Lettura comparata Rose-Commedia
INDICE NARRATIVO-TEMATICO DEL ROMAN DE LA ROSE
K. Natura entra nella battaglia 15861-16292 L Discorso di Genius a Natura 16293-1
74 POZZATO, 1989 75 GILSON, 1987: p
2.14 Personificazioni della ritrosia femminile e demonologia dantesca
Se vogliamo, come proponeva il Contini, leggere la Commedia come antiparodia della
Rose, o più semplicemente, lasciando stare il discorso parodico, sviluppare il confronto
secondo il paradigma dell’antitesto, molti dei versi che riproducono l’irata reazione di Venus sembrano condensare quelli che saranno i passi più violentemente realistici dell’Inferno. A fare il paio con i passi bolognesi, con i riferimenti irriverenti a “salse” e mercimoni femminili di un ceto intellettuale corrotto che, a peggiorare la situazione, riveste di ipocrisia sia la morale cortese che la veste di chierico, compaiono qui i riferimenti a questo primo Roman nella Commedia più violentemente realistica. Ci si riferisce in primo luogo del canto XXII dell’Inferno, quello in cui Dante e Virgilio, accompagnati dalla fiera compagnia dei “diece demoni” di Malebranche, attraversano Malebolge. Ma perché ritenere che vi sia un legame proprio con questi canti infernali?
Partiamo, come di consueto da alcune evidenze testuali. Innanzitutto il repentino mutamento di tono che viene associato alla figura di Malabocca (da paradisiaco, affine al joi provenzale ripetutamente citato attraverso le parole joi/joie, a infernale, cagionato dall’insorgere contro la gioia dell’amante delle resistenze femminili). È un personaggio che già nel nome composto tradisce la parentela con Malebranche (e nell’opera che è stata definita “Inferno in fieri”, il Fiore, quella cioè che potrebbe segnare, ove fosse accolta la sua attribuzione a Dante, la rielaborazione del poema francese in funzione di un suo riutilizzo in chiave di ipotesto/antitesto nella Commedia, saranno nomi composti di questo tipo a indicare luoghi, proprio come avviene nell’Inferno dove al nome collettivo Malebranche corrisponde il luogo Malebolge). Le personificazioni delle resistenze femminili assumono, anche nell’atteggiamento petulante ed insidioso, la violenta esuberanza dei diavoli infernali. Certo, la maestria dantesca nel dipingere i vari caratteri, mescolando elementi comici, ispirati ad alcuni personaggi delle contemporanee sacre rappresentazioni121 e che poi verranno ripresi nella Commedia dell’arte (pensiamo ad Alichino/Arlecchino), e riferimenti a pesonaggi tipici della città e del contado toscano, sembrano inarrivabili se paragonate alla staticità di queste astrazioni allegoriche. Però anche in esse si possono cogliere la rapidità teatrale dei dialoghi incalzanti e la capacità dell’autore di disegnare con pochi tratti caratteri umorali e violenti. Si nota, come anche nei passi di Malebolge, un climax nell’angoscioso avvicendarsi dei caratteri attorno al malcapitato. Nel canto XXII vittima dell’infame corteggio demoniaco non sarà l’agens (la dignità del suo ruolo glielo impediva) ma il malcapitato tratto dalla pece che, dopo che Graffiacan “gli arruncigliò l’impegolate chiome” (v.35), subirà un bestiale supplizio. “Tra male gatte era venuto ’l sorco” (v.59) chiosa Dante, ma in fondo una simile notazione non potrebbe descrivere anche la condizione del povero amante descritto da Guillaume, quando si trova nel mezzo di una lotta di potere tra Malabocca, Bel Acueil, Honte, Jalousie?
Infine Danger:
Lors leva li vilains la hure Frote ses ieulz, si s’esberuce Fronche le nes, les ieulz rueille
121 È questa l’opinione del Graf, secondo il quale Dante fu ispirato per i propri demoni da quelli che
poteva vedere assistendo a qualche dramma sacro precedente alle sacre rappresentazioni attestate in Italia in un periodo immediatamente successivo. Non andrebbe esclusa, ma pare meno probabile al Graf, la possibilità che egli abbia assistito ad alcuni drammi in Francia (come il Mystere d’Adam). Cfr GRAF, 1893 : p.291.
