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Approccio comportamentista (Relational Frame Theory)

3.3 Interventi basati sul perspective taking cognitivo .1 Approccio cognitivista (Theory of Mind)

3.3.2 Approccio comportamentista (Relational Frame Theory)

La recente prospettiva RFT (Hayes et al., 2001), considera il perspective taking come un importante comportamento necessario per lo sviluppo di adeguate abilità sociali, che può essere insegnato per mezzo di specifiche procedure mutuate dall’approccio comportamentista (Gould et al., 2011; Weil et al., 2011).

Secondo questa prospettiva lo sviluppo dell’abilità di perspective taking è espresso dall’aumento progressivo della capacità di rispondere correttamente ad una varietà di stimoli relazionali definiti deittici (deictic frame) che esplicitano un confronto tra due diversi punti di vista (Barnes-Holmes et al., 2001; Barnes-Holmes et al., 2004; McHugh et al., 2004a). Il termine deittici indica un insieme eterogeneo di forme linguistiche per interpretare le quali occorre necessariamente fare riferimento ad alcune componenti contestuali in cui sono prodotte, non essendo definite da proprietà formali ma relative al punto di vista di un individuo, solitamente colui che parla. Gli autori che sostengono questa prospettiva affermano come le tre diverse classi di stimoli relazionali che appaiono fondamentali per lo sviluppo dell’abilità di perspective taking siano quella personale, spaziale e temporale. La deissi personale comprende le espressioni che fanno riferimento alle persone che partecipano alla comunicazione, innanzitutto al parlante e all’interlocutore (IO-TU). La deissi spaziale si manifesta attraverso le espressioni relative al luogo in cui si trova il parlante nell’atto di comunicare (QUI-LÁ). Infine quella temporale riguarda le espressioni che fanno riferimento al momento dell’enunciazione e si esprime attraverso avverbi di tempo (ORA-POI) (Barnes-Holmes et al., 2001; Barnes-(Barnes-Holmes et al., 2004). Padroneggiare tali relazioni sottintende quindi la capacità di variare il proprio punto di vista rispettivamente in relazione all’altro, alla posizione spaziale di entrambi e alla dimensione temporale. I bambini imparano a

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comprendere la distinzione tra ciascuno di questi opposti stimoli attraverso gli scambi comunicativi quotidiani in cui è invitato a parlare della prospettiva di una persona, confrontata con quella di altre e viceversa. Nel corso delle interazioni quotidiane gli adulti significativi modellano le risposte dei bambini, anche se spesso inconsapevolmente, attraverso suggerimenti (prompting) o rinforzi sottoforma di risposte verbali che descrivono le proprie e altrui prospettive, producendo così nei bambini una classe di comportamenti di perspective taking operanti, in grado di generalizzarsi a molteplici fonti di stimolo (Hayes et al., 2001;

Rehfeldt et al., 2007).

All’interno di un complesso programma di ricerca sul perspective taking nei bambini, Barnes-Holmes (2001) ha sviluppato un protocollo composto da sessantadue prove presentate in ordine sequenziale prestabilito, basato sulle tre tipologie di relazioni deittiche somministrate secondo un livello crescente di complessità: da una forma Semplice (Simple), ad una Inversa (Reversed), fino ad una a Doppia Inversione (Double-Reversed).

Le relazioni semplici necessitano di un cambiamento nella prospettiva di una singola relazione (es. “io sono seduto qui sulla sedia nera e tu sei seduto là sulla sedia blu, dove sei seduto tu? Dove sono seduto io?”), quelle inverse implicano una esplicita inversione di una semplice relazione (es. “io sono seduto qui sulla sedia nera e tu sei seduto là sulla sedia blu, se io fossi te e tu fossi me, dove saresti seduto tu? Dove sarei seduto io?”), mentre quelle a doppia inversione richiedono l’inversione di due relazioni semplici (es. “io sono seduto qui sulla sedia nera e tu sei seduto là sulla sedia blu, se io fossi te e tu fossi me e se qui fosse là e là fosse qui, dove saresti seduto tu? Dove sarei seduto io?”).

Dall’applicazione di questo protocollo con individui di differenti età è stato dimostrato come siano i prescolari a produrre il maggior numero di errori, rispetto ai gruppi soggetti più grandi;

infatti gli errori all’interno della medesima prova tendono a diminuire con l’aumentare dell’età. Rispetto alle relazioni deittiche, quelle che hanno prodotto maggiori difficoltà nella risoluzione sono quelle QUI-LÁ e ORA-POI, mentre rispetto ai livelli di complessità, i soggetti hanno commesso più errori nelle relazioni inverse e a doppia inversione (McHugh et al., 2004b).

