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Sciolta la famosa « Accademia dei Pugni » e smessa la pubblica-zione del * Caffè », Alessandro Verri, cui è compagno di viaggio Cesare Beccaria, che la fortunatissima operetta « Dei Delitti e delle Pene » ba già reso celebre, parte alla volta di Parigi e inizia col fratello Pietro un'assidua corrispondenza, che durerà per un trentennio.

Il carteggio, già incompletamente raccolto e pubblicato dal Casali, viene ripreso, riordinato e presentato per cura di Francesco Novali, Emanuele Greppi e Alessandro Giulini. La nuova edizione, arrivata al quarto volume, comprende le lettere, scritte in piacevole ed efficace prosa, cui soltanto nuoce la troppo abbondante copia di barbarismi e di idiotismi, dal 1767 al 1771.

A Parigi il Beccaria, pur incontrando accoglienze trionfali, non riesce a sfuggire agli assalti di una soverchia nostalgia della moglie e della patria, tanto che — dopo aver tormentalo a lungo il com-pagno — ritorna a Milano, mentre Alessandro si accinge a partire per Londra, intorno a queste vicende si aggirano sovratutto i primi due anni del carteggio.

(1) La Società Storica Lombarda si ò resa benemerita colla pubblicazione del

Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri dal 1700 al 1707 (I volume, 1923, u cura

di EMANUELE GRECCI e di ALESSANDRO GIULINI ; parte prima, ottobre 1766-luglio 1767, pag. LUI- 133; parte seconda, luglio 1767-agosto 1768, pag. 451 ; II volume, 1910, a cura di FRANCESCO MOVATI ed EMANUELE GREPPI, agosto 1768-luglio 1769, pag. ix-398; 111 volume, 1911, ugosto 1769-settembre 1770, pag. 495; IV volume, 1919, a cura

d i FRANCESCO MOVATI, EMANUELE G R E P P I e d ALESSANDRO G I U L I N I , o t t o b r e 1 7 7 0

-dicembre 1771, pag. vi-380). La pubblicazione, di cui il primo volume, per ragione di raccolta di matcriule, fu pubblicato più tardi dogli altri, fa grande onore lilla Società Storica Lombarda, che volle esserne promotrico, ed ni raccoglitori, Iru cui la morte vietò al primo, Francesco Novati, di giungere al termine delln sua fatica. Il carteggio, edito con prefazione di apposito critico e di note biogrulichu e storielle, può essere con frutto studiuto du molti punti di vista. La nostra Rivista già l'annunciò quando erano pubblicati i volumi 11, I l i e IV. Oru che, colla pubblicazione del primo volume, un ciclo della vita dei Verri si può ritenere compiuto, ha curato che fossero estratte alcune tra le sentenze più interessanti in materia economici), allo scopo di invogliare gli studiosi nel nostro campo a riandare le piigine di uno dei maggiori nostri economisti del secolo xvm. Quando la pubblicazione sarà più inoltrata ritorneremo sopra a questo carteggio, clic sarebbe desiderabile fosso seguito da altri, di economisti pure insigni, che nella vita politica italiana del secolo xvm ebbero gran parte. I quattro volumi, stampati con nitidi tipi ed arricchiti di ritraiti e di facsimili, sono editi dalla Casa Editrice L. F. Cogliuti, Milano.

Ma, oltre che del Beccaria, l'autore delle « Notti romane » si occupa anche della vita di Parigi e di Londra. E se nella brillante capitale del Settecento lo interessano gli uomini : Diderot, D'Alembert, l'abate Morellet, Marmontel, il Frisi e le signore De Geoffrin, De L'Espinasse e Necker, a Londra è la maggior dignità civile del popolo che attrae la sua attenzione; si che egli diventa in breve un ammiratore delle libere istituzioni inglesi. Pietro legge con avidità queste notizie e le commenta :

« La forza di uno Slato è il piede militure, questo è proporzionato al denaro, questo al commercio e questo alla libertà civile. Dunque deperire ed essere oppressi dalle forze esterne, ovvero dare la libertà civile ai popoli. Questa è l'alternativa in cui si trovano gli Stati di Europa. L'Inghilterra è quella che l'ha formata ».

Per libertà civile egli non intendeva certo l'indipendenza del giogo straniero, la libertà ideale o l'unità della Patria, ma'

« ...la sicurezza che nasce da un sistema placido di leggi. Infatti che un segretario stenda una grida e due altri vi si aggiungano per mera formalità, è poco per formare una legge slabile e universale, che decide della fortuna e della libertà dei cittadini ».

E ancora:

« Io sono persuasissimo che i posteri ci riguarderanno come imbe-cilli, come schiavi: commerceranno il grano, il fieno ed ogni cosa liberamente, trasportando liberamente il grano dove vorranno, non avranno nessuna moneta bandita; ma tutte saranno benvenute, basta che siano in abbondanza; non proibiranno l'uscire dal paese a nessuno; lasceranno che ognuno porti nelle sue tasche un cannone, se può; permetteranno che ognuno scriva e stampi i suoi pensieri e le sue pazzie e, contenti di punire gli assassini e i calunniatori, non andranno a rendere tanto infelici i popoli e ad inquietarli lauto, affine di procurare la felicità e la quiete pubblica ».

