giudiziari operata dal modello c.d differenziato in ossequio ad un’opzione di tipo teleologico-funzionale-sistematica
4. Il modello incentrato sull’atto e sul suo utilizzo in sede giu diziaria
Accanto al modello c.d. differenziato, si è andato consolidando, co- me accennato, un diverso orientamento, senz’altro prevalente in giu-
46 A. VALLINI, Le qualifiche soggettive, cit., p. 764.
risprudenza, che ha finito con il prendere le distanze dal primo, sot- toponendolo ad una critica serrata.
Tale schema concettuale ha messo sotto accusa l’opzione funzionale- sistematica che ispira l’indirizzo che si intende respingere, riaffermando il primato dell’interpretazione letterale su ogni altro criterio ermeneuti- co, il cui impiego sarebbe soltanto sussidiario ed accessorio, come fatto palese anche dall’ordine con cui gli stessi vengono enunciati dall’art. 12 delle preleggi48.
Di conseguenza, poiché l’art. 319 ter c.p. risulta formulato median- te un rinvio tout court agli artt. 318 e 319 c.p. e tali norme contempla- no ipotesi corruttive commesse da “pubblici ufficiali”, non si potrebbe in alcun modo procedere ad una rivisitazione in senso restrittivo della categoria, invocando più o meno concrete istanze a connotazione te- leologica.
Ciò precisato, si afferma, dunque, che soggetti attivi del delitto di cor- ruzione in atti giudiziari possono essere tutti quei pubblici ufficiali che, con la loro condotta, siano in grado di interferire, direttamente o indiret- tamente, sul regolare e corretto svolgimento dell’attività giudiziaria.
Se di solito sarà un magistrato con funzione giudicante o requirente o un suo ausiliario (ad esempio il cancelliere, il perito, ecc.), non vi sa- rebbe tuttavia alcuna preclusione ad annoverare tra i destinatari della norma un qualsiasi pubblico ufficiale, che si trovi a dover compiere un “atto giudiziario” per “favorire o danneggiare una parte” del processo.
È, dunque, il concetto di “atto giudiziario” ed il suo “utilizzo teleo- logicamente orientato” a polarizzare su di sé il disvalore di fattispecie ed a rappresentare il fulcro nodale in grado di ‘fissare’ il perimetro applicativo della norma.
La capacità espansiva della fattispecie, ma ancor prima il suo fon- damento disvaloriale, dipenderebbe, in ultima analisi, dal significato che si attribuisce all’oggetto del pactum sceleris.
Ebbene, in chiara controtendenza rispetto al modello precedente, qui si accoglie una nozione ampia di atto giudiziario, che determina un allargamento della cerchia dei potenziali soggetti attivi, in cui reflui- scono tutti coloro che, prezzolati dalla parte interessata, pongano in essere atti che, in qualche modo, vadano ad incidere sul corretto fun- zionamento della macchina giudiziaria49.
48 Sez. V, 26 ottobre 2011, n. 10443, in C.E.D. Cass., n. 232000; Sez. VI, 25 mag- gio 2009, n. 36323, in Cass. pen., 2010, p. 2608; Sez. I, 26 novembre 2002, n. 2302, in Cass. pen., 2004, p. 1259. S. ViNCIGUERRA, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 226. Cfr. anche supra, nota 42 cap. I, § 2.
49 F.ANTOLISEI,Manuale di diritto penale, Parte speciale, II, cit., p. 358; F.M. FER-
Apparterrebbero, perciò, a tale categoria: a) gli atti che, ancorché for- matisi all’esterno del procedimento giudiziario e quindi non promanan- do da un soggetto intraneo allo stesso, vengano, per così dire, “richie- sti” dal procedimento giudiziario, nel quale confluiscono con il loro si- gnificato. Basti pensare alla dichiarazione di irreperibilità emessa a se- guito delle ricerche espletate dal messo comunale su istanza dell’auto- rità giudiziaria, mossa dall’esigenza di assicurare la correttezza delle notifiche degli atti del processo. In questa ipotesi, è innegabile la sus- sistenza di un legame stretto tra l’atto amministrativo di formazione extra giudiziaria e il procedimento che ne richiede l’acquisizione; b) gli atti che, sempre di formazione extra procedimentale, siano posti in essere dal pubblico ufficiale per finalità del tutto avulse dal procedi- mento giudiziario, nel quale tuttavia possono fare ingresso in un mo- mento successivo, per essere lì utilizzati. È il caso del medico prezzo- lato della ASL, che rilasci certificati falsi di attestazione di prosecu- zione della malattia, che vengano poi utilizzati nel processo civile per incrementare le richieste risarcitorie avanzate per un fatto illecito di natura aquiliana. In questa seconda ipotesi, l’influenza dell’atto ogget- to del mercimonio sul procedimento è del tutto occasionale e dettata dalla volontà della parte di inserirlo al precipuo scopo di alterare la correttezza dell’accertamento.
