo, delle quali troppo spesso fa parte senza una precisa consapevolezza.

Stupenda è la descrizione dell'inflazione quale mezzo di tassazione; quanto

humor e quale sintesi; ad esempio, in questa frase scherzosa e sovversiva che

commenta il quadro della situazione economica dei vari paesi : in Inghilterra le ricevute dell' Incorno Tax si gettano nel cestino; in Germania le chiamano banconote e le mettono nel portafogli; in Francia sono chiamate Rendite e vengono chiuse nella cassaforte. Cosi pure è resa con fine drammaticità la lotta tra i vari ceti e limpidamente sono delineate le diverse conseguenze che può avere per ciascuno di essi una politica di inflazione, deflazione e stabilizzazione. Ecco, ad esempio, i possessori di piccoli risparmi che soffrono quietamente le enormi depredazioni dell'inflazionismo, quando invece avreb-bero rovesciato un Governo che avesse prelevato solo una frazione dei loro risparmi attraverso un sistema più equo soprattutto nei loro riguardi.

Ai primi due capitoli « patologici » segue un terzo capitolo di fisiologia monetaria sulla «teoria della moneta e dei cambi esteri», che il lettore profano non molto opportunamente è invitato a saltare, giacché vi si pongono le basi donde muoverà poi l'A. per elevare il suo edificio riformatore. Colla solita copia di acute osservazioni proprie dello scrittore, che mirabilmente unisce la conoscenza teorica alla esperienza vissuta, vengono trattate questioni

- 492 —

relative alla teoria quantitativa, che riceve una diversa formulazione, alla teoria della parità dei poteri d'acquieto, alle fluttuazioni stagionali ed al mercato a termine dei cambi.

Ed eccoci giunti ai due ultimi capitoli del cuore sugli « Scopi alternativi nella politica monetaria » (Svalutazione o Deflazione? Stabilità dei prezzi o Stabilità dei cambi? Ritorno o meno alla base aurea?) e sui « Consigli positivi per il regolamento futuro della valuta ». In essi sta il fulcro del libro, in essi si concentra l'interesse e l'appassionata dimostrazione dell'A. Le sue tesi sono troppo conosciute perchè convenga qui ripeterle per esteso. Il Keynes prende le mosse dalla constatazione certamente inoppugnabile della insuffi-cienza del vecchio sistema a garantire la stabilità del valore della moneta. Essa è dovuta alla instabilità di quello che era supposto essere lo standard del valore, cioè l'oro: e al fallimento dello stesso oro a rimanere stabile in termini di potere d'acquisto. Il regime prebellico, lento e insensibile, se assicurava la stabilità dei cambi non assicurava la stabilità, a parere dell'A. ben più importante, dei prezzi all'interno; il processo per cui la politica dello sconto del credito si adeguava ai movimenti dell'oro poteva durare anche dei mesi. Oggi invece siamo caduti nell'eccesso opposto, almeno in fatto di sensibilità, e il livello dei prezzi e ii saggio dei cambi si muovono con una rapidità estrema sotto l'influenza di cause anche transitorie.

Ritornare a quella « barbara reliquia » che è il sistema aureo significhe-rebbe commettere un errore grave, nè ci si può ormai illudere che il sistema possa riprendere a funzionare relativamente bene come nell'anteguerra. Col finire del secolo xix l'oro cominciò a deprezzare pericolosamente, nè è detto che possa prolungarsi quella fortunata condizione di cose per la quale alla sempre maggiore estrazione dell'oro faceva riscontro un corrispondente aumento nei bisogni del mondo. Si pensi poi che l'oro è oggi concentrato soprattutto nel « Federai Reserve Board », cosi che la speranza di un futuro ristabilimento del sistema dipende dagli Stati Uniti; con quale danno perii prestigio finanziario inglese e non solo per il prestigio il lettore è pregato di immaginare. Ritornare al sistema aureo significa inevitabilmente rimet-tere il regolamento del livello dei prezzi e dei cicli del credito all'America. Ma anche se queste difficoltà non esistessero, è troppo forte e universale l'interesse di preservare la stabilità degli affari, dei prezzi e dell'impiego per essere disposti a sacrificare questi scopi all'antico dogma dell'equivalenza steri. 3:17 :10 = 1 oncia d'oro.