E così, a poco a poco, noi possiamo scorgere, attraverso le numerose lettere, lo svolgersi e il maturare del pensiero dell'economista : la ric-chezza crescerà o diminuirà secondo che la riproduzione è maggiore o minore del consumo; accrescere la produzione dev'essere lo scopo dell'economia politica. Per raggiungerlo, occorre: che i venditori ai compratori abbiano la maggior proporzione possibile ; che lo Stato rimedi — indirettamente — alla cattiva distribuzione dolla ricchezza; clie, soprattutto, sia concessa libertà all'industria. Scrive iniatti il 9 maggio 1767:

« ...metto in ordine il progetto sull'Annona; ho aggiunto l'esempio costante delle Nazioni, dal quale provasi che libertà e abbondanza, vincoli e carestie, vanno a due a due ». Ed il 16 marzo 1768, aggiunge: « I vincoli persuadono a primo aspetto e la maggior parte degli uomini ricusa la fatica di oltrepassare colla meditazione il primo aspetto degli oggetti. L'inerzia umana inclina alla servitù delle opinioni ereditale.

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«-Perciò tutti i dispotici, tutti gli avari, tutti gli indolenti, tutti i troppo docili dovevano essere contro la mia opinione ».

Il 22 giugno dello stesso anno, più compiutamente si esprime: « I nostri antichi, mossi da un mal celato spirito di simmetria, hanno voluto erigere tanti corpi separati, quanti sono i mestieri e le arti. Questi hanno formato un monopolio dell'arte; han posto vincoli ed ostacoli ai candidati per esercitarla. Sono nati gli inconvenienti del monopolio, cioè carezza di prezzo. Che si è fatto per rimediarvi? Per portare rimedio ad un vincolo se ne sono imposti di nuovi col limitare per legge il prezzo delle cose ; e questa legge è sempre e deve essere violata o recidendo il limite del prezzo comandato, o diminuendo con frode il peso o deteriorando la merce, frammischiandovi materie più vili. Se si lasciasse la libertà a chiunque di vendere pane, carne, burro, ecc., al prezzo che vuole, riserbando le leggi soltanto contro chi usasse di pesi falsi o vendesse cose nocive alia salute pubblica, perchè mai la libera concorrenza dei venditori coi compratori non dovrebbe fissare il prezzo giusto?

« E che è mai il prezzo giusto che la proporzione che, nella opinion comune, una cosa ha col denaro? E come può aversi meglio l'opinion comune che lasciando un libero conflitto fra chi offre il denaro e chi offre la merce? O il prezzo che fissate colla legge è più del giusto, e fate un torto al pubblico, o è il prezzo giusto, ed è inutile fissarlo perchè a quel livello si porrebbe da sè, o è meno del giusto, e voi obbligate il venditore alla frode, perchè nessuno perderà mai gratuitamente.

« La proibizione all'uscita di un genere avvilisce internamente il di lui prezzo e fa che la linea del confine separi due prezzi sensibil-mente diversi. Immediatasensibil-mente nascono gli industriali incettatori e monopolisti, lo radunano in grossi magazzini a vii mercato, corrompono i custodi e trasmettono al forestiero in grosse partite più di quello che sarebbe uscito naturalmente dallo Stato. Passa la merce da un monopo-lista nazionale ad un monopomonopo-lista estraneo, il quale tiene alto il prezzo nel vendere ai vicini, e così la disuguaglianza dei prezzi interni con gli esterni sussiste e con essa il profitto del monopolio. Dunque tutti questi vincoli e per ragione e per esperienza sono un male sommo. « Io sono convinto che questi falsi principi siano l'ostacolo finora intatto, che ha rese inutili le più benefiche provvidenze della Corte per rianimare l'industria nazionale. Bisogna sciogliere, dare la libertà generalmente ad ogni cittadino di adoperare la sua industria dove e come vuole, che ognuno possa vendere, ognuno comperare (eccetto argentieri, speziali e poche arti simili) che sia castigata la malafede nei contratti, e non altro, che si faccia nascere la concorrenza a dare attività e livellare i prezzi al punto naturale, che si pensi a sciogliere quei corpi chimerici di Università, piccoli Status in Stato scismatici, gelosi, nemici l'uno dell'altro, vera immagine in ridicolo delle repub-bliche greche, salvo la virtù ».

