Chi abbia obiettivamente studiato la legislazione comparata delle imposte sui redditi mobiliari, si sarà tosto convinto che la nostra imposta di ricchezza mobile così come era concretata nella legge del 1864 rappresentava, se non la perfezione, il migliore fra i metodi organici. Questo è unanime giudizio, tanto riguardo ai principi più sani della disciplina finanziaria, che quella legge ha tradotti in dispo-sizioni coordinate, sia pure suscettive di perfezionamenti, quanto rispetto a quel complesso di norme che regolano la applicazione del tri-buto. Pur troppo ii magnifico edificio costruito dal legislatore del 1864 che ancor oggi avrebbe sfidato il tempo, da leggi successive e, anche più, dalla pratica è stato deturpato e demolito, sicché ora é persino difficile scorgerne le fondamenta.
Ma questa è vecchia constatazione, nè varrebbe la pena di spendere parole in argomento dopo quanto scrissero nei loro più recenti trat-tati l'Einaudi (1), il Flora (2), il Nitti (3) e, con maggiori particolari, il Lia (4), il Perdrieux (5), lo Spoelberch (6).
Conviene riprendere quella constatazione ed insistervi poiché oggi, e non soltanto oggi, sono intervenuti fatti nuovi e nuove circostanze che — a nostro modesto avviso — si impongono e dovrebbero persua-dere della assoluta e urgente necessità di porre riparo ad una situa-zione insostenibile.
Queste note sono per forza di cose frammentarie: ci studieremo di coordinarle richiamando, in quanto necessario, ciò che è già stato autorevolmente osservato.
I. — Se dovessimo tener dietro alle disposizioni susseguitesi dopo il T. U. del 24 agosto 1877, n. 4021, esso pure modificato da numerose
(1) L. EINAUDI, Corso di Scienza della Finanza, ed. de « L a Riforma Sociale » , Torino 1916.
(2) E. FLORA, Manuale della Scienza delle Finanze, Giusti, Livorno 1921. (3) F. NITTI, Principi di Scienza delle Finanze, Pierro, Napoli 1922.
(4) A. LIA, L'imposta mobiliare e la riforma dei tributi diretti in Italia, Roux e Viarengo, Torino 1906. Vedi anche Le deformazioni nell'imposta di
ric-chezza mobile in « La Riforma Sociale » del 1910, pag. 510, 529.
(5) M. P. PERDIIIEUX, Les fraudes dans l'impót ilalien sur les revenus de la
richesse mobiliere in « Bulletta mensuel de la Société de Législation Comparée » ,
n. 3 del 1909, pag. 227.
altre leggi per cui vige il regolamento 11 luglio 1907, n. 560, ci per-deremmo in un labirinto.
Il risultato di tutta una serie di leggi e decreti-legge si esprime in poche parole: cinque categorie, quindici sotto-categorie, quindici ali-quote diverse. La bellissima legge del 1864 ha lasciato traccia, in sostanza, solo nelle lettere che contraddistinguono le categorie. E così, al sistema degli ottavi si sostituì inopportunamente nel 1894 quello dei quarantesimi; nel 1917 si deformò anche quest'ultimo elevando a «/,. gli imponibili di categoria A1, a " / « gli imponibili di categoria B
superiori a L. 3000 per i privati e di qualsiasi importo per gli enti collettivi, a gli imponibili di categoria C superiori a L. 3000 per i privati, lasciando immutata l'aliquota normale del 20 °/0; nel 1918, visto che era impossibile, senza cadere nell'assurdo, aumentare ancora il numero dei quarantesimi imponibili, si cancellò il sistema, e si tas-sarono addirittura i redditi netti provvedendo « naturalmente... per le congrue modificazioni nel calcolo dei redditi esenti e delle detrazioni ». Se ora diamo uno sguardo alle quindici aliquote effettive per il 1923 e 1924, ne scorgiamo tre che, fra erariale principale, addizionale 2 °/0
per reimposizione, addizionale 15 °|0 a favore dei mutilati ed invalidi di guerra, altro 2 °/„ per spese di distribuzione, e contributo del cen-tesimo di guerra, superano la vecchia aliquota normale del 20 °/0, e per vero troviamo un 25,868°/0 in categoria A1, un 25,368 in categoria A8, un 20,0944 % >n categoria B pei redditi superiori a L. 5000 e pei red-diti di enti collettivi: da aggiungersi ancora gli aggi di riscossione, variabili da Provincia a Provincia e da Comune a Comune.
