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STUDIO 2: CONTESTO MALTRATTANTE Sottostudio 1:

F: Pensare vuol dire pensare V: Pensare nella testa

6.2 Sottostudio 2

6.2.5 Discussione e conclusioni

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del perspective taking e nell’emissione di comportamenti prosociali, in fase di post-test, lo sono rimasti anche in fase di follow-up.

Tabella 6.19 Punteggi degli indici di perspective taking e frequenza di emissione dei comportamenti prosociali dei due gruppi al post-test e al follow-up (M e DS)

Gruppo Sperimentale Gruppo controllo Post test Follow-up Post test Follow-up

M DS M DS M DS M DS

INDICE-PT_EMO 73,39 11,47 77,50 11,26 67,56 12,47 70,85 13,41 INDICE-PT_COG 79,63 21,66 84,17 23,45 59,17 27,82 65,28 27,24 INDICE-PT_PERC 86,11 20,47 86,70 15,38 68,99 29,89 68,85 19,32 INDICE-PT_TOT 79,71 13,33 81,17 6,87 65,24 17,64 68,32 17,53

PROSOC_Tot 17,24 7,62 20,42 11,47 12,91 5,81 16,78 7,69

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possibile considerare i due gruppi bilanciati rispetto alla capacità di decentramento prima dell’intervento.

A seguito del training invece, i bambini appartenenti al gruppo sperimentale hanno raggiunto prestazioni significativamente più elevate, rispetto ai compagni del gruppo di controllo, nell’indice totale di perspective taking, con particolare rilevanza delle dimensioni cognitiva ed emotiva.

Tali risultati sono quindi verosimilmente imputabili all’effetto del training.

La mancanza di marcate differenze significative tra i punteggi ottenuti al post-test tra i gruppi, rispetto alla dimensione percettiva, indica come essa sia stata influenzata in misura minore dall’intervento, rispetto alle altre due. La spiegazione è presumibilmente rintracciabile nei punteggi piuttosto elevati ottenuti dai bambini alle prove del pre-test, specifiche per tale dimensione, dimostrata anche dal fatto che essi abbiano commesso un numero quantitativamente inferiore di errori in queste prove, se confrontate con le altre, con un conseguente minor margine di miglioramento. A tal proposito sembra risultare opportuna una riflessione già evidenziata all’interno del sottostudio 1 rispetto alle migliori prestazioni nella dimensione percettiva. Da un lato la maggior facilità di comprensione delle prove presentate, dall’altro la constatazione che il perspective taking percettivo rappresenti la forma primaria di decentramento (Kessler e Thomson, 2010) ad essere acquisita, anche da parte dei più piccoli, (Moll e Meltzoff, 2011) sembra spiegare il perché delle buone prestazioni ottenute già in fase di pre-test.

In riferimento al possibile legame tra perspective taking e comportamenti sociali legati ad esso, i risultati hanno mostrato come, anche in questo caso, nonostante i bambini fossero partiti da abilità prosociali sovrapponibili, cioè mostrassero una frequenza di emissione di comportamenti di aiuto, conforto, condivisione e gestione positiva del conflitto simili tra loro;

dalle osservazioni del post-test, i bambini del gruppo sperimentale hanno manifestato un numero di comportamenti prosociali significativamente maggiore rispetto ai compagni del gruppo di controllo. Tali risultati sembrano supportare le evidenze riscontrate nel sottostudio 1, che hanno mostrato una correlazione tra le condotte prosociali e le abilità di pespective taking.

Analizzando gli andamenti nel tempo delle competenze dei singoli bambini, è stato osservato un quadro estremamente differenziato all’interno del gruppo sperimentale. Essi, infatti, pur evidenziando un significativo aumento nella capacità di assumere la prospettiva percettiva, cognitiva ed emotiva altrui, hanno mostrato profili di crescita variegati, dimostrando di affrontare l’esperienza del training in modi diversi e con esiti differenti. Tale riscontro ha

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portato all’idea di approfondire nel dettaglio il percorso di questi bambini, per comprendere se, a partire da diversi livelli di abilità iniziali, il training determinasse effetti differenti.

