• Non ci sono risultati.

Come già precisato, il delitto di corruzione in atti giudiziari postu- la che i fatti di cui agli artt. 318 e 319 c.p. siano commessi “per favori-

85 Condivide la persistente attualità della questione anche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 190/2012, sia pure rimarcando il fatto che l’irragionevolezza di una risposta sanzionatoria uniforme risulta oggi amplificata dall’operato innalzamento delle pene M.PELISSERO,Corruzione in atti giudiziari, in C.F. GROSSO-M.PELISSERO(a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione, cit., pp. 330-331.

re o danneggiare una parte in un processo civile, penale o ammini- strativo”.

Nessuno dubita che, con tale formula, si sia inteso introdurre, ri- spetto alle ipotesi di corruzione “comune”, un elemento specializzante rappresentato dal dolo specifico, da cui discenderebbe, con riguardo al profilo dell’offensività del fatto, un’anticipazione della soglia di punibi- lità, poiché non si richiede più, come in passato, l’effettiva verificazione del danno o del favore nei confronti di una parte processuale, ma sol- tanto il perseguimento, da parte del soggetto agente, di quella finalità, a prescindere poi dalla sua materiale soddisfazione.

Ebbene, se si accoglie l’impostazione tradizionale, a tutt’oggi soste- nuta dalla prevalente dottrina86, secondo la quale il dolo specifico rap-

presenterebbe un elemento essenziale meramente psichico, che verreb- be ad aggiungersi alla condotta esterna rimanendo perciò estraneo al- la tipicità oggettiva del fatto, non ci si può esimere dall’interrogarsi sulla sua compatibilità con il principio di offensività ed, ancor prima – come puntualmente osservato87 – con quello di materialità. Se, infat-

ti, di una mera componente psicologica si tratta, essa non sarebbe in grado di incidere sulla realtà e, dunque, di pregiudicare o mettere in pericolo il bene giuridico tutelato dalla fattispecie che la contiene, con la conseguenza di concentrare il disvalore del fatto tipico attorno alla cattiva volontà dell’agente anziché ad un riflesso oggettivistico real- mente offensivo per l’interesse protetto.

Si assiste cioè ad un fenomeno di tipicità doppia (o plurima) tra fat- tispecie tra loro assolutamente coincidenti se non nello scopo espres- samente tipizzato, nelle quali è la legge stessa a provvedere ad una “conversione soggettiva delle incriminazioni”88, assegnando al dolo

specifico il ruolo di unico elemento differenziale tra figure legali inte- gralmente identiche nel resto.

Più precisamente, nel caso che ci occupa, ci si trova dinanzi, come abbiamo già avuto modo di osservare, ad un reato che, quanto meno nella modalità antecedente, si presenta sorretto da un doppio dolo spe- cifico, perché la condotta deve essere animata sia dal fine del compi- mento dell’atto o dell’esercizio della funzione che da quello di favorire o danneggiare uno degli attori del processo, sebbene si tratti di finali-

86 Si vedano, per tutti, nella manualistica, F.M

ANTOVANI,Diritto penale, Parte ge- nerale, cit., 321 ss.; G.FIANDACA-E.MUSCO,Diritto penale, Parte generale, cit., p. 384; F. PALAZZO,Corso di diritto penale, Parte generale, cit., p. 309 ss.

87 Così F. P

ALAZZO,Corso di diritto penale, Parte generale, cit., p. 309.

88 Cfr. F. SGUBBI,Uno studio sulla tutela penale del patrimonio. Libertà economica, difesa dei rapporti di proprietà e «reati contro il patrimonio», Milano, 1980, p. 244.

tà non omologabili nella loro capacità di minare la “funzione garanti- sta” del fatto tipico89.