Le esenzioni, specie quelle fino a L. 533,33 in categoria B e fino a L. 640 in categoria C, se potevano sembrare « congrue » nel 1918, ora non lo sono più all'evidenza e converrebbe moltiplicarle, ad esempio, per quattro.
Pure le riduzioni risultano oggi inapplicabili ; vediamo quali sono per esserne convinti senza bisogno di commenti:
Categoria B. Categoria C.
Redditi Ridazioni Redditi Riduzioni <lu L. 533,34 a L. 666,66 333,33 da L. 640,01 a L. 800 400
» 666,67 » 800 — 266,66 » 800,01 » 960 320 » 800,01 » 933,33 200 — » 960,01 » 1120 240 » 933,34 » 1066,66 133,33 » 1120,01 • 1280 160
Di tutto ciò, ne siamo certi, si è tenuto conto nell'annunciata riforma delle imposte dirette, come appare da un attento esame del comuni-cato ufficiale sul Consiglio dei Ministri tenutosi il 28 dicembre 1923.
II. — Sappiamo che le aliquote sono fantastiche; a quella di ric-chezza mobile bisogna inoltre aggiungere: la sovrimposta mobiliare per le categorie B e C, ridotta a metà per il 1924 e giustamente
abo-r i
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lita col 1925; la tassa di esercizio o, dal 1925, l'imposta sulle industrie, commerci, arti e professioni ; l'imposta complementare (attuale o futura); la tassa camerale e qualche altro balzello (in via di liquidazione) creato dalla guerra, tributi tutti che, sotto diverso nome e con pretesti diversi, colpiscono il medesimo reddito.
Ora, tali aliquote elevatissime sarebbero tollerabili se colpissero
sempre redditi notevolmente inferiori al vero: ciò poteva accadere
nel 1918 quando si decretò che gli inasprimenti sarebbero stati in vigore fino al termine dell'anno di conclusione della pace e quando le Agenzie erano occupate ad accertare i profitti di guerra, e poteva accadere anche per le ragioni che esporremo in seguito. Ma succes-sivamente, specie dal 1920 in poi, con le rettificazioni quadriennali, oltre che gli aumenti reali dei redditi, si è seguita la svalutazione monetaria e si sono avvicinati gli imponibili al vero: ciò è accaduto, a nostra impressione, data la mancanza di recenti statistiche complete, specialmente pei redditi che nel 1918 superavano le L. 5000, non, in generale,- pei redditi minori protetti dalla iniziale mediocrità o iscritti nei ruoli di quei Comuni che, come vedremo in appresso, rappresen-tano tante oasi di pace dove il fisco giunge di rado e poco si sofferma.
Si è andata cosi formando una situazione di questo genere: gli agenti delle imposte naturalmente si disinteressano dell'aliquota (1); le Commissioni, come i giurati, non possono fissare la condanna perchè sono chiamate a decidere soltanto sul reddito, ma intanto alla sca-denza dei quadrienni si rivedono i redditi secondo i criteri sopra accennati e l'aliquota rimane ad altezzu vertiginosa. Che se taluno volesse mettere in dubbio che i redditi iscritti a ruolo sono vicini — in generale e fatte le eccezioni di cui sopra — ai redditi effettivi, ciò accadrà fatalmente fra brevissimo tempo, essendo risaputo che con le scadenze dei quadrienni gli agenti pretenderanno di aumentare ancora, rinunciando assai raramente alla pretesa, ed il succedersi degli aumenti porterà i redditi al livello effettivo.
