• Non ci sono risultati.

L’impossibilità di far seguire alla condanna per corruzione in

2. La “gerarchizzazione” dei criteri solutori: gli indici di stam-

2.7. L’impossibilità di far seguire alla condanna per corruzione in

atti giudiziari l’applicazione della pena accessoria dell’incapaci- tà di contrattare con la pubblica amministrazione

A quanto sin qui detto, va aggiunta un’ulteriore conseguenza per lo più trascurata, per quanto gravida di significato.

3) La corruzione in atti giudiziari non compare tra i delitti ai quali, in caso di condanna, segua quale pena accessoria l’incapacità del col- pevole di contrattare con la pubblica amministrazione per una durata non inferiore ad un anno e non superiore a tre.

Introdotta dall’art. 120, L. 24 novembre 1981, n. 689 ed a più ripre- se modificata da interventi novellistici che ne hanno mutato la portata applicativa, progressivamente estendendo il novero delle fattispecie di

143 Cfr. sentenze citate supra, nota 22. 144 M. D

riferimento145 e subordinandone l’operatività alla condizione che sia-

no state poste in essere condotte “in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa”146, essa importa il

divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, fatta eccezione per le prestazioni rese dalla Pubblica Amministrazione qua- le ente erogatore di servizi di interesse sociale, come opportunamente puntualizzato dall’art. 32 ter c.p.

Se, dal punto di vista della sua collocazione, è istituto che presenta la particolarità di trovarsi nella parte generale del codice pur essendo riferibile a singoli specifici reati tassativamente indicati, sotto il profi- lo del suo contenuto afflittivo persegue lo scopo di conservare alla pub- blica amministrazione quell’immagine di “moralità”, che potrebbe es- sere compromessa dalla instaurazione di rapporti negoziali con sog- getti che si siano resi autori di reati di spiccata gravità147.

La nuova formulazione del criterio di collegamento, non più gene- ricamente parametrato su delitti realizzati “a causa o in occasione del- l’esercizio dell’attività imprenditoriale”, porta con sé il duplice effetto di escludere, da un lato, che la misura abbia come destinatari soltanto coloro che rivestano la qualifica di imprenditori, ben potendo appli- carsi anche ai pubblici ufficiali che abbiano posto in essere uno dei reati propri lì richiamati148; e di richiedere, dall’altro, un più stringen-

te nesso di attinenza tra l’impresa ed il delitto, di modo che il meccani- smo sanzionatorio risulti inibito in presenza di una relazione di pura occasionalità, che ne accentuerebbe eccessivamente il rigore afflittivo.

145 Più precisamente per effetto dell’art. 21, L. 19 marzo 1990, n. 55 è stata inseri- ta tra i reati presupposto l’associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.); con il D.L. 17 settembre 1993, n. 369, convertito nella L. 15 novembre 1993, n. 461, sono stati aggiunti i delitti di malversazione ai danni dello Stato (art. 316 c.p.), di cor- ruzione propria aggravata (artt. 319 e 319 bis c.p.), di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.) e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (artt. 640, comma 2, n. 1 e 640 bis c.p.); a seguito dell’art. 7, L. 7 marzo 1996, n. 108, è stata estesa al delitto di usura (art. 644 c.p.); ed infine, con l’entrata in vigore del- l’art. 6, comma 1, L. 29 settembre 2000, n. 300, vi rientrano anche i delitti di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (artt. 316 ter e 322 bis c.p.).

146 Sempre in virtù dell’art. 21, L. 19 marzo 1990, n. 55.

147 M.ROMANO,Commentario sistematico del codice penale, sub art. 32 ter, cit., p. 271.

148 Con specifico riferimento alla concussione, nella vigenza della disposizione “originaria”, si era normativamente dedotta la compatibilità tra la qualifica di pubblico ufficiale e quella di imprenditore da parte di S. VINCIGUERRA,Commento all’art. 120 L. 24 novembre 1981, n. 689, in L.p., 1982, pp. 453-454.

Ciò doverosamente precisato, il profilo sul quale pare opportuno in- dugiare è quello relativo al novero dei delitti richiamati, contrassegnato da fattispecie per lo più accomunate dal coinvolgimento della Pubblica Amministrazione quale parte contrattuale, alla quale derivi un pregiu- dizio dalla condotta illecita di un imprenditore spregiudicato o di un funzionario infedele.

Ad un’attenta analisi dell’ambito applicativo della norma non può sfuggire una eterogeneità della natura giuridica dei reati alla cui con- danna segua tale pena accessoria.