Se, infatti, il compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio o l’ef- fettivo esercizio della funzione non forniscono un contributo partico- larmente significativo al contenuto dell’offesa, già polarizzata attorno alla conclusione del patto, in cui risulta sufficientemente definita l’ag- gressione all’oggettività giuridica tutelata, non altrettanto sembra pos- sa valere per la tipizzazione dell’elemento finalistico di favorire o dan- neggiare una parte processuale, a cui si deve il mutamento del titolo del reato (per chi considera la corruzione in atti giudiziari una fatti- specie autonoma) e la conseguente differenziazione, in peius, del trat- tamento sanzionatorio90.

Non si registra, tuttavia, uniformità di vedute sul grado di “com- promissione” dell’offesa a fronte di fattispecie nelle quali l’entità della pena dipenda anche dalla presenza di componenti psichiche.

V’è infatti, da una parte, chi tende ad escludere fibrillazioni ‘ap- prezzabili’ del principio di offensività91, essendo comunque il fatto ti-

89 Evidenzia come la necessità di un “inspessimento” oggettivo della finalità ri- corra soltanto in talune ipotesi, nelle quali può aversi che il fulcro del disvalore della condotta si concentri proprio nello scopo perseguito dall’agente o comunque que- st’ultimo, ancorché non necessario ai fini della comprensione penalistica della con- dotta, incida sullo “stampo offensivo del fatto, nel senso o di precisarne i caratteri, dapprima incerti, o di modificarli, in genere costituendo un progredire dell’offesa di base”, D. BRUNELLI,Il sequestro di persona a scopo di estorsione, Padova, 1995, p. 262. 90 La problematicità della questione appare, peraltro, qui acuìta – senza tuttavia che ciò ne muti la sostanza – dalla equiparazione della intensificazione della ri- sposta punitiva, in ragione del dolo specifico, tra fatti comparativamente disomo- genei anche sotto il profilo oggettivistico, perché è lo stesso legislatore a conside- rare, da un lato, la corruzione per l’esercizio della funzione meno grave rispetto alla corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e, dall’altro, ad uniformarle, almeno astrattamente, nel trattamento sanzionatorio quando esse trovino realiz- zazione in ambito giudiziario.

91 In generale, per tutti, F. P

ALAZZO,Corso di diritto penale, Parte generale, cit., 310; F. MANTOVANI,Diritto penale, Parte generale, cit., p. 322, ripartisce i reati a do-

lo specifico in una triplice categoria, distinguendo tra: a) i reati a dolo specifico di offesa (es.: artt. 503, 504, 505, 616, comma 1, 416 c.p.), in cui l’offesa è prevista co- me risultato non oggettivo ma meramente intenzionale, con la conseguente punibi- lità di una condotta di per sé inoffensiva; b) i reati a dolo specifico di ulteriore offe- sa (es.: artt. 624, 628, 646, 648 c.p.), nei quali, accanto ad un’offesa oggettiva è ri- chiesta un’offesa meramente intenzionale, che svolge dunque una funzione mera- mente restrittiva dell’illiceità penale di un fatto già di per sé offensivo e quindi me- ritevole di pena; c) i reato a dolo specifico differenziale, ove l’intenzione offensiva incide sulla sanzione, potendo dunque ingenerare motivi di attrito con il principio di offensività.

pico già dotato di un contenuto di disvalore autonomo rispetto a quel- lo espresso dallo scopo normativizzato ed essendosi, almeno in par- te92, assottigliata la distanza tra le pene astrattamente irrogabili, a si-

gnificare che l’offesa non trova il suo epicentro criminologico nel dolo specifico e non resta dunque confinata nei tortuosi ambiti di un dato meramente intenzionale93 piuttosto che nella tipicità oggettiva94.

