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LE CLASSI LAVORATRICI IN INGHILTERRA

I. — Le recenti elezioni inglesi richiamano di nuovo l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sul movimento operaio e sulle condi-zioni del mondo del lavoro nelle isole britanniche.

La vittoria laburista e la sconfitta dei conservatori rappresentano due aspetti del medesimo fenomeno.

La caduta del protezionismo, base elettorale dei conservatori, insegna d'altra parte anche una volta che una politica di egoismo di gruppo, se può talvolta valere a temporeggiare in situazioni politiche delicate e difficili, finisce sempre per ricadere sopra coloro che l'hanno instaurata. Come vi è una Nemesi storica, così vi è una Nemesi economica.

Il partito laburista, come è noto, trae la sua forza e la sua ragione d'essere dal trade-unionismo inglese. Fare la storia del movimento operaio inglese dalle sue origini, sia pure per sommi capi, significhe-rebbe ripetere il lavoro che altri hanno già compiuto (1).

È invece interessante, per una migliore comprensione della situa-zione inglese attuale, ricercare gli sviluppi del trade-unionismo inglese dal 1914 in poi (2).

Le Trade-Unions hanno visto infoltirsi le loro file dopo il 1914. Fenomeno generale questo comune a tutta Europa. Il più celere ritmo della produzione, l'aumento dei prezzi, le accresciute contese con gli industriali, le promesse fatte al mondo operaio nel periodo turbinoso della guerra, ecco altrettante forze che hanno agito in siffatta direzione. Egualmente il rapido sviluppo della legislazione sociale ha spinto via via gli operai isolati ad organizzarsi. Molte leggi si applicano solamente, almeno in linea di fatto, agli operai appartenenti ad unioni profes-sionali. L'operaio isolato non ha i mezzi di mettere in moto il mec-canismo amministrativo o giudiziario di tutela. Valga l'esempio del

«Trade Board Act », che istituisce delle Commissioni incaricate di fissare il salario minimo in certe professioni. Nè devesi dimenticare il « Corn Protection Act » (1917), da cui trassero origine delle Com-missioni competenti a fissare un salario minimo per i lavoratori agri-coli. La pubblicazione di una tale legge provocò un aumento notevole

(1) SIDNEY WEDB, History of Trade-Unions.

(2) M. SIDNEY WERB, History of Trade-Uniomsme, ultiBia edizione e documenti particolari dell' Ufficio Intornazionale del Lavoro.

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nel numero degli operai agricoli. Il numero degli aderenti ai sindacati raggiunse i 180.000 alla fine della guerra.

La vastità di un tale fenomeno appare chiaramente a chi consideri che mentre nel 1914 le Trade-Unions contavano 4 milioni d'aderenti al principio del 1920 gii operai organizzati salgono ad 8 milioni. A misura che cresce in ampiezza, il movimento operaio cresce anche in intensità. L'azione sindacale si moltiplica, nuove forme di lotta si affermano, sorgono nuove espressioni di vita sindacale.

Ricorderò il movimento degli «economi dell'officina» (shop steward'a

movement). L'economo in origine era un operaio membro del sindacato,

le cui attribuzioni consistevano nel provvedere alla riscossione delle quote sociali. A poco a poco le sue funzioni si allargano : in caso di agitazione è l'economo che provvede a difendere le richieste operaie e ad organizzare gli scioperi. Cosicché, accanto al movimento sinda-cale per categoria, si va sviluppando rapidamente un altro movimento sindacale: è il sindacalismo delle singole officine, in cui operai di categorie differenti sono riuniti da identici interessi e sono perciò disposti a seguire lo stesso capo. Ma l'elemento caratteristico del sin-dacalismo inglese dal 1914 in poi è rappresentato dalla tendenza a formare delle grandi unioni industriali, che raggruppano in una sola organizzazione i lavoratori di una determinata industria, quale- che sia il loro carattere tecuico. Così l'Unione nazionale del personale addetto alle ferrovie accetta nelle proprie file tutti gli operai che prestino comunque la propria opera al servizio ferroviario: uomini, donne, fanciulli, operai delle officine di riparazione del materiale ferroviario, cameriere e camerieri degli alberghi gestiti dalle grandi Compagnie.

