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MAFFEO PANTALEONI Una gran luce di pensiero si è spenta

Possono gli innumerevoli discepoli veder riscintillare, nella lor memoria, gli occhi vivi di Maffeo Pantaleoni, riudir 1' eco della sua voce severa e mandare un saluto pieno di accorata tristezza alla salma del Maestro; possono i professori della Università di Roma provar cordoglio per la dipartita del com-pagno che, con la celebrità del nome e l'assiduità dell'insegna-mento, cresceva splendore a una delle più insigni scuole del mondo; possono gli amici intimi rievocare la generosità e dol-cezza dell'uomo che, sotto burbero aspetto e aspre parole, mal celava un cuore fra i più affettuosi e nobili che mai palpita-rono. Pianga la sventurata famiglia la morte inopinata del Capo amatissimo; si stemperi in lacrime e singulti sul corpo muto e freddo del Genitore la figliuola soave ch'egli dilesse. Ma tutta l'Italia colta deve oggi velarsi a lutto perchè il patrimonio spi-rituale della nazione si è impoverito di tanto, quanto valeva un insostituibile genio. Ma fuori d'Italia, ovunque studiosi di scienze politiche e sociali siano assorti nelle lor meditazioni, deve oggi issarsi bandiera abbrunata, perchè un Sovrano del pensiero è morto.

Indagare la fine complicata anatomia degli interessi econo-mici nelle società di ogni tempo, e soprattutto nelle intricatis-sime società moderne, è fra le più alte speculazioni dell'intel-letto. Abbracciare poi il viluppo degli interessi coi sentimenti e le passioni umane e vederne in sintesi il movimento, il quale altro non è se non il fluire della storia, costituisce il privilegio degli spiriti sommi. Maffeo Pantaleoni fu uno di questi spiriti. Non è adesso il momento di tracciare il quadro delle con-tribuzioni da Lui portate alla scienza. Il principe degli econo-misti italiani avrà la sua commemorazione scientifica, ampia e solenne, nel tempo appropriato. Ora vuoisi solo ricordare non esservi campo dell'economia teoretica, dell'applicata, della

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«-scienza finanziaria, della statistica, della sociologia, in cui egli non abbia lasciato il segno del suo dominio. Chi lo legge e possiede forze bastevoli per intenderlo non lo dimenticherà mai più. Ascoltarlo significava diventare suo discepolo e inna morarsi della scienza. Anche uomini che attinsero le supreme vette del sapere economico, come Vilfredo Pareto, o che, senza assurgere a tanto fastigio, pur seppero conquistarvi un grado cospicuo, come Enrico Barone, dovettero a Lui la maggiore spinta a diventare economisti e furono in un certo senso suoi allievi.

Come colui, che, avendo percorso con raccoglimento un bel sentiero di montagna, vede a un tratto squarciarsi l'orizzonte, e ristà affascinato e senza respiro a contemplare un panorama inatteso, così il lettore che, fatto lo sforzo di seguire il filo dei ragionamenti serrati di Maffeo Pantaleoni, s'imbatte in sue frasi e immagini potenti e nuove, di colpo si arresta davanti a insospettate visioni e rimane conquiso e grato.

Dalle pagine del Bentham e del Gossen, il Pantaleoni trasse il succo di quella teoria edonistica, che mai non volle abban-donare, e clie più di ogni altro contribuì in Italia a diffondere. La dottrina dell'utile, raffinata dal Menger e dal Jevons, non bastava tuttavia a risolvere il massimo problema dell'economia, cioè quello del valore. Il Pantaleoni, che non meno profonda-mente della giovane teoria dell'utilità finale conosceva la teoria classica del costo, vide subito la fecondità della costruzione marshaUiana che le coordinava entrambe in una sintesi supe-riore. E codificò nuovamente la dottrina del valore nel suoi meravigliosi Principi di economia pura, arricchendola di svi-luppi personali, fra i quali menzionerò solo l'elegantissimo capi-tolo che s'intitola: «Della identità del costo di produzione con il grado finale di utilità dei beni».

Pagine originalissime in regioni di confine fra economia ed etica, economia e diritto, economia e politica, egli ci lascia in molti saggi, dei quali sarebbe lungo il completo elenco. Accen-nerò all'analisi del concetto di giustizia, nelle sue lezioni su l'atto economico; all'analisi del concetto di forte e debole nel saggio omonimo; all'analisi dei contrasti tra interessi dell'indi-viduo e interessi della società o dei gruppi sociali, nel suo lavoro sui massimi edonistici individuali e collettivi; all'analisi dei concetti di nazione giovane e nazione vecchia e dei concetti di democrazia e demagogia in due articoli della Vita Italiana.