La suddivisione del gruppo sperimentale in due sottogruppi (punteggi al di sopra e al di sotto del valore della mediana rispetto ai tre indici di perspective taking), ha permesso di evidenziare come, sebbene i bambini più abili nel perspective taking al pre-test abbiano mantenuto, anche al post-test, punteggi più elevati dei compagni meno competenti, la differenza tra i gruppi è notevolmente diminuita tra le due fasi. Questi risultati indicano che, nonostante l’efficacia di tale tipologia di intervento si manifesti per tutti i bambini, coloro che sembrano trarne maggior beneficio sono quelli per i quali l’assunzione della prospettiva altrui risulti maggiormente difficoltosa. Tale risultato è particolarmente importante da un punto di vista educativo. L’individuazione precoce di tali bambini ed il lavoro su queste competenze attraverso l’utilizzo di attività mirate permetterebbe di ridurre almeno in parte tali difficoltà, prima dell’ingresso alla scuola primaria.

È possibile identificare alcuni elementi cruciali che possano aver influito sull’efficacia di questo intervento, alcuni dei quali già dimostratisi efficaci in letteratura (Mori e Cigala, 2015).

Il primo aspetto è riferibile alla partecipazione attiva dei bambini, già riscontrata dall’analisi di letteratura come elemento fondamentale Essi infatti hanno avuto la possibilità di essere coinvolti in lettura di storie, riflessione di gruppo, drammatizzazione, disegno insieme ai propri compagni; tutte esperienze che consentono una rielaborazione cognitiva dei contenuti appresi per giungere a nuovi insight rispetto ai pensieri e ai sentimenti altrui. L’analisi delle singole sessioni di training permette di cogliere la ricchezza e la specificità di quello che è avvenuto in questi “laboratori di pensiero dei piccoli”. Spazi dei piccoli appunto, pensati e costruiti dagli adulti, siano essi ricercatori o insegnanti. I dati evidenziano infatti come in questi spazi di confronto si attivino pensieri e rappresentazioni in grado di far evolvere e potenziare la consapevolezza dell’altro, della sua prospettiva cognitiva, percettiva ed emotiva, anche quando questa risulti diversa dalla propria.

Un altro aspetto fondamentale risiede nella scelta del contesto in cui condurre il training e nella modalità di presentazione delle prove. La scuola dell’infanzia rappresenta infatti un contesto conosciuto e quindi fonte di sicurezza per i bambini. Inoltre le attività proposte sono estremamente conosciute e significative, piacevoli, di carattere ludico e coinvolgono compagni che condividono ogni giorno “pezzi di storia”, rendendo quindi i compiti assegnati particolarmente motivanti e immediatamente riconducibili a significati condivisi. Ulteriore elemento rilevante riguarda lo svolgimento degli incontri in piccoli gruppi, che hanno

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consentito a tutti di coinvolgersi attivamente nei differenti ruoli. In questo percorso tutti i bambini hanno infatti potuto fare l’esperienza di essere ascoltati e di ascoltare; ciascuno di essi, seppure con differenze interindividuali, ha potuto fornire il proprio contributo, avendo poi modo di riconoscerlo nelle restituzioni e nei rispecchiamenti dei conduttori degli incontri e nelle riformulazioni o commenti dei compagni.

L’adulto, in particolare, non assume il ruolo di insegnante in posizione asimmetrica, ma coglie, sostiene e riformula i pensieri, le idee, i comportamenti e le competenze dei bambini, rilanciandoli poi all’interno del gruppo medesimo e ricostruendo una trama via via che le esperienze si susseguono.

Un altro fattore rappresentativo dell’efficacia e dell’importanza di tale intervento risiede nelle ricadute che esso determina sulle abilità sociali dei bambini. L’effetto del training, non si è infatti limitato unicamente all’ abilità di decentramento ma si è generalizzato anche ai comportamenti tra pari, determinando altresì un aumento delle condotte prosociali. Tale aspetto risulta di particolare rilievo se analizzato nell’ottica di poter intervenire precocemente allo scopo di limitare la comparsa di problemi comportamentali, prima della formazione di schemi disfunzionali. Inoltre, la rilevazione dei comportamenti prosociali tramite procedure di osservazione diretta, oltre a rappresentare un elemento di novità all’interno della letteratura sui training sul perspective taking, rappresenta un elemento importante per cogliere compiutamente lo sviluppo sociocognitivo ed emotivo del bambino in questa fascia di età.

