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Le “architetture urbane” di Asmara

Progetti colore per la valorizzazione dei centri storici: il caso studio di Castiglione Olona (VA)

1. Le “architetture urbane” di Asmara

Il colore dei fronti, unitamente all’intonaco e al suo supporto, viene oggi considerato documento/monumento testimonianza per l’intrinseco valore materiale, ma anche immateriale, che riconduce ad una “cultura del fare”, affinata nel tempo, irripetibile e non riproducibile.

Il valore del colore delle architetture della città di Asmara trova riscontro nella storia architettonica ed urbanistica dei suoi tessuti edilizi, si fonda su un’approfondita analisi storica delle fonti dirette e indirette e necessariamente su rilievi alla scala del progetto, si basa sulla conoscenza delle tecniche costruttive, dei materiali utilizzati e delle valenze cromatico-decorative dei fronti, valutandone anche le situazioni di degrado esistenti.

Questo percorso teorico/operativo vedrà mutare l’atteggiamento verso le superfici dell’architettura da meri strati di sacrificio - disinvoltamente sostituiti perché ritenuti semplici protezioni del supporto sottostante - a materia signata degna di essere conservata in quanto testimonianza dei segni che l’uomo e il tempo vi hanno impresso.

Un comportamento di tipo conservativo è ormai consolidato, e accettato, per gli intonaci degli edifici storici; tuttavia non sempre lo è per quanto riguarda le finiture delle architetture del Moderno. Quali le ragioni? Da un lato, purtroppo, è ineludibile il fatto che il “Moderno” invecchia male [1], dall’altro, i suoi materiali, così prossimi a noi, sono stati creduti erroneamente eguagliabili agli attuali. La non corretta assimilazione dei materiali “moderni” ai contemporanei li rende automaticamente sconosciuti, proprio perché ritenuti noti. Il paradosso? Si sono acquisite le capacità tecniche per conservare gli intonaci tradizionali, “antichi”, ma non per conservare e “manutenere” i rivestimenti “moderni” spesso ripristinati e/o sostituiti.

Da qui, la conservazione e la valorizzazione del colore delle architetture urbane di Asmara, non potrà prescindere da un Piano degli interventi che dovrà porre grande attenzione alle trasformazioni e alle alterazioni cromatiche degli edifici del “Moderno”.

Edifici che meritano di essere conservati e tutelati perché da un lato documentano la storia della città, lo sviluppo economico e sociale dell’Eritrea, dall’altro attestano, grazie alle pagine del suoi straordinari “libri di pietra”, il loro fondante valore e ruolo nella storia dell’architettura e dell’urbanistica moderna internazionale.

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Le architetture del “Moderno” di Asmara rappresentano, infatti, un importante episodio dell’architettura contemporanea. Sono state realizzate grazie all’opera dei migliori architetti del tempo e sono da considerarsi quali interventi di notevole qualità, sia per l’impianto urbano, che per le soluzioni costruttive adottate.

Il costruito storico di Asmara realizzato tra le due guerre è caratterizzato da una elevata qualità dell’architettura, da una controllata e consapevole sperimentazione costruttiva, da un linguaggio architettonico, tecnologico e materico riconoscibile che connota fortemente il tessuto urbano. Non solo. Gli interventi realizzati non si sono limitati alla sola progettazione delle architetture pubbliche e private, il progetto pianificatorio ha attuato la realizzazione degli spazi pubblici e semipubblici.

Il costruito urbano di Asmara, rispetto a coeve “città di fondazione” dello stesso periodo storico e a fronte delle parziali trasformazioni avvenute dagli anni Trenta ad oggi, risulta ancora di una certa gradevolezza proprio per il permanere dei suoi viali alberati, del verde pubblico, dei percorsi pedonali, dei servizi collettivi, delle architetture di qualità e della sua vivibilità.

Proprio un’attenta lettura delle “architetture urbane” - realizzate negli anni Trenta del Novecento ad Asmara, quando diviene una “vetrina” del colonialismo italiano, una sorta di laboratorio sperimentale dell'architettura moderna - può chiarire il ruolo assegnato al “colore” nell’intenzione urbana dell’architettura dagli architetti del Moderno. Tale intenzionalità non la si vedrà solo negli edifici monumentali pubblici, ma anche nei cinema razionalisti, nelle stazioni di servizio futuriste, nei magazzini, nelle fabbriche, negli edifici religiosi, nonché nelle residenze, nelle ville, negli alberghi e nelle architetture di arredo degli spazi aperti.

