• Non ci sono risultati.

Gli argomenti a favore della tesi della natura circostanziale All’indomani della pubblicazione della legge di riforma dei delitti de

2. La “gerarchizzazione” dei criteri solutori: gli indici di stam-

2.5. Gli argomenti a favore della tesi della natura circostanziale All’indomani della pubblicazione della legge di riforma dei delitti de

pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione del 1990, proprio avvalendosi dello strumento dell’interpretazione sistematica, si levò qualche sparuta voce dottrinale109, che, in controtendenza rispetto al-

l’opinione (allora come oggi) dominante, rilevava come, nel contesto nel quale la norma andava ad inserirsi, fossero disseminati indizi uni- voci dell’immutata natura di circostanza aggravante della corruzione in atti giudiziari, pena altrimenti l’emersione di illogicità e di incon- gruenze difficilmente emendabili.

Si segnalava, in particolare, come, postulando la natura autonoma della fattispecie, essa non avrebbe potuto trovare applicazione nei ri- guardi del privato corruttore, non essendo stata espressamente richia- mata dall’art. 321 c.p., con la conseguenza di escludere la responsabi- lità di quest’ultimo o, più verosimilmente, di riservargli irragionevol- mente il trattamento sanzionatorio “di favore” previsto dalle norme sulla corruzione ordinaria.

Sebbene non fosse mancato chi, nel tentativo di ovviare a questa “palese assurdità”, avesse suggerito di considerare il rinvio contenuto nell’art. 319 ter c.p. ai fatti di cui agli artt. 318 e 319 c.p. come riferibi- le all’insieme normativo delle corruzioni nel loro complesso, ivi com-

108 Di questa idea anche e soprattutto G.DEVERO,Circostanze del reato e com- misurazione della pena, cit., p. 157 ss.

109 Ci si riferisce a T. P

ADOVANI,Commento alla riforma dei delitti dei pubblici

ufficiali contro la pubblica amministrazione, in Corr. giur., 1990, p. 543; F. ANTO- LISEI,Manuale di diritto penale, Parte speciale, II, Milano, 2008, p. 358; L. MAZZA, Delitti contro la pubblica amministrazione: prospettive di ulteriore riforma, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1992, p. 702, che opta comunque per la natura circostanziale in ragione della “struttura della norma” e per “l’uso della dizione condizionale (“se i fatti indicati”).

preso implicitamente anche l’art. 321 c.p.110, nondimeno la lettera del-

la norma appariva insuperabile se non attraverso un’inammissibile ope- razione analogica in malam partem111, originando un’aporia nel si-

stema che avrebbe imposto quale unico rimedio quello di abbandona- re l’idea che si trattasse di una fattispecie autonoma, “accontentando- si” della qualificazione di circostanza aggravante ad efficacia speciale. Colmata la lacuna in via legislativa attraverso l’integrazione del di- sposto dell’art. 321 c.p. con l’espressa menzione dell’art. 319 ter c.p.112

oggi l’attenzione deve inevitabilmente concentrarsi su altre tre dispo- sizioni, nelle quali non compare alcun riferimento alla fattispecie in esame.

Si tratta degli artt. 323 bis, comma 1, c.p. (dopo l’introduzione del

110 F.C.P

ALAZZO,La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: un primo sguardo d’in- sieme, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, p. 826; C.F. GROSSO,Commento all’art. 9, in L.p., 1990, p. 297; A. SEGRETO-G.DELUCA,I delitti dei pubblici ufficiali, cit., p. 424.