Ma non è mancato, dall’altra, chi, nell’intento di recuperare i reati a dolo specifico al diritto penale dell’offesa, ha suggerito di rimodel- larne la struttura su quella del tentativo, richiedendo che la condotta risulti oggettivamente idonea a realizzare lo scopo, ovvero obiettiva- mente adeguata alla “produzione dell’evento lesivo posto dall’agente nel fuoco dell’intenzione”95. Cosi facendo, si scongiurerebbe il rischio

di possibili tensioni con il principio di offensività, trovandosi, in buo- na sostanza, al cospetto di reati di pericolo concreto con dolo di dan- no96. E ciò in quanto il dolo specifico sembra assolvere ad una fun-

92 Se infatti tale condizione appare soddisfatta comparando la corruzione in at- ti giudiziari con la corruzione propria, non altrettanto può dirsi per la corruzione per l’esercizio della funzione, il cui massimo edittale coincide con il minimo previ- sto dall’art. 319 ter c.p.

93 Si fanno, in proposito, gli esempi dei delitti di associazione per delinquere o di sciopero per fini non contrattuali o a scopo di solidarietà o di protesta, ove il fine “illecito” si coniuga ad una condotta che costituisce addirittura un diritto co- stituzionalmente garantito (artt. 18 e 40 Cost.).

94 Esclude che, in tali ipotesi, si assista ad un’amputazione della parte dell’Unrecht costituita dal disvalore di evento, imperniandosi comunque il comportamento in- criminato sulla realizzazione di un evento anche N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983, p. 222.

95 Così A. MOLARI,La tutela della condanna civile, Padova, 1960, p. 91; F. BRICOLA, Teoria generale del reato, in N. Dig. it., XIX, Torino, 1973, p. 87; L. STORTONI,L’abuso

di potere nel diritto penale, Milano, 1976, pp. 84 e 265; S. SEMINARA,Tecniche nor- mative e concorso di persone nel reato, Milano, 1987, p. 370 ss.; S. PROSDOCIMI,Do- lus eventualis. Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, Milano, 1993, p. 170 ss.; M. GELARDI,Il dolo specifico, Padova, 1996, p. 255 ss.; G. MARINUCCI-E. DOLCINI,Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2015, p. 451 ss.

96 Già così G.DELITALA,Il “fatto” nella teoria generale del reato, in Diritto penale. Raccolta degli scritti, I, Milano, 1976, p. 95, con espresso richiamo a F. GRISPIGNI, Le dottrine generali del reato e della pena secondo Arturo Rocco, in Scuola. pos., 1914, p. 617 ss.; ed in giurisprudenza, per tutte, Sez. un., 23 febbraio 1996, Faccini ed altri, in Riv. pen., 1996, p. 632. Optano per la natura astratta del pericolo F. ANGIONI,Con- tenuto e funzioni del bene giuridico, Milano, 1983, pp. 115-116; Sez, III, 7 febbraio 2000, Faccia ed altri, in Dir. pen. proc., 2001, p. 999, con nota di F. VIGNOLI,Spunti

critici e ricostruttivi dell’aggravante della finalità di eversione dell’ordinamento costitu- zionale, secondo cui la “condotta esecutiva del dolo specifico deve essere intrinseca- mente, sia pure astrattamente, idonea alla realizzazione del risultato da perseguire”.

zione selettiva alla quale non è tuttavia estranea un’incidenza diretta sull’offensività, perché, esplicandosi col rendere applicabile una fatti- specie incriminatrice anziché un’altra similare, finisce per contribuire a determinare l’offesa propria di quel precipuo fatto storico97.

In un siffatto contesto, non rimarrebbe altra via per ‘saldare’ il fine all’offesa se non quella di assumere il primo come dato soggettivo, de- stinato però a proiettarsi nella realizzazione oggettiva e dunque nella lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato98. Itinerario, a

dire il vero, piuttosto accidentato nel contesto che ci occupa, perché, in effetti, la condotta di perfezionamento dell’accordo prezzolato mal si presta ad essere riguardata sotto lo specifico profilo della sua in- trinseca adeguatezza rispetto alla commissione di un atto conforme o contrario ai doveri dell’ufficio e alla conseguente realizzazione dell’o- biettivo programmato (ossia il favore o il danno per una delle parti del processo)99.

