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Texture del colore apparente e texture del colore diffuso

Mappe del colore e rimozione delle ombre: applicazioni di una tecnica

3. Texture del colore apparente e texture del colore diffuso

Le superfici che sono state prese in esame nello studio sono approssimabili a lambertiane; una superficie che obbedisce alla legge di Lambert appare equamente luminosa da tutte le direzioni di visualizzazione e riflette tutta la luce incidente. In una superficie di questo genere la luce riflessa dall’emisfero direzionale di

riflettanza è indipendente dalla direzione (albedo), e pertanto quando viene sottoposta ad una campagna fotografica (ad esempio finalizzata all’ottenimento di un modello SfM) il colore di ciascun punto documentato dall’insieme di fotogrammi non varia. Chiaramente è indispensabile ottemperare a semplici impostazioni della fotocamera: in primo luogo è necessario evitare la modalità automatica ed impostare su quella manuale, senza variare le impostazioni del primo scatto “campione”; questo dovrà essere sottoposto a bilanciamento del bianco garantendo l’eliminazione delle dominanti ambientali í ad esempio includendo nello scatto una tavolozza X- Rite ColorChecker Classic con 24 patch colorate í per poi applicare i parametri di bilanciamento a tutto il set di immagini [3].

Tale procedura per l’ottenimento dei modelli digitali e relative texture è mutuata da quella sviluppata nell’ambito del progetto per la documentazione 3D dei Portici di Bologna [4], ed è stata sviluppata con il fine di pervenire a modelli 3D foto-realistici mappati con un’affidabile texture del colore apparente [5]. Entrando maggiormente nel merito della procedura è necessario ricordare come essa preveda la realizzazione di più scatti campione, tanti quante sono le aree caratterizzate dalle medesime condizioni radiometriche. I fotogrammi, salvati in formato .RAW, permettono un’attendibile restituzione del colore senza alterare o perdere informazioni utili sia alla ricostruzione del modello 3D, sia al suo texturing. Tale formato non compresso o alterato, in combinazione con i pannelli di riferimento cromatico e attraverso l’uso di software specifici, permette di relazionare efficacemente lo spazio colore del dispositivo utilizzato con i valori ideali relativi alle coordinate colorimetriche tabulate, zona per zona, dell’oggetto fotografato (esterni, interni, zone intermedie, ecc.).

Per eseguire una restituzione attraverso rendering che sia in grado di preservare esattamente il dato cromatico ottenuto attraverso le tecniche di calibrazione appena descritte, sono necessari due accorgimenti: il primo consiste nell’impostare la gamma di uscita del render su lineare (gamma=1); il secondo riguarda la manipolazione della BRDF del materiale al quale l’immagine è applicata. La texture, infatti, non deve influenzare l’effetto fisico del così detto colore diffuso – cosa che sembrerebbe più intuitiva e appropriata – ma, quasi al contrario, influenzare la luminosità del materiale. Il materiale deve quindi diventare una fonte di emissione di luce, la cui radianza (unità di misura Watt su steradiante su metro quadrato) deve essere pari a 1 W/srm2al fine di preservare le esatte caratteristiche cromatiche della texture (Tabella 1). Impostazioni BRDF (canali essenziali) Valori percentuali (salvo la luminosità) Diffuse amount 0 Specular amount 0 Mirror reflection 0 Luminous amount 1 W/srm2

Tab. 1 – Impostazioni della BRDF per materiali auto-illuminanti in grado di rappresentare il colore apparente incamerato in texture RGB da programmi SfM.

Fig. 1 – Esempi di rendering di modelli ottenuti mediante SfM. A) modello privo di texture con ombre ray tracing e global illumination. B) Colore apparente applicato come mappa di luminosità (gamma lineare). C) e D) diverse condizioni di illuminazione nelle quali è possibile osservare l’effetto di doppia ombra che tende a scurire eccessivamente le zone di maggior occlusione rispetto ai raggi di luce.

In realtà questo metodo elimina dal binomio modello-texture qualsiasi forma di interazione della luce con il materiale, e conseguentemente non saranno riprodotte ombre nette, riflessioni e altri effetti tipici della global illumination come il colour bleed (riflessione di luce colorata da superfici circostanti). Il vantaggio di questo “stratagemma” metodologico è ottenere una fedele restituzione del colore apparente, come è stato catturato dalla campagna fotografica, anche se nelle aree che presentano una maggiore occlusione rispetto alla luce diretta e ambientale si verifica una consistente differenza cromatica: in sostanza l’impiego di set di foto con una specifica correzione radiometrica – descritta dalla metodologia illustrata in [4] – non mette al riparo dal fatto che aree puntuali, a volte anche abbastanza estese, risultino marcatamente più scure. Tali zone, sebbene secondarie rispetto all’ammontare complessivo delle aree corrette radiometricamente, sono responsabili di un fenomeno chiamato double shadow (“doppia ombra”) che si presenta quando si conferiscono al modello valori della BRDF che simulano una superficie lambertiana con l’aggiunto di una texture del colore apparente da SfM. Il motivo di questa doppia ombra è molto semplice: la texture del colore apparente incamera già la totalità dei fenomeni di illuminazione che un motore di rendering dovrebbe simulare e cioè l’ombreggiatura (shading), il ray tracing, l’illuminazione indiretta (global illumination), ecc..

Fig. 2 – A) Effetto di doppia ombra su fregio figurato da Villa Adriana (modellazione e rendering di M. Bercigli). B) Colore apparente applicato al modello del Tempio di Venere: per non accentuare la naturale oscurità delle zone già in ombra si ricorre all’espediente di eliminare il ray tracing e di attenuare la luminosità dell’environment (modellazione e rendering: G. Abbiati, F. Benazzo, B.Borsetti, G. Canzini, L. Gugliotta, G.Pecorelli, A. Pizzoli).

Una soluzione che viene comunemente adottata per evitare di rendere il fenomeno del double shadow troppo evidente è quella di disabilitare le ombre nette che si ottengono tramite l’algoritmo di ray tracing e di mantenere una condizione di illuminazione ambientale simile a quella che si presentava al momento della campagna fotografica. Il risultato è quello di attenuare la presenza di ombre troppo marcate; ciò nonostante si preclude al modello la possibilità di un impiego generalizzato, cioè in presenza di condizioni di illuminazione eterogenee.