111 Così si è espressa anche la Suprema Corte (Sez. VI, 16 novembre 2001, Acampora, cit.), chiamata a decidere sui ricorsi presentati dagli imputati Berlu- sconi, Acampora, Metta, Pacifico e Previti nonché dal Procuratore generale avver- so la sentenza della Corte di Appello di Milano (12 maggio 2001), giudice dell’im- pugnazione delle sentenze di non luogo a procedere emesse dal G.I.P. di Milano sulla vicenda oramai nota come “Lodo Mondadori”, che confermava il non doversi a procedere nei confronti del solo Berlusconi (disponendo al contrario il rinvio a giudizio innanzi al Tribunale di Milano per gli altri imputati), a seguito della de- rubricazione del reato a lui ascritto ex artt. 81, 110, 319 e 321 c.p., che doveva ri- tenersi prescritto per la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Nel rigettare il ricorso del Procuratore generale, che si doleva della mancata applica- zione, al corruttore, delle pene previste dall’art. 319 ter c.p., la Suprema Corte os- serva come, nella finestra temporale intercorsa tra il 1990 e il 1992, durante la quale i fatti si erano verificati, la pena per il corruttore di un magistrato non po- tesse essere altra se non quella prevista agli artt. 318 e 319 c.p., stante l’impossi- bilità di estendere l’art. 319 ter c.p. al fatto di corruzione attiva in atti giudiziari per l’ostacolo rappresentato dal principio di legalità, che non tollera – si legge in un passaggio della motivazione – “arditi percorsi ermeneutici in malam partem, che privilegino il presunto ‘senso’ della norma rispetto alla sua lettera”.

Osserva A. MANNA,Il privato, gli intermediari ed il giudice, cit., c. 540, annotando

la sentenza della Corte di Appello di Milano, che la soluzione prospettata, per quanto più incline ad un’interpretazione esclusivamente letterale e forse anche più “garanti- sta”, pare contraddire l’opinione dominante in dottrina e giurisprudenza circa la struttura della corruzione quale reato unico a concorso necessario, per aderire alla diversa impostazione, minoritaria anche se autorevolmente sostenuta, in base alla quale la corruzione attiva e la corruzione passiva costituirebbero reati autonomi.

112 Per effetto dell’art. 2, L. 7 febbraio 1992, n. 181, da tutti definito come prov- vedimento “riparatore” o di “chirurgia estetica normativa”, in quanto espressa- mente deputato a porre rimedio alle macroscopiche sviste da cui era affetta la L. n. 86/1990.

comma 2 per effetto della L. n. 69/2015)113 e 322 c.p., che prevedono,

rispettivamente, una circostanza attenuante speciale qualora i fatti là richiamati siano di “particolare tenuità” e l’istigazione alla corruzione attiva e passiva, per l’esercizio della funzione o propria; nonché dell’art. 32 quater c.p., che sanziona con la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione chi sia stato condannato per uno dei delitti lì tassativamente elencati, tra cui per l’appunto non figura la corruzione in atti giudiziari.

1) Si è detto che l’esclusione della corruzione in atti giudiziari dal novero dei reati ai quali può applicarsi l’attenuante speciale ad effica- cia comune trovi una possibile spiegazione soltanto riconoscendole natura di circostanza aggravante, stante, da un lato, il carattere tassa- tivo dell’indicazione legale e dunque la necessità, qualora fosse stata realmente una fattispecie autonoma, di un suo puntuale inserimento; e, dall’altro ed al contrario, la coerenza del silenzio in presenza di ele- menti accidentali dei reati-base, quando questi ultimi, come in questo caso, siano espressamente ricompresi (artt. 318 e 319 c.p.).

Tale conclusione, che trascura nella sua perentorietà talune “sfu- mature” non prive di rilievo, non ci pare possa essere accolta.

Costruita, sulla falsa riga dell’attenuante della ricettazione, attorno ad un fatto di gravità contenuta nella sua globalità, dovendosi infatti avere riguardo ad ogni profilo afferente alle modalità della condotta, all’evento cagionato ed all’elemento soggettivo114, siccome rappresen-

ta un chiaro esempio di normazione sciatta ed imperscrutabile nelle ragioni di fondo che la muovono, non può, a nostro avviso, fungere da direttrice-guida, da cui far discendere conseguenze così rilevanti sotto il profilo dogmatico-applicativo115.

