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l’interpretazione: alcune premesse a carattere introduttivo

L’analisi degli elementi costitutivi della fattispecie normativa di cui all’art. 319 ter c.p. non può che prendere le mosse dalla individuazio- ne dei soggetti attivi1.

1 La bibliografia che attinge il problema dell’estensione della categoria è impo- nente. Senza pretesa di completezza cfr. E. AMATI, Sulla necessità di individuare un atto specifico e determinato nei delitti di corruzione, in Foro ambr., 2001, p. 1 ss.; ID., Corruzione in atti giudiziari: ecco i paletti. La sentenza “prezzolata” è sempre reato, an- che se giusta, in D&G, 2006, n. 39, p. 38 ss.; G. BALBI, I delitti di corruzione, cit., p. 270 ss.; ID.,La corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.), in C.FIORE(diretto da), I de-

litti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004, p. 244; F. BELLAGAMBA, Il reato di corruzione in atti giudiziari nella sua (non ben definita) di- mensione applicativa, in Cass. pen., 2008, p. 3543; C. BENUSSI,I delitti contro la pub-

blica amministrazione, cit., p. 773 ss.; S. BONINI, Sulla configurabilità di un tentativo di corruzione in atti giudiziari, cit., p. 1649; F. CINGARI, La corruzione in atti giudiziari, in F.PALAZZO(a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, cit., p. 227 ss.; ID.,An-

Fin da subito occorre rilevare come il delitto de quo sollevi non pochi dubbi, a carattere ancora una volta interpretativo, nel momen- to in cui ci si accinge a formulare un giudizio di riconducibilità di

cora sulla corruzione in atti giudiziari, in Dir. pen. proc., 2011, p. 891 ss.; A. CORVI,

“Ricompensa” al testimone falso o reticente e art. 319 ter c.p.: in margine al caso Mills, in Corr. mer., 2010, p. 313; M. DELGAUDIO, Corruzione, in Dig. disc. pen., Agg., Tori- no, 2000, p. 155; M.B.DUPUIS, La corruzione, Padova, 2002, p. 108; M.L. FERRANTE, Le fattispecie di corruzione, in S. FORTUNA(a cura di), I delitti contro la pubblica am- ministrazione, Milano, 2010, p. 73; F.M. FERRARI, La corruzione susseguente in atti

giudiziari, un difficile connubio tra dolo generico e dolo specifico, in Cass. pen., 2010, 3023; G. FORNASARI,Delitti di corruzione, in A.BONDI-A.DIMARTINO-G.FORNASARI, Reati contro la pubblica amministrazione, cit., p. 216; M. GAMBARDELLA, Corruzione in

atti giudiziari: ambito applicativo e individuabilità dell’atto d’ufficio, in Rass. giur., 2000, p. 823; C.F. GROSSO, Commento all’art. 9 l. 26 aprile 1990, n. 86, cit., p. 293; ID., Commento agli artt. 318-322 c.p., in T. PADOVANI (a cura di), I delitti dei pubblici uffi- ciali contro la pubblica amministrazione, cit., p. 170; G.IADECOLA, La riforma dei delit- ti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Torino, 1998, p. 56; A. MACCHIA, Subornare non vuol dire corrompere, in D&G., 2003, n. 9, p. 14; A. MANNA, Il privato, gli intermediari ed il giudice, cit., c. 537; G. MARRA,La corruzione in atti giudiziari e l’insostenibile incertezza dell’essere, in Giur. mer., 2010, p. 1057; ID.,La

corruzione susseguente in atti giudiziari tra interpretazione letterale e limiti strutturali, in Dir. pen. proc., 2010, p. 1089; L. MAZZA, Delitti contro la pubblica amministrazione: prospettive di ulteriore riforma, cit., p. 693; V. MAGNINI, Sui confini applicativi della corruzione in atti giudiziari, in Dir. pen. proc., 2013, p. 78 ss.; E. MEZZETTI, “Nobiltà e miseria”, cit., p. 1618; V. MILITELLO, Sulla corruzione in atti giudiziari, in A.M. STILE

