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Lettura comparata Rose-Commedia

INDICE NARRATIVO-TEMATICO DEL ROMAN DE LA ROSE

K. Natura entra nella battaglia 15861-16292 L Discorso di Genius a Natura 16293-1

3 La Rose di Jean de Meun

3.2 Arbor vitae

Ma proprio questo tema iconografico dell’albero, cui già si era accennato in proposito di Pier della Vigna, continua ad essere un tema aperto di discussione. Un campo di indagine che certamente va preso in considerazione è il legame dell’immagine arbor vitae-Croce con il tema dell’albero di Jesse. Trattando questo tema, terremo in considerazione le indicazioni che ci vengono dallo studio che Jacopo Manna132, uno studioso di storia dell’arte medioevale, ha dedicato a questo elemento figurativo dell’iconografia medioevale. Nel farlo percorreremo la sua stessa strada però secondo una direzione opposta. Se infatti Manna è uno storico dell’arte che, per sua stessa ammissione, decide di trattare un tema di tipo figurativo con strumenti diversi dalla critica d’arte cercandone la genesi nella spiritualità e religiosità del tempo e nelle immagini mentali che queste favorivano (dunque seguendo il paradigma iconologico generato dalla scuola di Warburg), noi siamo giunti a trattare questo tema partendo dall’analisi dei rapporti tra due testi letterari. Inoltre, se Manna fa una lunga dissertazione che dimostra come il tema dell’albero di Jesse si colleghi principalmente alla predicazione antiereticale degli ordini monastici e nasca in opposizione, ma anche in contiguità e osmosi, con la spiritualità catara, e solo alla fine avanza l’ipotesi che questo tema, quando ormai aveva esaurito la sua ragione di essere essendo quasi scomparsi i catari in Italia, si trasfiguri nel tema del “lignum vitae”; noi, all’opposto, facciamo riferimento ad esso dopo aver già dato come sicura la trasfigurazione della Croce di Cristo in lignum vitae all’epoca e nelle intenzioni di Dante, percorrendo dunque a ritroso, dal punto di vista cronologico, la storia di questo tema figurativo. Fatta questa precisazione cerchiamo ora di chiarire in che cosa consiste il tema iconografico detto “albero di Jesse”. Esso risale a uno degli autori del Vecchio Testamento maggiormente citati nel Medioevo. Infatti è vero che il Medioevo vive di una cultura religiosa orale che valorizza i testi ricchi di immagini vivide e dense di una

131 Su di esso si tornerà più avanti, ma si può anticipare che esso contiene nei versi incipitari l’accenno al

valore profetico di alcuni sogni, e nelle figure femminili del sogno descritto nel canto, in particolare in Rachele, la figura della donna allo specchio, che richiama l’immagine di Oziosa.

132 L’albero di Jesse nel medioevo italiano: un problema di iconografia (2001) in “Banca dati Nuovo

Rinascimento”, consultabile on-line all’indirizzo web http://www.nuovorinascimento.org/n- rinasc/iconolog/pdf/manna/jesse.pdf

coloritura profetica, è anche vero che in particolare Isaia, le cui profezie si servivano appunto di immagini efficaci e capaci di suscitare forti emozioni (si pensi al rapimento sul carro di fuoco), è noto per aver anticipato, nel Vecchio Testamento, la venuta di Cristo. Innanzitutto con questi versi:“Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un

figlio: e il Suo Nome sarà Emanuele [Dio con noi]” (Isaia VII,14).

Ma il passo che qui interessa è:

“Et egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice ejus ascendet.” Isaia XI,1.133 Tale passo si prestava dunque ad essere

letto come profezia della venuta di Gesù134, resa ancora più chiara dalle parole che seguono, tra le quali mi sembrano significative (per l’attesa di un intervento risolutivo nella storia umana che contengono) soprattutto quelle che chiudono la profezia:

Et percutiet terra virga oris sui, et spiritum laborium suorum interficiet impium. (Isaia, XI, 4)

Come si nota dalla fig.A, l’immagine di Isaia viene presto combinata da miniaturisti e pittori con quanto dice S. Matteo a proposito della genealogia di

Bibbia di Lambeth - XII secolo-Inghilterra (riproduzione da una copia eseguita dalla

miniaturista

Vannina Schirinsky-Schikmatoff – Parigi)

Cristo. È da notare che proprio su questa genealogia si avverte una contraddizione tra Vecchio e Nuovo testamento. Isaia sottolinea fortemente la discendenza di Gesù da Jesse (e dunque da Davide) secondo la carne, mentre il Nuovo Testamento lascia a Giuseppe un ruolo di padre che non partecipa con il proprio sangue alla generazione del Salvatore. L’unico modo per contemperare le due apparentemente inconciliabili interpretazioni consisteva nel sostenere anche per Maria una discendenza da Jesse. Manna ricorda come tale elemento iconografico sia particolarmente diffuso in un’area

133 “E sorgerà dalla radice di Jesse un bastone, e un fiore dalla sua radice ascenderà”. Preferisco questa

traduzione, a quella allegata da Manna al suo saggio (“Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”) perché, meno rielaborata in senso poetico e più legata al concreto, dà un’idea più diretta del possibile rapporto di tale immagine biblica con le sue trasformazioni in senso parodico.