In definitiva, se è atto giudiziario tutto ciò che è destinato ad esse- re utilizzato nel procedimento, può assumere la qualifica di soggetto attivo del delitto di corruzione in atti giudiziari ogni pubblico ufficiale che quell’atto compia, anche se di per sé scollegato rispetto al conte- sto giudiziario nel quale poi va a confluire e, di conseguenza, anche chi eserciti una funzione soltanto amministrativa50.
Ma un’apertura così indiscriminata ad atti provenienti da chi sia ti- tolare di una funzione (soltanto) amministrativa, amplifica, da un lato, l’incertezza che continua a gravitare attorno alla nozione di pubblico ufficiale, soprattutto (ma non solo) con riferimento alla sua delimita- zione interna con la nozione di incaricato di pubblico servizio. A ben vedere, infatti, la funzione amministrativa, diversamente da quella legi- slativa e giudiziaria, che sono di per se stesse più fortemente caratteriz-
ze svalutative della negoziazione illecita dell’atto d’ufficio e semplificazioni probatorie, in Cass. pen., 2009, p. 424 ss.; A.SEGRETO-G.DELUCA, I delitti dei pubblici ufficiali, cit., p. 423; S.VINCIGUERRA, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 228. Contra, per tutti, M.ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., pp. 219-220; A. SPENA, Il “turpe mercato”, cit., p. 14 ss.
50 Sez. V, 26 ottobre 2011, n. 10443, cit., relativa al direttore di una casa di cura che, dietro retribuzione, aveva attestato l’incompatibilità tra lo stato di salute di un soggetto e la detenzione carceraria.
zate, tende a rifuggire un inquadramento in uno schema ben definito, idoneo a tipizzarla ed a chiarirne i confini applicativi sia all’esterno (nei confronti dei privati) sia all’interno (nei confronti del pubblico servizio). Non risulterà, pertanto, affatto agevole valutare, caso per caso, se quel soggetto sia un pubblico ufficiale esercente funzione amministrativa, un incaricato di pubblico servizio o addirittura un privato.
Dall’altro, fa riemergere le forse mai del tutto sopite concezioni sog- gettivistiche e rievoca le criticità sottese alla discrezionalità ammini- strativa nell’adozione di un determinato atto, con le note difficoltà di comprendere quando questo sia conforme o contrario ai doveri di uf- ficio e, di conseguenza, se vi sia corruzione per l’esercizio della funzio- ne o corruzione propria.
La vendita della “discrezionalità” accordata dalla legge, ossia l’uso distorto della discrezionalità amministrativa – e cioè il procedimento condizionato non già da una prudente ed imparziale comparazione tra gli interessi in gioco, ma dalla percezione di un indebito compenso – rende, altresì, nuovamente arduo il discrimen tra pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio, specie ove vengano in gioco soggetti non apicali, imponendosi all’interprete un’attenta analisi dei compiti af- fidati nelle distinte procedure e quindi della natura dell’attività e degli eventuali poteri effettivamente esercitati. Tale indagine si mostra, infat- ti, ancor più problematica proprio nelle dinamiche sottese all’atto di- screzionale (in senso stretto), nelle quali vengono meno i presidi-gui- da normativamente definiti, che sono propri, invece, sia dell’atto vin- colato che dell’atto discrezionale in senso tecnico. In buona sostanza, proprio l’apertura a dinamiche fluide e scarsamente, se non addirittu- ra affatto, regimentate – che sostanziano in fin dei conti il concetto stesso di merito amministrativo, inteso come valutazione delle regole di opportunità e di convenienza che l’amministrazione ha ritenuto di osservare per la realizzazione dei fini ad essa affidati, peraltro imper- scrutabili anche al giudice penale – getta un alone di oscurità sull’in- dividuazione della funzione amministrativa in senso stretto o di un potere certificativo e autoritativo in capo al pubblico agente, contri- buendo così ad affievolire i contorni della distinzione tra quest’ultimo e l’incaricato di un pubblico servizio.
Infine, valga qualche notazione conclusiva sul fondamento costitu- tivo-sostanziale che anima tale orientamento.