Ci si potrebbe infatti interrogare sulla ragione per cui non vi si in-

113 Su cui v. infra, cap. IV, § 2.

114 Sul punto la giurisprudenza è assolutamente pacifica. Tra le molte cfr. Sez. VI, 24 settembre 2013, n. 43991, in Guida dir., 2013, n. 46, p. 66; Sez. VI, 29 set- tembre 2004, n. 1898, in Cass. pen., 2006, p. 2491; Sez. VI, 8 maggio 2003, n. 26998, ivi, 2004, p. 3639; Sez. VI, 3 ottobre 1997, Pasa, ivi, 1998, p. 2940; Sez. VI, 26 mar- zo 1997, Pin, in C.E.D. Cass., n. 208907.

115 Il fatto che, come accennato, tale norma sia stata interpolata, dapprima, dalla L. n. 190/2012, che ha arricchito il catalogo dei reati nei confronti dei quali l’attenuante potrebbe trovare applicazione inserendo il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319 quater c.p. e, poi, dalla L. n. 69/2015, che vi ha aggiunto il comma 2, conferma la miopia del legislatore che, pur rimaneg- giando a più riprese il testo della norma, non ha posto rimedio alle manifeste in- congruenze da cui continua ad essere afflitta, non facendo menzione, come rileve- remo nel testo, del 319 ter c.p. ma neanche degli artt. 321 e 328 c.p.

cludano reati come la rivelazione di segreti di ufficio o il rifiuto-omis- sione di atti di ufficio, certo di per sé non incompatibili con una rea- lizzazione in concreto connotata da una particolare tenuità dei rispet- tivi elementi costitutivi complessivamente considerati; oppure chiedersi come si giustifichi, da un punto di vista politico-criminale, la non men- zione dell’art. 321 c.p., quando nel contempo si ritiene che tanto la corruzione per l’esercizio della funzione che la corruzione propria passive nonché l’istigazione alla corruzione proveniente dal privato sia- no, almeno astrattamente, meritevoli di un regime sanzionatorio me- no rigoroso per la “modestia” del fatto inteso nella sua integralità116.

Dinanzi a così significative contraddizioni ed a reiterate manife- stazioni di irrazionalità nelle scelte, anche l’obiezione di chi ritiene che il mancato richiamo all’art. 319 ter c.p. sottenda un giudizio di in- compatibilità tra il disvalore di fondo che contraddistingue la corru- zione in atti giudiziari ed una sua possibile attenuazione117 perde di

consistenza, perché pretende di applicare schemi di logica ricostrutti- va ad un’ipotesi che, al contrario, ha dato prova di esserne priva.

Peraltro, se, come sembra inevitabile, il trattamento sanzionatorio è indice elettivo del disvalore di una fattispecie, si dovrebbe ulterior- mente chiarire il motivo per il quale il peculato – oggi, a seguito della L. n. 69/2015, punito meno severamente della corruzione in atti giudi- ziari, ma sanzionato allo stesso modo dopo la riforma Severino e ad- dirittura in misura più rigorosa nel massimo edittale tra il 1990 ed il 2012 – o la concussione – che allora come oggi, anche a seguito dello “sdoppiamento” dell’originaria fattispecie mista alternativa incentrata sulle condotte di “costrizione” ed “induzione” in due distinte previsio- ni, ha conservato, sia pure assieme alla corruzione in atti giudiziari, il primato di reato più gravemente sanzionato – possano presentarsi in concreto ad “impatto lieve” ed altrettanto non possa darsi per un reato che il legislatore stesso considera di pari o pressoché analoga gravità.

2) Il silenzio serbato dal legislatore nella stesura dell’art. 322 c.p., con particolare riferimento alla configurabilità dell’autonomo reato di istigazione alla corruzione in atti giudiziari, è stato variamente inter- pretato in dottrina ed in giurisprudenza. Ma, prima di prospettare le soluzioni astrattamente ipotizzabili indicando quale tra esse meriti di

116 Sul tema v. M. ROMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 329, che propone di ricorrere ad un’interpretazione analogica in bonam partem, che consenta di integrare la norma con il disposto dell’art. 321, al fine di preser- varla da una altrimenti inevitabile declaratoria di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.

117 In questo senso A. S

essere accolta, sembra necessario precisare la natura della istigazione alla corruzione in generale, verificando se essa coincida o meno con un’ipotesi di tentativo.

