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Lettura comparata Rose-Commedia

INDICE NARRATIVO-TEMATICO DEL ROMAN DE LA ROSE

K. Natura entra nella battaglia 15861-16292 L Discorso di Genius a Natura 16293-1

3 La Rose di Jean de Meun

3.5 Padri e figli (Manfredi)

3.6.1 Descrizione del Gilos.

Mano a mano che il discorso di Ami si inoltra nelle pieghe più sgradevoli della relazione amorosa e coniugale, svelando la matrice economica e di interesse nel rapporto uomo donna, il ricorso a toni e modalità di commedia, lo avevamo già visto, si fa più frequente. I personaggi della topica cortese sembrano liberarsi dal repertorio di sguardi, gesti, dialoghi cristallizzati nella convenzione per dare vita ad una rappresentazione dai toni comici ma anche violentemente icastica. Il riferimento per la rappresentazione della figura del gilos non va più cercato nella tradizione cortese, dove

era figura che manteneva comunque un ruolo nel controllo sociale del comportamento degli amanti, e paradossalmente, era uno dei garanti della purezza dell’amore adulterino. La rappresentazione di questo personaggio come di un individuo animato da un sentimento profondamente misogino può essere letta in diversi modi. Quello più immediato ci porta a leggere in questa rappresentazione un attacco portato dal De Meun a quel sovvertimento del codice cortese (in cui cortesia e largueza erano intimamente legati) che nei rapporti coniugali corrispondeva all’ipocrisia religiosa negli ordini monastici. in questo senso questa parte del Roman potrebbe essere inserita in una tradizione narrativa (simile ai fabliaux) che ormai annoverava almeno tre testi piuttosto diffusi all’epoca, nei quali berasaglio satirico e polemico di una dura reprimenda morale era proprio l’animo gretto, ipocrita e nel fondo violento e misogino del “gilos”. Li ricordiamo brevemente: il noto “castìa-gilos”176, o “la scuola dei gelosi”, attribuito al trovatore occitano Raimon Vidal de Besaudun; le “Novas del papegay”, di Arnaut de Carcassès (di circa 300 vv.), che risale all’inizio del Duecento; infine il “Flamenca” (seconda metà del Duecento) . Alcune di queste novas rimadas, sospese tra Catalogna e Linguadoca, giungono alla ragguardevole dimensione di 2000 vv. e costituiscono un interessante precedente del Roman nella trattazione della casistica amorosa (come il

Judici d’amor di Raimon Vidal, anche se le tre opere citate hanno come tema specifico

la punizione del marito geloso). È interessante notare come anche le novas si collochino in una posizione ancora non ben precisa nel crinale tra produzione lirica (per il fatto che sono in versi) e narrativa prosastica. Lo ha messo bene in luce il Limentani, che nello studio della tradizione del castìa-gilos ha riconosciuto due diversi filoni, uno che risponde al paradigma di una tradizione di tipo lirico, l’altro invece di tipo narrativo (affine ai fabliaux). Questa incertezza di collocazione dell’opera, in particolare nella sua ricezione nel sud della Francia, è sintomatica di quel cambiamento profondo che i topoi letterari subiscono in conseguenza del mutare dello sfondo sociologico in cui essi si proiettano177. Questi testi assumono per noi un particolare significato anche al di là dell’incidentale convergenza del tema del gilos, ma perché come la Rose costituiscono un capitolo della fase finale della lirica trobadorica, o meglio ancora costituiscono

176 Raimon Vidal, a cura di G.Tavani Il "Castia-gilos" e i testi lirici, Milano-Trento, Luni, 1999.

177Sull’interpretazione del significato delle Novas vedi AKEHURST, F. R. P. DAVIS, J. M. 1995: pp. 169-70. Per il castia gilos FIELD, 1991; TAVANI, 1999, e in NELLI LAVAUD, 1966. Per la nova del papegay BARCA, 1992. L’edizione di riferimento del Flamenca è GSCHWIND, 1976, un approfondimento sulla sua ricezione è in LIMENTANI, A. Il poeta di Flamenca e la sua cultura in Id. 1977.

altrettante importanti fasi di quella parabola discendente di cui la Rose, che pure è anteriore cronologicamente, costituisce probabilmente l’atto finale. Credo si possa intuire come per noi, che studiamo l’influenza, o la possibilità di una qualche influenza, che la Rose avrebbe esercitato nel processo creativo della Commedia, l’esistenza di questi elementi di confronto e contestualizzazione storica del monstrum poetico- allegorico creato dal De Meun, possa aprire interessanti elementi di confronto.