Se, vogliamo dire, la situazione assurda non è ancora in atto, sap-piamo certamente di esserne sulla china e non manca quindi la ragione di prevenirla. E se, per fortuna, i contribuenti non si trovano fin dn ora nella condizione di dover sopportare l'aliquota fortissima sul red-dito effettivo, ciò dipende non altro che dalla impotenza del fisco a scovare quale sia quel reddito.
Ma, peggio ancora, il legislatore del 1918, adducendo il solito pre-testo del momento eccezionale (che, se mai, appunto perchè tale, richie-deva la massima oculatezza), ha voluto fare dell'imposta di ricchezza
(1) Non sempre però. Taluni eccessivi tlscalismi hanno mirato a tassare in categoria B quello che si deve tassare in C, semplicemente per far sopportare una aliquota maggiore. Ciò è accaduto spesso per i rappresentanti che rappresentano una sola Caaa e che per il fisco diventano * commercianti in proprio » ed anche per certe categorie di profoseionis'i,
mobile un'imposta ad aliquota progressiva, mentre dapprima la pro-gressività era solo timido e insensibile accenno.
Per non riscrivere i risaputi argomenti che si adducono contro la progressività nell'imposta, faremo questa sola constatazione: che, in pràtica, l'aliquota progressiva della nostra imposta di ricchezza mobile, se poteva sembrare giustificata nel 1918, attualmente concorre a creare quelle disparità di trattamento che tutti denunciano e lamentano.
Dopo i sensibili aumenti dei redditi iscritti a ruolo dal 1918 in poi, che serietà si vuole attribuire ad un'imposta progressiva cbé colpisce, nelle categorie B e C, con l'aliquota massima i redditi superiori alle lire cinquemila ?
Meno male se la progressività fosse soltauto scritta sulla carta, se cioè non fosse possibile applicarla: il guaio è che di essa avvantag-giano i redditi non superiori a L. 5000, i quali, nella grandissima maggioranza dei casi, sono cosi piccoli, non perchè rispondano al vero, ma per la incapacità del fisco ad aumentarli (1).
E notisi bene che la differenza d'aliquota non è trascurabile : nelle categorie B e C, fra l'aliquota massima e quella minima corre una differenza del 7,16 °/0.
Ne concluderemo che, a parte ogni discussione sulla determina-zione della nuova aliquota, ba ben fatto il Ministro delle Finanze a semplificare le aliquote e a ritornare alla corretta misura proporzio-nale, come si apprende dal Comunicato sul Consiglio dei Ministri tenutosi il 30 dicembre 1923.
III. — L'on. De'Stefani, nel discorso pronunciato alla Camera il 25 novembre 1922 affermava che « il problema tributario è un problema assai più modesto di quel che molti possano immaginare: è un pro-blema di accertamento... ». Senza dubbio il Ministro ba inteso di dare a questo « accertamento » un duplice significato e ha voluto riferirsi tanto a quella massa imponente di contribuenti che sfugge all'imposta (sono, secondo il Ministro, mezzo milione per la sola imposta di ric-chezza mobile), quanto a quella massa per cui gli accertamenti risul-tano inadeguati. E infatti il 13 maggio 1923 nel discorso alla Scala l'on. De'Stefani annunziava di aver inquadrato 50.000 disertori e di aver provveduto ad eliminare, per usare una frase del compianto on. Tangorra, le consacrazioni legali della evasione: 100.000 iscritti
(1) Ci riferiamo specialmente a quelle oasi dorè assai raramente possa la caro-vana fiscale e, quando vi passa, fa poca sosta.
