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Per abuso e maltrattamento all’infanzia si intendono “tutte le forme di cattiva salute fisica ed emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia e potere” (WHO, 1999).

Tale concetto può essere declinato in varie forme al fine di renderlo maggiormente operazionalizzabile. Risulta particolarmente importante sottolineare però come tale categorizzazione dipenda unicamente da esigenze descrittive; nella pratica clinica infatti, la violenza sui minori, raramente si presenta attraverso una sola modalità. Secondo il recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2013), infatti, accade più spesso che un bambino subisca più tipologie di maltrattamento, piuttosto che una soltanto (Appel e Holden, 1998; Dong et al., 2004; Margolin et al., 2009; Zolotor, Theodore, Coyne-Beasley, e Runyan, 2007). Le reazioni a breve termine, ma soprattutto gli effetti (fisici e psicologici) a lungo termine rappresentano infatti l’esito della compresenza di diverse forme di maltrattamento (Fantuzzo e Fusco, 2007; Margolin e Gordis, 2004). Se si considera ad esempio la violenza psicologica, essa risulta sempre implicata nelle altre tipologie di maltrattamento; dall’abuso sessuale nelle forme di manipolazione affettiva, inganno, confusione delle emozioni, al maltrattamento fisico e trascuratezza sotto forma di svalutazione, denigrazione e umiliazione.

Può anche accadere che un bambino viva, all’interno del contesto familiare, differenti tipologie di maltrattamento, ad esempio con un genitore attivamente violento e abusante, e l’altro disinteressato affettivamente, trascurante sul piano emozionale ed educativo (Di Blasio, 2000).

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Tra le diverse tipologie, è possibile distinguere l’abuso fisico e sessuale, il maltrattamento psicologico, la trascuratezza e la violenza assistita (Gibbons, Conroy e Bell, 1995; Montecchi, 2011).

Per molto tempo l’abuso sui minori è stato identificato soprattutto con il maltrattamento fisico che comprende l’espressione di tutte quelle azioni violente (punizioni fisiche ricorrenti, percosse con oggetti, percosse con traumi) perpetrate dall’adulto nei confronti di un minore.

Sulla base della gravità delle lesioni, viene operata una distinzione in grado lieve, modesto e severo. Sotto il profilo clinico, il maltrattamento fisico porta con sé un quadro caratteristico di segnali fisici, comportamentali ed emotivi. I segni fisici riguardano lesioni in genere che indicano uno stretto rapporto causale con una condotta intenzionale del genitore abusante. A livello comportamentale è possibile osservare iperreattività ed improvvisi scoppi d’ira, derivanti da una condizione di allerta e attivazione costante in cui si trova il minore, a causa della sperimentazione di una violenza incongrua e quindi a volte inaspettata, che con il tempo rendono in bambino come sempre “in attesa di un possibile attacco”. Dal punto di vista emotivo, il bambino presenta facilità alla distrazione e difficoltà di concentrazione, bassi livelli di autostima, un’immagine distorta e negativa rispetto a sé, che esprime a volte attraverso la convinzione di essere lui stesso causa delle aggressioni subite. Sono presenti inoltre notevoli difficoltà nelle relazioni sociali.

L’abuso sessuale, con o senza contatto fisico, implica il coinvolgimento del bambino in attività sessuali, manifeste o mascherate, finalizzate alla gratificazione sessuale di un adulto.

Può avvenire con violenze e minacce o con seduzione, ovvero con assenza di lesività traumatica. A seconda del rapporto esistente tra il bambino e l’abusante, può esservi abuso sessuale intra-familiare (abusante interno alla famiglia) o abuso sessuale extra-familiare (abusante come figura estranea al nucleo familiare). La vittima manifesta disturbi somatici e psichici gravi, sia a breve che a lungo termine. È consueto osservare in questi bambini emozioni di paura, vergogna e senso di colpa; frequenti sono anche problemi di apprendimento, depressione, sfiducia e rabbia. Tra i sintomi fisici si possono presentare enuresi, disturbi somatici, del sonno e dell’alimentazione.

Tra le varie manifestazioni che può assumere il maltrattamento, nel presente lavoro si è deciso di focalizzare l’attenzione a quelle riconducibili al maltrattamento psicologico, che include la trascuratezza e la violenza assistita.