Il rinvio, infatti, si articola tra fattispecie autonome di reato ed ipo- tesi pacificamente circostanziali, come quelle di cui agli artt. 319 bis, 640, comma 2, n. 1, e 640 bis c.p., al cui interno è opportuno distin- guere tra: a) le circostanze aggravanti richiamate unitamente al reato base (così è per l’art. 319 bis c.p., che nell’elenco dei casi lì tassativa- mente indicati compare subito dopo l’art. 319 c.p.), che non rappre- sentano altro se non l’ulteriore manifestazione di una tecnica legislati- va deficitaria, che spesso cede alla “legge del superfluo”, in chiara dero- ga al principio di economia normativa, cui invero dovrebbe uniformar- si; b) le circostanze aggravanti richiamate in assenza di un espresso riferimento anche alla fattispecie base (artt. 640, comma 2, n. 1 e 640 bis c.p.), che danno luogo ad un rinvio selettivo, che svolge una fun- zione di esclusione del reato semplice e che rientra tra i c.d. effetti di- retti o “prodotti dalla circostanza senza alcun rapporto con la misura della pena”, seguendo una terminologia diversa e senz’altro più espli- cativa149. Se, infatti, da un lato, la menzione della sola ipotesi circo-

stanziale non può che essere intesa come la volontà del legislatore di espungere il reato base, per lo più in ragione della sua contenuta gra- vità soprattutto al cospetto di aggravanti c.d. autonome o indipenden- ti, dal novero di quelli ai quali estendere quella determinata conse- guenza afflittiva, non v’è alcun dubbio, dall’altro, che dalle circostanze possano discendere effetti sia in quanto correlati alla loro obiettiva esistenza, sia in quanto derivanti dall’applicazione in senso dosimetri- co di una certa misura della pena. Ed una chiara esemplificazione di queste due differenti tipologie di effetti si coglie proprio rimanendo nell’ambito delle pene accessorie, essendo l’interdizione (perpetua o temporanea) dai pubblici uffici, di cui all’art. 29, comma 1, c.p., con- nessa al quantum di pena inflitta in concreto (reclusione per un tem-

149 Così G. DEVERO,Circostanze del reato e commisurazione della pena, cit., p. 217, per il quale la tradizionale contrapposizione tra c.d. effetti diretti e c.d. effetti indi- retti delle circostanze dovrebbe essere più propriamente rappresentata dall’alter- nativa tra “effetti prodotti dalla circostanza senza alcun rapporto con la misura della pena” ed “effetti connessi alla modificazione della pena principale”.

po non inferiore a cinque anni o a tre anni) e ponendosi, viceversa, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione come la diretta conseguenza della pronunzia di una sentenza di condanna, che riconosca la sussistenza (a prescindere cioè dalla sua concreta appli- cazione) di un elemento circostanziante considerato nel suo contenu- to costitutivo150.

Nel quadro normativo così delineato, spicca la mancanza di qual- siasi riferimento all’art. 319 ter c.p., non emendabile, qualora si muo- va dall’assunto che detta disposizione disciplini una fattispecie auto- noma di reato, per via interpretativa per le ragioni già enunciate, ma agevolmente “recuperabile” optando per la diversa qualificazione co- me circostanza aggravante, giacché, come chiarito, il richiamo con- giunto alla fattispecie base (art. 319 c.p.) ed alla fattispecie circostan- ziale risulterebbe del tutto ultroneo, dovendosi ritenere la seconda “assorbita” nella prima.

Un vuoto che appare ancora più fragoroso dopo l’entrata in vigore della L. n. 190/2012 che, con l’art. 1, comma 75, lett. a), ha inserito tra i delitti-presupposto per l’applicazione della pena accessoria in esame anche la nuova fattispecie dell’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.), senza tuttavia nel contempo cogliere l’oc- casione per colmarlo attraverso il richiamo anche alla corruzione in atti giudiziari. Nonché a seguito dell’art. 1, L. n. 69/2015, che si è limi- tato ad elevare da tre a cinque anni il termine di durata massima della sanzione accessoria, mantenendo invariato il novero delle figure di reato dalla cui condanna derivi l’incapacità di contrattare con la pub- blica amministrazione.

Va, peraltro, evidenziato come si sia operato in termini decisamen- te diversi con riferimento alla pena accessoria “speciale” dell’interdi- zione dai pubblici uffici disciplinata dall’art. 317 bis c.p., originaria- mente applicabile soltanto ai soggetti condannati per i delitti di pecu- lato e di concussione151 ed oggi estesa dalla Legge Severino152 anche

ai delitti di corruzione propria e di corruzione in atti giudiziari.

