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Lettura comparata Rose-Commedia

INDICE NARRATIVO-TEMATICO DEL ROMAN DE LA ROSE

K. Natura entra nella battaglia 15861-16292 L Discorso di Genius a Natura 16293-1

3 La Rose di Jean de Meun

3.8 Dialogo con Richesse

Vivent? Certes non font, ainz meurent, Tant com en tel torment demeurent Qu’on ne doit pas apeler vie Tel rage ne tel desverie.

RR, 10.253-56

Al v.10.253 è interessante notare la somiglianza con i versi di Giacomo da Lentini traduttore di Folchetto da Marsiglia (“Moru viv’eo? No, ma lo core meo more più

spesso e forte che no faria di morte naturale”182). Ci limitiamo qui solo a suggerire l’ipotesi di una influenza diretta di Folchetto e forse anche di Giacomo. Per quest’ultimo, vale la pena ricordare che i versi qui citati sono della stessa canzone (Madonna, dir vo voglio) che contiene la metafora del naufragio, e in particolare un verso, “scampan lo getto di loco periglioso”, che avevamo ipotizzato si sovrapponesse al perilloeus del primo Roman, nella memoria poetica dantesca di quell’aggettivo “perigliosa” posto in un’espressione un po’ enigmatica del primo canto dell’Inferno.183 Ma quello che certo non può essere negato è l’intento ironico dell’autore francese nel riprendere una frase che evidentemente appartiene al lessico dell’amore-passione (l’ambito semantico al quale si rifacevano i toscani come Guittone, i siciliani come Bonagiunta e lo stesso Folchetto, coloro che si collocavano al di qua del famoso “nodo” di cui parla Dante nel XXIV canto del Purgatorio), quello di un amore come forza distruttrice, mettendola in bocca a Richesse. D’altra parte però è interessante notare come potremmo estrapolare i versi citati e quelli che seguono e trasportarli di peso nella lirica di un Cavalcanti.184

La discussione potrebbe allora ampliarsi ulteriormente: forse non è stata, tale concezione disperante dell’amore in Cavalcanti, ritenuta una conseguenza diretta della

182 In Folchetto “Donc mor e viu? Non, ma mos cor cocios/ mor e reviu de cosir amoros” in “A vos

Midontç” ed. crit. di Paolo Squillacioti in Liriche di Falchetto da Marsiglia, Pisa 1999. Con la “traduzione” di questi versi provenzali da parte di Jacopo si suole indicare la nascita della Scuola Siciliana.

183 I brani da confrontare sono dunque: “Scampan lo getto di loco periglioso” / “le miroeur perilleus”/ “si

volge all’acqua perigliosa e guata”.

184 L’amore passione come forza distruttrice, che in Cavalcanti è stato visto, come abbiamo già scritto più

sua fede averroista, e dunque di una filosofia di impronta materialista di marca transalpina in cui si è voluto iscrivere lo stesso De Meun?

Se il pattern che modella la riscrittura in termini teologici dell’etica cortese in Dante si può far risalire a coordinate culturali che hanno come riferimento il pentimento e la conseguente scissione dell’esperienza esistenziale (che ha tra i suoi primi esempi l’ars

amandi guittoniana e proseguirà fino al Petrarca), nella Rose si assiste quasi al suo

rovesciamento in termini che si potrebbero definire, secondo la terminologia di Contini, antiparodici. Ecco allora che amante afferma:

Trayson me couvint tracier Pour ma besoigne pourchacier R.R., 10.273-74

Infatti più su egli presenta gli insegnamenti di Amico in un’anti-etica di doppiezza ed ipocrisia (secondo la quale amante dovrebbe essere cortese e deferente con i propri nemici, a partire da Malabocca). Tale doppiezza viene scontata da una penitenza

Si fi ainsi ma penitance (…)

Comme Dieus sot, car je faisoie Une chose et autre pensoie.

R.R. 10.267-70

L’apparizione di Amore, alla fine di questa prova di lealtà sigillata dalla penitenza, corrisponde, nel parallelismo che abbiamo proposto con l’azione incipitaria della prima cantica infernale, a quella di Virgilio. È pur vero che Virgilio simboleggia la ragione umana, mentre Amante giura nuovamente la propria fedeltà al dio d’amore proprio contro ogni sospetto di tradirlo per i consigli di Ragione. Il patto viene risuggellato con la ripetizione dei comandamenti d’Amore fatta da Amante. Da notare come il già osservato processo di condensazione riduca ciò che era stato l’oggetto di un’ampia trattazione nella parte di Guillaume a pochi versi. La chiusa delle parole di Amante, in cui egli sigilla il proprio giuramento con la volontà di voler morire d’amore, dove la morte d’amore è intesa proprio in senso fisico, nel compimento cioè del congiungimento carnale, ci dà la cifra dell’ironia con cui tutta la descrizione della cieca

passione amorosa, che come avevamo visto trovava per altri versi notevoli somiglianze con le espressioni usate da un Cavalcanti, venga intesa dal De Meun.

I versi 10.362- 63 sono di particolare interesse per un immediato riscontro testuale con un canto dell’Inferno.

Ta nef vendra, quant si bien nages a bon port (…)

RR, 10.362-63)

la memoria di un lettore di Dante corre ai versi che ritraggono il Dante agens mentre, sotto la pioggia di fuoco, discorre amabilmente con l’antico maestro, Brunetto:

Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorïoso porto, se ben m'accorsi ne la vita bella;

Inf. XV, vv.55-57

Si osservi nei due brani posti a confronto, il ricorso alla stessa metafora di una queste personale come navigazione, e la stessa associazione con una concessiva. Ci sono, certo, delle differenze: in Dante l’immagine della nave è lasciata sottintesa, quasi assorbita da quella, più pungente nell’animo ancora incerto dell’agens, del porto; la concessiva, riassunta in una generica raccomandazione nella Rose, si complica in una determinazione astrale in Dante (almeno in modo così preciso ritiene di interpretarla il Sapegno). Ma resta il significato complessivo di una precisa profezia, destinata a risollevare l’animo dell’amante/agens. Nella Commedia il bisogno di conforto è pari all’ansia del Dante dei primi canti infernali: la profezia di Brunetto è la terza nel pur breve percorso compiuto fino al passo citato. L’avevano preceduta quella di Ciacco e quella di Farinata. Quest’ultima, più difficilmente anche la prima, viene richiamata dalle parole di Brunetto.