Occorre perciò: 1° Un metodo di regolamento della circolazione e del credito in vista del mantenimento delia stabilità del livello interno dei prezzi; 2° Un metodo per regolare l'offerta di cambi esteri così da evitare le flut-tuazioni dovute a cause temporanee. La Banca Centrale dovrebbe in primo luogo preoccuparsi di stabilizzare i prezzi in sterline valendosi soprattutto dell'indice ufficiale dei prezzi e di altri dati come lo stato dell'impiego, il volume della produzione, la effettiva domanda di credito alle Banche, ecc.; il che non impedirebbe la stabilizzazione dei cambi quando esistesse un accordo col «Federai Reserve Board». Per assicurare almeno entro determinati periodi la stabilità dei cambi, la Banca Centrale dovrebbe assumersi il rego-lamento del prezzo dell'oro, così come regola oggi il tasso dello sconto. Si chiederà: e l'oro, l'oro quale funzione avrà nel nuovo sistema? 11 Keynes, senza arrivare addirittura allu soppressione, ne decreta la deminutio capitis;

l'oro costituirà una riserva da usarsi per fronteggiare gli imprevisti e per correggere rapidamente l'influenza di una avversa bilancia dei pagamenti.

In conclusione, il volume della circolazione continuerebbe ad essere come

è oggi in proporzione dello stato degli affari e dell'impiego, della politica

delio sconto e della politica dei tesoro. Riserva aurea e circolazione non sarebbero più, come per il passato, in rapporto fisso tra loro, una volta dimo-strato che il legame che li unisce non è nè stretto nè necessario.

Come risulta anche da questa breve esposizione, l'A. si è allontanato insensibilmente dalla realtà immediata tracciando uno schema a grandi linee e uu poco petratto, non preoccupandosi adeguatamente delle inevitabili obbie-zioni di carattere pratico e psicologico che gli sarebbero state rivolte. Ora, a parte la considerazione degli interessi colpiti dall'abbandono del sistema aureo (produttori, detentori e creditori d'oro), che il Keynes sembra sottova-lutare, vi è un elemento d'ordine pratico che giustamente impensierisce e gravemente impensierisce soprattutto nei paesi latini: e cioè questa potenza senza limiti riconosciuta nominalmente ai dirigenti dell' Istituto Bancario Centrale e di fatto in più casi al potere politico. Chi conosce i motivi che spesso guidano i politici e le forze imponenti che in concreti momenti possono favorire una politica inflazionistica — forze che lo stesso Keynes tanto ha con-tribuito a porre i n luce — non può non restare ti tuban te di fronte a questa visione pura e certamente superiore che trascende però i limiti che impone purtroppo la bassa realtà nella quale viviamo. Bene avrebbe fatto il Keynes, in un libro destinato anche al gran pubblico, ad approfondire maggiormente il problema del rapporto tra stabilità dei prezzi da un lato e conseguente stabilità degli affari e dell'impiego dall'altra, accennando, sia pure breve-mente, ai criteri coi quali dovrebbe essere costruito il numero indice dei prezzi che assurgerebbe domani nel suo sistema alla posizione di supremo regolatore della circolazione. Diversamente il profano, e non di rado lo stesso teorico, posto dinanzi ad un progetto sovvertitore, sente risvegliarsi la nostalgia dell'antico, nostalgia che i due terrificanti capitoli preliminari più che eliminare rafforzano, e acuirsi il rimpianto per l'autico sistema automatico, che costringeva nelle sue maglie, sia pure un po' allentate, il potere politico. Se è dato giudicare il successo di un libro dalie recensioni che, nel caso nostro, furono numerosissime, si può dire che mentre il Keynes è riuscito convincente nella critica al vecchio sistema, non egualmente sembra lo sia stato nella parte ricostruttiva. Raramente un libro fu atteso con tanta ansia, accolto con tanto fervore e letto con cosi straordinario interesse; ma rara-mente un libro così bello e suggestivo, che rimarrà certarara-mente a documento dell'epoca, ha sollevato tante e cosi vivaci reazioni, non riuscendo in fondo ad imporre la propria tesi, almeno integralmente, quasi a nessuno. Pure qualcosa rimane di questo violento sforzo scardinatore, perchè nella battaglia scientifica ingaggiatasi ormai da molti anni tra i grandi scrittori di cose monetarie, il Keynes è probabilmente riuscito, col dar la vita ad una posi-zione intransigente di estrema sinistra (se sinistra equivale a progressista), a valorizzare sempre più e non solo nel campo scientifico, la posizione inter-media di coloro che, come l'Hawtrey, si sono proposti la sintesi degli opposti: vale a dire il ritorno al sistema aureo e il regolamento del valore stesso dell'oro mediante l'azione concordata delle Banche centrali delle varie nazioni.