Ci si dica, ad esempio, se è possibile che presso l'Agenzia delle Imposte di Milano, senza dubbio la più importante del Regno, un solo agente possa provve-dere alle operazioni relative all'imposta di ricchezza mobile per ben 54 Comuni, con un complesso di oltre 200.000 abitanti. Dal 1° luglio 1024 i Comuni divente-ranno soltanto... 40, ma la diminuzione, almeno per i primi anni, aumenterà il lavoro dipendendo dal distacco di 14 Comuni e dalla aggregazione di 9 nuovi.
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alla nuova leva dei salariati, 1.315.000 iscritti in quella dei proprie-tari-coltivatori e dei coloni. Dati resi sempre più confortanti dalle statistiche comunicate al Parlamento 1*8 dicembre 1923.
Ma, per il resto, come andare alla scoperta di chi non paga l'im-posta e pur dovrebbe pagarla; in che modo far funzionare l'iml'im-posta come vorrebbe la legge, nei confronti di chi figura già nei ruoli ?
Che risultati ha dato fino ad ora la nuova polizia tributaria, « occhio dello Stato nelle saccocce del frodatore », istituita più di un anno fa? Come si svolge tuttogiorno l ' « accertamento » in cui consiste il modesto problema tributario?
Limitiamoci a dare un rapido sguardo al funzionamento dell' imposta per le categorie A e B , riprendendo le osservazioni del Lia e del Perdrieux ed aggiungendovi quanto ci suggerisce la nostra modesta esperienza.
IV. — Dispone la legge che « ogni contribuente è tenuto a fare la dichiarazione dei suoi redditi » e, quanto alia categoria 4*, soggiunge il Regolamento che la dichiarazione dovrà contenere tutti i redditi dipendenti dall'impiego del capitale, non compresi in categoria A', cioè i redditi perpetui e quelli procedenti da crediti ipotecari o chiro-grafari, o da altri titoli, come mutui anche verbali o per semplici scritte 0 sotto forma di lettere di cambio, ecc., ecc.
In pratica nessuno rispetta quest'obbligo, nè la Finanza applica ie sovratasse comminate dalla legge.
Prescrive il Regolamento che « i notai per gli atti da loro ricevuti od autenticati, i ricevitori del registro per gli atti da loro registrati, 1 conservatori delle ipoteche per gli atti passati innanzi al loro esame invieranno all'agente un estratto sommario di quelli portanti contratti produttivi di credito, nonché di quelli nei quali non apparisca stipu-lato alcun interesse », ma in pratica nè i notai, nè i ricevitori dei registro, nè i conservatori delle ipoteche redigono tali estratti. Sono invece le Agenzie che mandano incaricati presso gli uffici del registro (non mai presso i notai) a « spulciare » gli atti.
Tutto ciò che non è registrato, mancando la denuncia, sfugge alla imposta, salvo quei crediti (ormai divenuti rarissimi) che l'agente riesca a pescare nella contabilità degli enti collettivi e quei crediti non regi-strati dei quali l'amministrazione possa produrre prova scritta, il che accade ancor più raramente. Crediti chirografari stipulati fra privati, mutui, cambiali, ecc., fruttano interessi che non scontano l'imposta. In sostanza, l'imposta di ricchezza mobile di categoria A1 è dive-nuta un tributo che il contribuente paga o non paga a suo piacimento: egli vi si sottopone (è ovvio) quando proprio non ne può fare a meno, quando cioè abbia stipulato un mutuo per cui si richieda l'atto pub-blico, oppure quando il credito risulti da sentenza, nel qual caso, di solito, il fisco persegue il reddituario proprio nel momento in cui questi ha dovuto ricorrere al magistrato stante la morosità del debitore.
Si pretende l'imposta sugli interessi solo allorquando gli interessi non vengono più pagati!
È naturale che da una situazione così falsa nascano reazioni tanto da parte della Finanza quanto da parte dei contribuenti.
