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Il controverso caso della “corruzione” del testimone

giudiziari operata dal modello c.d differenziato in ossequio ad un’opzione di tipo teleologico-funzionale-sistematica

5. La corruzione in atti giudiziari alla prova della prassi appli cativa: la lente di ingrandimento sulle figure del cancelliere

5.1. Il controverso caso della “corruzione” del testimone

Come già anticipato, la giurisprudenza è granitica nel riconoscere al testimone la qualifica di pubblico ufficiale e, per l’effetto, di soggetto attivo della corruzione in atti giudiziari.

Per vero, sin dagli inizi del nuovo millennio, il testimone era stato investito di tale qualifica pubblicistica ai fini, essenzialmente, di un rafforzamento della sua tutela, nel senso di consentire a quest’ultimo di assumere le vesti di persona offesa di quei reati (fattispecie base o circostanziali) nei quali è richiesta la qualità di pubblico ufficiale nel soggetto passivo della condotta criminosa (es., l’oltraggio a pubblico ufficiale di cui all’art. 341 bis c.p.)91.

Da un certo momento in poi, invece, il testimone è stato inquadra- to tra i pubblici ufficiali per essere incluso tra i soggetti attivi delle fattispecie corruttive e, in particolare, al fine di elevare il concorso in

90 Sez. VI, 10 febbraio 2004, Micheletti, cit.; Sez. VI; 19 marzo 1998, Bellifemi- ne, in Cass. pen., 1999, p. 2849; Sez. VI, 20 ottobre 1994, Crespi, ivi, 1996, p. 1447. 91 Cfr. Sez. VI, 12 maggio 1993, Tedesco, in Cass. pen., 1994, p. 2439; Sez. VI, 30 marzo 1983, Romano, ivi, 1984, p. 1656.

falsa testimonianza (istigazione o determinazione alla deposizione men- dace effettivamente seguita da questa) ad ipotesi di corruzione (attiva per il concorrente morale e passiva per il falso testimone) in atti giu- diziari92.

Tale inquadramento si inserisce in una più vasta opera giurispru- denziale di allargamento del tipo forgiato dall’art. 319 ter c.p., che si salda e trova fondamento nella già segnalata dilatazione del concetto di “atto giudiziario”: chi è gravato dell’ufficio testimoniale, all’eviden- za, non è pubblico ufficiale in quanto esercita direttamente e in prima persona “una pubblica funzione […] giudiziaria” (art. 357, comma 1, c.p.), ma in quanto, con la sua deposizione, compie un atto funzionale al procedimento giurisdizionale93, che “concorre a formare la volontà

del giudice che si esprime con la sentenza”, a prescindere dal fatto che quest’ultima risulti “fondata sulla testimonianza falsa o reticente”94.

La posizione della dottrina prevalente si contrappone decisamente alle conclusioni rassegnate dalla giurisprudenza.

Accanto a chi condivide la soluzione prospettata attesa l’indispen- sabilità del testimone “per un corretto espletamento della funzione giu- diziaria”95, vi è la maggioranza degli autori che si oppone alla ricom-

prensione del teste tra i soggetti attivi della corruzione in atti giudiziari, invocando una combinazione di argomenti che, francamente, appare convincente.

In primo luogo, ci si interroga sulla stessa sussumibilità del testi- mone nella categoria dei pubblici ufficiali ai sensi dell’art. 357 c.p.: come anticipato, chi è gravato dell’obbligo testimoniale – che si arti- cola nel dovere di comparire dinanzi al giudice di rispondere alle do- mande delle parti e del giudice stesso secondo verità e completezza – in realtà non sembra compiere alcun atto tipico del potere giudiziario né la sua attività si pone come presupposto o come necessario com- plemento dell’esercizio di quel potere. Egli risulta piuttosto subirlo, dovendo sottostare alla posizione, legalmente stabilita, di supremazia

92 A muovere da Sez. I, 26 novembre 2002, cit., a cui segue pochi mesi dopo Sez. I, 23 gennaio 2003, Chianese, in Dir. pen. proc., 2003, p. 1119 ss., con nota di R. BARTOLI, Falsità ideologica per induzione in atti dispositivi e corruzione in atti giudiziari.