Infine, dai risultati emersi dalla fase di follow-up è stato possibile osservare il mantenimento nel tempo delle abilità acquisite a seguito del training, a distanza di 3 mesi dalla fine della ricerca. Dal confronto dei punteggi dei due gruppi tra la fase di post-test e di follow-up si evince come, sebbene ci sia stato un miglioramento in entrambi dovuto alla crescita, la differenza tra i due gruppi si sia mantenuta, in favore del gruppo sperimentale. Questo dato risulta quindi importante per confermare gli effetti a breve-medio termine dell’intervento.

Pochi sono stati i percorsi di training in letteratura che hanno previsto anche questa fase finale (Cigala e Fangareggi, 2011; Cigala, Mori e Fangereggi, 2015; Guajardo e Watson, 2002;

Ornaghi et al., 2015), la mancanza della quale è stata definita da molti autori come un limite (Pillow et al., 2002).

A fronte dei risultati ottenuti e dell’importanza che tale abilità riveste per l’adattamento del bambino (Jenkins e Astington 2000; Weil 2011) sarebbe importante trasferire il costrutto di perspective taking, tipico della disciplina psicologica, al contesto educativo. Questa abilità infatti può configurarsi come parte integrante delle pratiche educative quotidiane, messe in atto non solo dai ricercatori ma da insegnanti e genitori, che sono ogni giorno a contatto

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diretto con i bambini. Interventi di questo tipo, condotti in periodi specifici e contenuti nel tempo, da ricercatori esperti ma “estranei” ai contesti di vita del bambino, dovrebbero essere infatti supportati e rafforzati dal lavoro costante di figure significative. Esercizi quotidiani di perspective taking tra i bambini e tra bambini e adulti, all’interno di routine quotidiane in contesti familiari, come la scuola e la famiglia, rappresentano pratiche fondamentali di supporto a tali interventi (Grazzani Gavazzi et al., 2011). Sarebbe opportuno quindi istituire parent training e teacher training per rendere genitori e insegnanti consapevoli dell’importanza di tale abilità in ambito evolutivo, fornendo loro strategie e strumenti efficaci per lavorare, insieme ai bambini, al potenziamento del perspective taking.

A tal proposito, alla fine del percorso di raccolta dei dati, si è deciso di coinvolgere alcune delle insegnanti appartenenti alle sezioni coinvolte, in un corso di formazione sulle tematiche oggetto di indagine, spinti dall’idea di base che la ricerca scientifica in ambito evolutivo debba essere guidata da scopi teorici ed applicativi allo stesso tempo. Il fine ultimo infatti risiede proprio nel poter offrire ai bambini occasioni quotidiane in cui, il mettersi nei panni dei compagni o degli adulti che di loro si prendono cura, avvenga in modo spontaneo.

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CAPITOLO 7

STUDIO 2

ANALISI DEL PERSPECTIVE TAKING IN BAMBINI APPARTENENTI A CONTESTI FAMILIARI MALTRATTANTI

Il presente studio ha previsto l’analisi del costrutto di perspective taking in bambini di età prescolare a sviluppo tipico, cresciuti in contesti familiari atipici. Risulta di primaria importanza definire come, con il concetto di famiglie atipiche, ci si riferisca, in questa ricerca, a nuclei familiari presi in carico dai Servizi Sociali a causa della presenza di maltrattamento psicologico. In particolare sono state esaminate diadi madre-bambino, ospitate in comunità terapeutiche e di accoglienza. Tale studio rientra infatti all’interno di un ampio progetto di ricerca che ha coinvolto 15 comunità mamma-bambino, dislocate in diverse province del territorio emiliano e lombardo.