Il maltrattamento psicologico, è raramente presente nella sua forma “pura”, ma più spesso intrecciato alle altre tipologie di abuso. Inoltre, quando presente isolatamente, è di difficile riconoscimento nelle vittime, in assenza di ulteriori segni più evidenti di violenza, o in

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presenza di vittime troppo piccole per comunicare verbalmente le vessazioni subite. Esso implica la reiterazione di comportamenti inadeguati (critiche svalutanti, denigrazione, umiliazione, minacce verbali, indifferenza, disparità e preferenze nell’atteggiamento verso i fratelli) nei confronti del minore, che convogliano sul bambino l’idea di non essere amato e di avere poco valore. Tra i sintomi a breve e a lungo termine sono stati individuati enuresi, encopresi, disturbi del comportamento e dell’alimentazione, bassa stima di sé, dipendenza e depressione. Alcune aree di sviluppo appaiono, comunque, più frequentemente compromesse rispetto ad altre, come confermato da studi che hanno individuato connessioni più consistenti tra maltrattamento psicologico e legami di attaccamento, adattamento e competenze sociali, problemi comportamentali, deficit nelle abilità cognitive e nel problem-solving e difficoltà di apprendimento (Cicchetti, 1989; Di Blasio, 2000).

Nel tentativo di rendere operazionalizzabili i diversi atti che compongono il maltrattamento psicologico, allo scopo di poterne valutare le conseguenze, l’Office for the Study of the Psychological Rights of the Child dell’Indiana University ha proposto cinque categorie comportamentali genitoriali distinte, quali: disprezzare, terrorizzare, isolare, sfruttare e/o corrompere, mancare di responsività emozionale. Viene poi inclusa una sesta categoria, la trascuratezza nella salute psicologica, medica ed educativa, giudicata implicitamente una forma di maltrattamento psicologico.

Quest’ultima rientra nella più generale patologia delle cure, caratterizzata da inadeguatezza sia qualitativa che quantitativa mostrata dall’adulto durante le pratiche di cura e accudimento.

Si verifica infatti quando i caregiver, servendosi di modalità inappropriate e disfunzionali, non riescono ad adeguare la propria condotta agli specifici bisogni del bambino.

Suddivisa in incuria (assenza di attenzioni fisiche, psicologiche e materiali), discuria (incapacità di cogliere i segnali del bambino e di rispondere adeguatamente ai suoi bisogni) e ipercuria (morbosa ed eccessiva presenza di cure da parte del caregiver) (Montecchi, 2005), può arrecare notevoli problematiche anche all’interno dell’ambito domestico, mettendo in serio pericolo la vita del bambino, che incustodito, è esposto ad una costante situazione di pericolo. Sebbene il maltrattamento fisico determini segni più gravi ed evidenti, quelli della trascuratezza, pur meno appariscenti, risultano altrettanti pervasivi. I bambini vittime di una qualsiasi forma di patologia delle cure sperimentano che, nella relazione, non vi è alcuno spazio, o esiste solo uno spazio inadeguato, per i propri reali bisogni. Appaiono pigri, demotivati, poco collaborativi, spesso manifestano aggressività, problemi scolastici e di apprendimento, presumibilmente dovuti alla scarsa stimolazione affettiva. L’assenza di contatto emotivo e di attenzioni può portare a quella che è stata definita come “morte

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psicologica” progressiva, causata da indifferenza emozionale e mancanza di relazioni sociali.

Inoltre, se la violenza fisica tende ad essere episodica, caratterizzata da singole azioni violente delimitate nel tempo, la trascuratezza solitamente è cronica e nella sua forma estrema, si identifica con l’abbandono (Hildyard e Wolfe, 2005). Tra i diversi tipi di trascuratezza individuate, quella emozionale è certamente la più difficile da documentare, e contraddistingue l’intero contesto di vita del bambino, che non riceve cure adeguate e non è in grado di comprendere la disattenzione o la non disponibilità di cui è oggetto. La trascuratezza medico-sanitaria si concretizza nella mancanza di quegli standard minimi richiesti per salvaguardare le condizioni di salute fisica e mentale e concerne il rifiuto o l’omissione nelle cure mediche e psicologiche. Infine quella educativa implica non solo inadempimento o abbandono della scuola, ma anche il rifiuto, da parte dei genitori, a coinvolgersi nelle iniziative e nei programmi indicati dagli insegnanti (Di Blasio, 2000).