Di segno diverso la soluzione prospettata da altra parte della dottri- na, secondo la quale il fine specifico non dovrebbe essere inteso in sen- so meramente psicologico, quale elemento che andrebbe ad aggiungersi alla condotta esterna nella quale si esaurirebbe la tipicità oggettiva del fatto, bensì come parte integrante di quest’ultima, stante la sua con- nessione con il mezzo, di cui non potrebbe che rappresentare il polo

teleologico100.

97 In questi termini M. G

ELARDI,Il dolo specifico, cit., p. 260.

98 Richiede, accanto al requisito dell’adeguatezza-idoneità del mezzo rispetto al fine, anche un’omogeneità-vicinanza tra i due termini della relazione, al fine di as- sicurare quella sufficiente determinatezza della fattispecie, che sola consentirebbe di distinguere tra condotte sorrette da motivi e condotte nelle quali lo scopo si og- gettivizza in un mezzo potenzialmente idoneo ad attuarlo, D.BRUNELLI,Il seque- stro di persona, cit., p. 271 ss.

99 Di questo avviso anche D.FALCINELLI,Rapsodia interpretativa, cit., pp. 302- 303, la quale tuttavia poi va ad escludere che si tratti di dolo specifico, ricostruen- do la corruzione in atti giudiziari come reato a dolo generico, che consterebbe del- la “rappresentazione e volizione dell’equilibrio contrattuale tipizzato attraverso la combinazione delle specifiche prestazioni”.

100 Così si orientano L. P

ICOTTI,Il dolo specifico. Un’indagine sugli ‘elementi fina- listici’ delle fattispecie penali, Milano, 1993, p. 502 ss.; E.MORSELLI,Condotta ed evento nella teoria del reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1998, p. 1115, che definisce il dolo specifico non un fatto meramente psichico bensì una “modalità tipica” della condotta; negli stessi termini, nel senso cioè che esso incarni un elemento soggetti- vo dell’illecito, il quale, alla stessa stregua degli elementi obiettivi, concorre a co- stituire la fattispecie tipica, di talché, in sua assenza, il fatto andrebbe considerato come atipico e non semplicemente come tipico ma non colpevole per assenza di dolo, già G. FORNASARI,I criteri di imputazione soggettiva del delitto di bancarotta

Tipizzando, infatti, il reato a dolo specifico un conflitto intersoggetti- vo di interessi, di cui uno facente a capo al soggetto attivo e l’altro tute- lato dalla norma in quanto riferibile al soggetto passivo, l’esecuzione della condotta oggettivamente lesiva di questo dovrebbe essere avvinta da un nesso di strumentalità rispetto all’ulteriore fine perseguito dal- l’agente e corrispondente al suo interesse di parte, la cui soddisfazio- ne, che non necessariamente deve concretizzarsi, passerebbe tuttavia attraverso il pregiudizio arrecato al bene giuridico protetto dalla fatti- specie incriminatrice101. L’indubbia colorazione oggettivistica dello sco-

po, di per sé rilevante già a livello di tipicità ancor prima che di colpevo- lezza, non equivarrebbe ad un requisito di idoneità causale del mezzo, perché l’anticipazione, nella rappresentazione del soggetto agente, del risultato da conseguire inciderebbe senz’altro sulla scelta dello stru- mento da attivare per raggiungerlo, ma non implicherebbe affatto che nel contempo, alla stessa stregua di quanto accade per il delitto tenta- to, gli atti/mezzo risultino eziologicamente efficienti rispetto all’even- to/risultato/fine.