Anzitutto, nonostante le persistenti incertezze sulla portata deroga- toria dell’art. 322 rispetto alla figura generale di tentativo, in parte do- vute anche ad un dibattito non ancora sopitosi sulla struttura, unita- ria o plurima, dei delitti di corruzione, si registra un sostanziale ac- cordo circa l’estraneità, a dispetto del nomen iuris contenuto nella ru- brica, della fattispecie in esame rispetto all’istigazione (non accolta) di cui all’art. 115 c.p. quale ipotesi di compartecipazione, morale ed atipi-

ca, nel reato commesso da altri118. Come noto, infatti, l’art. 115 c.p. di-

sciplina una condotta di per sé atipica rispetto a quella oggetto dell’isti- gazione, di talché il suo non accoglimento o la mancata realizzazione del reato “sollecitato” dall’istigatore determinano l’impunità di que- st’ultimo, mero concorrente eventuale rispetto all’istigato.

Di tutt’altro tenore la previsione dell’art. 322 c.p., che sanziona con- dotte identiche a quelle tipiche della corruzione, divergendo soltanto nel risultato, perché, mentre nella corruzione è necessario che l’offer- ta o la promessa del privato siano accettate dal pubblico ufficiale o, parimenti, la sollecitazione rivolta dal pubblico ufficiale venga recepi- ta dal privato, qui si considera che ciò non accada ma tanto basta af- finché il fatto sia integrato nella sua tipicità.

Tuttavia, una volta che si sia convenuto che la nozione di istiga- zione qui richiamata non coincide con quella su cui si fonda l’art. 115 c.p., la ricostruzione “in positivo” della natura della disposizione in esame risulta fortemente condizionata119 dalla soluzione che si inten-

de riservare alla più ampia problematica relativa alla struttura della corruzione, prospettandosi, come si sa, l’alternativa tra ascriverla tra i

118 Per tutti V. M

ANZINI,Trattato di diritto penale italiano, V, cit., p. 246; R. VEN- DITTI,Corruzione (Delitti di), in Enc. dir., X, Milano, 1962, p. 760; A.PAGLIARO-M. PARODI GIUSINO,Principi di diritto penale, Parte speciale, I, Milano, 2008, p. 260; M. ROMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 258 ss.

119 Se ne fa un accenno fugace, ma non per questo meno significativo, anche in Sez. VI, 24 marzo 2007, n. 12409, cit., p. 1648 (che è la prima pronuncia che si co- nosca in tema di tentativo di corruzione in atti giudiziari, seguita da un obiter dic- tum contenuto in Sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 13048, in Cass. pen., 2014, p. 941 e da Sez. V, 17 dicembre 2013, n. 8426, ivi, 2014, p. 4142), ove si precisa che reato a concorso necessario andrebbe inteso, nel suo significato “minimo”, di necessità che alla corruzione partecipino almeno due soggetti, con ciò chiaramente orien- tandosi, a dispetto dell’indirizzo maggioritario (per tutte Sez. VI, 4 maggio 2006, Battistella, cit., pp. 3598-3599), verso la tesi della reciproca autonomia tra corru- zione attiva e corruzione passiva.

reati plurisoggettivi necessari (propri), come ritengono i più120, ovvero

considerarla la “combinazione” delle singole figure di reato della corru- zione attiva e della corruzione passiva, secondo una dottrina a tutt’oggi minoritaria121, e ciò anche a prescindere dalle “tradizionali” argomen-

tazioni invocate a sostegno dell’una o dell’altra impostazione122.

