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Lettura comparata Rose-Commedia

INDICE NARRATIVO-TEMATICO DEL ROMAN DE LA ROSE

K. Natura entra nella battaglia 15861-16292 L Discorso di Genius a Natura 16293-1

3 La Rose di Jean de Meun

3.7 Ripresa della narrazione

Con la conclusione del lungo discorso di Ami, la narrazione riprende. Il verso 9.985 comporta una cesura significativa non solo perché segna il passaggio da un lungo discorso a una situazione narrativa, ma anche perché è ricco di riferimenti al Roman di Guillaume. Sembra quasi che l’autore, dopo tanto discorrere, senta il bisogno di restituire il Roman al suo senso profondo di queste e di viaggio. Lo Strubel parla di una ripresa dolce e quasi inavvertita, mentre noi notiamo piuttosto un processo di condensazione di immagini e situazioni della parte iniziale del Roman. Viene riproposta l’ambientazione convenzionale di un locus amoenus pieno di delizia (“m’en alai

contreval la prée / d’erbes e de fleurs enluminée”, RR,9987-88) e di lieti canti di uccelli. Non va dimenticato però che le digressioni dei discorsi di Ragione e di Amico non costituiscono delle realtà separate dalla narrazione vera e propria, ma svolgono per il continuatore della Rose la funzione di creare il contesto in cui essa prende significato. La materia narrativa di Guillaume insomma non è passata indenne attraverso la progressiva discesa verso il comico e l’infernale a cui spingeva l’interpretazione del rapporto amoroso nei consigli di Amico. Ecco allora che ben presto ci si rende conto di

come la riproposizione dei motivi della topica cortese già presentati da Guillaume sia tutt’altro che passiva. Il tema della fontana, che in Guillaume era la fontana di Narciso, luogo di una rievocazione tragica e dolorosa che aveva portato quasi a sospendere la narrazione in una contemplazione estatica del dramma ovidiano, reinterpretato nei termini della contraddizione cortese, viene solo accennato (“juste une clere fontenele”), riassorbito dalla descrizione di Richesse (“dame poissant et honorable, / gente de cors,

bele de forme”). Si noti l’aggettivo “gente” riferito alla personificazione della ricchezza

(quasi una contraddizione in termini secondo l’ortodossia cortese). Lo svolgimento successivo segna il definitivo distacco dalla topica cortese: Ricchezza (non gentilezza o cortesia) sorveglia il cammino che segna la via più facile al cuore della dama (è la via di Trop Doner). Tale via di accesso, ammonisce Ricchezza, è da me consentita, ma ma la via del ritorno appartiene a Povertà. È il caso di soffermarsi dunque su questa situazione narrativa, conseguenza diretta della rilettura nei termini di una ideologia borghese- mercantesca della topica cortese. Cerchiamo di ritrovare nella Commedia la situazione e soprattutto l’immagine di questa guardiana di un cammino che sembra annunciarsi facile, ma che è foriero di sventura. Avevamo già visto come nel discorso di Ami fosse frequente il ricorso ad immagini che richiamavano ad un tempo l’infernale e il comico. Avevamo per questo richiamato sia una certa tradizione parodica presente nella poesia trobadorica (la poesia del gatto rosso), sia il ricorso al comico nei dialoghi del marito con la moglie.

Questa immagine di un cammino in discesa verso la dissoluzione dei propri averi e l’abbruttimento morale conseguente al ricorso a Trop doner, sollecita in modo ancora più chiaro l’analogia con un’altra opera chiaramente identificabile, già citata più su: il

Songe d’Enfer di Raoul de Houdenc, che descrive appunto in termini romanzeschi le

tappe della decadenza morale. Questi altri riferimenti ad una tradizione già esistente ci fanno più sicuri nell’avanzare l’ipotesi di un’analogia tra questa situazione narrativa e l’incontro dell’agens con le tre fiere nella parte iniziale della prima cantica (e in particolare con la lupa). Si obietterà che è difficile vedere nella lupa una personificazione di Richesse: la tradizione la interpreta come simbolo di avidità e di cupidigia, le quali intrattengono un rapporto semantico con la ricchezza (nel senso che possono esserne la causa), ma non vi si identificano pienamente. Il fatto è che la ricerca delle analogie in Dante è complicata dallo sforzo del poeta fiorentino di orientare la ricezione verso una rilettura in chiave escatologica e morale dell’ideologia cortese, in