In definitiva, nei reati a dolo specifico non assumerebbe alcun ri- lievo la prossimità o il grado di probabilità di conseguimento del ri- sultato avuto di mira dal soggetto agente, bensì la strumentalità della condotta rispetto allo scopo normativizzato, che, come nel caso della corruzione in atti giudiziari, almeno stando alla opinione assoluta- mente prevalente, configurerebbe un’autonoma fattispecie di reato, senza che ne risenta il momento consumativo, ancorato alla sola rea- lizzazione del fatto-mezzo.

È in quadro così fluido e non ancora ben definito sul piano dei rapporti tra dolo specifico ed offesa che si colloca l’ulteriore interro- gativo, invero più specificamente attinente al principio di colpevolez- za, se sia necessario che il fine di favorire o danneggiare una parte del processo debba riferirsi a ciascuno dei compartecipi necessari o, al contrario, sia sufficiente che esso venga perseguito anche soltanto da uno di essi.

Avendo condiviso l’opinione prevalente, secondo cui i delitti di cor- ruzione (e di conseguenza anche la corruzione in atti giudiziari) rien- trano nel novero dei reati necessariamente plurisoggettivi propri, sem- bra preferibile la seconda opzione ivi prospettata, a condizione che il soggetto che non sia animato dal precipuo scopo di favorire o danneg-

semplice, in Giur. comm., 1988, I, p. 677; T. PADOVANI,La frode fiscale. Problemi ge- nerali ed analisi delle fattispecie previste dalle lett. a), b), c), d), e) dell’art. 4, legge n. 516/1982, in A.D’AVIRRO-E.DINICOLA-G.FLORA-C.F.GROSSO-T.PADOVANI,Respon-

sabilità e processo penale nei reati tributari, Milano, 1992, p. 196. 101 Ancora L. P

giare una parte processuale (di regola il pubblico agente) sia comun- que consapevole dell’obiettivo avuto di mira dal concorrente102. Il di-

fetto di ogni collegamento psicologico tra uno dei soggetti necessari ed il fine indicato dalla norma imporrebbe, in ossequio ai principi di col- pevolezza e di responsabilità penale personale103, una soluzione diver-

sificata tra i due protagonisti, ben potendo l’uno rispondere di corru- zione in atti giudiziari e l’altro di corruzione ‘comune’, ove della nor- ma generale ricorra l’elemento soggettivo104.

Il soggetto beneficiario del favore o del danno derivante dall’esecu- zione del patto corruttivo, che, nel primo caso, può ovviamente coin- cidere con il privato che lo stipula, deve essere parte in un processo ci- vile penale o amministrativo.

Quanto alla nozione di parte nel processo civile o amministrativo, es- sa viene unimamente intesa come ogni persona fisica o giuridica che promuova un’azione giudiziale o nei cui confronti la domanda sia pro- posta e, dunque, segnatamente nel primo l’attore, il convenuto, i liti- sconsorti, gli intervenuti ed il Pubblico Ministero, qualora agisca come parte; nel secondo, il ricorrente principale, la pubblica amministrazio- ne ed il controinteressato.

In ambito penale, lo sono certamente il Pubblico Ministero (dopo la riforma del processo in senso accusatorio), l’imputato, la parte ci- vile, il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pe- cuniaria105.

Non è viceversa (più) parte il soggetto già condannato, di talché il fatto di corruzione compiuto per favorirlo o per danneggiarlo non po- trà che essere qualificato come corruzione ‘ordinaria’; e non può esse- re considerato tale neppure il difensore, il quale, pur essendo una par-

102 Per tutti G.F

IANDACA-E.MUSCO,Diritto penale, Parte speciale, I, cit., p. 237; G. FORNASARI,Delitti di corruzione, cit., p. 216; M. DELGAUDIO,Corruzione, cit., p. 159.

103 Di questo avviso anche G. BALBI,I delitti di corruzione, cit., p. 278, il quale tuttavia, in coerenza con l’assunto, da cui l’Autore prende le mosse, che le fattispe- cie di corruzione debbano essere intese come reati distinti, frutto della combina- zione tra la condotta del privato e quella del pubblico ufficiale, richiede che il dolo specifico connoti sia la corruzione attiva che quella passiva (in atti giudiziari), non potendosi immaginare una comunicazione per “osmosi” dell’elemento soggettivo da una fattispecie all’altra.