(a cura di), La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, Napoli, 1987, p. 361; G. MINUTOLI, Spunti problematici, cit., p. 704; M.B. MIRRI, Corruzione, in Enc. giur. Treccani, IX, Torino, 1991, p. 1; T. PADOVANI, Commento alla riforma dei delitti dei

pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, cit., p. 542; L. PALAMARA, Note in tema di corruzione in atti giudiziari nel processo fallimentare, in Cass. pen., 2006, p. 2390; F. PALAZZO, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: un primo sguardo d’insie- me, cit., p. 815; A. PIZZIMENTI, La corruzione del falso testimone: profili strutturali e so- stanziali di un controverso rapporto fra norme, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, p. 311; L. RAVAGNAN, La corruzione, in A. D’AVIRRO (a cura di), I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Padova, 1999, p. 203; M.ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche, Milano, 2015, p. 297 ss.; C. SABATINI, La corruzione in atti giudiziari: struttura, forme, obiettivi, in Giur. mer., 2010, p. 1065; A.SEGRETO-G.DELUCA, I delitti dei pubblici uffi- ciali, cit., p. 422 ss.; A. SPENA,Corruzione in atti giudiziari, cit., pp. 194-195; A. TENCATI, La corruzione per atti indebiti nel recente trend legislativo, in Riv. pen., 1993, p. 145; ID.,La corruzione fonte di responsabilità penali per gli operatori, in Riv. pen., 1994, p.

3; A. VALLINI,Le qualifiche soggettive, in F.PALAZZO(a cura di), Trattato di diritto pe- nale, Parte speciale, cit., p. 761 ss.; G. VASSALLI Corruzione propria e corruzione impro- pria, in Giust. pen.,1979, II, c. 305; G. VERZERA, L’art. 319 ter: una nuova figura di il-

lecito, cit., p. 704; O. VILLONI, Questioni in tema di corruzione in atti giudiziari e di ap- pello contro la sentenza di non luogo a procedere, in Cass. pen., 2001, p. 3572; S.VIN- CIGUERRA, I delitti contro la pubblica amministrazione, Padova, 2008, p. 36 ss.

determinate classi di soggetti all’interno della tipicità della fattispecie. Va anzi osservato come la copiosa riflessione dottrinale e gli appro- di giurisprudenziali degli ultimi anni abbiano posto l’accento proprio sulla problematica estensione della categoria dei soggetti attivi del de- litto di corruzione in atti giudiziari, facendo così divenire tale elemen- to di fattispecie uno dei nodi centrali attraverso cui è possibile rea- lizzare una consistente restrizione/dilatazione della sua portata ap- plicativa.

Si tratta, come si capisce, di una questione eminentemente interpre- tativa, che tuttavia risente dell’influenza dello sviluppo criminologico del fenomeno corruttivo e, quindi, del contesto applicativo. Come è sta- to puntualmente rilevato, il significato del testo normativo non costi- tuisce, infatti, un pre-dato, ma il risultato dell’attività ermeneutica, che postula un contatto tra il testo e quei fattori extra-testuali, per lo più misurati sulle caratteristiche criminologiche del tipo criminoso, che, nella prassi applicativa giurisprudenziale, vengono utilizzati in chiave espansiva e quasi mai restrittiva della sfera di prensione punitiva della norma2.

La staticità del dato normativo astratto è messa alla costante prova tensiva della dinamicità dei processi trasformativi dei fenomeni cri- minosi, che sono raccolti dalla giurisprudenza, stante l’immobilismo del legislatore, per offrire, ricorrendo allo strumento ermeneutico, una risposta in termini di sufficiente grado di effettività alla norma incri- minatrice.

Infatti la giurisprudenza, negli ultimi tempi, ha sempre di più ri- vendicato il ruolo di formante (anche in materia penale), finalizzato all’attualizzazione di una politica di rafforzamento dell’azione repres- siva delle norme penali: il tutto in aperta frizione con il principio di legalità e, segnatamente, con il divieto di analogia in malam partem.

È fatto notorio come talune opzioni ermeneutiche del giudicante, che si muovono su articolazioni logiche di tipo teleologico-funzionale, ben si prestano a sconfinamenti in operazioni analogiche, poiché ricon- ducono nell’alveo della fattispecie incriminatrice fatti che esorbitano dalla dimensione linguistico-lessicale. Ed è in tali casi evidente la ten- sione con il principio di legalità e, segnatamente, con il principio di tas- satività, che impone, come da tradizione, una valutazione dei termini linguistici di fattispecie secondo “vocabolario”.