Comunque, il movimento operaio inglese, anche nelle ore più gravi della vita industriale, ha saputo tenersi nei limiti di un realismo poli-tico che è il frutto soprattutto di una lunga tradizione e di un'educa-zione ormai secolare. A ragione, uno degli uomini che lo hanno più intensamente vissuto, tesse l'elogio in un recente articolo (1) dello sviluppo intellettuale delle classi operaie in Inghilterra. « Noi racco-gliamo oggi i frutti, egli scrive, dei progressi lenti ma continui ottenuti da oltre cinquant'anni di sforzi : l'insegnamento primario, secondario e tecnico; l'insegnamento impartito dall'Associazioue per l'educazione degli operai, dal collegio Ruskin e dagli altri collegi operai ; lo sforzo perseverante di uomini di grande ingegno, di vasta coltura, di profonda esperienza, hanno dato alla classe lavoratrice inglese una coltura superiore a quella di ogni altro paese d'Europa. Mai come oggi la com-prensione delle questioni politiche è stata così acuta, mai le conoscenze economiche sono state così diffuse fra i lavoratori britannici ».

(1) SIDNEY WBBH, Le mouvemont ouvrier brUannique et tu orise imlustriolle, « Rovue Internationnlo ilu Tlavai 1 » , febbraio-marzo 1923.

Questa visione ottimista dello scrittore britannico, se anche inspi-rata da un sentimento di simpatia, racchiude certo degli indiscutibili elementi di realtà. Le classi operaie inglesi hanno delle pagine gloriose di civismo ai loro attivo. Gli episodi di egoismo di classe e di tirannia sindacale sono del tutto fatti eccezionali ed isolati. Un rapporto del-l'Ufficio Internazionale del Lavoro (1) lo ricorda. Così, durante la guerra, l'Unione dei lavoratori del mare, sostituendosi all'autorità governativa, non ha permesso che certi dirigenti del partito operaio lasciassero l'Inghilterra per scopi disapprovati dalla Federazione. E ancora le cronache del lavoro ricordano un atto di violenta impo-sizione compito dal Sindacato degli elettricisti a danno dei proprietari dell'Albert Hall a Londra, che furono costretti a cedere per una dimo-strazione laburista.

Ma accanto a questi atti di illegalità, e forse anche di prepotenza, vi sono le belle pagine di civismo scritte dalle classi operaie inglesi per facilitare la vittoria alla patria in pericolo. Le organizzazioni operaie hanno rinunciato durante gli anni più aspri della lotta all'eser-cizio di alcuni diritti, che essi consideravano tuttavia fondamentali e ebe ad ogni modo erano il risultato di lunghi e dolorosi sforzi di vita sindacale.

Fu cosi che si videro delle Trade-Unions rinunciare al diritto di sciopero, ed altre al diritto, universalmente riconosciuto all'operaio, di abbandonare il lavoro per accettare un'occupazione più rimunera-tiva. E ancora si permise agli opifici di guerra di assumere personale, abbandonando le garanzie in uso intorno alla sua capacità professio-nale, cosicché le officine furono - invase da semplici manovali, senza alcuna attitudine tecnica speciale, e da una folla di operai di mezza capacità (dilntees). Sacrifici certo: ma la classe operaia li accettò di buon grado, consapevole del profondo ed indissolubile legame esistente fra le sorti della nazione e la vita dei lavoratori.

Anche il movimento del controllo operaio, che ebbe in Germania, in Austria e altrove manifestazioni e realizzazioni a carattere rivolu-zionario, si limitò a creare, dietro proposta di una Commissione gover-nativa, quegli « Wbiltley Counsels », che divennero poi invisi alle stesse Trade-Unions, le quali, pur essendovi rappresentate, si rifiutano a riconoscerne la competenza in materia di fissazione di salari.

Nell'immediato dopo-guerra i sacrifici degli operai furono ricono-sciuti dal Governo britannico ed assistiamo ad una continua e cre-scente partecipazione degli operai ai lavori delle varie Commissioni. Così,quando la Conferenza finanziaria («TreasuryConference») discusse il problema dell'impiego degli operai dotati di una mezza capacità, solo i rappresentanti delie organizzazioni professionali furono consul-tati, escludendo gli industriali. Egualmente alla Commissione del

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«-trollo della Lana (« Wool Central Board »), incaricata della ripartizione dei quantitativi di lana disponibili fra le diverse officine, le Trade-Unions ebbero un numero di rappresentanti uguale a quello degli industriali.