— 494 —

9

Keynes si mostrò disposto a ripiegare sulla posizione dell' Hawtrey, perchè, come egli stesso dice nel libro, « gli illuminati avvocati della restaurazione dell'oro sostengono il principio di una circolazione non più naturale ma consapevolmente diretta permettendo all'oro di tornare solo come monarca costituzionale, spogliato dei suoi antichi poteri dispotici e obbligato ad accettare i consigli del Parlamento delle Banche ».

Quel giorno, se pure verrà, il nome del Keynes dovrà essere inciBO sul libro... di carta di coloro che più avranno contribuito ad assicurare alla monarchia di domani i suffragi della pubblica opinione. C. R.

Alla traduzione francese è stata aggiunta dall'autore una introduzione, la quale discute il problema della politica finanziaria francese e dell'avve-nire del franco. Ma gli errori ed i pregiudizi che il Keynes combatte per la Francia sono largamente diffusi anche in Italia, sicché ci è parso opportuno estrarre dalla prefazione le principali pagine, ad invogliare i lettori a ricor-rere alla lettura diretta del volume.

Da molto tempo io ho affermato che un notevole ribasso del franco era inevitabile, a meno che non avvenisse un cambiamento nei metodi del Tesoro Francese, più profondo di quanto non fosse, politicamente, verosimile. Questa caduta è ora avvenuta. Nello spirito pubblico essa produrrà la sfiducia e il timore. Non di meno lo stabilimento dell'equi-librio è più facilmente realizzabile dopo che prima del ribasso.

Io vorrei innanzi tutto fare tabula rasa di certe opinioni e certi argomenti che, sebbene abbiano avuto qualche influenza, sono con-trari al buon senso.

1° Non si è mai ammesso, ufficialmente, che il valore del franco possa essere fissato ad un corso in oro oppure in merci diverso dalla parità che aveva con l'oro prima della guerra. Questo è un assurdo. Il ristabilimento della parità prebellica dell'oro, senza considerare altri inconvenienti, moltiplicherebbe per quattro l'onere del Debito Pubblico della Francia. È facile calcolare che, in tale ipotesi, i per-cettori del reddito avrebbero un credito praticamente eguale alla ric-chezza totale della Francia. Nessun ministro delle finanze potrebbe mettere in equilibrio un tale bilancio. Per conseguenza, a meno che non si voglia mai stabilizzare il franco, sia in rapporto con l'oro, sia in rapporto con altre merci, è necessario escludere, prima di tutto, questa finzione di un ritorno alla parità di prima della guerra.