Infatti, soltanto frammentando la corruzione in due distinte fatti- specie criminose, ritagliate sulle condotte rispettivamente tenute dal pubblico ufficiale, da un lato e dal privato, dall’altro, sembra si possa concludere per una perfetta equiparazione, quanto meno da un punto di vista strutturale, tra istigazione alla corruzione e tentata corruzione

120 Per le considerazioni avanzate a sostegno di questa tesi si rinvia a F.ANTO-

LISEI,Manuale di diritto penale, Parte speciale, II, cit., p. 344; R. VENDITTI,Corruzio- ne, cit., p. 755 ss.; R.DELL’ANDRO,Osservazioni in materia di corruzione, in Arch. pen., 1953, II, p. 188 ss.; F. GRISPIGNI,I delitti contro la pubblica amministrazione,

Roma, 1953, p. 69; A. SEGRETO-G.DELUCA,I delitti dei pubblici ufficiali, cit., p. 287

ss.; C.F. GROSSO,Corruzione, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, p. 155; M. ROMA- NO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 142 ss.; G. FIANDACA-E.MU- SCO,Diritto penale, Parte speciale, I, Bologna, 2012, p. 218 ss.; G. FORNASARI,Delitti di corruzione, in A.BONDI-A. DIMARTINO-G.FORNASARI,Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2008, p. 193.

121 In particolare v. A.P

AGLIARO-M.PARODI GIUSINO,Principi di diritto penale,

Parte speciale, I, cit., p. 156 ss.; A. SPENA,Il “turpe mercato”. Teoria e riforma dei de-

litti di corruzione pubblica, Milano, 2003, pp. 211-215 e 342 ss.; G.BALBI,I delitti di

corruzione, cit., p. 6; S. MANACORDA,La corruzione internazionale del pubblico agen- te. Linee dell’indagine penalistica, Napoli, 1999, pp. 247-252; D.BRUNELLI,Il reato portato a conseguenze ulteriori. Problemi di qualificazione giuridica, Torino, 2000, pp. 23-28.

122 Si è da taluno (cfr. F.A

NTOLISEI,Manuale di diritto penale, Parte speciale, I,

cit., p. 345; G. FIANDACA-E.MUSCO,Diritto penale, Parte speciale, I, cit., p. 219) uti-

lizzato l’art. 322 c.p. come controprova dell’“evidenza” che il fatto del corruttore sia una forma di manifestazione del reato del corrotto o che comunque i fatti dia- no luogo ad un reato unitario a concorso necessario, perché se esso non avesse struttura plurisoggettiva e non si fosse inteso derogare al principio generale conte- nuto nell’art. 115 c.p., non ci sarebbe stato bisogno di introdurre una speciale pre- visione, quale quella dell’istigazione alla corruzione, ben potendo discendere la pu- nibilità del comportamento ivi sanzionato dall’applicazione della disposizione di carattere generale dell’art. 56 c.p. combinata con la singola fattispecie autonoma. Ovvero come esemplificazione del fatto che nell’istigazione alla corruzione il fatto del qualificato ed il fatto dell’extraneus vengono considerati come condotte auto- nome ed a sé stanti proprio perché non si uniscono a quelle della controparte (M. ROMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 142 ss.). A cui si è re-

plicato che l’autonomia dell’art. 322 c.p. nel sistema si spiegherebbe con la volontà del legislatore di assoggettare quella particolare forma di istigazione ad un regime penale diverso e più severo rispetto a quello previsto dall’art. 56 c.p. (così A.PA- GLIARO-M.PARODI GIUSINO,Principi di diritto penale, Parte speciale, II, cit., p. 186).

(attiva o passiva che sia)123, i cui tratti di specialità (c.d. tentativo “ec-

cettuato”) si riducono al fatto che essa sia oggetto di autonoma incri- minazione attraverso una disposizione di parte speciale (ben potendo esserlo parimenti attraverso la clausola generale di incriminazione suppletiva dell’art. 56 c.p.) e che soggiaccia ad una più rigorosa disci- plina in punto di trattamento sanzionatorio.

