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mente orientata” quale strumento ermeneutico per risolvere il problema della qualificazione di fattispecie “ostinatamen-

te” dubbie

Giunti all’esito di questo lungo, accidentato percorso, nel quale è apparso comunque chiaro come la corruzione in atti giudiziari si sot- tragga ad una qualificazione giuridica univoca, a cui sia estraneo ogni profilo di dubbio o di riserva, sembra opportuno procedere ad una bre- ve ricognizione dei risultati sin qui provvisoriamente acquisiti, per poi prospettare, sia pure in termini problematici, una possibile soluzione.

Dal raffronto tra i criteri astrattamente utilizzabili per distinguere un elemento circostanziante da un elemento costitutivo e la fattispecie concreta che qui interessa, è emerso come, secondo l’opinione a tutt’og- gi dominante, militino quattro argomenti, equamente divisi tra criteri formali e criteri ermeneutici sebbene dal “peso specifico” non unifor- me, a favore di una qualificazione in termini di reato autonomo.

Sul piano formale si evocano: a) la sua collocazione in una disposi- zione ad hoc, anche quale effetto di una “migrazione” dalla originaria sistemazione all’interno della norma incriminatrice della corruzione propria; b) la sua identificazione attraverso un apposito nomen iuris, ancorché ricorrente soltanto nella rubrica.

Sotto il profilo ermeneutico, poi, si fa leva sugli esiti: c) dell’inter- pretazione storica, attraverso la quale si ricostruisce l’intentio legis co- me esplicitata nei lavori preparatori ed in grado di cogliere gli obietti- vi di politica criminale perseguiti dal legislatore storico di determinati interventi novellistici; d) dell’interpretazione sistematica interna, per- ché la pacifica natura circostanziale dell’ipotesi disciplinata al secon- do comma osterebbe ad un’identità di qualificazione anche del primo comma, delineandosi altrimenti l’anomalo istituto di una circostanza aggravante che operi su un’altra circostanza aggravante.

Si pongono, viceversa, quali indici di una plausibile qualificazione della fattispecie in oggetto quale elemento circostanziante: a) la de- scrizione del fatto per relationem; b) gli esiti dell’interpretazione siste- matica, potendosi recuperare per questa via la sanzionabilità dell’i- stigazione alla corruzione in atti giudiziari, se intesa come tentativo unilaterale, o di ogni forma di tentativo di corruzione in atti giudizia- ri, per chi considera l’art. 322 c.p. norma incriminatrice anche del ten- tativo bilaterale; nonché l’applicazione, in caso di condanna, della pe- na accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica ammini- strazione.

Ribadito che la stessa idea di una gerarchizzazione tra criteri scon- ta un ineliminabile relativismo, di per sé foriero di ambiguità ed incer- tezze, addirittura enfatizzate ove risulti necessario procedere ad un giudizio di “bilanciamento” tra parametri dal peso specifico equiva- lente ma di segno contrario (es.: un criterio ‘forte’ a favore dell’una so- luzione che si ‘scontra’ con un criterio altrettanto ‘forte’ a favore del- l’altra), in casi così problematici l’unico approccio investigativo alme- no astrattamente in grado di offrire indicazioni solutorie scevre da in- superabili soggettivismi sembra essere quello che si propone di recu- perare l’essenza degli istituti posti a confronto, rivalutando analitica- mente il giudizio di relazione che lega il tipo-base ai sottotipi legislati- vamente definiti.

Come noto, infatti, le circostanze, nonostante talune proposte rico- struttive decisamente critiche153, vengono tradizionalmente ricondot-

te alla categoria elementi accidentali o accessori, i cui tratti caratteriz- zanti emergono soltanto dal confronto con la fattispecie con cui esse necessariamente si trovino ad interagire.

Assumendo, cioè, come termine di comparazione il reato semplice, si nota come la circostanza vada ad integrarne il precetto primario, originando una serie di prescrizioni collaterali, che presentano come connotazione peculiare quella di mantenersi all’interno del medesimo alveo disvaloriale espresso dal tipo-base.