II. — Ma nel 1920 comincia la crisi economica, cogli aspetti mon-diali di un tale fenomeno, che rappresenta il passaggio dall'economia di guerra all'economia di pace, che hanno già formato l'oggetto di studio da parte degli economisti. A noi importa soprattutto metterne in evidenza le conseguenze sul mondo operaio anglo-sassone e sulle sue manifestazioni sindacali. È noto che la tendenza dei salari al ribasso e l'accentuarsi della disoccupazione marcano un rapido abbas-samento nell'efficienza del sindacalismo operaio. In tali momenti gli operai sono tratti da un interesse elementare di difesa a sostituire all'egoismo del gruppo la tutela della propria esistenza. Non si tratta più di organizzare movimenti collettivi per strappare nei contratti di lavoro una porzione più larga del prodotto globale; si tratta di non cadere nella folla dolorosa dei disoccupati, su cui si allarga paurosa-mente l'ombra della male smela fames.

Non vi è quindi da meravigliarsi se le file dei sindacati cominciano a sfollarsi alla fine del 1920. Il ribasso dei prezzi, la diminuzione dei salari, la diminuzione del traffico e del numero degli affari, ecco i fenomeni economici caratteristici dell'epoca. Il ribasso dei salari ini-ziatosi nel 1921, continua nel 1922, e abbraccia gradualmente tutte le industrie, quantunque in proporzioni diverse. Confrontando l'anda-mento dei salari nel 1922 rispetto al 1921, troviamo una riduzione del 20°/„ circa. Secondo le statistiche raccolte dal Ministero del lavoro (statistiche che trascurano i salari agricoli, degli agenti di polizia, dei commessi, ecc.), si ha nel 1922 una riduzione netta di $ 4.200.000 sui salari di 7.600.000 operai per una settimana di lavoro.

Ecco una tavola interessante (vedi pag. 59) (1).

Parallelamente alla diminuzione dei salari, il mercato del lavoro inglese vede aumentare il numero dei disoccupati. Ecco una statistica recentissima :

Fine di Disoccupati Semi-disoccupati Dicembre 1920 Giugno . 1921 Dicembre 1921 Giugno . 1922 Dicembro 1922 Giugno . 1923 701.179 2.044.655 1.776.131 1.405.293 1.357.981 1.189.059 422.012 776.986 297.334 106.235 54.670 60.177 (2)

(1) Veggasi « Inforinations Sociales», Voi. VI, n. 7, maggio 1923. (2) «Ministry of Labour Gaiette», marzo 1923.

Media dei salari ebdomadari (Issati per contratti (con nnmero-Indlee) nelle diverse Industrie del principali centri della Gran-Bretagna e dell' Irlanda del Nord, 1914, dicembre 1920, settembre 1922 e marzo 1928.