Finora avevamo inoltre posto il tema della caduta dei valori trobadorici come connessa ad un’operazione culturale nata nel Nord della Francia, negli ambienti universitari parigini, mentre le novas rimadas della fine del Duecento rispondono più da vicino agli ambienti di ricezione provenzali. Non si può escludere che lo stesso Dante potesse conoscere questa produzione, certo meno nota del best-seller medioevale creato dal binomio De Lorris-De Meun. Di particolare interesse è ad esempio la declinazione della prosa provenzale in direzione del romanzo psicologico. Temi centrali nell’interpretazione di questi testi sono l’io e la memoria dell’autore, la psicologia complessa dei personaggi. Il canto di Francesca sembra costituire per certi versi un contrappunto doloroso e dal diverso esito rispetto al “lieto fine” della vicenda del

Flamenca (in cui però, si noti, il trionfo d’amore successivo alla liberazione dell’amata

da parte del giovane cavaliere, è inserito nella cornice di una liturgia religiosa178). Nell’uno e nell’altro caso si nota però la stessa preoccupazione di conciliare etica cortese e moralità cristiana. L’onestà intellettuale e il rigore etico dantesco non poteva che portare alla condanna, non meno ferma perché dolorosamente compatita dal poeta, del rapporto adulterino, mentre le novas suggeriscono uno svolgimento diverso del paradosso cortese e soprattutto ribadiscono, ancora alla fine del Duecento, la persistenza delll’etica cortese come largueza. Nella seconda Rose, se pure vi è un’influenza di questi temi della narrativa occitanica, essa porta ancora nella direzione del rovesciamento parodico. Di fatto Ami, la cui figura abbiamo visto essere di mediazione e passaggio verso la beffarda ironia del comico dei protagonisti dello svolgimento successivo (la Vecchia e Falsembiante in primo luogo), lascia ampio spazio alla figura del gilos, che in quest’opera sembra prendersi una rivincita rispetto alla secolare tradizione che lo vuole come emblema negativo, muto e rancoroso pesecutore della castellana e del suo giovane innamorato. Ecco allora che il vecchio marito oppone alla

largueza, propagandata dai trovatori, un pensiero più banalmente ancorato al quotidiano

178 Una soluzione dunque alternativa al rapporto coniugale che in Chrétien de Troyes fa da sfondo alla

e ad un gretto buon senso, fatto di pregiudizi misogini e di calcoli mercanteschi sul modo di conquistare le donne e poi di mantenerle fedeli spendendo in minima parte le proprie ricchezze. Rispetto a questo iniziale ritratto, che poteva sembrare quasi una caricatura, il procedere del discorso sviluppa un crescendo di violenza. Il personaggio, per la vivacità comica del linguaggio e il realismo della sua psicologia, sembrava dapprima anticipare certi burberi goldoniani. Ma nella Rose il fondo bonario dei borghesi veneziani dipinti dal nostro commediografo lascia lo spazio a un rappresentazione quasi crudele delle sevizie che il gilos si compiace di infliggere alla moglie disubbidiente. Parrà forse eccessivo parlare di un trascendimento nel tragico, simile ad esempio a quanto accade nel Bilora ruzantiano, conoscendo l’intento ironico che anima sempre l’autore della Rose, unico elemento di continuità di questo autore “proteiforme”, che sembra talora celarsi dietro un atteggiamento epocale rispetto alle forze che dominano i rapporti umani; ma resta lo stupore quando, dopo una “tirata” di più di mille versi (ricca di citazioni dotte che sembrano scagliarsi non solo contro l’ipocrisia cortese, che vorrebbe il marito beffato e contento, ma contro l’istituto stesso del matrimonio, presentato come un’istituzione funesta, a causa dell’incostanza e del capriccio femminili), il gilos passa alle vie di fatto e al colmo della collera picchia la moglie:

“Par icelui dieu qui ne ment Si vous jamais parlez a li, vous en avrez le vis pali,

voire certes plus noir que meure car de cops, se dieus me sequeure,

ainz que ne vous ost cest musage vous donrai tant par cel visage qui tan test as musarz plaisanz”

R.R., 8.808-15

Da notare come egli proclami di compiere la violenza fisica sulla moglie “par icelui dieu que ne ment” e come il viso “pallido” per la paura della donna sembri un’irrisione scoperta della bellezza angelicata e diafana delle donne dei poeti cortesi. In realtà il riferimento al “vis pali”, unito al gesto di afferrare violentemente i capelli della donna (vv. 8367-68), costituisce un accenno all’iconografia della Medusa (viso immobile

come la pietra, ad essa rimanda il pallore, e chioma anguicrinita che come una rete “cattura” lo sguardo maschile trascinandolo in una sorta di gorgo-trappola). L’esplosione di violenza del marito geloso è dunque una reazione al timore ancestrale per lo sguardo femminile e il suo potenziale mortifero. Simili elementi iconologici, lo si vedrà, si ritrovano nella Griselda boccacciana (ad esempio il “viso che non muta”, che esprime la rassegnazione della sposa umiliata, ma genera anche un oscuro timore nel suo sposo Gualtieri).

Il personaggio del Gilos è interessante per più riguardi. La portata ideologica del suo discorso, che occupa una posizione centrale nella Rose, va ben al di là della semplice traduzione comica dell’allegoria di Jealousie. Ed infatti proprio questa tirata misogina che si estende a contestare l’istituzione stessa del matrimonio, è stata l’oggetto del dibattito più acceso tra i lettori della Rose, come documentano sia gli studi del Badel intorno alla ricezione dell’opera nel Tre-Quattrocento, sia la nota querelle scatenata nei primi anni del XV secolo da Christine de Pizan. È un personaggio piuttosto complesso, anche se forse manca di coerenza, quasi fosse un contenitore in carne ed ossa del variegato pregiudizio maschile. Che vi sia una volontà di realismo nella sua rappresentazione emerge chiaramente. Il suo discorso, benché non trascuri, come abbiamo detto, i riferimenti eruditi, è ricco di esclamazioni e di accuse lanciate come fendenti alla consorte. Addirittura il gilos, che viene spontaneo immaginare dotato di una voce bassa e capace di toni grevi, si prova nell’imitare, crediamo in falsetto, la voce della moglie, quando ella cerca vanamente di giustificare le spese e la “conterie” che dimostra nel recarsi ai balli quando il marito è assente:

E quant aucuns vous aparole (...) Vous responnez: “Hari! Hari! c’est pour l’amour de mon mari!” pour moi, las! Dolerous chetis! Qui set se je forge ou je tis Ou se je sui ou morz ou vis? L’en me devroit flattir ou vis Une vessie de mouton! Certes je ne vaill un bouton Quant autrement ne vous chasti

RR, 8480-95

E proprio un “chastiment” della moglie infedele sembra questa tirata, quasi una risposta diretta agli argomenti trattati nelle novas come il Castìa-gilos e il Roman de Flamenca di R. De Miraval già citati. La minaccia di violenza fisica poi si realizza nella parte finale del discorso del gilos:

Lors la prent, espoir, de venue, cil qui de mal talant tressue, par le treches et sache et tire, ront li les cheveuls et descire li jalous, et seur li s’aourse, et par tout l’ostel la traynne, par corrouz et par ataynne, et la laidange malement. RR, 8365-73

Ma quali sono i modelli sociologici, e in definitiva i tipi umani, su cui l’autore modella il proprio, parafrasando Goldoni, “burbero malefico”? Verrebbe da rispondere il tipo del mercante, che tratta il ménage matrimoniale con la stessa pratica rudezza con cui gestisce i propri affari. E la risposta non è suggerita solo per la suggestione delle commedie goldoniane: è il gilos stesso a presentarsi come un mercante.