Molti problemi di ragioneria trattò con volo d'aquila nello studio : Attribuzioni di valori in assenza di formazioni di prezzi di mercato. Approfondì la distinzione fra prezzi economici e prezzi politici nella monografìa: Considerazioni sulla proprietà dei prezzi politici, seguita dallo studio Danni economici della sostituzione di prezzi politici a quelli economici. Alla questione che più appassiona i politici moderni, quella del sindacalismo, dedicò acutissime considerazioni teoriche nella prefazione a un libro del Trevisonno e nelle osservazioni sui sindacati e sulle leghe svolte in un articolo del Giornale degli Economisti. È pure noto che egli riuscì, almeno presso le aristocrazie intellettuali, a capovolgere le idee correnti in fatto di cooperazione col suo originalissimo scritto: Esame critico dei principi teorici della cooperazione.

Conoscendo quanto sia facile distruggere e quanto difficile perfezionare le istituzioni sociali, faticosamente create nei secoli, diede una stupenda teoria della conservazione sociale nel saggio: A proposito della creazione di un Istituto internazionale perma-nente di agricoltura.

Fu maestro di scienza bancaria, e non saranno più ugua-gliate le pagine che egli dedicò alla caduta della società gene-rale di credito mobiliare, nè vanno dimenticati gli articoli che venne pubblicando vari anni or sono nel periodico l'Economista, e certo sarà magnifica la trattazione che egli offrì a Milano, un'ora prima della sua morte, di un tema il cui solo titolo è pieno di suggestione: Fino a che punto e dentro quali limiti le casse di risparmio possono funzionare da istittiti bancari.

Non indugerò a ricordare che in finanza egli ha scritto uno dei migliori trattati sulla ripercussione delle imposte, oltre a numerosi saggi fondamentali; che in materia di statistica eco-nomica è autore di un maestrevole saggio, purtroppo incom-piuto, sulla semiologia economica, e di studi sulle crisi econo-miche, contenuti in una perizia di tribunale stampata in due grossi volumi, e che il primo lavoro sistematico sulla valuta-zione del patrimonio dell'Italia si deve a Lui. Che, infine, il suo dizionario di temi, tesi, problemi e quesiti di economia poli-tica, teorica ed applicata, è un tal monumento di dottrina, da suscitar più che l'ammirazione lo sbalordimento.

Durante la guerra fu l'apostolo della resistenza e della vit-toria. Quattro volumi, pubblicati dal Laterza, testimoniano della sua appassionata fatica. L'ultimo di essi svela già dal titolo

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qual fosse il sentimento del Pantaleoni quando, in momenti di amarezza nazionale, ne licenziò la prefazione: La fine provvi-soria di un'epopea.

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Mentre non volle mai prendere la tessera di alcun partito, per non vincolare, diceva, la sua coscienza e la sua libertà, fu sempre disposto a battagliare e pronto a iniziare o appoggiare moti e correnti politiche miranti a tradurre in realtà le sue idee. Cosicché lo troviamo deputato radicale quando pareva che le libertà statutarie fossero in pericolo, e collaboratore del-l'Idea Nazionale quando era più necessario far vibrare l'amor patrio e riscattare il Paese dalla corruzione pacifistica e socia-listica. Lo rivedremo fondatore dei fasci di difesa nazionale dopo Caporetto e ministro delle Finanze con D'Annunzio a Fiume, e amico di Mussolini e dei fascismo. Poiché il nuovo Governo gli chiese la sua collaborazione, dette la sua opera prodigan-dosi fino all'estenuazione, Egli che non era più giovane né sano, e aveva ormai il cuore indebolito.

In tanto agitarsi per la propaganda e per l'azione, passando per gruppi politici diversi, Egli non si è mai contraddetto, perchè amò l'Italia con un fervore che avea del religioso e le idee direttrici della sua condotta erano : autorità suprema dello Stato, ma dentro limiti normalmente ristretti; fuori di quei limiti rispetto per l'individuo e aborrimento di ogni regime di tirannia: donde lotta contro tutte le forme di parassitismo e protezionismo economico, da quello di oligarchie padronali a quello di oligarchie operaie.