Si assiste, cioè, ad un processo di sottotipizzazione, poiché le circo- stanze, a differenza degli elementi essenziali di altro reato, sono por- tatrici di un contenuto di disvalore omogeneo rispetto a quello intrin- seco alla fattispecie tipica con cui si relazionano, che tuttavia contri- buiscono in qualche modo a ridefinire in termini non soltanto quanti- tativi – coincidenti con il momento commisurativo della pena – ma anche qualitativi, ricongiungendo il tipo astratto al fatto concreto.

Nondimeno non tutti gli elementi circostanziali paiono assolvere a

questa duplice funzione tipizzante-concretizzatrice, da cui scaturisce un sottotipo che presenta un nucleo disvaloriale comune a quello del tipo a cui si rapporta, ancorché rimodulato attraverso la valorizzazione di ta- luni profili attinenti al fatto e/o alla persona dell’autore del reato.

Secondo un’autorevole opinione154, infatti, le circostanze a varia-

zione di pena indipendente o autonoma, distinguendosi da quelle a va- riazione proporzionale sia da un punto di vista strutturale che da un punto di vista funzionale, finirebbero per perdere il carattere dell’ac- cessorietà e per colmare significativamente la distanza che, su un pia- no squisitamente classificatorio, dovrebbe separarle dai titoli autono- mi di reato.

Imponendo l’applicazione di una pena stabilita entro una nuova cor- nice edittale o di una pena di specie diversa, esse rivelerebbero la loro sostanziale affinità con gli elementi essenziali di figure criminose a se stanti, dando vita ad una (ri)valutazione dell’entità astratta del fatto ed esaurendo dunque il loro apporto sul piano della determinazione

legale della sanzione155. Sarebbero dunque strumenti di cui il legisla-

tore dispone, alla stessa stregua della creazione di nuove fattispecie di reato, per ridefinire il tipo legale di reato, ai quali sarebbe perciò estra- nea la funzione commisurativo-giudiziale propria delle circostanze a variazione frazionaria.

Calando le osservazioni che precedono nel contesto di interesse, potremmo essere indotti a ritenere che, anche adottando una prospet- tiva ermeneutica tipologicamente orientata – volta cioè a ricostruire il tipo base nei suoi rapporti con eventuali sottotipi legislativamente predefiniti – il reato di corruzione in atti giudiziari si muova entro un alveo disvaloriale autonomo ed eterogeneo rispetto a quello espresso dalla corruzione ordinaria, con ciò convalidando l’assunto che si tratti di una figura criminosa a se stante piuttosto che una circostanza ag- gravante a variazione di pena indipendente.

Ma il ricalcolo della forbice edittale può, ad avviso di chi scrive, es- sere indicativo di un contenuto di disvalore ad hoc, esclusivo ed ete- rogeneo rispetto a quello del tipo di riferimento, al ricorrere delle se- guenti condizioni: a) anzitutto esso deve essere significativo, tale po-

154 G. V

ASSALLI,Concorso tra circostanze eterogenee, cit., p. 3 ss.; G. DEVERO,

Circostanze del reato e commisurazione della pena, cit., pp. 157 e 169; T.PADOVANI, Circostanze del reato, cit., p. 209.

155 Per una definizione della funzione di determinazione legale della fattispecie e quindi della pena, contrapposta alla funzione di commisurazione giudiziale della pena, con le due possibili ulteriori varianti della determinazione giudiziale e della commisurazione legale della pena, cfr., di recente, L. PELLEGRINI, Circostanze del rea- to: trasformazioni in atto e prospettive di riforma, cit., p. 297 ss.

tendo essere soltanto quello che si traduca in un aumento o in una di- minuzione della pena superiore ad un terzo; b) in secondo luogo, esso dovrebbe accompagnarsi ad un mutamento e/o ad un’integrazione del bene giuridico tutelato, che può assumere, nell’ambito di un procedi- mento interpretativo finalizzato a delineare la struttura del tipo, va- lenza esplicativa di classi disvaloriali differenti e, come tali, irriducibi- li ad unità.