E quant vois a Romme ou en Fris Porter nostre marcheandise RR, 8379-80

Non si deve però dimenticare che anche qualora si sia convinti nel voler dare una interpretazione della Rose come parodia e risemantizzazione della topica cortese, condotta secondo i modelli di una borghesia mercantile179, il suo punto di partenza resta sempre la cortesia feudale. Non siamo così convinti che il gilos che qui occupa la scena, all’interno del discorso di Ami, sia l’espressione del maschilismo del nuovo ceto borghese mercantile e non invece una rappresentazione coerente con la retorica del

179 Tesi rispetto alla quale siamo prudenti, visto che di una borghesia intellettuale e d’elite era l’ambiente

potere e del possesso della poesia alto-cortese (quindi una polarità già tutta interna alla cortesia, fin dalle sue origini capace di auto-parodia):

d’autre part, nel pui plus celer, entre vous et cel bacheler Robichonet au vert chapel Qui si tost vient a vostre apel, avez vous terres a partir?

R.R., 8531-35

Nella morale del gilos è il possesso e il dominio il vero cemento dell’unione coniugale. Egli rivendica il possesso sulla donna come conseguenza dei suoi possedimenti terrieri e del suo potere sugli altri uomini. Certo il modo di rivendicarlo è diverso dalla complicità con cui Guglielmo d’Aquitania ricordava alla sua donna che “nos n'avem la

pessa e·l coutel”.180 Si noti poi nei versi successivi l’irrisione del “servizio d’amore” per

la donna amata181, che nell’ottica del gilos viene rovesciato in un dovere di servitù da parte della donna:

Ne jamais hors sanz moi irez, mais a l’hostel me servirez

R.R., 8551-52

Ne vous pris je pour movi servir? Cuidiez vous m’amour desservir

R.R., 8557-58

Notevole è anche il paragone del matrimonio con la condizione infernale.

Si ne me puis en vous fier Mauffez me firent marier

R.R., 8563-64

180 Guglielmo IX d’Aquitania, “Ab la dolchor” v 1-4 in PASERO, 1973

Si era già visto come Ami avesse fatto ricorso al paragone infernale nella rappresentazione degli ostacoli, sia sociali che propri della donna, al naturale istinto preocreativo dell’uomo (il corteggio di Malabocca, Bel Acueil, Honte, Jalousie che avevamo paragonato al corteggio demoniaco di Malebranche). Qui si registra dunque uno spostamento della situazione dalle difficoltà di un innamorato, coinvolto in un amore adulterino secondo i dettami cortesi, al matrimonio come luogo di insidie e di falsità. A proposito poi dell’evocazione delle pene infernali come parodia delle pene d’amore degli amanti cortesi, avevamo richiamato più su la poesia del gatto rosso di Guglielmo d’Aquitania. Quasi a conferma di questa ipotesi, verso la fine del discorso del Gilos, essa compare in modo abbastanza evidente. In questa parte conclusiva il gilos, dopo essersi abbandonato al proprio violento sfogo, verbale e fisico, sembra fare ammenda (o è solo una ulteriore volontà di irrisione?) ed elenca il comportamento del “perfetto marito”, necessario per non perdere il possesso della donna amata. Il perfetto marito deve fingere di non vedere i tradimenti, non rimproverare la donna e accettare di farsi rimproverare e in nessun caso non deve picchiare la moglie:

Car cil qui veult sa fame batre pour soi mieus en s’amour enbatre, quant la vault après apaisier, c’est cil qui, pour aprivisier, bat son chat et puis le rapele, pour le lier en sa cordele.

R.R., 9737-44

riteniamo di questi versi in particolare l’identificazione tra la donna e il gatto (creatura che evocava nel medioevo immagini infernali oppure comiche, vedi “il detto del gatto lupesco”). Ma è nei versi successivi che il richiamo a Guglielmo d’aquitania è

particolarmente evidente:

Se batre ou laidangier se voit, neis se cele le devoit

ne se devroit il revanchier, ainz l’en doit mercier et dire qu’il vorroit bien en tel martire vivre, pour qu’il seust

que ses servises li pleust.

R.R.,9749-56

Il gatto, le unghie sulla schiena, l’obbligo del silenzio, l’irriverente paragone col martirio: sono gli stessi ingredienti del grottesco di “Farai un vers, pos mi sonelh” (vedi

infra pag. 93). Che il tono sia divertito e ironico lo rivela la conclusione dell’immagine

paradossale del perfetto marito: a questi obblighi si deve tenere il marito povero, che proprio per la propria povertà avrà maggiori difficoltà a tenere per sè la donna; il ricco può ben irridere tutte queste moine e maltrattare, se vuole, la propria sposa.