toso 31 dicembre sh. p. tese 30 settembre sh. p. NUMERO INDICE 1 9 1 4 - 1 0 0 l e u toso 31 dicembre sh. p. tese 30 settembre sh. p. tess I N D U S T R I E 4 agosto sh. p. toso 31 dicembre sh. p. tese 30 settembre sh. p. 31 marzo sh. p. 1920 31 dicembre 1922 30 settembre 1023 31 marzo Costruzioni Mattonieri. . . . 40, 7 100,10 71, 4 71, 9 249 176 176 F a l e g n a m i . . . . 39,11 100, 8 71, 4 71, 2 252 179 179 Pittori 36, 3 99,10 71, 4 70, 1 276 197 193 Manovali . . . . 27 - 87, 8 53, 6 53, 4 325 198 198 Meccanica Aggiustatori e tor-nitori . . . . 38,11 89, 6 57, 6 56, 6 230 148 145 Fonditori . . . . 41, 8 92,10 59, 9 59, 2 223 144 142 Modellatori . . . 42, 1 94, 3 61, 4 60, 9 223 146 145 Manovali . . . . 22,10 70, 9 40, 5 40, 3 310 177 177 Costruzione navale Falegnami. . . . 40 - 101 - 60, 6 59, 9 253 151 127 Carpentieri . . . 41, 4 91, 3 58, 7 48,11 221 142 118 Laminatori . . . 40, 4 9 0 - 57, 7 47,10 223 143 119 Ribattitori . . . 37, 9 87, 2 55 - 45, 3 231 146 120 Manovali . . . . 22,10 70, 4 40, 1 38, 6 308 175 169 Stamperia t liltgitiri Compositori (a mano) 35, 8 93, 5 80, 6 77 - 262 226 216 Rilegatori o rigatoli (a macchina) . . 33,11 93, 4 80,11 75,10 275 239 224 Ammobigliamento Ebanisti . . . . 39, 9 102, t 77,11 76, 3 257 196 192 Tappezzieri . . . 38, 9 101, 1 77, 8 76, 2 261 200 196 Pulitori . . . . 37, 1 101,11 77, 7 76 - 275 209 205 Panettieri . . . . 30, 1 82,11 68, 8 65,11 276 228 219

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«-Tali i fatti economici che determinano i più recenti atteggiamenti del sindacalismo britannico. Quantunque la disoccupazione abbia toc-cato il. suo apogeo alla meta del 1921, tuttavia il fenomeno rimane sempre l'incognita paurosa della vita inglese. Vi sono dei fatti eco-nomici che orientano tutta la vita sociale. E la disoccupazione coi suoi riflessi politici, con la pressione delle masse sui poteri pubblici, è per eccellenza uno di tali fatti che esorbitano dal puro gioco delle forze economiche e penetrano tutta la costituzione sociale: opinione pubblica, Parlamento, uomini politici, filantropi, industriali intelligenti, se ne occupano con passione. Notevoli le proposte di M. D. Leebohn Rowntree, direttore della « Rowntree and G. Ltd » e della « Confectio-nery Ingrediats Ltd » (1), esposte in una serie di articoli sul Times.

L'idea più originale del Rowntree è quella di costituire un fondo di riserva. Egli parte dal concetto che l'industria moderna esige per il suo funzionamento una riserya di mano d'opera destinata via via a soddisfare alla domanda di lavoro, nei momenti di crescente ritmo produttivo. È la famosa riserva in cui tanti scrittori a carattere socia-lista o socialistoide videro un'arma del prepotere capitasocia-lista per depri-mere i salari. L'industriale filantropo di cui ci occupiamo, continua-tore di una bella tradizione inglese di capitani della produzione, che sanno concepirla nella sua globalità come fatto umano e sociale, con-sidera una tale riserva siccome un lato passivo del sistema produttivo moderno. La produzione ha i suoi rischi e le sue necessità che bisogna affrontare. Concetto questo di larga equità sociale che è penetrato via via anche nel diritto, creando la più moderna concezione dell'in-fortunio sul lavoro (2). L'industria dovrebbe considerare un tale fondo di riserva come una delle passività inevitabili gravanti sul processo produttivo e che devono pertanto essere condivise da tutti gli ele-menti che partecipano alla produzione. Non è equo che solo gli operai siano chiamati a pagare personalmente le conseguenze di un fatto collettivo.

Per non incoraggiare la disoccupazione involontaria M. Rowntree propone che si assicurino all'operaio disoccupato delle indennità gior-naliere sufficienti a soddisfare i bisogni più elementari, ma tali tut-tavia da non incoraggiare alla disoccupazione con la prospettiva di un facile ozio. Secondo il progetto Rowntree ogni disoccupato dovrebbe ricevere un' indennità pari al 50 % del suo guadagno medio. Frui-rebbe inoltre di una indennità speciale del 5 % per ogni figlio. Tut-tavia in nessun caso l'indennità giornaliera dovrebbe superare il 75 % del salario medio. E poiché la percentuale media della disoccupazione in Inghilterra è rappresentata dal 5 % della massa lavoratrice,

baste-f i ) Veggasi « Revue International du Travail», Voi. IV, n. 3, dicembre 1921, pag. 499; e « Informations Sociales », venerdì 6 luglio 1923.

rebbe il 4°/» % del capitale-salari. Lo schema del progetto Rowntree divide pertanto l'onere in questione nelle proporzioni seguenti: Indu-striali 2 V2 % della massa globale di salari, operai 1 pfennig per ogni 10 shelling di salari, lo Stato il 0,25 % .