97 2. La costruzione di Asmara nel dibattito architettonico nazionale tra le due guerre

Nel variegato panorama delle colonie italiane, la colonia eritrea e in particolare la sua capitale Asmara hanno vissuto, nel breve arco temporale di quattro decenni, alcune condizioni peculiari che hanno sortito effetti estremamente interessanti dal punto di vista architettonico e urbanistico.

Occorre innanzitutto precisare che l’atteggiamento coloniale italiano già ai sui inizi si distingueva dalle impostazioni adottate da altri stati nazionali, in particolare da Francia e Inghilterra: mentre queste avevano esportato un vero e proprio “stile di stato”, le colonie africane sotto il governo italiano avevano visto nei primi anni un prevalere dello stile moresco talvolta applicato in modo schematico, ma alternato, a seconda delle finalità, ad altri “stili” di ispirazione talvolta cinese e indiana, e perfino alpina, sulla base di dinamiche progettuali non dissimili da quelle che venivano adottate nella madrepatria.

È significativo ricordare inoltre che l’Eritrea era tra le colonie italiane, insieme a Somalia ed Etiopia, che non si affacciavano sul Mediterraneo, affaccio che garantiva invece agli altri possedimenti italiani un naturale senso di familiarità e di comunanza culturale tale da legittimare l’idea condivisa di un’unica grande nazione italiana diffusa intorno al cosiddetto mare nostrum, rafforzata dal fatto che la “mediterraneità” era diventata un vero e proprio tema del dibattito architettonico del Movimento Moderno tra le due guerre. Sebbene distante dalla madrepatria, periferica rispetto al Mediterraneo e articolata su un territorio completamente “altro”, in Eritrea viene portata senza indugi la cultura progettuale, urbanistica e gestionale italiana: già il Regio decreto del 1901 rese obbligatoria per l’edificato inizialmente informe di Asmara – e per tutti i centri abitati coloniali - l’adozione di un piano regolatore, e dei regolamenti edilizi e di igiene secondo la prassi nazionale: nei primi anni del ventesimo secolo viene impostato ad Asmara l’impianto tipico delle città di fondazione, basato su una griglia con centro nel mercato, sulla quale si distribuisce un edificato linguisticamente riferito al classicismo europeo e all’eclettismo. Oltre alla presenza di alcuni amministratori e funzionari di ottimo livello tecnico e culturale, in Eritrea operano fin da subito validi architetti e urbanisti italiani pienamente attivi nel dibattito della madrepatria, ciascuno con i propri riferimenti culturali e progettuali, dall’eclettismo allo stile novecento e al modernismo.

Questa colonia molto lontana non è affatto periferica, anche se la svolta che la porta al centro dell’interesse nazionale avviene nel 1936 con la proclamazione dell’Impero da parte di Mussolini a seguito dell’ingresso ad Addis Abeba: la posizione strategica dell’Eritrea nel neonato Impero dona un grande slancio alla città di Asmara che diventa oggetto di interessamento economico e culturale, tanto da essere presente in modo continuativo sulla stampa e nei cinegiornali nazionali: nasce così la volontà e l’esigenza di costruire una nuova Asmara che abbia le forme di una capitale moderna, e la città diventa campo di progetti anche audaci che devono testimoniare il meglio dell’italianità e della “opera civilizzatrice”

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dell’impero, in linea con la retorica fascista, usando la pianificazione urbana e le forme di un’architettura moderna come principio ordinatore e materializzazione di una avanzata forma di governo.

È questa la fase dello sviluppo di Asmara che vede in pochi anni, tra il 1936 e il 1940, la costruzione di alcuni tra gli edifici più interessanti non più dell’eclettismo, bensì del razionalismo italiano. In questi anni l’ingente arrivo di italiani che si insediano ad Asmara porta ad una accelerazione dell’attività edilizia, tale da concentrare l’attenzione di funzionari e amministratori sulla gestione degli aspetti finanziari e lasciare quindi il campo libero ad alcuni tra i migliori giovani architetti attivi in Italia e inseriti nel dibattito del Movimento Moderno e del razionalismo italiano. A sottolineare il fermento e la centralità della colonia in questo dibattito, Lulghennet Teklè scrive: “mentre in Italia ci si interroga su come dovesse essere rappresentata un’architettura fascista e moderna e il dibattito rimbalza dalle pagine delle riviste alle mostre d’arte e di architettura, ad Asmara si costruisce” , a ancora “il razionalismo, che non riesce ad imporsi in Italia come architettura di Stato, trova nelle colonie la possibilità di esprimersi più liberamente”[2], anche proprio grazie all’attenzione più economica che stilistico-formale del Ministero dell’Africa Italiana in merito alle opere pubbliche da realizzarsi in colonia.