A ben vedere, infatti, tale tesi, che incentra il proprio fuoco disva- loriale/selettivo sulla nozione di “atto giudiziario” o, per meglio dire, sul concetto di “utilizzo giudiziario dell’atto”, assume come obiettivo di tutela la correttezza delle decisioni giudiziarie, non senza, tuttavia, per questo sottrarsi ad una duplice osservazione critica.
specie di cui all’art. 319 ter c.p. nella correttezza delle decisioni giudi- ziarie51 significherebbe polarizzare il disvalore del fatto non tanto sul
pactum sceleris, in sé e per sé considerato, quanto piuttosto sulla mes- sa in opera di attività, processuali o extra processuali, che possano, in qualche modo, influire sulla formazione della volontà del giudice. Sen- nonché, tale ricostruzione non risulta coerente con la stessa formula- zione della fattispecie di corruzione in atti giudiziari, per due ragioni. Anzitutto, perché l’art. 319 ter c.p., rinviando agli artt. 318 e 319 c.p., sembra punire, come avremo modo di precisare meglio nel prosieguo di questo lavoro52, accanto alla corruzione propria, anche la corruzio-
ne per l’esercizio della funzione (dopo la riforma del 2012), al cui in- terno continua ad assegnarsi rilevanza penale alla c.d. corruzione im- propria, il cui disvalore si incentra non tanto sul fine del patto illecito, quanto sul fatto in sé della ricezione o accettazione di somme di dena- ro o altre utilità da parte del pubblico ufficiale. Poi, si dovrebbe rite- nere la corruzione in atti giudiziari propria un reato a dolo specifico di “offesa”, nel senso che l’offesa investirebbe non tanto la condotta ti- pica, cioè il mercimonio della funzione pubblica, ma un elemento inten- zionale, rappresentato dal “fine di favorire o arrecare un danno a una parte”, con i correlati profili di dubbia compatibilità con il principio di offensività53. Senza peraltro considerare che, se il legislatore avesse avu-
to di mira il bene della correttezza, avrebbe probabilmente qualificato il favore o il danno alla parte, ai quali è finalizzato l’accordo corruttivo, in termini di “ingiustizia”54.
Pertanto, appare più coerente con la struttura del delitto di cui al- l’art. 319 ter c.p. e con la sua collocazione sistematica (tra i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione e non tra i reati contro l’amministrazione della giustizia) fare riferimento, più che alla correttezza delle decisioni giudiziarie, all’imparzialità, correttezza e leal- tà che debbono contraddistinguere il “metodo” proprio della funzione giurisdizionale55. In questa prospettiva, “l’atto giudiziario”, oggetto del
mercimonio, non può che assumere, come già evidenziato, una valen- za più ristretta, venendo a coprire non tutte le attività (anche a carat-
51 Così v. F. C
INGARI, Ancora sulla corruzione in atti giudiziari, cit., p. 892. 52 V. quanto diremo infra al cap. III, § 1 ss.
53 Sulla più corretta classificazione della corruzione in atti giudiziari tra i reati a dolo specifico c.d. differenziale e sugli aspetti di possibile tensione con il princi- pio di offensività si rinvia a quanto diremo al cap. III, § 5.
54 Cfr. D. C
ARCANO-AFOLLIERI, Pubblica amministrazione (delitti contro la), cit.,
p. 501.
55 Per tutti S.S
EMINARA, Sub art. 319 ter, in A. CRESPI-G.FORTI-G.ZUCCALÀ,
tere amministrativo o, comunque, extraprocessuali), che abbiano una qualche idoneità ad influire sulla posizione di una parte nell’ambito di un processo, ma soltanto quelle esercitate da soggetti che rivestono un ruolo “istituzionale” nel contesto della funzione giudiziaria e che, per- ciò, assumono la posizione di “garanti” a protezione di quella partico- lare tipologia di beni che solo costoro sono nella condizione di pre- servare.
In secondo luogo ed in forza di quanto appena considerato, l’adozio- ne della soluzione qui criticata sembrerebbe essere il risultato di un’in- terpretazione a carattere non soltanto estensivo, ma piuttosto analogi- co, che si porrebbe dunque in contrasto con il divieto di analogia in malam partem. Andando di questo avviso, infatti, si finirebbe per fuo- riuscire dai confini della norma, che verrebbe applicata non soltanto a fatti che non rientrano nel suo significato linguistico e, dunque, a fatti “diversi” (anche se presentano aspetti di somiglianza), ma altresì a fatti espressivi di un contenuto di disvalore eterogeneo56. Con l’irragionevole
conseguenza di irrogare una sanzione più rigorosa rispetto a quella pre- vista per il delitto di corruzione comune, che risulterebbe però spropor- zionata se riferita a soggetti, per così dire, terzi rispetto alla funzione giudiziaria.