2. Ogni qualvolta il franco perde una parte del suo valore, il Ministro delle Finanze è persuaso che questo fatto derivi da una causa qualsiasi, salvo che da cause economiche. Egli l'attribuisce alla pre-senza di qualche straniero nelle vicinanze della borsa od alle dannose e maligne influenze della «speculazione». Questo modo di pensare è assai vicino a quello di un dottore negro che attribuirà una malattia del bestiame al « malocchio » di un passante e una tempesta

all'insuf-Scienza dei sacrifici fatti sull'altare d'un idolo. In primo luogo il volume della speculazione propriamente detta è molto esiguo in rap-porto alla massa delle transazioni commerciali. In secondo luogo lo speculatore fortunato guadagna con il prevedere, e non con il modi-ficare, le tendenze economiche esistenti. La maggior parte poi della speculazione agisce in uno spazio di tempo estremamente breve, in modo che la conclusione dell'affare non ritarda ad avere una influenza eguale e contraria a quella che risultava dalla iniziale transazione. Inoltre, dopo l'armistizio, devono esservi state in complesso operazioni speculative piuttosto in favore che non contro il franco. In ogni caso posso testimoniare, che molti Inglesi e più ancora Americani hanno perduto somme considerevoli acquistando franchi o valori francesi con la speranza di approfittare d'un rialzo del franco.

Richiamo l'attenzione dei lettori francesi sui capitoli 2 e 3 di questo libro (1), perchè i pregiudizi relativi alla speculazione non possono esistere che in un'atmosfera di ignoranza intorno alle vere influenze che fissano l'altezza dei cambi. Dando scarso peso all'azione della speculazione, io non comprendo in questo termine gli effetti della generale sfiducia sull'avvenire di una moneta, sui quali effetti ritor-nerò più avanti.

3° Si sostiene spesso che il valore del franco non può diminuire, perchè la Francia è un paese ricco, economo, lavoratore. Anche questo argomento indica una confusione sulle cause che determinano, infine, il valore delle monete. Un paese molto ricco può avere una pessima moneta e un paese povero può averne una ottima. La ricchezza della Francia e la sua bilancia commerciale possono permettere ai suoi governanti di seguire una sana politica monetaria. Ma ricchezza e finanze sono due elementi. Il valore dell'unità monetaria d'un paese non deriva dalla sua ricchezza e neppure dalla sua bilancia commerciale.

Che cosa dunque ha determinato e determinerà il valore del franco? In primo luogo la quantità reale e prevista dei franchi in circolazione. In secondo luogo la somma di potere d'acquisto che al pubblico con-viene conservare sotto questa forma. 11 primo di questi due elementi dipende essenzialmente dagli oneri e dalla politica di bilancio del Tesoro francese. Il secondo dipende soprattutto, nelle attuali condizioni, dalla fiducia o sfiducia che il pubblico ripone su quanto riguarda l'avve-nire del franco.

Quando il franco è fra 100 e 120 in rapporto alla lira sterlina, il primo ostacolo, relativo alla quantità dei franchi in circolazione, non apparirebbe, all'osservatore, come straordinariamente arduo. Quando è tra 80 e 100 la questione è molto meno sicura. Quando è tra 60 e 80 il problema è probabilmente insolubile. Allorché i prezzi interni

(1) Questi capitoli trattano de « Le finanze pubbliche e del valore della moneta » e de « L a teoria della moneta e i cambi con l'estero» (N. d. R.).

Br '

• " • — 496 — KM'.

si sono adattati al corso del cambio meno favorevole, il gettito in franchi carta di numerose imposte esistenti si troverà, naturalmente, accresciuto. D'altra parte il capitolo più considerevole delle spese, cioè il servizio del Debito Pubblico, rimarrà costante. Cosi, fatta astrazione delle nuove imposte, il solo movimento sfavorevole dei cambi possiede in sè una tendenza a ricondurre il bilancio verso una posizione d'equilibrio, purché il pubblico continui ad avere fiducia sui destini della moneta nazionale. È infatti in questo secondo fat-tore, che trovasi la chiave della situazione. Insisto su questo punto, che la questione dipende dai francesi stessi e non dagli stranieri, poiché la quantità dei franchi in possesso di stranieri non è, proba-bilmente, molto notevole. Essa, senza dubbio, non supera il residuo delle loro errate operazioni all'aumento; e gli stranieri incontrano difficoltà insormontabili nel vendere allo scoperto franchi ch'essi non posseggono, anche se in una quantità poco considerevole. D'altro lato il volume dei biglietti di banca francesi o dei Buoni della Difesa Nazionale esistenti in Francia è enorme. Esso supera di molto il minimo necessario per facilitare le transazioni commerciali. Se i fran-cesi si ponessero in mente (come i russi, gli austriaci e i tedeschi, ciascuno alla loro volta, lo hanno fatto), che la loro moneta legale non rappresenta che un'attività in diminuzione, allora la caduta del franco non conoscerebbe più un prossimo limite. Infatti, in tale even-tualità, essi diminuirebbero ciò che serbano in moneta e lo ridurreb-bero al minimo. Terrebridurreb-bero nel loro portafoglio o nella cassaforte meno biglietti di banca, liquiderebbero i Buoni del Tesoro e vende-rebbero le Rendite di Stato. Nessuna legge, nessun regolamento li farebbe agire in altro modo. Inoltre, ciascuna liquidazione di franchi, ciascuna conversione in « Valori reali » provocando un nuovo ribasso, parrebbe confermare la previsione di coloro che, per primi, avevano abbandonato il franco e preparavano una nuova crisi di sfiducia.

