2.2 Perspective taking e abilità sociali
2.2.3 Perspective taking e comportamenti prosociali: quali relazioni?
2.2.3.1 Perspective taking e prosocialità: una prospettiva evolutiva
Le prime manifestazioni di comportamento prosociale compaiono in fasi molto precoci dello sviluppo. Sin dai primi mesi di vita emerge una forma primitiva di prosocialità, la quale si manifesta come una tendenza innata e generalizzata, che spinge il bambino a comunicare con gli altri, ad avvicinarsi ed interessarsi alle attività e alle emozioni delle persone che si trovano nel suo ambiente (Hay, 1994). I comportamenti prosociali aumentano con il corso dello sviluppo (Eisenberg, Smith, Sadovsky e Spinrad, 2004), soprattutto a partire dal secondo anno di vita, quando il comportamento del bambino diviene sempre più differenziato e consapevole. In questa fase ha inizio il graduale sviluppo della capacità di avvicinamento alla prospettiva degli altri e di ricezione dei loro bisogni, anche a seguito dell’assimilazione di nuove esperienze e situazioni, capacità che progrediscono in funzione dell’età del bambino, grazie soprattutto all’acquisizione del concetto di altro da sé (Zahn-Waxler, Radke-Yarrow, Wagner e Champan, 1992) e allo sviluppo di abilità socio-cognitive ed emotive sempre più sofisticate (Eisenberg e Fabes, 1998; Eisenberg, 2010; Eisenberg et al., 2004). Tra esse, la capacità di perspective taking e l’empatia risultano fondamentali nello sviluppo della condotta prosociale, poiché stimolano la percezione e la consapevolezza del punto di vista e dei sentimenti altrui e quindi la valutazione di motivazioni e sentimenti diversi dai propri (De Beni, 1998). Inoltre, la gamma crescente di relazioni sociali significative a cui il bambino è sottoposto, favorisce l’acquisizione di modelli di cooperazione che derivano, ad esempio, dalle attività ludiche con i pari e dalle attività svolte in casa con genitori e fratelli. Verso i due-tre anni, quindi, i bambini mostrano le prime tendenze ad aiutare e confortare gli altri ed è solo verso i tre-cinque anni che insorge la vera e propria propensione ad aiutare i compagni e
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a condividere azioni e giochi (Rheingold e Emery, 1986). Infatti sebbene i bambini di due o tre anni presentino qualche forma di compassione nei confronti dei coetanei, sono ancora infrequenti le azioni che comportano un sacrificio spontaneo o che ledono gli interessi individuali; tali azioni sono spesso messe in atto durante il gioco di finzione. Dai 4 ai 6 anni invece, i bambini presentano comportamenti di aiuto reali e raramente sono altruistici “per gioco” (Bar-Tal et al., 1982). L’autoregolazione delle esperienze affettive, che raggiunge il suo compimento in età prescolare, permette infatti l’emergere di forme diversificate di condivisione affettiva, da cui dipende la possibilità di agire in modo prosociale, attraverso comportamenti di aiuto, conforto e condivisione rivolti ai coetanei. La capacità di comprendere lo stato emotivo altrui e di condividerlo, rappresenta un fattore importante nel determinare l’atteggiamento di agire a beneficio dell’altro. Lo sviluppo affettivo e cognitivo comporta, oltre che maggiori capacità di riconoscimento dei propri bisogni e di regolazione delle proprie emozioni e della propria condotta in conformità ai propri scopi, anche maggiori capacità di decentramento personale e di avvicinamento alla prospettiva degli altri, consentendo quindi la ricezione dei loro bisogni di condivisione e di effettiva corrispondenza.
Attraverso questa graduale evoluzione, il bambino manifesta quella forma di intelligenza definita “interpersonale”, che rappresenta la capacità di comprendere gli altri, le loro motivazioni ed il loro comportamento, scoprendo che è possibile interagire in maniera cooperativa (Gardner, 1993).
2.2.3.2 Perspective taking e prosocialità: un rapporto di reciproca influenza
Tra le variabili intraindividuali, molteplici autori hanno sostenuto come lo sviluppo cognitivo (Eisenberg et al., 2006; Krebs e Van Hesteren, 1994) sia in grado di influenzare fortemente la formazione di abilità prosociali nei bambini (Knight, Carlo, Basilio e Jacobson, 2015), suggerendo come lo sviluppo prosociale sia legato all’acquisizione di specifiche abilità socio-cognitive (Carlo, Hausmann, Christiansen e Randall, 2003; Eisenberg et al., 2006). Lo sviluppo affettivo e cognitivo comporta, oltre che maggiori capacità di riconoscimento dei propri bisogni e di regolazione delle proprie emozioni e della propria condotta in conformità ai propri scopi, anche maggiori capacità di decentramento personale e di avvicinamento alla prospettiva degli altri. Comprendere gli stati mentali altrui si è dimostrato infatti essere un predittore dello sviluppo di abilità sociali (Sallquist, Eisenberg, Spinrad, Eggum, e Gaertner, 2009). Capire che gli altri abbiano pensieri, percezioni e sentimenti separati e differenti dai propri è stata definita un’importante pietra miliare dello sviluppo, che ha effetti sulla motivazione ed il comportamento prosociale (Hoffman, 1984; Singer, 2006).