È soprattutto attraverso l’opera degli architetti razionalisti che avviene una svolta interessante nella progettazione delle città e delle architetture coloniali. L’interesse all’architettura dei “non architetti”, cioè all’edilizia spontanea, in particolare quella del Mediterraneo, era alla base di un nuovo modo di guardare alla tradizione, non più da intendersi come corpus formale ma come forza vitale che a partire da un luogo e dalle necessità dell’abitare aveva generato e affinato nei secoli le forme architettoniche più adeguate, adottando le tecniche e i materiali più consoni. Molti architetti europei considerati oggi i Maestri del Movimento Moderno, da Le Corbusier a Mies Van Der Rohe, colsero in queste costruzioni la realizzazione naturale dei cardini della nuova architettura: la funzionalità, l’assenza della decorazione, l’economia, l’uso razionale dei materiali e la risposta all’elemento climatico.

Per gli esponenti del Razionalismo questi edifici, oltre a riflettere i principi del Movimento Moderno, erano anche la dimostrazione di una koinè architettonica diffusa nel Mediterraneo. Questo spostamento dell’attenzione degli architetti sull’edilizia spontanea, e la maturata capacità di leggere le logiche costruttive di questi edifici nella loro rispondenza ad un genius loci, sono fondamentali nel comprendere l’atteggiamento progettuale adottato nelle colonie del Corno d’Africa e nello specifico nella città di Asmara: il progetto viene formulato anche alla luce delle condizioni dei luoghi con un’idea di modernità che possa tuttavia rappresentare anche il carattere nazionale, e al contempo - a causa dei costi di trasporto dei materiali - la conoscenza delle culture costruttive locali si rende necessaria per ottimizzare e integrare i metodi moderni.

Tutto questo non preclude affatto una ricerca estetica, ma “le nuove forme dell’architettura dovranno ricevere il valore estetico dal solo carattere di necessità, e solo in seguito, per via di selezione, nascerà lo stile. Poiché, noi non

99 pretendiamo affatto creare uno stile (simili tentativi di creazione dal nulla, portano a risultati come il «liberty»); ma dall’uso costante della razionalità, dalla perfetta rispondenza della struttura dell’edificio agli scopi che si propone, risulterà per selezione lo stile. Occorre riuscire a questo: nobilitare con l’indefinibile e astratta perfezione del puro ritmo, la semplice costruttività, che da sola non sarebbe bellezza”[3].

Nell’edilizia spontanea sono visibili gli stessi caratteri estetici promossi dai razionalisti, primo tra i quali è il «senso generale del volume», con l’uso di solidi geometrici elementari e la composizione per masse in proporzione tra loro e il trattamento delle superfici perché questi volumi rispondano adeguatamente alla luce. Non a caso il colore bianco, che in patria valorizzava la purezza dei volumi, di rado viene adottato ad Asmara, dove la luce è troppo intensa e i venti che ciclicamente colpiscono le superfici con le terre polverose portate da fuori città ne avrebbero intaccato il candore.

Nel piano che vede il rinnovamento della città di Asmara dopo il 1936, l’asse portante della città diventa viale Mussolini (oggi Harnet Avenue): è qui che si svolge al meglio quella composizione per volumi, per superfici in ombra e nella luce, con trattamenti cromatici diversi. Mentre i quartieri esterni sono residenziali e sono costituiti da ville e villini, in viale Mussolini hanno sede gli edifici istituzionali e il viale stesso deve assumere un carattere rappresentativo e in qualche modo monumentale: per accentuare questo carattere e per permettere l’uso dei piani terra per uffici e negozi, l’edificato qui è costituito da palazzi con affaccio diretto su strada, i cui volumi, di diverse altezze e articolazioni, compongono un fronte su strada vario e al tempo stesso armonioso, mettendo in mostra il meglio della modernità della madrepatria.

La città di Asmara ha visto negli anni Trenta una doppia declinazione del concetto di modernità: da un lato intesa come razionalità costruttiva e adeguatezza, attenta quindi all’architettura spontanea per trarne quegli elementi di necessità che stanno alla base di una perfetta corrispondenza tra luogo e manufatto, dall’altro come avanguardia e sperimentazione, portando in questo luogo geograficamente remoto le punte più avanzate del dibattito nazionale, alla ricerca di un carattere che manifesti la grandezza civile dell’Italia, non attraverso ornamenti e decorazioni ma attraverso la proporzione dei volumi e dei colori e il loro gioco nella luce [4].

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Fig. 3 – Edifici su Harnet Avenue (ex viale Mussolini)

3. Quali le problematiche della conservazione e tutela del colore e