In simile evenienza, nè un bilancio riformato, nè una bilancia commerciale favorevole, impedirebbe la caduta del franco. Il governo sarebbe costretto ad assorbire tutti i biglietti e le rendite gettate sul mercato, che il pubblico non vorrebbe conservare. Questo sarebbe un compito al disopra delle sue forze. Molti paesi offrono esempio del fatto che i bilanci in deficit costituiscono la causa iniziale del ribasso delle monete, ma che il vero disastro si produce solo quando la fiducia del pubblico è così profondamente scossa, ch'esso incomincia a ridurre l'ammontare della moneta nazionale che conserva.

Il problema essenziale del governo francese, nell'ora attuale, è dunque di trattenere la fiducia del pubblico sul franco, poiché è la mancanza di questa fiducia all'interno e non la speculazione dal» l'estero che dimostrerebbe i suoi errori (per quanto degli stranieri e anche dei francesi, presi individualmente, possano trarre grandi pro-fitti dal ribasso d'una moneta).

Se il governo agisce con opportunità, non vi è nulla di impossibile nel còmpito di ristabilire e mantenere la fiducia. L'esempio della Russia, dell'Austria e della Germania non costituisce un esatto paral-lelo. Quelli che prevedono l'avvenire del franco, riferendosi a questi precedenti, possono commettere un grave errore. In quei paesi, infatti, la questione del pareggio del bilancio era, sin dall'origine, del tutto impossibile. Per conseguenza la forza, che spingeva le monete verso il ribasso, agiva in un modo continuo. Non è cosi in Francia. Non è per nulla impossibile raggiungere il pareggio, purché le spese delle ricostruzioni siano ragionevolmente differite. Applaudo agli sforzi, in questo senso, del governo e del Tesoro francese. Ma ciò non basta. È necessario ristabilire la pubblica fiducia. In questo ordine di idee tutto ciò che le autorità francesi hanno intrapreso, è privo di sag-gezza.

Su quale base si posa dunque il credito d'una circolazione mone-taria ? La base è quasi la stessa che per una banca. Una banca può attirare e conservare i depositi dei suoi clienti, sino a quando essi sanno che sono liberi di ritirare i loro depositi per convertirli in qualsiasi maniera loro convenga. Finché questa libertà non sarà discussa, nessuno penserà di farne uso; i depositi resteranno alla banca e si accresceranno. Ma se essa è solamente messa in dubbio, i depositi diminuiranno e spariranno. Lo stesso avviene per la moneta. Gli uomini serbano una parte delle loro risorse in moneta nazionale, perchè essi la credono convertibile più immediatamente e liberamente che alcun altro tesoro, quulunque sia l'oggetto o il valore che sce-glieranno in seguito. Se una tale fiducia appare delusa, essi nou con-serveranno più moneta e nulla li costringerà a conservarne. Ora, il principale oggetto della maggior parte delle misure regolamentari di M. de Lasteyrie era di limitare ai possessori di franchi la libertà di convertire i loro franchi in qualche altro valore. Di conseguenza,