che dalla Francia scende nell’Italia Settentrionale. Promotori di tale diffusione sembrerebbero essere stati i Cistercensi, che vedevano in tale immagine sia l’occasione per esaltare la figura di Maria (al centro dell’albero genealogico di Cristo come promessa di una redenzione dell’umanità dal peccato e quindi in opposizione ad Eva anch’essa al centro dell’albero del Bene e del Male), sia un modo per sottolineare il proprio legame con la corona francese. Sottolineare infatti la discendenza di sangue di Cristo finiva per costituire una legittimazione ideologica su base scritturale dell’origine divina del potere monarchico.135 Manna ritiene che questo secondo aspetto sia meno rilevante negli affreschi, bassorilievi e vetrate in cui tale tema compare in Italia, fatta eccezione per quello di Napoli (per ovvie ragioni storiche, visto che solo a Napoli iniziava a costituirsi un potere monarchico, quello degli Angiò, per di più legato alla casa regnante di Francia). Particolarmente diffuso fu invece in Gran Bretagna, come attesta la miniatura della miniatura riportata a pag. 137. Non va trascurato poi, in accordo con la caratteristica del Dio del Vecchio Testamento, il forte accento che Isaia pone nella Giustizia di questo Dio, che differisce invece dalla Grazia che invece caratterizza il Dio del Nuovo.

Rimandiamo a Manna e alle sue citazioni dai padri della Chiesa per la ricostruzione della storia del tema nell’apologetica cristiana. Tra le fonti che egli cita riportiamo la più interessante, in relazione alla nostra ricerca, quella tratta dal De Cataclysmo di Agostino. Agostino continua il lavoro apologetico e antiereticale iniziato da Tertulliano. Molte correnti eretiche sembravano avere in comune la tesi di un Gesù che non si fece vera carne, ma esplicò la propria missione nella storia umana restando puro spirito. Riportiamo il passo nella traduzione in italiano:

“Mi preoccupa molto la comparsa di questa verga se penso ai passi delle Sacre

Scritture: la verga è Santa Maria, la verga è lo stesso Cristo, la verga è la Croce. (...) Quale miracolo fratelli quello compiuto da questo architetto: fare della sua verga una scala (...) Quattro sono i gradini della croce da lui disposti(...) Nella parte alta della croce sta il capo del Crocifisso, il cristiano deve innalzare il cuore verso Dio, che interrogato sempre risponde, e così sale un gradino. Per la larghezza della croce sono inchiodate le mani del crocifisso; le mani del cristiano devono perseverare nelle opere buone: e sale il secondo gradino. Lungo la croce è appeso il corpo del crocifisso, ognuno castighi il proprio corpo con osservanze, lo appenda ai digiuni, perché esso si

135 un’analoga simbologia si trova anche nella tradizione trobadorica: la “flor enversa”, in opposizione ed

metta al servizio dell’anima; e sale il terzo gradino. Nella profondità della croce sta nascosto ciò che non vedi, ma è da lì che sorge tutto ciò che vedi. La Fede cristiana soccorra ognuno, ognuno creda in cuor suo a ciò che non può comprendere, non cerchi cose più alte di lui, la speranza lo nutra; e allora sale il quarto gradino.”

(Agostino, De cataclysmo VI PL, XL 698-99) Notiamo innanzitutto, con Manna, la presenza in Agostino di un impianto mnemotecnico che si innesta sull’immagine della verga-croce, e ciò per evidenti ragioni retoriche e didascaliche. Ma a mio parere l’elemento più innovativo dello scritto di Agostino è quell’espressione “la profondità della Croce”, in cui l’interpretazione dell’immagine si spinge al di là di ciò che si vede, a quella “profondità” che a me ricorda gli sforzi, secoli più tardi, di un Giotto per dare profondità prospettica alla croce di Cristo nell’affresco raffigurante l’esame delle Stimmate nella Basilica di S.Francesco ad Assisi (1295 ca), che non deve interpretarsi solo come una sperimentazione della prospettiva nella tecnica figurativa136, ma anche un modo per ricercare nel mistero dell’anima umana, del tormento individuale di Cristo che si fece uomo, il segreto del suo messaggio di redenzione.

Piero Cavallini, Il presepe di Greccio Giotto, Accertamento delle stimmate (particolare) 1296-1304 affresco Assisi, San Francesco, basilica superiore E lo stesso tipo del Cristo raffigurato da Giotto è nuovo nel realismo e naturalismo con cui viene raffigurato il suo corpo privo di vita. La prospettiva non è solo un modo di

organizzare lo spazio secondo un principio razionale, ma va soprattutto intesa come il modo di liberare l’individuo dallo sfondo, riconsegnandolo all’unicità del suo posto nel mondo e del suo rapporto con Dio. E che tale rivoluzione, contemporanea, lo si ricordi, a quando scriveva Dante, non sia tutta interna all’arte giottesca ma risenta fortemente della spiritualità dell’epoca,137 è dimostrato anche dal fatto che nella realizzazione del programma della Cappella degli Scrovegni intervenne quello sconosciuto teologo francescano138 che con tutta probabilità assistette lo Scrovegni nell’ideazione del ciclo e che lesse in particolare Ubertino da Casale, collocandosi dunque pienamente nella corrente dello spiritualismo francescano.139 Le parole di Agostino fanno capire, una volta ancora di più, come un impianto mnemotecnico e allegorico applicato a un’immagine sacra non costituisca un inaridimento in senso intellettualistico del valore profetico delle fonti scritturali, ma anzi costituisca il tramite verso una interpretazione in senso realistico e storico dell’escatologia cristiana. Esse, che in un primo momento sembrano ridurre il tema iconografico della verga e Croce a mera catechesi, si riscattano nel finale richiamo al mistero della profondità della Croce. Queste riflessioni appariranno ancora più significative, se si pensa che solitamente l’arte di Giotto non viene messa in relazione con la spiritualità agostiniana.