Noi tutti, che in Italia, con più o meno felice successo, esal-tiamo la superiorità morale ed economica dello sforzo, del-l'ardimento e del rischio individuale di fronte ai tentativi di confusione, d'infiacchimento e di furto politico; noi che difen-diamo l'iniziativa privata contro la tirannia socialistica, quali che siano gli aspetti e nomi sotto cui questa si traveste — riformismo, sindacalismo, comunismo — noi tutti siamo i figli spirituali di Maffeo Pantaleoni: e dal suo straordinario vigore dialettico, dalla sua sconfinata dottrina economica, storica e politica, dall'impeto fulmineo del suo linguaggio, traemmo sempre incitamento e lume.

Un editore che onora l'Italia, Giovanni di Giuseppe Laterza, ha iniziato, proprio di questi giorni, una raccolta signorile degli

scritti del Pantaleoni. i r primo volume, testé uscito, s'intitola:

Erotemi di economia. La prefazione incomincia con parole, nelle

quali si direbbe che il compianto Maestro presagisse la fine imminente: «Allorché il pescatore raccoglie le reti, egli ha finito la sua giornata. L'Autore, che «unisce quanto ha scritto nel corso di molti anni, e pubblicato in diverse riviste e varie lingue, pensa pure di aver finito la sua giornata ».

Non ancora, tutti noi che lo amammo e lo ricorderemo fino all'ultimo respiro di nostra vita, sappiamo rassegnarci a questo annuncio, che è pur vero: il gran lavoratore ha finito la sua giornata.

Roma, 29 ottobre 1924.

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POPOLAZIONI E'RISPARMIO IN ITALIA"1

1. — Si impadronirono della cifra alcuni legislatori, ed i 440.000 individui circa (2) che, escluse le provincie annesse, vengono ad accrescere ogni anno la popolazione italiana, sono diventati materia di meditazione e di provvidenze. Si ammette ancora, con Adamo Smith, che l'aumento degli abitanti costituisca l'indice più significativo di progresso per un paese : ma si pensa pure che occorre destinare a lor vantaggio, almeno fin tanto che non escano di fanciullezza, una parte del reddito com-plessivo. Bisogna quindi ingrossarlo con moto accelerato, per bastare — oltre che ai predecessori migliorandone il tenor di vita — anche ai nuovi affacciantisi alla scena del mondo. Via via sarà giocoforza tenerne conto quali elementi di lavoro pros-simi, allo scopo di non vederli apparire all'improvviso come un peso insopportabile. Nè è semplice evitare dei peggioramenti nella condizione economica della popolazione. I nuovi nati non pretendono soltanto poco cibo; le famiglie in cui nascono — ed ogni anno se ne formano in media 265.000 circa (3) — richiedono abitazioni, e quindi strade, acquedotti, gas, luce: non senza imporre più tardi che si allarghino gli edifici agricoli ed industriali, e si provvedano mezzi di trasporto sempre più complessi.

Visto'nella sua interezza, il fenomeno appare in questo periodo anche più vasto di prima. Riportandoci col pensiero ad undici anni or sono, l'eccedenza annua dei nati sui morti eccola di poco più tenue (429.000 nella media del 1909-1913), mentre l'esodo

(1) Discoreo letto all'inaugurazione dell'anno accademico nel R. Istituto Supe-riore di Scienze economiche e commerciali, in Torino, 8 dicembre 1924.

(2) Prendendo la media per il 1920-1923, periodo che segna il ritorno alla nor-malità anche per le nascite, sarebbero ancora di più, 475.000 (Indici economici,

« Conto riassuntivo del Tesoro » 31 ottobre 1924, pag. 40).

(3) La media del decennio 1914-1923 indicherebbe anzi un lieve aumento a 269.000: il rinvio di molti matrimoni durante gli anni di guerra avrebbe dunque già trovato compenso totale.

con l'emigrazione netta (1) oltrepassava il mezzo milione di individui. La massa che ingrossava ogni anno la popolazione, non giungeva però tutta sul mercato di lavoro; la mortalità, altissima nei bambini, contraeva forse verso i 340.000 individui i giovani capaci di superare il quindicesimo anno, e questi soli riuscivano così a presentare di fatto la propria richiesta di salario. Contemporaneamente si ritirava una certa quantità di vecchi; giunti attorno ai 65 anni, stanchi e bisognosi di riposo, lasciavano posto a più fresche energie. Quanti? Sopra oltre due milioni di vecchi, in quei gruppi di età od ancora più attempati, non poche decine di migliaia avranno realizzato la ben legittima aspirazione; così la domanda dei mercati di oltremare toglieva forse quasi il doppio delle nuove forze di lavoro pronte ogni anno alla vita attiva, in aggiunta ai 20 milioni e mezzo già in funzione.