Ed ni fratello, che sospetta pericoloso il passaggio dai vincoli- alla libertà, risponde (voi. I, pag. 342, 6 luglio 1767):

« Hai ragione, lo vedo. La Nazione,'lontana dall'industria, avvezza a temere sorprese, non si animerebbe sul momento e frattanto sussiste-rebbe il poco numero dei venditori, i quali rimarsussiste-rebbero dispotici del prezzo e questo tempo intermedio sarebbe crudele. Il rimedio sarebbe che chi presiede alla pubblica abbondanza desse la libertà universale e slesse attento : perchè sul momento in cui seguisse la congiura dei pochi venditori, facesse aprire una o più botteghe col denaro del principe, nelle quali si vendesse col discreto utile e non più, e così il principe diventerebbe un elemento della concorrenza a tempo opportuno, per cessare subito dopo stabilito il livello ».

In quel tempo il Beccaria aveva ottenuto la cattedra di « Scienza Camerale » ; i Verri ne leggono le lezioni e Pietro, commentandole, espone un suo originale concetto, che svolgerà poi ampiamente nelle «Meditazioni», essere, cioè, lo strumento dello scambio una merce: « Il Beccaria dice che il metallo monetato è un segno rappresentatore soltanto. È inadeguata l'idea, perchè il metallo prezioso è una merce, ed è materia prima di molte manifatture; io lo chiamo la merce

universale, e con questa mia definizione sciolgo ogni problema.

« Il principio motore di ogni commercio è uno solo, cioè il prezzo. Una merce non si trasporta mai da un sito all'altro se non perchè vi sono prezzi differenti. Chi esamini ed analizzi gli elementi che costituiscono il prezzo, avrà in mano il filo di conoscere le prime soste motrici del commercio; ma questo filo lo tengo per me, ed è un segreto dal quale spero di cavare la mia opera ».

Un'altra materia sulla quale a lungo Pietro si intrattiene col fratello è quella riguardante i tributi, che egli vorrebbe rendere miti, meno angustianti che fosse possibile, che costassero il minimo della perce-zione, che fossero distribuiti colla maggiore possibile giustizia, pro-porzionatamente alla facoltà di ognuno: « Il solo rapporto, sempre vigente, che corre fra il suddito e il sovrano, si è appunto il tributo ; se il tributo importa l'ipoteca dei fondi o delle merci, la libertà civile è in salvo, perchè l'azione del fisco è reale. Nella capitazione ed in altri capricciosi vincoli, l'ipoteca cade sull'uomo, e la libertà civile è annientata. La proprietà è un' invenzione sociale e su di essa, ragione-volmente, cadono i pesi di convenzione sociale. Così anche il legislatore ha debitori in pochi possessori i quali, insensibilmente, nelle vendite si risarciscono perchè il terriere e il mercante altro non fanno che anticipare il tributo, a conto del consumatore, sul quale si rifanno quaudo possono, e cioè fino a quel limite, in cui la concorrenza dei frutti delle terre finitime non raffreni ».

E, contro le teorie fìsiocratiche che vorrebbero che tutto ricadesse sulle sole terre, e niente sulle mercanzie, egli scrive: « Gli enciclopedisti sostengono essere ingiusto e incautamente collocato ogni tributo che

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«-non sia immediatamente sulle sole terre, e questo è il punto principale trattato dai nuovi autori. Escludono dal numero dei riproduttori gli artigiani e i manifattori e li chiamano classe sterile ; perciò bai veduto che nel mio libro, parlando della riproduzione, ho detto che tanto è creazione quella che si opera nei campi, convertendosi l'aria, la terra e l'acqua in grano, quanto lo è la creazione del glutine di un insetto in un velluto. Io credo che quei signori abbiano portato la tesi più in là del giusto, e che anche la riproduzione annua delle manifatture sia una creazione reale di valore, conseguentemente, ch'ella sia un fondo censibile, e che il versar tutto sulle terre scoraggerebbe troppo l'agricoltura ». (12 dicembre 1770).

Dai fisiocrati egli dissente anche riguardo alla libertà delle importa-zioni, che non ammette: « E Morellet mi scrive una graziossima lettera dicendomi che la intera libertà d'entrata e uscita da uno Stato di ogni mercanzia è il sistema migliore d'ogni altro per proteggere l'industria nazionale! Abbiamo vicino gli Svizzeri, povero e industrioso paese, dove la mano d'opera è a bassissimo prezzo; nessuna manifattura nostrale potrebbe sostenere la concorrenza, nemmeno prima di staccarsi dal telaio in Milano, se non vi fosse un tributo sulla Svizzera. Il livello vi si porrebbe quando, colla libertà del commercio, fosse colato tanto denaro da noi agli svizzeri, quanto basta all'uguaglianza, cosicché, divenuto raro il metallo da noi come dagli svizzeri, la mano d'opera fosse allo stesso prezzo. Non so se quest'effetto, che infallibilmente dovrebbe accadere, faccia onore a chi ha sì lungamente trattato queste materie », scrive il 10 aprile 1767. E più tardi, il 21 gennaio 1769, dice: « ...concorrenza nel prezzo delle cose — la quale può essere anzi la rovina, se le cose estere, concorrendo con le nostrali — le vincono ».