104 M. R

OMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 226; F. CIN- GARI,La corruzione in atti giudiziari, in F. PALAZZO (a cura di), Trattato di diritto pe- nale, Parte speciale, cit., p. 236.

105 Così A. P

AGLIARO-M.PARODIGIUSINO,Principi di diritto penale, Parte speciale,

I, cit., p. 242; A.SEGRETO-G.DELUCA,I delitti dei pubblici ufficiali, cit., p. 425; M. ROMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 225.

te tecnica necessaria, non è portatore di una propria posizione so- stanziale che interessa il processo106.

Non vi è uniformità di opinioni in ordine all’inclusione, tra le “par- ti” richiamate dalla norma, dell’indagato e della persona offesa.

In realtà, secondo la dottrina assolutamente prevalente107 e la giu-

risprudenza108, si dovrebbe optare per una soluzione “estensiva” e non

meramente formalistica, perché solo in questo modo si andrebbe in- contro alla ratio della norma, che è quella di assicurare l’imparziale svolgimento dell’attività giudiziaria unitariamente considerata.

A mio parere, la questione, assai più complessa di come viene di so- lito sbrigativamente risolta, merita di essere affrontata muovendo dalla considerazione che “parte” e “processo” esprimono nozioni tecniche, dal significato univoco, che si contrappongono a quelle speculari di “sog- getto” e di “procedimento”.

Sono cioè “parti” i soggetti attivi e passivi dell’azione penale, che coin- cide, come noto, con la formulazione dell’imputazione. Pertanto, il “pro- cesso”, quale porzione del procedimento che ha inizio con l’esercizio dell’azione penale, vede come protagonisti le parti, siano esse necessa- rie (Pubblico Ministero ed imputato) o eventuali (parte civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria, responsabile civile), nel cui novero non vi rientrano né l’indagato, sino a quando non assuma la qualifica di imputato, né la persona offesa, sino a quando non si costituisca parte civile.

Stando così le cose, sembrerebbe potersi ampliare tale concetto evo- cando un’eadem ratio di tutela sottesa alla fattispecie incriminatrice soltanto per il tramite dell’analogia, che proprio sull’identità di ratio fa leva per estendere l’ambito di validità della norma all’“area di similari- tà” della fattispecie in esame.

Non è certo questa la sede per diffondersi su un tema così articola- to e fecondo di sfumature come quello del discrimen tra analogia (in malam partem) ed interpretazione estensiva. Appare infatti sufficiente evidenziare come, una volta acquisito che il criterio per distinguere l’una dall’altra non può che essere di tipo quantitativo o di grado e

106 A.S

EGRETO-G.DELUCA,I delitti dei pubblici ufficiali, cit., p. 425; G. BALBI,I delitti di corruzione, cit., p. 279.

107 C.B

ENUSSI,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 778; M.PE- LISSERO,Corruzione in atti giudiziari, in C.F. GROSSO-M.PELISSERO(a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione, cit., p. 325; A.SEGRETO-G.DELUCA,I delitti dei pubblici ufficiali, cit., p. 425; M. ROMANO,I delitti contro la pubblica amministra- zione, cit., p. 225; G.FORNASARI,Delitti di corruzione, cit., p. 216.

108 Cfr. Sez. VI, 11 dicembre 2008, n. 10026, in Riv. pen., 2010, p. 192; Sez. VI, 21 aprile 1998, n. 1425, in Cass. pen., 1999, p. 3128.

giammai di sostanza o qualitativo, si ha interpretazione estensiva sino a quando ci si mantenga all’interno del perimetro della norma, sia pure dilatata nella sua massima espansione attraverso l’attribuzione del più