Infine, è presente un’ulteriore forma di maltrattamento psicologico, cioè la violenza assistita.

Essa si determina quando i caregiver consentono che il bambino assista alla violenza e ai conflitti coniugali o sia spettatore di aggressioni fisiche di un genitore nei confronti dell’altro o dei fratelli (Di Blasio, 2000). Comprende infatti qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative per il bambino. Il minore può farne esperienza direttamente, indirettamente o percependone gli effetti. Le vittime di violenza assistita manifestano spesso sintomi legati a depressione, ansia, rabbia, aggressività, senso di colpa ed impotenza.

Appare evidente come il maltrattamento, pur nelle sue molteplici forme, sia caratterizzato da alcuni aspetti distintivi e trasversali: presenza di un sopruso ripetuto di alcuni bisogni di base, produzione di effetti a lungo termine sullo sviluppo del bambino, esistenza di una relazione asimmetrica che coinvolge un minore in posizione di vulnerabilità e almeno un’altra persona che assume un ruolo di potere (Di Blasio, 2000).

4.1.1 Fattori di rischio di maltrattamento

Sembra esserci accordo in letteratura rispetto al fatto che la maggioranza dei casi di violenza e di abuso si verifichino all’interno della famiglia (Giusti e Iacono, 2010).

Focalizzandosi sul maltrattamento familiare, emerge come sia l’esperienza clinica che la ricerca scientifica abbiano permesso di individuare alcune caratteristiche delle famiglie

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maltrattanti e dei percorsi di sviluppo dei bambini soggetti a maltrattamento (Di Blasio, 2000;

Margolin, 2005).

È utile identificare quei fattori che permettono di definire alcune situazioni a rischio di violenza per i minori (Di Blasio, 2005). Essi sono riconducibili a 4 categorie quali:

caratteristiche genitoriali (storia personale, esperienze e risorse psicologiche), caratteristiche individuali del bambino, relazione coniugale, contesto lavorativo e rete sociale di riferimento.

Rispetto alle caratteristiche dei genitori i principali fattori di rischio individuati dagli autori sono stati: la mancanza di risorse (Ethier, Couture e Lacharitè, 2004), sia personali che economiche, i comportamenti e le caratteristiche psicologiche (Di Blasio, 2005), quali ad esempio le scarse capacità di coping, e l’alta reattività materna (Schumacher, Slep e Heyman, 2001). O ancora la loro giovane età (inferiore ai 20 anni), il basso livello di istruzione e una storia di malattia psichiatrica (Sidebotham, Golding e ALSPAC Study Team, 2001).

In riferimento alle caratteristiche del bambino, la presenza di aggressività e di deficit attentivi, si sono mostrati essere fattori che potrebbero predisporre i genitori ad attuare azioni maltrattanti (Black, Heyman e Slep, 2001). Non vi sono caratteristiche specifiche del bambino maltrattato, ma elementi che più di altri possono far sì che il minore divenga vittima.

Naturalmente un bambino irrequieto, che piange, che ha difficoltà di alimentazione sarà più esposto al rischio. Sono stati indicati tra i fattori che scatenano la violenza una gravidanza e un parto difficili, una nascita prematura, la presenza di malformazioni congenite e situazioni di disabilità in genere. Inoltre, come conseguenza del maltrattamento, il bambino può acquisire schemi comportamentali che a loro volta sollecitino risposte aggressive; il maltrattamento può quindi modellare schemi di comportamento nel bambino, che aumentano la probabilità che egli sia vittima di ulteriori maltrattamenti.

Anche la presenza di conflitti e di violenza domestica, di un partner violento, o di una situazione di monogenitorialità rappresentano altri possibili fattori di rischio significativamente connessi a tutte le diverse forme di maltrattamento infantile (Di Blasio e Acquistapace, 2002; McGuigan e Pratt, 2001). Infine, lo scarso supporto sociale si è mostrato essere un altro aspetto determinante (Schumacher et al.,2001).