Et fu plein d’ire e de rueille
RR, 3729-32
Se il corteggio delle personificazioni della ritrosia femminile si trasfigura in una compagnia demoniaca in cui una curiosa diffidenza lascia il posto a un terrore che si fa spazio impercettibilmente nella coscienza (mirabile in Dante l’analisi psicologica di tale sentimento: il culmine del timore è raggiunto quando i dieci demoni si sono dileguati e il pellegrino paventa il loro ritorno), Danger, l’ortolano, ma anche il guardiano che permette o sbarra il passaggio nel giardino, assume decisamente le sembianze bestiali dei guardiani danteschi. La mimica del volto, ma sarebbe meglio dire muso, fa pensare a tante analoghe descrizioni nella Commedia, in particolare se estendiamo il confronto a certi dannati dell’Inferno, parimenti connotati da tratti bestiali:
Qui distorse la bocca e di fuor trasse la lingua, come bue che 'l naso lecchi.122
Inf.XVII, 74-75
Con la solita abilità nel condensare nel giro di pochi versi, qui solo un distico, una notevole capacità di osservazione del mondo naturale, visto come apparato simbolico di vizi e virtù umane, la potente fantasia dantesca ci consegna un tipo umano che sembra tratto di peso dalla realtà contemporanea. E anche pochi versi più su del medesimo canto mostravano simili notazioni realistiche:
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo, or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani.
ibid., 49-51
l’apparente pignoleria con cui Dante si sofferma sulla causa dell’irritazione dei cani, serve in realtà a prolugare ed amplificare fino al giro della terzina quella che nell’esperienza comune è poco più che un attimo. Nel guizzo indispettito del cane, mille volte osservato da ognuno, è condensata la reazione umorale e violenta, una rabbia tutta umana che si fa pena eterna. Se nel riferimento alla quotidianità si coglie l’aspetto
122 Di questa similitudine si è occupato ampiamente Gianfranco Folena in un articolo ora in volume (vedi
didascalico, l’ elemento di contatto e unione tra il mondo fantastico dantesco e quello dei suoi lettori, nel contenuto umorale, violento, di questo “pezzo di realtà” (“cinéma” avrebbe detto Pasolini) l’aspetto didattico viene trasceso in una poetica che supera la mimesi in ri-creazione “sublime” del mondo reale (Narciso che si fa Pigmalione, come nella conclusione del Roman de la Rose). Nella figura di Danger i tratti bestiali sono impliciti nei gesti e nella mimica del volto, mentre non si ha, come in Dante, un più esplicito riferimento alla mitologia classica. Potremmo pensare, come tipo umano, ad un Caronte, figura parimenti irascibile e di aspetto terrificante. Ma in Guillaume il personaggio, pur continuando ad argomentare e dialogare con i suoi interlocutori, si muove davvero come una fiera incattivita da una caccia infruttuosa. Se l’aggrottare le ciglia o il roteare gli occhi trova più di una rispondenza, nella Commedia, in immagini di fiere o di dannati, il suo muoversi per il giardino alla ricerca di ogni pertugio da sbarrare fa proprio pensare a un cane o simile fiera (inevitabile il raffronto con la lonza, essa pure impegnata a sbarrare il passaggio). Ecco allora un’analogia tra questo passo della Rose:
Des or est mout changiez li vers Car dongiers devient plus divers
Et plus fel qui ne soloit plus estre
R.R. 3759-61
E la descrizione di Cerbero:
Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa.
Inf. VI, 13-15
La consonanza della coppia divers/diversa potrà parere un indizio debole. Ma qui, come altrove, non ci deve limitare solo alla suggestione di una convergenza testuale. Dobbiamo fare in modo che il nostro paradigma d’indagine, proprio per la natura della letteratura allegorica che fa da sfondo alla Rose, accolga tra gli indizi validi e probanti anche le immagini mentali, l’elemento iconologico che guida la composizione poetica. Così è utile ricordare che Cerbero, a differenza di Dangier, ripete il tipo della fiera trifronte (quale poteva richiamarsi la fiera “tricorpore” formata da lupa, leone e lonza) e dunque rimanda al tema del rispecchiamento narcisistico, che in Dante, abbiamo visto,
assume il significato di immagine dell’alterità e del rifiuto femminile (di cui Dangier è allegoria). Allora anche la ripresa dei rimanti servirà da guida in questi percorsi testuali nella Rose. Vediamo le rime implicate nei versi di Narciso.