2. — Da allora molti fenomeni sono andati arrovesciandosi. Col 1914 e 1915, sotto il fragore delle successive diane di guerra, una buona parte degli italiani che avevano lasciato la madre-patria — si ritiene formassero un milione di individui (2) — ripararono entro i confini. E durante l'intero conflitto non usci-rono se non sottili correnti: non è improbabile che i tornati superino così gli usciti di parecchie centinaia di migliaia. Nè il primo periodo di riconquistata pace, o tregua, ha riportato alle condizioni precedenti: nei cinque anni si è allontanata una metà appena di quanti prima portavano fuori il proprio lavoro (3), lasciando molti — incapaci di superare le barriere ed i limiti egoisticamente voluti in parecchi Stati di oltremare — a premere sul mercato italiano.

(1) Nè converrebbe togliere tutti 1 ritornati dai paesi al di là del mare dalla massa degli usciti per calcolare quanti cercarono altrove una parte del loro reddito: alcuni rimpatriavano infatti dopo aver trascorso fuori la maggior parte dell'anno, guadagnando oltre i confini l'intero reddito o poco meno.

(2) Il censimento dei ritornati nei soli quarantotto giorni dal 14 ottobre al 30 settembre 1014 ne indica ben 471.000: nel corso dell'anno figurano sbarcati, giungendo da paesi transoceanici, 219.178 passeggeri italiani. In tutto il periodo 1914-1918 risulterebbero in questa categoria 552.052 persone: per aggiungere quanU provenivano invece dai paesi europei ed attraversavano il confine terrestre, non è improbabile si debba calcolare un milione di rimpatriaU. Anche F. COLETTI (Studi

sulla popolazione italiana in pace ed in guerra, Bari, 1923, pag. 167) ritiene

probabile che un 600.000 emigranti ritornati sfuggissero al novero. Per le altre cifre, si veggano gli ultimi volumi dell'* Annuario statistico » , dal 1914 al 1918 e

Statistiche dell'emigrazione italiana, Roma, 1924, passim.

(3) Nel periodo 1919-1923 in complesso sono partiti 1.605.398 individui, quindi la inedia annua è scesa a 321.000 persone.

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Dove i caduti durante la guerra o per le epidemie contem-poranee e successive, e la contratta nuzialità, non bastarono a trattenere lo slancio della popolazione verso cifre sempre più alte; il rialzo ( 6 , 5 % o ) tra gli ultimi due censimenti superò persino le percentuali toccate in altri intervalli. Solo in due regioni viveva nel 1921 una massa di persone più tenue che dieci anni prima: qui in Piemonte, anche per il più intenso passaggio nelle vicine terre di Francia, e nella Basilicata per l'esodo grandioso verso le Americhe nel periodo anteriore alla guerra. In tutto il resto la densità cresceva: persino nel Veneto, straziato con la fuga dei profughi dalle cinque provincie invase oppure ridotte a zona di retrovia o di battaglia.

Aumento di numero, ma — benché non sia ancora concesso scendere a particolari precisi — composizione diversa e non migliore. I gruppi maschili attivi, dai 16 ai 65 anni, hanno dovuto accogliere parecchi degli emigrati di ritorno, mentre si assottigliavano con le perdite di guerra, e venivano a trovare nel loro àmbito migliaia di invalidi o minorati nelle proprie capacità. Mantenevano a loro carico una minor massa di gio-vanissimi — le nascite si erano ridotte nel 1914-1918 tra un terzo e due quinti — cui debbono offrire col proprio lavoro i mezzi per vivere ed attendere al tirocinio produttivo. Ecco però la ripresa della natalità, senza vera accelerazione a compenso (1); ed una pesantezza assai più grande per i vecchi e gli invalidi. Nè i gruppi, ai quali è assegnata la funzione di produrre l'intero reddito nazionale, possono giovarsi di capacità più ampie che in precedenza: maggiori conoscenze psicologiche e volontà tese, ma non accompagnate da scoperte ed invenzioni a sveltire la tecnica come accadde cento anni or sono. Non si può negare vi sia un attrezzamento di gran lunga più grandioso in molte imprese, e maggior scelta di strumenti a disposizione di chi lavora: l'esperienza di nuovi sistemi, la visione in paesi lontani di metodi innovatori non ha mancato di lasciare frutti. Chi potrebbe però asserire non esservi una profonda differenza di grado tra la « rivoluzione industriale » in mezzo all'ambiente artigiano, ed il perfezionarsi recente? Saltare come da uno a dieci