Pur tuttavia, il conflitto è pur sempre esistente, anche se non così

2 V., sul punto, F. C

INGARI,Ancora sulla corruzione in atti giudiziari, cit., p. 889;

più in generale, a prescindere dai suoi riflessi sulla corruzione in atti giudiziari, G. FIANDACA,Il diritto penale giurisprudenziale tra orientamenti e disorientamenti, Na- poli, 2008, p. 19.

manifesto, al cospetto di interpretazioni tradizionalmente ritenute os- sequiose della tassatività come quella letterale. In questi casi la giuri- sprudenza, sempre al fine di adeguare la norma incriminatrice al mu- tato contesto empirico-criminologico o, comunque, per incrementarne l’efficacia repressiva, estende l’ambito applicativo a fatti che, pur essen- do compatibili con la dimensione testuale della norma, pur tuttavia, travalicano il “tipo criminoso” da essa descritto3.

Ecco dunque che il problema sta nello stabilire se il c.d. vocabolario del testo normativo costituisca l’unico limite all’attività ermeneutica del giudice oppure se ve ne siano altri o se, addirittura, siano diversi i crite- ri realmente capaci di contenere le spinte dilatative dello spettro appli- cativo della fattispecie incriminatrice, originate da esigenze politiche di “tutela” che si manifestano con maggiore pregnanza quando la norma incriminatrice si confronta con la multiforme realtà fenomenica.

Fatta tale doverosa premessa, quando si intende dare contenuto al- la categoria dei soggetti attivi della corruzione in atti giudiziari, ci si imbatte proprio nell’esigenza di verificare se, oltre al significato lingui- stico-lessicale del testo normativo, il “tipo criminoso” ed il “tessuto” normativo nel quale le norme incriminatrici si collocano possano ve- nire in soccorso per arginare l’attività (fisiologicamente) creatrice del giudice.

Vero è tuttavia che anche il “tipo” può mutare e ciò non solo per espressa previsione legislativa, ma anche per indirizzo applicativo4.

Ebbene, in tali casi, si può scongiurare il rischio o comunque ov- viare a derive analogiche ponendo la fattispecie in raffronto con le al- tre che compongono il microcosmo di tutela di riferimento, tenendo altresì conto del tasso di consolidamento e strutturazione del fenome- no, anche alla luce dei mutamenti legislativi nel frattempo intervenuti,

3 F. P

ALAZZO, Regole e prassi dell’interpretazione penalistica nell’attuale momento storico, in Diritto privato 2001-2002, cit., p. 554 e, di nuovo, F. CINGARI,Ancora sul- la corruzione in atti giudiziari, cit., p. 890.

4 Tale notazione si impone, in quanto rassegna la consapevolezza che il diveni- re storico-diacronico dei fenomeni criminosi che si consolidano e si strutturano e che dunque non costituiscano estemporanee caratterizzazioni peculiari “del momen- to” (e in questo senso quello corruttivo ne è un fulgido esempio) concorre a forgia- re il tipo di reato. Certo è che, stante la necessità di consolidamenti e strutturazio- ni fenomeniche che si manifestano in lassi temporali medio-lunghi, ben potrebbe essere il legislatore a “mutare” il tipo ma, oramai avvezzi alla sua notoria intempe- stività, si cerca di sopperire affidandosi sì alla giurisprudenza, senz’altro attenta lettrice della multiforme declinazione del reale, ma anche ricorrendo ad altri for- manti ed, in primis, a quello dottrinale. Sulla ‘nuova’ legittimazione dei giudici e sulla contestuale perdita di credibilità della dogmatica v. anche G.INSOLERA,Dog- matica e orientamento della giurisprudenza, cit., p. 3 ss., in part. p. 7 ss.

degli assestamenti giurisprudenziali e delle acquisizioni dottrinali, in modo da cogliere la dimensione disvaloriale e quindi il tipo che questa è chiamata ad esprimere.

2.

La dilatazione “giurisprudenziale” della portata applicativa

della corruzione in atti giudiziari e l’estensione del novero

dei soggetti attivi

Quanto sin qui detto trova una plastica concretizzazione quando ci si propone di individuare chi siano i soggetti attivi del delitto di cui all’art. 319 ter c.p.