A partire da tali considerazioni sono stati quindi programmati interventi volti ad insegnare o implementare il comportamento di perspective taking attraverso il coinvolgimento dei bambino in diversi scambi comunicativi basati sull’insegnamento diretto delle strutture deittiche presentate nel protocollo (Holmes, Holmes e McHugh, 2004; Barnes-Holmes, Barnes-Holmes e Murphy, 2004).

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L’analisi della letteratura ha permesso di individuare quattro training study sui prescolari a sviluppo tipico che hanno utilizzato tale tipologia di intervento (Barnes-Holmes, 2001;

McHugh et al., 2003; Davlin, Rehfeldt e Lovett, 2011; Weil et al., 2011), tra i quali è possibile evidenziare caratteristiche metodologiche comuni.

3.3.2.1 Gruppo di partecipanti, procedure e metodi

Per prima cosa tutti e quattro gli studi sono stati caratterizzati da una ridotta numerosità del gruppo sperimentale (1-3 bambini), dall’assenza di un gruppo di controllo e dalla strutturazione e somministrazione del training, che seppur all’interno della scuola dell’infanzia, è stato presentato singolarmente a ciascun bambino in un’aula separata dal resto della classe.

Se si considerano le fasi della ricerca, tutti gli interventi hanno previsto la somministrazione in fase di pre-test e di post-test di un protocollo in versione completa, per valutare il livello di competenze di base del bambino prima e un eventuale incremento di tale abilità dopo l’intervento. In alcuni studi pre e post-test hanno previsto la somministrazione del medesimo protocollo (Barnes-Holmes, 2001; McHugh et al., 2003; Davlin et al., 2011), mentre in altri ne sono state impiegate differenti versioni (Weil et al., 2011). In un unico caso (Weil et al., 2011) gli autori hanno ritenuto opportuno affiancare il protocollo sia in fase di pre-test che di post-test, da compiti di falsa credenza rappresentativi del perspective taking cognitivo (livelli 3, 4 e 5) solitamente utilizzati dall’approccio ToM, al fine di comprendere se l’utilizzo del protocollo in quanto strumento di rilevazione della componente cognitiva del perspective taking fosse sovrapponibile e quindi in grado di fornire le stesse informazioni dei classici compiti di falsa credenza.

Il livello di competenza di base individuato al pre-test diventa il punto di partenza dell’intervento. Esso, definito training con esemplari multipli (Multiple Exemplars Training - MET) consiste nel fornire al bambino rinforzi diretti alle risposte prodotte a seguito di determinati stimoli; dopo che questa storia di rinforzi si è stabilita, gli individui divengono capaci di rispondere a nuovi stimoli che non necessitano più di rinforzi diretti (Barnes-Holmes et al., 2004; Ingvarsson e Morris, 2004; McHugh et al., 2012).

Nello specifico esso consiste nella presentazione al bambino dei vari scenari contenuti nel protocollo, in una versione differente rispetto a quelli presentati al pre e post-test, seguiti da un suggerimento (cue) contestuale, da due domande riferite ad entrambe le prospettive di ciascuna relazione deittica e da feedback correttivi a seguito delle risposte fornite dai prescolari. Nello studio di Weil, Hayes e Capurro (2011) sono stati forniti dallo

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sperimentatore rinforzi sociali e tangibili (token system) o feedback correttivi, unicamente dopo la seconda risposta da parte del bambino, indipendentemente dalla correttezza della prima, mentre in quello di Davlin, Rehfeldt e Lovett (2011) dopo ciascuna domanda del compito. In particolare in quest’ultimo studio le correzioni sono state proposte attraverso frasi di incoraggiamento, suggerendo al bambino l’inizio della frase corretta.

Le fasi di intervento di ciascuna ricerca hanno avuto durata variabile; infatti dato che la struttura dei protocolli prevede la somministrazione al bambino di scenari secondo un livello di complessità crescente (forma semplice, inversa e a doppia inversione) ed il passaggio a prove di un livello superiore avviene unicamente dopo che il bambino è sufficientemente abile nella risoluzione dei compiti di quello inferiore (superamento almeno dell’80% dei compiti), è il tempo di apprendimento necessario al bambino a dettare la durata di ciascuna fase.