(1) Mentre la nuzialità col suo incremento fortissimo, e mantenendosi finora alta, compensò i vuoti rimasti nel 1915-1918, il numero dei nati è appena tornato all'incirca al livello precedente la guerra, anzi si trova già al di sotto. La media degli otto anni più vicini dimostra una diminuzione a soli 937.000 nati, cioè una perdita del 17 °/0.

non è la stessa cosa come un passaggio da 21 a 30, anche se l'aritmetica informa che l'aggiunta nei due casi è identica (1).

3. — Riallacciando i vari elementi che è dato raccogliere, il problema presente si delinea in tutti i suoi chiaroscuri, e richiama alla memoria alcune delle osservazioni più tetre che or è poco più di un secolo presentava Tommaso Roberto Malthus. Periodo di guerre esaurienti anche quello e condizioni dure per le classi lavoratrici, ridotte a miseria dolorosa, quale non soffrivano da lungo: cattivi raccolti, e, come se non bastasse, la rivoluzione industriale con i suoi cambiamenti; di rimbalzo disordine, mancanza di occupazione in determinati mestieri. Assai meglio ora: quest'ultima causa non disturba, per quanto alcuni rami d'industria siano arrestati da attriti speciali. Su tutti però si ripercuote lo scemato tenor di vita delle classi operaie, le più numerose: in confronto ai 1913 i loro salari sono cresciuti complessivamente meno di quanto sia rincarato il costo della vita (2). Sicché le imprese manifatturiere trovano forse qui la fonte maggiore di incremento dei loro profitti, mentre gioverebbe

(1) J. M. KKYNKS (Art Econoniist's view Population; «Manchester Guardian»,

Iìecon8traction in Europe, VI, pag. 340) ricorda come certi elementi di accelerazione

presentatisi nel secolo scorso non siano ancora suscettibili di espandersi come prima: la produttività decrescente non promette più di lasciare larghe economie : vapore, elettricità e petrolio sono già venuti, mentre or è un secolo dovevano ancora farsi sentire. Illimitata resta solo la possibilità di miglioramenti scientifici.

(2) G. MORTARA (Prospettive economiche, 1924, Milano, pag. 410) indica per il 2° semestre t923 ridotto a 475 l'indico del livello dei salari, mentre il costo della vita sarebbe stato segnato da 491, in confronto al 1913 scelto con valore 100 a base in entrambe le rilevazioni. Come è naturale, nei diversi gruppi riusci diverso il rialzo dei salari : forse alcuni lavoratori non qualificati si trovarono meglio di quelli specializzati, ed i ceti medi peggio di tutti. Il calcolo per l'anno corrente accentuerà probabilmente ancor più il distacco, gli indici dei prezzi al minuto prospettando quasi dappertutto un rincaro di 5-7 punti. Quanto ai salari, informano alcuni imprenditori come nel secondo semestre — rallentatasi la pressione politica sulle classi operaie — si notino richieste di aumenti. Non di categoria, nè per rami interi di industria : si tratta piuttosto di domande isolate, che portano un più oppor-tuno adattamento dei salari alle abilità specifiche del singolo. Ma quale ampiezza e diffusione ha questo rialzo f

A contestare il peggiorato tenor di vita di alcuni ceti si citano certe statistiche di consumi. Nessuna meraviglia però se per alcune merci di uso voluttuario risulta un incremento senza arresto in questi nnni : troppo poco sappiamo dell'elasticità nella curva di domanda per molti prodotti. Con il vino ed il tabacco le distribu-zioni esoguite ai combattenti forse contribuirono non poco a radicamo il bisogno anello in alcuni che prima ne facevano a meno: e parecchi sono disposti a restrin-gere piuttosto altri consumi che non questi, mantenendo loro una rigidità non opportuna ma reale. E la resistenza a pagare per l'abitazione il prezzo economico, difendendo il vincolo tanto dannoso, non potrebbe avere qualche legame con questa pertinace costanza rispetto ad altre spese non indispensabilif

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meglio che fosse riposta in una vendita allargata, od in costi di produzione ridotti attraverso più alta efficacia di ordinamenti. Se non che, ascoltando i discorsi di alcuni sottili osservatori,