Anzitutto, va ricordato come nell’interstizio temporale intercorso tra l’approvazione della L. n. 86/1990 e l’intervento correttivo del 1992 (L. 7 febbraio 1992, n. 181), si era inconsapevolmente dato vita, secondo il prevalente indirizzo interpretativo – concorde nel riconoscere l’avve- nuta “mutazione” nella qualificazione della corruzione in atti giudiziari da circostanza aggravante a fattispecie autonoma di reato – ad un rea- to necessariamente plurisoggettivo improprio, stante la sola punibilità dell’intraneus, pur rivestendo il privato corruttore la qualità di concor- rente necessario. L’impossibilità di ovviare con gli ordinari strumenti ermeneutici al silenzio serbato dall’art. 321 c.p. sulla corresponsabili- tà dell’extraneus nel reato di cui all’art. 319 ter c.p. non lasciava spazio a possibili soluzioni alternative, giacché, sebbene da taluno suggerite, non riuscivano a sottrarsi alla censura di collidere frontalmente con il principio di legalità, traducendosi nella sostanza in forme occulte di estensione analogica in malam partem.

Estesa, dunque, per espressa previsione normativa, la pena della cor- ruzione passiva in atti giudiziari al privato corruttore, in forza del ri- chiamo, frutto di successiva interpolazione, all’art. 319 ter c.p. contenu- to nell’art. 321 c.p., ciò nondimeno sembrano a tutt’oggi persistere si- gnificativi profili di problematicità con riferimento alla estensione della categoria degli intranei quali destinatari della fattispecie in esame.

Va ulteriormente premesso che, a nostro avviso, discorrere in ge- nerale sulle qualifiche soggettive di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio ha una valenza e utilità relative.

Occorre, invero, calare le suddette nozioni all’interno delle diverse fattispecie incriminatrici che vengono in gioco, al fine di verificarne le differenti modulazioni applicative. Con ciò si vuole dire che l’analisi dei soggetti attivi nei delitti contro la pubblica amministrazione impone un’indagine particolaristica, che tenga conto delle peculiarità formali- stico-strutturali e contenutistico-sostanziali dei singoli delitti: le genera-

lizzazioni finiscono infatti con il mostrarsi incapaci di cogliere la vera essenza disvaloriale dei delitti di volta in volta presi in considerazione.

Assumendo dunque questo angolo prospettico, è opportuno segnala- re come l’individuazione dei soggetti attivi nel delitto di corruzione in at- ti giudiziari conosca due differenti approcci interpretativi, che impon- gono analisi differenziate per le eterogenee conseguenze a cui essi con- ducono.

In via di prima approssimazione, si rileva l’esistenza di un modello ermeneutico che potremmo definire differenziato (in quanto ambisce a ritagliare una specificità sotto il profilo dei soggetti agenti all’art. 319 ter c.p.), secondo il quale i soggetti attivi del delitto di corruzione in atti giudiziari dovrebbero coincidere con quei pubblici ufficiali che svolgono funzioni giudiziarie a qualsiasi livello, a cui si contrappone un secondo – del tutto maggioritario in giurisprudenza – che viceversa li identifica con tutti i pubblici ufficiali che pongano in essere un “atto giudiziario”.

Appare fin da subito chiaro come questi due distinti percorsi rico- struttivi incentrino il focus dell’indagine, al fine di dare risalto alle pe- culiarità disvaloriali proprie dell’art. 319 ter c.p., l’uno direttamente sul concetto di pubblico ufficiale e sulla funzione da questi svolta; l’al- tro sulla nozione di atto giudiziario, che rappresenta qualcosa di estra- neo rispetto alla qualifica soggettivo-funzionale del soggetto agente ma che sarebbe pur sempre in grado di selezionare l’alveo dei legittimati a compiere il reato attraverso un processo valutativo, per così dire, ex post.

Si tratta di modelli che, come si intuisce, si ispirano a logiche tra lo- ro nient’affatto coincidenti. Mentre il primo si sviluppa seguendo la scansione potere-funzione-incidenza sull’attività giudiziaria, il secondo sembra incardinato attorno allo schema potere-atto-utilizzo in ambito giudiziario.

Se le cose stanno nei termini qui sinteticamente indicati, è neces- sario procedere nella verifica delle linee essenziali che contraddistin- guono i predetti indirizzi, evidenziando le istanze funzionali ad essi sottese e le conseguenze pratico-applicative derivanti dalla loro as- sunzione a criteri solutori.

3. La selezione dei soggetti attivi del delitto di corruzione in atti

giudiziari operata dal modello c.d. differenziato in ossequio