C’est li miroer perilleus Ou Narcissus, li orgueilleus Mira sa face et ses ieuz vers Dont il jut puis mort tot envers
R.R., 1569-72
La coppia vers/envers da un lato rimanda al tema del vers non più come elemento ritmico nel quale si esprime la corporeità, ma come “principio invertente”, legato all’immagine e al riflesso. Dunque attraverso questi richiami testuali legati in particolar modo ai rimanti, si coglie come nell’autore Dante si attivi una memoria testuale di diversi passi della Rose, in corrispondenza di immagini analoghe per significato: la fiera “tricorpore” del I canto dell’Inferno rimanda al rispecchiamento narcisistico e recupera “perilleus” in “perigliosa”, la sua ripetizione nella figura trifronte di Cerbero nel VI della stessa cantica attiva invece una diversa memoria testuale, con il recupero dei soli rimanti in coincidenza con la ripresa dell’immagine di una figura del rifiuto123. Che poi già nella Rose del De Lorris l’analogia tra i rimanti dei due passi di Narciso e di Dangier spingesse nella direzione di un’interpretazione dell’immagine vista da Narciso come la forma del rifiuto femminile è certamente possibile (in quanto il riflesso è un’immagine che non accoglie al suo interno ma respinge all’indietro).
Se prendiamo in considerazione anche questo elemento, anzi lo poniamo a guida della nostra riflessione, ecco come la caduta improvvisa della speranza nell’innamorato, il suo tornare dal sogno all’incubo angoscioso, giustifica il processo di condensazione e il
climax nella rappresentazione drammatica. Dapprima con un infittirsi dei dialoghi e dei
personaggi caratterizzati in modo negativo e poi nella rabbia che monta in Danger, che si trasfigura in creatura dai tratti bestiali. Notiamo poi proprio nel discorso di Danger un modo di dire che sarà ripreso nel Fiore: meglio sarebbe che fuggissi a Pavia. Avevamo detto che nel poemetto comparivano sia toponimi composti sul genere de “il paese di Tagliagola”, che richiama sia Malebolge, luogo infernale dantesco, sia una simile
123 Come si vedrà meglio più avanti, i rimanti verso/diverso ricompaiono in un altro canto infernale nel
toponomastica del Roman, sia nomi di città dell’Italia settentrionale di allora, quella che allora si chiamava Lombardia; e allora viene da chiedersi se sarà poi un caso che la convergenza testuale (asez/doblez e scempio/doppio) che avevamo ricordato per alcuni versi più su, chiami in causa proprio il canto di Marco Lombardo.
De tieus dolors aurai ge maint, Car je suiz en enfer cheoiz. Malebouche soit maleoiz: sa langue dolereuse et fausse m’a porchacie ceste sause.
Il precipitare dell situazione a livello drammatico non poteva che trovare un corrispettivo lirico nel lamento dell’amante, reso ancor più disperato dall’aver assaporato il profumo della Rosa. I versi che abbiamo riportato sembrano un condensato delle riprese e delle analogie con la Commedia che abbiamo citato in altre occasioni. Il riferimento alla situazione infernale, a cui drammaticamente ritorna l’amante (prima aveva affermato di essere passato da “enfer en paradis”), è già di per sè un elemento di grande interesse. Ad esso aggiungiamo, per il tramite del nome di Malabocca124, la collocazione più precisa del luogo di Malebolge, e infine, altro riferimento che postula il passaggio attraverso il Fiore, la caduta nel grottesco attraverso l’accostamento al realismo più truce della pena fisica con il culinario (come nei vari “larder” che precedono), realizzato con la salsa, che sembra essere richiamata dalle “pungenti salse”125 del canto bolognese.
124 Il passaggio da nome di un personaggio a nome di un luogo era stato compiuto all’interno del Fiore,
coi toponimi sul tipo del paese di Tagliagola.
125 Sulla citazione delle salse come riferimento alla fossa comune in cui erano sepolti i suicidi, emblema
della corruzione morale della città, da Dante associata all’ipocrisia del ceto intellettuale universitario bolognese, un più esauriente riferimento bibliografico è comunque in Sapegno.