Gli agenti delle imposte, nell'impossibilità di scoprire i crediti nascenti da atti non registrati, si accaniscono su quelli registrati o risultanti da sentenze, mirando a colpire anche gli interessi non tas-sabili, almeno in categoria A*. E così abusano nella presunzione dei crediti « avulsi dal commercio » e in ogni atto vogliono scorgere inte-ressi celati o mascherati, mascherandosi a loro volta da ricevitori del registro per indagare sulla natura e sulla specie degli atti e attribuen-dosi facoltà che spettano alle sole Commissioni (1).
Dal canto loro i contribuenti, abituati ad una facilissima frode per-manente, negli atti da registrarsi accollano l'imposta diventata gra-vosa al debitore o esplicitamente o aumentando in relazione il capitale. In definitiva l'imposta, anziché essere un prelievo sull'interesse, nei pochi casi in cui può applicarsi rappresenta un nuovo onere per il debitore e lo grava proprio nel momento in cui ha bisogno di ricorrere al credito.
Considerando poi la categoria A1 troviamo questo di curioso: che gli interessi e premi dei titoli pubblici vengono colpiti integralmente e senza pericolo di evasioni con un'aliquota maggiore di quella in vigore per la A* !
V. — Ancor più serio si presenta il problema dell'accertamento in categoria B: vediamo anche qui di riassumere le vecchie constatazioni, per soffermarci poi su quanto di nuovo ha prodotto il male incancrenito^ Le osservazioni che svolgeremo per la categoria B varranno anche, di massima, per la categoria C, eccettuata qualche specie di reddito.
Anche qui nessun contribuente rispetta l'obbligo di presentare la denuncia, nè la Finanza esige che tale obbligo si osservi, nè applica le penalità. Fra i contribuenti si è persino radicata la convinzione che il reddito mobiliare sia esente dall'imposta nei primi due anni d'esercizio! Quando il fìsco viene a sapere che l'esercizio esiste, sono ormai passati due o tre anni dalla sua apertura. Le disposizioni : che la Giunta municipale compili e riveda annualmente la lista degli indi-vidui soggetti all' imposta^ includendovi i contribuenti non compresi nelle operazioni dell'accertamento precedente ; che la Camera di Com-mercio, appena avvenga la formazione di una nuova società o
l'aper-t i ) Cil'aper-tiamo, fra i moll'aper-ti, il caso di quel conl'aper-tribuenl'aper-te di Lendinaru che avendo stipulato un contratto di enfiteusi, si vide accertare in categoria A1 degli interessi di resto prezzo sol perchè fra direttario ed utilista si era convenuto : la prela-zione a favor del primo in caso di vendita del fondo ; la rinunzia da parte dell'u-tìlista alle migliorìe e l'affrancazione mediante pagamento di acconti.
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tura di un nuovo esercizio, ne informi l'Agenzia delle Imposte, sono rimaste, da tempo immemorabile, lettera morta.
È vero che la legge db facoltà all'agente di raccogliere le notizie e di procedere all'accertamento d'ufficio nei confronti di chi non abbia denunciato: ma dove va l'agente a raccogliere notizie? Come fa a sapere quali sono quegli « individui » che avrebbero dovuto dichiarare e che invece non si sono fatti vivi?
Nella pratica, bisogna pur dirlo, le fonti principali per le Agenzie sono queste: le portinerie, le guide delle città (a Milano il volume più diffuso nell'Agenzia è la Guida Savallo), per tacere degli elenchi degli abbonati al telefono„e infine, precipua fra tutte, la tassa di eser-cizio applicata dai Comuni. Quali elementi minori si possono annove-rare : gli annuari pubblicali dalle Banche, la tassa di famiglia (!), le informazioni fornite volontieri dai concorrenti tassati, le notizie di rapporti di affari desunte dall'esame di contabilità, la pubblicità delle ditte sui giornali più diffusi, ecc., ecc., nslrazion fatta per quei redditi nettamente accertati in via presuntiva, come fra poco vedremo.