93 Cfr. Sez. un., 25 febbraio 2010, Mills, cit.

94 In questi termini anche Corte App. Milano, 27 ottobre 2009, Mills, in Corr. merito, 2010, p. 305 ss., con nota di A. CORVI, Ricompensa al testimone falso e reti- cente ed art. 319 ter c.p., che si pone sulla scia di Sez. VI, 26 novembre 2002, cit. e Sez. I, 23 gennaio 2003, cit.

95 Così M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pri- vati, cit., p. 278 s.

di chi lo cita e di chi lo escute, pena altrimenti l’assoggettamento alle sanzioni di cui all’art. 133 c.p.p. (accompagnamento coattivo e relati- va sanzione pecuniaria) e, ovviamente, di cui all’art. 372 c.p.

Né, d’altro canto, potrebbe fondatamente ritenersi che il teste svol- ga una pubblica funzione amministrativa ex art. 357, comma 2, c.p., perché, essendo tenuto soltanto alla narrazione dei fatti di cui è a co- noscenza, che può essere liberamente valutata e variamente utilizzata dal giudice ai fini dell’emanazione del provvedimento giurisdizionale, non può certo dirsi investito di poteri autoritativi o certificativi né del- la funzione di formare e manifestare la volontà della pubblica ammi- nistrazione96.

In secondo luogo, anche laddove si continuasse ad attribuire al te- stimone lo status di pubblico ufficiale, dovrebbe riconoscersi che il va- sto insieme dei pubblici ufficiali non è perfettamente sovrapponibile alla cerchia di coloro che possono figurare quali soggetti attivi della corru- zione in atti giudiziari, poiché il tipo emergente dalla norma incrimina- trice in questione è suscettivo d’esser integrato solo da soggetti istitu- zionalmente deputati allo svolgimento della funzione giudiziaria, i qua- li, cioè, proprio perché designati dalla legge come “garanti” di tale es- senziale funzione statuale e sociale, hanno l’obbligo rafforzato di agire secondo imparzialità e correttezza. Tra questi soggetti spiccano, come detto, i magistrati, i periti, gli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria nei termini sopra indicati, i cancellieri e segretari nell’esercizio delle loro prerogative certificative, ma non anche i testimoni, al pari dei consu- lenti tecnici della difesa97.

Va da sé che l’assunto fondamentale di tale ragionamento è che il bene giuridico tutelato dall’art. 319 ter c.p. venga individuato nel ma- cro-interesse dello Stato-comunità e dello Stato-istituzione al buon andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione, sub specie di amministrazione della giustizia; assunto che appare condivisibile sia per la collocazione sistematica della fattispecie che per l’asprezza del trattamento sanzionatorio ivi previsto e che, peraltro, viene ammesso dalla stessa giurisprudenza quando – rifacendosi al risalente criterio del bene giuridico per limitare in chiave rigoristica l’applicazione del con- corso apparente di norme – afferma la sussistenza di un concorso di reati tra il delitto de quo e la falsa testimonianza98.

96 Cfr. G. MARRA, La corruzione in atti giudiziari, cit., p. 1059 ss.; ID., La corru- zione susseguente, cit., p. 1091.

97 Cfr. V. M

AGNINI, Sui confini applicativi della corruzione in atti giudiziari, cit.,

p. 84 ss.

Infine, attenta dottrina ha da tempo messo in luce come il testimo- ne sia destinatario di un proprio particolare sistema punitivo, volto ad assicurare che collabori alla formazione della verità processuale senza subire influenze illecite e senza porre in essere comportamenti devian- ti. Sarebbe questa la ragione per cui l’inosservanza dell’obbligo di com- parizione in assenza di un legittimo impedimento è specificamente sanzionata dal già citato art. 133 c.p.p. e non comporta la punibilità ai sensi dell’art. 328 c.p.; e, parimenti, la violazione dell’obbligo di dichia- rare il vero e di non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza sa- rebbe presidiato dalla (sola) norma incriminatrice della falsa testimo- nianza, risultando una superfetazione l’applicazione (anche) dell’art. 319 ter c.p.99.