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L’abilità di perspective taking permette ai bambini di anticipare quali emozioni o azioni scaturiranno dagli altri in determinate situazioni e di conseguenza di dirigere e controllare l’espressione delle proprie emozioni e dei propri comportamenti (Seja e Russ, 1999), risultando quindi maggiormente abili nelle relazioni sociali. Più i bambini sono capaci di inferire i punti di vista altrui e comprendere le cause delle emozioni degli altri, maggiore sarà la loro inclinazione a comportarsi in modo prosociale (Cassidy, Werner, Rourke, Zubernis, e Balaraman, 2003; Ensor e Hughes, 2005; Feshbach, 1987; Gutierrez, Escartı´ e Pascual, 2011;
Roberts e Strayer, 1996). All’opposto, minori abilità di decentramento limitano la conoscenza dei bisogni altrui, ostacolano la capacità dei bambini di inferire la necessità di azioni prosociali (Knafo, Steinberg e Goldner, 2011) e conseguentemente l’espressione di atteggiamenti a favore degli altri (Carlo, Knight, McGinley, Zamboanga, e Jarvis, 2010;
Knight, Johnson, Carlo e Eisenberg, 1994). La capacità di decentramento è infatti condizione necessaria per recepire le richieste di aiuto e conforto di chi è in stato di bisogno, influenzando il coinvolgimento e attivando di conseguenza risposte appropriate (Carlo, 2006;
Davis, Mitchell, Hall, Lothert, Snapp, e Meyer, 1999). Immaginare i sentimenti di un’altra persona determina coinvolgimento empatico e disagio personale che predicono i comportamenti di aiuto verso l’altro (Batson, Early e Salvarani, 1997; Cialdini, Schaller, Houlihan, Arps, Fultz e Beaman, 1987). La relazione sembra essere confermata anche nel senso opposto, ovvero bambini e adolescenti che mostrano comportamenti di aiuto e in generale comportamenti sociali positivi hanno migliori abilità di perspective taking e di empatia, rispetto ai bambini più aggressivi (Björkqvist, Österman e Kaukiainen, 2000). Dalle ricerche tale relazione tra decentramento e comportamenti prosociali (Ensor e Hughes, 2005;
Ensor, Spencer e Hughes, 2011) è emersa sia per quanto riguarda la dimensione cognitiva (Moore, Barresi, e Thompson, 1998), che quella emotiva del perspective taking (Denham, 1986; Izard, Fine, Schultz, Mostow, Ackerman e Youngstrom, 2001).
Alcuni autori hanno analizzato nello specifico il perspective taking affettivo, che hanno definito come empatia cognitiva, in relazione alle condotte prosociali, suggerendo come l’abilità di rappresentarsi mentalmente gli stati emotivi interni degli altri abbia un ruolo cruciale nella messa in atto di condotte prosociali (Belacchi, 2008; Eisenberg, 1992;
Eisenberg e Fabes,1998; Hoffman, 2000; Kurtines e Gewirtz, 1991).
2.2.3.3 Perspective taking e prosocialità in diverse fasce di età
L’analisi della letteratura sul tema ha mostrato come, vi sia un numero minore di ricerche che abbiano indagato la relazione tra perspective taking e comportamenti prosociali in età
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prescolare, rispetto ad un numero maggiormente elevato di studi che abbiano analizzato tale tematica in bambini più grandi. Da tali studi è stata evidenziata una stretta relazione sia tra alti livelli di perspective taking emotivo e i comportamenti prosociali, sia tra la mancanza di abilità di decentramento e la presenza di comportamenti aggressivi e antisociali alla scuola primaria e in adolescenza (Belacchi e Farina, 2012). Sembra che l’abilità di decentramento emotivo faciliti la proiezione di sé nella sofferenza altrui, dando come risultante una sorta di comportamento prosociale orientato al sé che, allo stesso tempo, sia in grado di elicitare comportamenti genuinamente altruistici, promuovendo il supporto e l’aiuto attivo (Batson et al., 1997; Cialdini, Brown, Lewis, Luce e Neuberg, 1997; Gini, Albiero, Benelli e Altoè, 2007, 2008; Belacchi, 2008). Ulteriori evidenze mostrano come, alla scuola primaria, alti livelli di perspective taking affettivo siano direttamente associati a comportamenti altruistici e inversamente associati a comportamenti ostili (Belacchi e Farina 2012). Non tutti gli studi però, hanno riscontrato associazioni chiare tra l’abilità di comprendere gli stati mentali altrui e l’agire in senso prosociale (Underwood e Moore, 1982; Eisenberg e Fabes, 1998). Uno studio (Wentzel, Filisetti, e Looney, 2007) ha infatti evidenziato come, in adolescenza, la variabile genere e le aspettative nei confronti delle reazioni dei propri compagni abbiano molta più influenza nella messa in atto di condotte prosociali rispetto al possedere buone capacità empatiche e di perspective taking. Tale risultato potrebbe presumibilmente essere influenzato dal fatto che i comportamenti prosociali non siano tutti uguali, ragione per cui alcuni di essi, a differenza di altri, potrebbero essere determinati da buone capacità di decentramento (Davis, Luce e Kraus, 1994; Eisenberg e Fabes, 1998; Eisenberg, Losoya, e Spinrad, 2003). Infatti, il comportamento sociale generico, condotto volontariamente per beneficiare un’altra persona, potrebbe essere motivato da fini personali, come ad esempio ottenere l’altrui approvazione (Eisenberg et al., 2003). Oppure l’altruismo, caratterizzato da motivazione intrinseca ad aiutare gli altri (Mussen e Eisenberg, 2001), sembra essere maggiormente motivato dal perspective taking emotivo, piuttosto che dal disagio personale sperimentato (Batson, 1991;
Eisenberg e Fabes, 1998; Hoffman, 1982). Le persone che provano forte disagio difronte alla sofferenza altrui, tendono infatti a scappare dalla situazione per ridurre la sofferenza e aiutano gli altri se non è possibile la fuga (Batson, 1991).