150 Sulla controversa problematica relativa alle condizioni e limiti di produzio- ne degli effetti di una circostanza nell’ipotesi in cui, nell’ambito di un concorso eterogeneo, essa risulti, all’esito del giudizio di valenza, soccombente, si veda per tutti, da ultimo, L. PELLEGRINI,L’incerta sorte degli effetti giuridici collegati alla cir-

costanza dichiarata “soccombente”, in Cass. pen., 2014, p. 3029 ss.

151 Per la riferibilità della norma anche al peculato d’uso, stante il richiamo al- l’art. 314 c.p. tout court, nonché al peculato ed alla concussione, anche se soltanto tentati e non consumati, cfr. M. ROMANO,I delitti contro la pubblica amministrazio-

ne, cit., pp. 127-128.

Seguendo il ragionamento poc’anzi illustrato, si potrebbe intende- re il rinvio congiunto all’art. 319 c.p. ed all’art. 319 ter c.p. come indi- ziante della qualificazione della corruzione in atti giudiziari quale fat- tispecie autonoma, non potendo tuttavia escludersi che sia anch’esso espressione di un modus legiferandi “deviato” rispetto ai principi di una normazione sintetica, che si opporrebbero all’inserimento nel corpo di una disposizione, avente funzione incriminatrice o di disciplina, di elementi inutili o comunque non strettamente necessari.

Resta d’altra parte non poco disagevole ricostruire la logica norma- tiva che ispira il legislatore nel “confezionare” disposizioni che non si segnalano senz’altro per la ragionevolezza delle scelte in esse contenute. Se, infatti, in base al grado di afflittività della pena accessoria, ap- pare plausibile che l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici, alle (più) rigorose condizioni previste dalla norma speciale, non sia cir- coscritta alla sola condanna per peculato e concussione ma segua an- che l’accertamento di responsabilità per delitti posti a tutela della me- desima obiettività giuridica e dal disvalore altrettanto significativo, quali la corruzione propria e la corruzione in atti giudiziari, riesce difficile comprendere la ragione per cui all’art. 319 quater c.p., la cui pena edit- tale si avvicina molto a quella dell’art. 319 c.p., sia stato riservato un trattamento differenziato, essendo stato inserito soltanto tra i “delitti presupposto” di cui all’art. 32 quater c.p. (unitamente alla corruzione propria) e non anche tra quelli di cui all’art. 317 bis c.p. (ove invece non figura, pur essendovi la corruzione propria).

Il fatto poi che l’art. 317 bis c.p. contempli soltanto un’ipotesi (dop- piamente) speciale di interdizione dai pubblici uffici, nei termini che andremo subito a precisare, rispetto alla norma generale di cui all’art. 29 c.p., non incide, oscurandola, sull’opportunità della modifica nel frattempo intervenuta, senz’altro funzionale a ristabilire un equilibrio di disciplina tra fattispecie dal contenuto disvaloriale tendenzialmente omogeneo.

La specialità si coglie sia in ragione del perimetro applicativo della norma, che, come univocamente indicato dalla collocazione topogra- fica, non può estendersi oltre taluni tipi di illecito lì tassativamente elencati; sia in ragione della maggiore carica di afflittività che porta con sé rispetto a quanto previsto dalla norma “comune”, essendo sufficiente una condanna per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione ad una pena della reclusione non inferiore a tre anni (anziché a cin- que) affinché scatti l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; e, in ca- so di condanna ad una pena delle reclusione inferiore a tre anni, l’in- terdizione temporanea non avrà una durata prestabilita di 5 anni (co- me invece per l’art. 29, comma 1, c.p., che tuttavia, a ben vedere, si ri- ferisce alle condanne ad una pena della reclusione non inferiore a tre

anni), ma, ai sensi dell’art. 37 c.p., stante l’indeterminatezza della dura- ta, in misura pari a quella della pena detentiva concretamente irrogata. Concludendo sul punto, la qualificazione della corruzione in atti giudiziari come autonoma fattispecie di reato importa necessaria- mente, anche a seguito della riforma del 2012, la rinuncia all’applica- zione, in caso di condanna per un fatto commesso in danno, a van- taggio o in relazione ad un’attività imprenditoriale, della pena acces- soria del divieto di concludere contratti con la pubblica amministra- zione di cui agli artt. 32 ter e 32 quater c.p.