Diversamente, se si opta per l’unitarietà dei delitti di corruzione qua- li paradigmatici modelli di reato-accordo a struttura bilaterale, l’istiga- zione alla corruzione ed il tentativo di corruzione non coincidono, co- stituendo la prima una speciale ipotesi di tentativo unilaterale, che il legislatore eleva a figura autonoma di reato, la cui connotazione pecu- liare sta nel fatto che si tratta di accordi ricercati soltanto da una par- te senza che vi sia l’adesione dell’altra. In buona sostanza, l’art. 322 c.p., seguendo questa impostazione, non si limita ad assolvere ad una funzione di disciplina del tentativo di corruzione, quanto piuttosto ad una funzione propriamente incriminatrice, assegnando rilievo a con- dotte anche tipiche di reati bilaterali ma ascrivibili ad uno soltanto dei concorrenti necessari e, come tali, non punibili ricorrendo alla norma di parte generale sulla fattispecie tentata124.

Per aversi tentata corruzione, invece, non potrebbe prescindersi da una bilateralità di condotte, ancorché prive di consumazione; il che, applicato al delitto di corruzione, equivale a dire che il pubblico agen- te ed il privato debbono aver instaurato una trattativa, sviluppatasi attraverso una serie di proposte e controproposte, che tuttavia non ha condotto all’esito auspicato di perfezionare l’accordo criminoso.

L’addebitabilità della fase “precontrattuale” ad entrambi i soggetti, resosi ciascuno dei due responsabile di atti idonei e diretti in modo non equivoco alla conclusione del pactum sceleris, segna la distanza tra ten- tata corruzione ed istigazione alla corruzione, facendole coesistere senza indebite sovrapposizioni, sia pure nella difficoltà di un concreto ri- scontro dell’una o dell’altra dal punto di vista probatorio.

In questo contesto, nel quale si contendono il campo i due orienta- menti sopra delineati, si registra l’opinione di chi, pur muovendo dal- l’assunto che la corruzione sia un reato necessariamente plurisoggetti- vo, ritiene che non vi sia spazio per alcuna ipotesi di tentativo che esuli dal disposto dell’art. 322 c.p., soprattutto dopo la riforma del 1990

123 Che dunque sarebbero autonome figure di reato, che giungerebbero a “con- sumazione” nel momento in cui si realizzano gli estremi del tentativo.

124 In questo senso, con estrema chiarezza, M. R

OMANO,I delitti contro la pub-

blica amministrazione, cit., p. 258 ss.; M. DELGAUDIO,Corruzione, cit., p. 165; S. SE- MINARA,I delitti di concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e induzione indebita, in Dir. pen. proc. – Gli Speciali, 2013, p. 23.

che, con l’aggiunta dei commi 3 e 4, avrebbe dato vita ad un sistema, per così dire, autosufficiente, resistente ad eterointegrazioni derivanti da norme di parte generale125.

L’istigazione alla corruzione ricomprenderebbe, pertanto, sia il ten- tativo unilaterale che quello bilaterale, come altresì comprovato dalla irragionevolezza di sanzionare più lievemente, per il tramite dell’art. 56 c.p., quest’ultima ipotesi rispetto alla prima, nonostante sia espressione di maggior disvalore.

Ebbene, una volta precisato che sembra preferibile non abdicare alla impostazione prevalente, che concepisce la corruzione come rea- to unico a concorso necessario in forza dei tenaci argomenti che ne conservano immutata la validità, non è revocabile in dubbio che i rea- ti necessariamente plurisoggettivi propri126 soggiacciano a peculiari

125 C. B

ENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 418 per la

concezione della corruzione quale reato unico a concorso necessario; pp. 447-448, per l’inconfigurabilità del tentativo al di là della specifica previsione dell’art. 322 c.p. In questi esatti termini anche Sez. VI, 5 gennaio 1998, Puppo, in Guida dir., 1998, n. 7, p. 89, che osserva come, anche su un piano più squisitamente letterale, l’art. 322 c.p. si esprime con la generica formula “offerta non accettata”, che dun- que prescinderebbe da ogni riferimento temporale indicativo delle possibili fasi di una trattativa in corso e dalle ragioni a fondamento della mancata conclusione dell’accordo.

126 Per la distinzione tra reati sia naturalisticamente che normativamente pluri- soggettivi (c.d. reati plurisoggettivi propri) e reati naturalisticamente plurisoggetti- vi ma normativamente monosoggettivi (c.d. reati plurisoggettivi impropri), che si