Ebbene, la corruzione in atti giudiziari, pur essendo stata interes- sata, a seguito della novella del 2012 e dalla revisione del 2015, da un ritocco dei propri limiti edittali, ciò nondimeno, come già segnalato, ha visto assottigliarsi sensibilmente la distanza che la separava dalla corru- zione ordinaria, risultando essi ad oggi addirittura coincidenti nel mi- nimo e divergenti nel massimo in misura inferiore ad un terzo (10 an- ni rispetto agli attuali 12)156.

Pertanto, l’affermazione secondo cui ogni circostanza a variazione di pena indipendente comporti una rideterminazione della fattispecie legale e non già un sottotipo in rapporto di dipendenza dal tipo base, merita di essere rivista, dovendosi necessariamente distinguere tra: a) le circostanze solo formalmente a variazione indipendente ma sostan- zialmente ad efficacia comune (c.d. indipendenti finte), nelle quali il da- to formale di una ridefinizione del compasso edittale viene superato da quello sostanziale rappresentato da un trattamento sanzionatorio pressoché sovrapponibile, che sta chiaramente ad indicare come si tratti di elementi accidentali, destinati ad assolvere alla funzione com- misurativo-concretizzatrice propria delle circostanze a variazione fra- zionaria; b) le circostanze sia formalmente che sostanzialmente a va- riazione indipendente (c.d. indipendenti vere), ove, stante il ragguarde- vole scostamento dal regime sanzionatorio stabilito nella fattispecie base, è innegabile l’analogia con le fattispecie autonome di reato, da

156 Non essendo fondatamente ipotizzabile che il legislatore del 2012 (e tanto meno quello del 2015) avesse in animo di mutare qualificazione alla corruzione in atti giudiziari, l’attuato riavvicinamento di quest’ultima alla corruzione propria può essere utile strumento ermeneutico anche in ottica, per così dire, retrospettiva, perché in effetti il preesistente divario nel trattamento sanzionatorio delle due ipo- tesi avrebbe potuto indurre l’interprete a privilegiare, in accordo con gli altri crite- ri formali sopra richiamati, l’assunto che si trattasse di una fattispecie autonoma di reato piuttosto che di una circostanza aggravante indipendente (in qual caso ve- ra), per quanto posta a tutela dello stesso bene giuridico. Le ombre che allora non si sarebbero diradate neppure sottoponendo la norma alla verifica del giudizio di relazione avente ad oggetto il tipo disvaloriale, con la conseguente necessità di ri- correre ad altri indici maggiormente “esplicativi”, sembrano oggi essersi almeno in parte allontanate in ragione dei convergenti indizi assicurati da un procedimen- to di interpretazione “tipologicamente orientata”.

cui, auspicabilmente sia pure in una prospettiva de iure condendo, do- vrebbero essere integralmente sostituite.

Stando così le cose e tenendo conto degli esiti di un’interpretazio- ne tipologica, è agevole constatare come la corruzione in atti giudizia- ri, oramai appiattitasi sulla corruzione “semplice”, appaia più corret- tamente qualificabile come circostanza solo formalmente indipendente ma sostanzialmente a variazione frazionaria (ed avente efficacia comu- ne), che, nel segno di quell’accessorietà che ne connota l’essenza, espri- me un nucleo disvaloriale comune a quello del tipo base al quale si re- laziona, rappresentando soltanto un sottotipo “particolareggiato” per effetto della “valorizzazione” di taluni dati fenomenici attinenti all’au- tore del fatto o al fatto medesimo.

Ad ulteriore conforto di un’omogeneità di disvalore tra tipi in raf- fronto soccorre anche l’identità del bene giuridico tutelato che, se co- me già precisato, non si sottrae a rilievi critici qualora venga utilizza- to come criterio “principale” ai fini della qualificazione dell’elemento di incerta collocazione, si presta invero a fornire un qualche sussidio nel procedimento interpretativo finalizzato a ricostruire il contenuto disvaloriale di cui l’elemento dubbio si faccia portatore.