Le idee del Rowntree non sono nuove (1) e una critica può trovare in esse tutti gli inconvenienti del metodo assicurativo, che non basta a sopprimere le conseguenze dolorose di una disoccupazione vasta e profonda. Ma esse vanno considerate con simpatia come l'espressione di un industriale intelligente sollecito dei problemi operai.

Più interessante ed originale è un rapporto di Glarence H. Nortbcolt pubblicato nel rendiconto dell'assemblea generale (2) dell'Associazione internazionale per la lotta contro la disoccupazione. Un tale rapporto interessa soprattutto noi italiani, cbe cominciamo a considerare i pro-blemi economici nostri nella vasta cornice di una possibile espansione mondiale. E l'analogia è sotto alcuni aspetti calzante. Prima della guerra il Regno Unito aveva una emigrazione annua oscillante fra le 250.000 e le 400.000 persone. Durante la guerra l'emigrazione venne a cessare ; ed invece ci si trovò di fronte ad un aumento demografico che il censimento del 1921 per l'Inghilterra, la Scozia e l'Irlanda valutò ad 1.120.000 rispetto al 1923. Il fenomeno è dunque analogo alla crisi dell'emigrazione italiana; le difficoltà di trovare uno sfogo alla disoccupazione nell'emigrazione sono numerose anche nel Regno Unito, dove pure il vasto impero coloniale offre risorse ignote alla nostra economia. Non sempre il disoccupato è un elemento idoneo alla emigrazione. Anzi troppe volte vi è un'antitesi assoluta fra le sue attitudini di operaio abituato ad un certo tenore di vita cittadina e le necessità dell'espansione coloniale, dove prevalgono gli uomini audaci, i pionieri senza paura dalle attitudini molteplici, a volta a volta guerrieri, allevatori, industriali. E non pochi dominions soffrono già di un eccessivo urbanismo (3).

La Nuova Zelanda ha il 55 °|0 della sua popolazione concentrata nelle grandi città. In Australia la proporzione va al di là del 50 % . Questo spiega come i dominions domandino in generale popolazione rurale. Le principali conseguenze a cui arriva il Northcolt sono quindi le seguenti:

a) l'emigrazione è un rimedio diretto per l'eccesso demografico,

ma solo indiretto per la disoccupazione;

b) gli operai possono più facilmente trovare impiego negli Stati

Uniti d'America che altrove.

(1) Veggasi Les reinidea cui chómage, Bureau Internationale du Travoil. (2) Assemblée générale de l'Association Internationale pour la lutte contro le cbómage, Lussembourg 9-11 settembre 1923 ; Emigration and Colonisation as

remody /or Unemployment by CLAKENUE H. NOHTHCOLT, pag. 57 e seguenti.

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«-L'emigrazione preferibile per il Regno Unito è ancora quella che si dirige verso i dominions (1). Tale emigrazione tutlavia deve essere preferibilmente agricola. È soprattutto nello sviluppo continuo, gra-duale, sistematico delle risorse economiche dell'impero che la Gran-Bretagna potrà trovare la propria rigenerazione economica.