modo opposto a quella della Rose, per cui non è infrequente (pur mantenendo le caratteristiche generali dell’immagine rievocata) la modificazione radicale della chiave di lettura. Poteva Dante presentare Richesse come una consigliera dell’amante cortese? Parliamo in fondo del poeta che orientò l’ambito semantico del denaro e della moneta in senso univocamente negativo (due esempi per tutti: il fiorino, “maladetto fiore” di Par. IX, 130, che sostituisce il giglio dello stemma fiorentino e le “femmine da conio” di Inf.XVIII, 66). Piuttosto notiamo come Dante fonda nelle tre fiere le immagini della miseria morale dell’avidità e di quella materiale e fisica conseguente alla Fol Largueza di Faim (rievocata nelle parole di Richesse come serva di Pauvretè). Verrebbe spiegata la caratteristica fisica della magrezza della lupa e la sua rabbiosa ferinità. Anche nel

Roman Fame viene descritta come una fiera che addenta disperatamente e fa crepitare le

unghie nelle pietre. È opportuno ricordare in proposito anche la “rabbiosa fame”del leone. L’unica tra le tre fiere che rende possibile il parallelismo con Richesse è la lonza, fera alla gaetta pelle, cioè rivestita di un manto che evoca ricchezza e dunque capace di travestimento ed inganno; esso dunque è complementare a quello tra la coppia lupa/leone, emblemi delle conseguenze morali e materiali a cui conduce il traviamento morale conseguente alla ricerca delle false immagini di bene, e Faim e avidità. La possibilità di tale articolato parallelismo però è condizionata dalla capacità di chi lo propone di sostenerlo con un’interpretazione accettabile di tale riproposizione della situazione narrativa della seconda Rose nel contesto della Commedia. Se, dopo l’operazione di banalizzazione e risemantizzazione dei valori cortesi operata dal discorso di Amico, poteva ormai essere accettata a questa altezza della Rose un’espressione come “Fol largueza”, esattamente simmetrica ed equivalente a “gente

Richesse”, essa doveva suonare al poeta d’amore che vive ancora in Dante come

blasfema. L’unica possibilità di non dover cassare tale proposta di una ripresa testuale è che essa venga condotta secondo una forma di ambivalenza, quella di un poeta da un lato affascinato dall’ambiziosa opera di risistemazione filosofica della cortesia e dall’altro scandalizzato dalla moralità borghese e materialista che vi traspare e dunque tutto intento a rovesciarla. Dante in un certo senso riscrive la Rose, o almeno alcune porzioni della Commedia possono essere lette secondo questa chiave, ma tale riscrittura non è mai banale e si sviluppa perché guidata da uno sdegno autentico e da una passione in cui si intrecciano da un lato i sentimenti del poeta, che vede tradito l’orizzonte dei valori poetici in cui aveva creduto in gioventù, dall’altro la moralità del teologo. Che la

citazione dantesca di questa situazione narrativa che segna la ripresa della narrazione dopo il discorso di Ami (che già costituiva una riscrittura condensata degli analoghi passi del primo Roman) costituisca in realtà un suo rovesciamento lo si può dimostrare anche raffrontando la descrizione del suo inizio nei due poemi:

Ripresi via per la piaggia diserta Inf. I, 29

M’en alai contreval la prée RR, 9987

La piaggia in Dante è diserta perché nell’agens la disperazione è data proprio da una ormai raggiunta consapevolezza morale, che gli rivela i travestimenti delle false immagini di bene (la natura lussureggiante) e lo rende cosciente dello stato di desolazione e abbandono del mondo presente “che disvia”. All’opposto, l’apparente serenità della stereotipata ambientazione cortese del De Meun, rigogliosa di frutti e fiori, è inficiata dalla sua falsità e da un senso di angoscia che si insinua nell’animo di Amante (conseguenza del suo desiderio, frustrato da un oscuro divieto, di accedere al castello). Simile anche l’ansia di uscire dalla propria condizione (dettata dal desiderio nell’amante e dall’angoscia nell’agens):

Lors emprés cele departie, eschivant la destre partie verse la semestre m’achemin pour querre le plus brief chemin.

RR, 10.033-36

Ripresi via per la piaggia diserta,

sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso. Inf. I, vv.29-30