Rispetto alle differenze di genere, sembra che le femmine tendano a comportarsi in modo prosociale in misura maggiore rispetto ai coetanei maschi (Rose e Rudolph, 2006), presumibilmente a causa delle differenti influenze di socializzazione da parte dei genitori e dei pari (Hastings, Utendale, e Sullivan, 2007). L’influenza del genere sembra tuttavia dipendere dal tipo di comportamento prosociale indagato, dallo strumento di misura
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utilizzato, dal disegno sperimentale scelto ed infine la fascia di età considerata. Sembra infatti che si evidenzino maggiori comportamenti prosociali da parte delle femmine se si osservano comportamenti di gentilezza piuttosto che di aiuto, se si utilizzano strumenti self report e nomine dei pari rispetto a strumenti osservativi, se si conducono studi in contesto naturalistico rispetto a ricerche di laboratorio e se si considerano gruppi di adulti piuttosto che di bambini (Eisenberg e Fabes, 1998).
Considerando anche la variabile età, non è chiaro se l’effetto della differenza di genere tenda a variare con il progredire dello sviluppo, come suggerito da alcuni studi (Whiting e Edwards, 1973).
È importante tener presente come la relazione tra perspective taking e comportamento prosociale possa essere mediata dall’influenza di altre variabili. Ne sono un esempio le aspettative riguardo quelle che saranno le proprie emozioni sperimentate in una situazione in cui gli individui dovranno aiutare l’altro (Davis, Mitchell, Hall, Lothert, Snapp e Meyer, 1999), o anche le aspettative rispetto alle reazioni dell’altro (Wentzel et al., 2007). Sembra quindi che le aspettative rispetto alle proprie reazioni emotive e alle reazioni sociali determinate dai propri comportamenti rendano più o meno facile e quindi probabile l’agire in senso prosociale.
Sebbene le ricerche sull’età prescolare siano meno frequenti (Belacchi e Farina 2012), è stato messo in luce come, i bambini in questa fascia di età, siano in grado di conformare il loro comportamento alle norme sociali, cioè adottando comportamenti sociali adeguati al contesto.
Tale abilità è stata collegata all’abilità di comprendere i pensieri e le emozioni altrui (Lane, Wellman, Olson, LaBounty e Kerr, 2010).
Infine, recenti studi (Knight et al., 2015) hanno dimostrato come il perspective taking si configuri come un mediatore tra variabili culturalmente determinate e il comportamento prosociale. Da essi emerge ad esempio come il fenomeno culturale del familismo (ovvero la tendenza di alcune culture a subordinare gli interessi individuali in favore di quelli della famiglia), tipico delle culture sudamericane, non determini automaticamente maggiori comportamenti prosociali ma che vi sia una mediazione dovuta alle abilità di decentramento.
In altre parole, il familismo da solo, non sarebbe in grado di predire i comportamenti prosociali, senza la presenza di buone abilità di perspective taking, necessarie alla comprensione dei bisogni altrui (Eisenberg, 1986). Allo stesso modo, scarse abilità di decentramento, sembrano moderare gli effetti di altre variabili sulla disposizione prosociale (Knight et al., 1994; Carlo, Pytlik Zillig, Roesch e Dienstbier, 2009).
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Sembra che il perspective taking sia associato a diverse tipologie di comportamenti prosociali in misura differente. In alcuni studi (Knight et al., 2015), ad esempio, esso è risultato altamente correlato a tendenze prosociali che richiedono un coinvolgimento emotivo, quindi un perspective taking emotivo. All’opposto, esso si è dimostrato meno predittivo dell’aiuto compiacente, in cui l’aiuto è richiesto direttamente ed è meno necessario decodificare gli indicatori di aiuto. È interessante notare come non siano emerse relazioni tra il perspective taking e l’aiuto altruistico, che suggerisce come comprendere il punto di vista dell’altro non sia sufficiente a predire l’aiuto, in assenza di aspettativa di un tornaconto personale.