Ma intanto, mentre teorici e pratici discutono, gli avvenimenti incalzano. Il programma di colonizzazione indicato dal Norllicolt può rappresentare una mèta lontana da raggiungere, non un complesso di rimedi pratici da attuare per superare la crisi dell'ora. Crisi paurosa, se il Sidney Webb può scrivere: « Le cifre delle statistiche non indi-cano che in piccola parte la vastità della tragedia, crisi che il tempo, se mitiga nella sua espressione numerica, allarga invece nelle sue con-seguenze sociali. Una vasta inchiesta fu aperta da un nucleo valoroso di economisti che continuano la bella tradizione delle inchieste pri-vate iniziate dal Booth sulla popolazione di Londra: J. J. Astor, A. L. Bowley, Henry Clay, Robert Grani, W. T. Laygton, P. J. Dybis, B. Leehohn Rowntree, George Schuster, F. D. Stuart vi concorrono (2). Il fenomeno è studiato in tutti i suoi aspetti e nelle sue conseguenze, igieniche, economiche e sociali. Il Governo, sotto la pressione delle necessità incombenti, già nel 1920 promulgò un'assicurazione contro la disoccupazione. La vecchia legge (national insnrance ad) aveva costituito l'assicurazione per alcune industrie (industrie costruttive meccaniche e navali). In vista di tale legge ogni operaio toccava 7 sii. ogni settimana. La contribuzione per il fondo assicurativo ammontava a 5 d. settimanali, pagale cumulativamente da industriali e operai, ai quali lo Stato aggiungeva un altro contributo di 1 */3 d.

Nel 1920 la nuova legge (unemployment insnrance ad) estese l'as-sicurazione a tutti i lavoratori manuali, esclusa l'agricoltura. Un rap-porto pubblicato dal Ministro del lavoro (3) si dichiarava soddisfatto dei risultati ottenuti. Durante il periodo di due anni e mezzo, sino al luglio 1923 furono pagati sussidi per una somma globale di $ 128.000.000. Tre quarti di questi sussidi sono tratti dalle contribuzioni degli operai e degli industriali : il resto è pagalo dallo Stato. I risultati dell'appli-cazione della legge inglese sono così delineati nel citato rapporto: « L'esperienza dimostra come l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione è completamente applicabile. Lo schema legge in vigore lia ormai superato felicemente la prova del fuoco di una disoccupa-zione senza precedenti per vastità. Tuttavia il fondo stanzialo dalla legge ha potuto elargire sussidi in misura ben più larga di quelli pre-visti. Quantunque abbia raggiunto tali risultati addossandosi un debito considerevole e chiedendo contributi sempre maggiori, tuttavia la

(1) Art. « Revue Internationale du T r a v a i l » , febbraio-marzo 1923. (2) Tho Ihird mutar of unemployment, London P. S., King e Son. (3) Report on National unemployment insnrance, luglio 1923.

solidità finanziaria del sistema non è compromessa ». Malgrado tali altruistiche considerazioni il metodo assicurativo, se vale a mitigare alcune delle conseguenze più gravi della disoccupazione, lascia tut-tavia intatto il problema nel suo valore economico e sociale. Intanto il movimento operaio, pur vedendo diminuita la sua importanza sin-dacale dal punto di vista numerico, mantiene intatto, anzi accresce il suo potere politico e la sua influenza nell'opinione pubblica. Mr Ramsay Mac-Donald, Mr Philip Snowden, Mr Thomas conducono alla Camera dei Comuni una serrata campagna contro il Governo. Le idee socia-liste, fino ieri estranee al trade-unionismo inglese, penetrano poco a poco e si impongono nei Congressi. Già nel settembre 1919 il Con-gresso delle Trade-Unions riunito a Glascow reclama la nazionaliz-zazione delie miniere. 11 concetto delle nazionalizzazioni si allarga e si riafferma nel Congresso del partito laburista del 1922(1). Il partilo laburista, come è noto, svolge la sua azione politica integrando l'azione sindacale delle Trade-Unions. Ecco un brano interessante dell'ordine del giorno:

« Il Congresso riconferma i suoi postulati per la nazionalizzazione di tutti i principali mezzi di produzione mondiale, di distribuzione e di scambio e dà mandato al metodo esecutivo del partilo del lavoro d'inserire nel programma per le elezioni generali la dichiarazione della necessità immediata della nazionalizzazione della terra, delle miniere ed altri servizi pubblici di fondamentale importanza ».

Quantunque il movimento sindacale nel suo recente Congresso (Plymouth, 3-0 settembre 1923) (2) si mantenga sul terreno della pura difesa economica, tuttavia questo penetrare di concetti socialisti negli ambienti laburisti è sintomatico. Il Congresso si limita a dichiarare insufficiente la politica del Governo per quanto concerne la disoccu-pazione e chiede un vasto piano di lavori pubblici. È in queste con-dizioni sociali incerte, dove già si profilano gli inquietanti fantasmi