Si è infatti, in proposito, osservato come le circostanze, quanto meno in via orientativa ed in linea tendenziale, possono al più arric- chire il quadro della tutela normativa, senza tuttavia spingersi sino ad “alterarla significativamente nella sua direzione essenziale”157; esse

non mutano l’interesse sul quale la fattispecie base risulta primaria- mente incentrata, ma ne possono modulare l’intensità ed il grado an- che introducendo beni a carattere secondario o accessorio. Di conse- guenza, anche ove si volesse, come già segnalato158, evocare la natura

plurioffensiva della fattispecie in esame, essa non potrebbe che rite- nersi la conseguenza dell’”accessione” di un elemento aggiuntivo, al quale tuttavia non dovrebbe imputarsi l’individuazione dell’interesse prevalente, che promana dalle “indicazioni epigrafiche che il legislato- re giustappone ai vari titoli, capi e sezioni”159 e, quindi, in definitiva

dall’oggettività giuridica di categoria ivi espressa.

In conclusione, tenuto conto della convergenza degli elementi in- diziari derivanti sia dall’interpretazione sistematica che dall’interpre- tazione tipologicamente orientata, in uno con la tecnica di descrizione del fatto, appare quanto meno opportuno procedere ad una rivisita-

157 Così, condivisibilmente, anche R. G

UERRINI,Elementi costitutivi e circostanze

del reato, cit., p. 51. 158 Cfr. supra, nota 65. 159 Ancora R. G

zione critica della tradizionale (e talvolta tralatizia) opinione che ri- conosce natura di titolo autonomo di reato alla corruzione in atti giu- diziari, quando questa sembra piuttosto presentare le stimmate di un’ipotesi circostanziale, peraltro ad efficacia comune.

D’altra parte, la soluzione proposta, oltre ad essere sostenuta da ar- gomenti dommaticamente più solidi, ben potrebbe resistere all’effet- to-bilanciamento, per scongiurare il quale non sono mancate forzatu- re interpretative funzionali allo scopo, se solo si decidesse di estende- re alla corruzione in atti giudiziari l’invalso modello di blindatura a base c.d. totale, che implica, come già visto, un’integrale estromissione della circostanza dal giudizio complessivo e sintetico sotteso al con- corso eterogeneo.

E, sempre in una prospettiva de iure condendo, la c.d. Proposta di Cernobbio160 elaborata nel 1994 dal c.d. gruppo di Milano, dopo aver

suggerito l’eliminazione del delitto di concussione ed il conseguimen- to suo assorbimento nel delitto di estorsione aggravata, in caso di con- dotta costrittiva, e in un’unificata figura di corruzione, in caso di con- dotta induttiva, aveva ipotizzato, all’art. 3, di “degradare” la corruzio- ne in atti giudiziari a circostanza aggravante ad effetto speciale (con pena aumentata fino alla metà), collocandola nel “nuovo” art. 318 bis c.p. e prevedendo come destinatari non soltanto i magistrati, ma an- che i militari di carriera, i funzionari o agenti di polizia ed i rappre- sentanti diplomatici e consolari all’estero161.

160 Per una lettura dell’articolato si veda Proposte in materia di prevenzione della corruzione e dell’illecito finanziamento di partiti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, p. 1025 ss.; per un approfondimento delle linee portanti del progetto di legge si leg- gano le Note illustrative di proposte in materia di corruzione e di illecito finanzia- mento di partiti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, p. 1031 ss.; nonché in Riv. trim. dir. pen. ec., 1994, p. 911 ss.

161 Esprime un giudizio positivo sull’ipotizzata abrogazione di una norma che viene definita, senza mezzi termini, “inutile e tecnicamente male tipizzata” C.F. GROSSO,L’iniziativa Di Pietro su Tangentopoli. Il progetto anticorruzione di manipu- lite tra utopia punitiva e suggestione premiale, in Cass. pen., 1994, p. 2342.

I soggetti attivi della corruzione in atti giudiziari