I training si sono articolati da un minimo di sei-nove sessioni (Davlin et al., 2011) ad un massimo di sedici-sessantacinque sessioni (Weil et al., 2011); è opportuno sottolineare però come il raggiungimento della sessantacinquesima sia caratteristica di un unico bambino. Gli autori hanno ipotizzato che questa maggior lentezza nell’acquisizione del perspective taking possa essere influenzata dall’assenza di fratelli; infatti, tale bambino era il solo ad essere figlio unico, a differenza dei restanti due con fratelli che hanno avuto bisogno di un minor numero di sessioni di training (16-21). Dati che avvalorano la letteratura indicante come la possibilità di interagire in fasi precoci di sviluppo con fratelli offra al bambino continue opportunità di allenamento per l’assunzione della prospettiva altrui (Cassidy et al., 2005).

3.3.2.2 Variabili oggetto del training

La procedura di tale intervento ha previsto in un caso l’utilizzo del protocollo nella versione originale (McHugh et al., 2003), mentre in altri forme ridotte o modificate dello stesso (Barnes-Holmes, 2001; Davlin et al., 2011; Weil et al., 2011). Nello specifico Barnes-Holmes (2001) ha impiegato unicamente le strutture personali e spaziali, mentre Weil, Hayes e Capurro (2011) solo dodici prove per ciascuna sessione di training equamente suddivise nelle tre relazioni deittiche attraverso una presentazione randomizzata. Infine Davlin, Rehfeldt e Lovett (2011) hanno adottato una versione modificata del protocollo originale, attraverso la creazione di una nuova procedura costituita da trentasette prove, in cui la presentazione delle relazioni deittiche avvenisse all’interno di un contesto maggiormente conosciuto al bambino come quello della lettura di una storia, piuttosto che attraverso scenari isolati. Sono state quindi messe a punto relazioni rappresentative delle esperienze vissute dai bambini nella loro

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vita quotidiana confrontate con quelle sperimentate dai personaggi, al fine di valutare se i risultati positivi ottenuti attraverso l’approccio RTF potessero essere generalizzabili anche ai contesti di vita reale. Pertanto attraverso le strutture deittiche personali, spaziali e temporali è stato richiesto ai bambini di differenziare le proprie prospettive da quelle descritte all’interno di undici differenti racconti. In particolare, la relazione deittica personale IO-TU è stata sostituita con quella IO-PERSONAGGIO.

3.3.2.3 Efficacia del training e discussione

Dai risultati emerge come la procedura applicata dall’approccio RFT sia efficace nel promuovere l’abilità di perspective taking. Infatti, nella fase di post-test i bambini hanno mostrato in generale un aumento di risposte corrette nella risoluzione delle relazioni deittiche rispetto al pre-test, suggerendo l’acquisizione di una classe di operanti.

Inoltre, è interessante notare come dallo studio di Davlin, Rehfeldt e Lovett (2011) siano emersi anche effetti di generalizzazione; infatti i bambini hanno mostrato nella fase di post-test miglioramenti nella risoluzione di prove analoghe ma differenti nella forma, contenute all’interno di ulteriori dieci storie, diverse da quelle presentate in fase di training. I risultati hanno dimostrato quindi come tale metodologia di intervento abbia permesso ai bambini di acquisire maggiori abilità di perspective taking, potenzialmente generalizzabili ad avvenimenti della vita reale in cui è necessario padroneggiare prospettive differenti dalla propria.

Effetti di generalizzazione, ma in questo caso tra prove differenti, sono emersi anche nella ricerca di Weil, Hayes e Capurro (2011); in cui si sono evidenziati miglioramenti anche nelle prestazioni ai compiti di perspective taking cognitivo, soprattutto a seguito delle prove riferite alle relazioni inverse e a doppia inversione, confermando come l’abilità di padroneggiare questi due livelli sia la chiave della comprensione dell’inganno (McHugh et al., 2007a) e della presenza di una falsa credenza negli altri (McHugh et al., 2007b).

Nonostante i positivi risultati ottenuti, i ricercatori all’interno di tale approccio sottolineano la necessità di condurre studi su un numero più ampio di bambini (Weil et al., 2011) e creare nuovi protocolli di intervento al di fuori del setting sperimentale, in contesti maggiormente naturalistici in modo da assicurare una generalizzazioni in contesti di vita reale (Heagle e Rehfeldt, 2006; Gould et al., 2011).

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