Come per lo studio precedente, l’insieme dei dati raccolti è stato analizzato e organizzato in due specifici sottostudi. Oltre all’indagine di tale abilità in relazione a variabili individuali e familiari, è stata valutata l’efficacia di un percorso di training, assimilabile a quelli di tipo evidence based, volto al potenziamento del perspective taking, condotto all’interno delle comunità stesse. Infine, è stato attuato uno studio di confronto tra prescolari cresciuti in contesti familiari normativi (assenza di maltrattamento rilevata da parte dei servizi competenti) e bambini appartenenti a nuclei familiari maltrattanti, allo scopo di individuare l’esistenza di eventuali differenze nello sviluppo del perspective taking e nell’acquisizione di abilità di decentramento a seguito del percorso strutturato di potenziamento.

Criteri di inclusione dei partecipanti

Per la formazione del gruppo di partecipanti, sono stati stabiliti i seguenti criteri di inclusione:

- Età compresa tra i 3 e 5 anni - Assenza di diagnosi clinica

- Presenza di abuso psicologico (trascuratezza/violenza assistita) - Conoscenza della lingua italiana (comprensione e produzione)

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È opportuno sottolineare come, la presenza di maltrattamento psicologico, sia stata accertata a seguito di incontri e colloqui con gli operatori delle comunità all’interno delle quali è stata condotta la ricerca.

Presa di contatto con le comunità e con le madri

La fase preliminare è consistita nella presa di contatto e conoscenza con numerose comunità terapeutiche/di accoglienza (33 comunità), in alcuni casi previo consenso dei Servizi Sociali, in altri tramite accordi diretti con i responsabili di ciascuna struttura. A seguito dell’iniziale interesse mostrato da 15 comunità (6 terapeutiche e 9 di accoglienza) a partecipare alla ricerca, è stato inviato un progetto esplicativo, contenente una descrizione dettagliata di obiettivi, modalità e tempi di realizzazione.

La fase successiva ha riguardato la presentazione del progetto dapprima agli operatori e poi alle mamme, alle quali è stato consegnato lo specifico modulo per il consenso informato. Tali incontri si sono rivelati particolarmente utili poiché hanno permesso un’iniziale conoscenza e hanno fornito a ciascuno la possibilità di ascoltare, riflettere, fare e rispondere a domande, dubbi e perplessità che avrebbero potuto rappresentare un ostacolo per la prosecuzione della ricerca.

Infine, l’ultimo passaggio ha riguardato la presentazione della ricercatrice ai bambini.

A tal proposito, la ricercatrice si è presentata, dicendo che sarebbe rimasta in comunità per un po’ di tempo con lo scopo di scrivere un libro su di loro, spiegando quindi che sarebbero stati osservati, che insieme a lei avrebbero imparato cose nuove ma anche che il loro aiuto e la loro collaborazione sarebbe stata indispensabile alla stesura del libro. È stato inoltre specificato che avrebbero lavorato e anche giocato insieme alla ricercatrice in alcuni momenti, ma che in altri questo non sarebbe stato possibile.

Questo “contratto” iniziale ha permesso da un lato di creare una prima familiarità che ha evitato l’insorgere di dubbi o turbamenti che spesso si manifestano tra i bambini all’arrivo di una persona estranea in comunità; dall’altro di responsabilizzarli ad impegnarsi nello svolgimento dei compiti proposti e di mantenere un certo distacco durante i momenti di osservazione. Esse, a differenza dei test, presentati ai bambini in comunità, sono state condotte nelle scuole dell’infanzia frequentate dai bambini. Tale scelta ha comportato quindi la presa di contatto con i Dirigenti delle singole scuole, l’invio del progetto e la presentazione dello stesso alle insegnanti e della ricercatrice agli altri bambini delle sezioni frequentate dai prescolari target.

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Nonostante un iniziale accordo, i modi e i tempi di organizzazione sono stati concordati di giorno in giorno con gli operatori e le insegnanti delle scuole dell’infanzia, al fine di conciliare le esigenze sperimentali della ricerca con quelle organizzative delle comunità e didattiche delle scuole.

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