Sarebbe ridicolo parlare di attendibilità nelle notizie assunte in portineria, dove le ire personali e gii effetti delle mancie valgono più che altro ad ingrandire o a rimpicciolire i redditi, per quanto ne sappia il portinaio. E che dire di tutte le altre fonti?
Esaminiamo, poiché ne è il caso, quella rappresentata dalla tassa di esercizio.
Le norme che regolano l'imposta di ricchezza mobile in nessuna parte dispongono che, nella determinazione del reddito, si debba tener conto della tassa di esercizio. Eppure, se si tratta di tassare contri-buenti residenti in piccoli Comuni, le Agenzie, prima di chiamarli a comparsa, si fanno mandare dai sindaci le copie dei ruoli della tassa di esercizio e su questa, unicamente su questa, fondano le rettificazioni od i nuovi accertamenti, mancando nei piccoli Comuni le portinerie e le dettagliate guide. Questo è accaduto anche per l'imposta sui pro-fitti di guerra ! Nei Comuni maggiori invece, le Agenzie, facendo per-venire ai contribuenti i moduli 14 bis, li invitano per iscritto a pre-sentare le cartelle esattoriali della tassa di esercizio, la quale resta quasi sempre unico dato di tassazione.
È risaputo che i Comuni, potendo disporre di un personale più numeroso (1) e di notizie dirette, possono talvolta conoscere con una
(1) La deficienza di personale nelle Agenzie è indiscutibile. L'on. De' Stefani, nel discorso tenuto in Senato il 12 giugno 1923 annunziava che « per colmare, almeno parzialmente, i grandi vuoti degli uffici esecutivi, in data 16 novembre (1922) venne bandito un concorso per 1500 posti di volontario che si chiuse il 15 feb-braio 1923, e che venne giudicato, benché i concorrenti ammontassero a 7371, in quarantotto giorni » . Nessuna lentezza, sta bene.
Ma se esaminiamo la situazione numerica del personale delle imposte dirette (volume dei Documenti comunicati al Parlamento l ' 8 dicembre 1923, p. 166 e 200)
certa attendibilità le condizioni in cui si svolge un'industria, com-mercio o professione, ciò che non è permesso alle Agenzie. Nei piccoli Comuni poi la ricerca delle notizie non è difficile : diventa impossibile quando da una sola Agenzia (Milano) dipendono 54 Comuni.
È da aggiungere che gli impiegati comunali sono di solito del luogo, mentre per quelli delle Agenzie càpita il contrario. Ma i Comuni, specie in questi ultimi anni, nell'applicazione della tassa di esercizio banno commesso tali e tanti eccessi da far spavento. Troviamo detto in un documento ufficiale (1) che « la tassa di esercizio aveva dato luogo ad inconvenienti non lievi, a sperequazioni di tributo fra esercizio ed esercizio, dipendenti dal criterio seguito dal Comune per la valutazione della importanza di ciascuno di essi, oltreché ad eccessi di tassazione per l'incentivo lasciato alle Amministrazioni locali di gravare la mano sopra questo o quell'esercizio ».
È facile immaginare adunque su quali basi siano fondati gli accer-tamenti d'imposta di ricchezza mobile (2).
Non è facile invece prevedere che cosa avverrà col prossimo anno 1925, a partire dal quale la tassa di esercizio è abolita e sosti-tuita da una imposta applicata sul reddito accertato ai fini del-l'imposta di ricchezza mobile: il buio per le Agenzie si farà sempre più pesto (3), a meno che non funzioni con risultati concreti la polizia tributaria.
troviamo che tanto al 1° luglio 1923, quanto al i* ottobre 1923, la situazione numerica di fatto era di molto inferiore al numero dei posti secondo l'organico. Il vuoto nella sola carriera amministrativa era ai ls ottobre 1923 di ben 643 posti ed i volontari alla stessa data erano soltanto 743. Si sa poi che cosa possano fare i volontari : gii agenti delle imposte non si improvvisano.