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Gli indici “residuali” e quelli “peculiari” alla corruzione in at-

2. La “gerarchizzazione” dei criteri solutori: gli indici di stam-

2.2. Gli indici “residuali” e quelli “peculiari” alla corruzione in at-

ti giudiziari derivanti dal ricorso allo strumento dell’interpre-

tazione sistematica: gli argomenti a favore della tesi della na-

tura di fattispecie autonoma

Proprio avendo riguardo a quelle fattispecie persistentemente pro- blematiche, nelle quali non si riescano comunque a fugare i dubbi ermeneutici in punto di qualificazione di quell’elemento, non è man- cato chi ha proposto di risolvere la questione invocando o il principio di legalità o il principio del favor rei.

Più precisamente, con riferimento al primo si è sostenuto che, poi- ché quando si controverte sulla natura costitutiva o circostanziale di un certo elemento ci si sta in definitiva interrogando sull’esistenza o meno nel nostro ordinamento di un’ulteriore figura criminosa, il prin- cipio di legalità sancito dagli artt. 25/2 Cost. e 1 c.p. impone che tale previsione debba essere “espressa” e dunque inequivoca, di talché una perdurante incertezza indurrebbe ad escludere che si sia inteso dar vita ad una “nuova” fattispecie autonoma, dovendosi giocoforza rite- nere che si tratti “soltanto” di una ipotesi di circostanza66.

Parametro valutativo senz’altro sussidiario, perché destinato ad operare soltanto in caso di inefficacia dei criteri evocati in prima bat- tuta, è stato ritenuto anche dogmaticamente fallace, giacché, come se- gnalato dalle stesse Sezioni unite Fedi, il principio di legalità non po- trebbe dirsi riservato – o più intensamente riferibile – al reato base senza estendersi a quello circostanziato. Trovando, infatti, il suo fon- damento in un’esigenza di garanzia per il cittadino, non potrebbe che prendersi atto dell’ineludibile identità tra la “maggior pena” inflitta da una fattispecie autonoma e la “maggior pena” derivante dall’applica- zione di una circostanza67.

In realtà tale criterio, liquidato forse con eccessiva disinvoltura, offre

tezza dell’esercizio delle funzioni giudiziarie verrebbe ad affiancarsi all’interesse al buon andamento ed all’imparzialità della pubblica amministrazione. Così, infatti, C. BENUSSI,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 772. D’altra parte an- che il nuovo art. 346 bis, comma 4, c.p. (su cui v. infra, § 2.3) sanziona i fatti di traffico di influenze commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie, ma nessuno è stato nemmeno sfiorato dal dubbio che si tratti di una fattispecie auto- noma piuttosto che di una circostanza aggravante.

66 Di questo avviso T. P

ADOVANI, Circostanze del reato, cit., p. 195; F. BRICOLA,Le aggravanti indefinite, cit., p. 1055; A. CADOPPI, La natura giuridica dell’ipotesi di cui all’art. 223 cpv. n. 1, legge fallimentare, in Il Fallimento, 1981, p. 24; L. CONCAS, Cir-

costanze del reato ed elementi specializzanti costitutivi, cit., p. 380. 67 Sul punto v., per tutti, D. G

interessanti spunti di riflessione, sui quali appare il caso di soffermarsi, onde saggiarne con maggiore attenzione la tenuta e la fondatezza.

Ad un’analisi più approfondita, infatti, non può sfuggire come ivi si muova dalla premessa che ci si trovi al cospetto di un elemento “oscuro”, come tale astrattamente cedevole rispetto al sistema di garanzie for- mali che governa le fattispecie autonome, sistema che può non coin- cidere, sotto diversi profili, con quello proprio degli elementi circostan- ziali. È infatti incontrovertibile che i due “ordinamenti” si muovano lungo direttrici non uniformi non tanto con riferimento al principio di riserva di legge, non potendo le circostanze che essere oggetto an- ch’esse di previsione espressa, quanto piuttosto avendo riguardo al principio di determinatezza (si pensi alle c.d. circostanze indefinite o a tipizzazione assente), di tassatività (messo a dura prova dal meccani- smo del bilanciamento di cui all’art. 69 c.p.) e di irretroattività (l’abro- gazione del reato base porta con sé anche l’abrogazione della circo- stanza, senza che il medesimo automatismo si riproduca necessaria- mente anche per due fattispecie autonome tra loro in rapporto di spe- cialità).

Ebbene, seguendo questa impostazione, l’incertezza sulla qualifi- cazione giuridica dell’elemento specializzante dovrebbe far propende- re per la natura circostanziale e non già costitutiva, proprio perché il dubbio “invincibile” sarebbe di per sé rivelatore di un minore coeffi- ciente di legalità e, di conseguenza, della impossibilità di una sua ascri- zione alla categoria delle fattispecie autonome.

Scomponiamo il ragionamento distinguendo la premessa dalla conclusione.

Se la prima si misura, ammesso che se ne sia correttamente com- preso il significato, sul corredo di garanzie di stampo formale (e non già sostanziale) che connota gli elementi essenziali rispetto a quelli accidentali, non si può negare che essa colga nel segno e più precisa- mente:

a) non si può revocare in dubbio che esistano circostanze il cui contenuto tipico risulta indeterminato e che dunque si pongano, ove ad esse si ricolleghino aggravi di pena, in aperta frizione con il prin- cipio di precisione e determinatezza, che dovrebbe presidiare anche la formulazione degli elementi circostanzianti. E se può ammettersi una compromissione della legalità ove questa non si traduca in un conte- nimento delle garanzie assicurate al cittadino, come nel caso, ad esem- pio, delle attenuanti generiche per l’ovvia ragione che esse riducono, anziché, estendere i limiti della responsabilità del soggetto agente, non altrettanto potrebbe dirsi per le circostanze aggravanti indefinite, che aprirebbero il varco ad un modello di tipizzazione in malam partem integralmente devoluto al giudice, che non si limiterebbe a sostituirsi

al legislatore nell’opera di selezione dei dati attinenti alle peculiarità del caso concreto e dunque meritevoli di essere elevati a circostanze aggravanti proprie. Ma, come correttamente segnalato68, finirebbe per

incidere, sia pure entro limiti esterni legislativamente prefissati, anche sulla comminatoria legale della fattispecie base, perché trarrebbe dal fatto storico rimesso alla sua valutazione uno o più elementi espressivi di un disvalore eccedente rispetto a quello contemplato dalla forbice edittale, costruendo una fattispecie circostanziata astratta dalla tipicità integralmente “giudiziaria”. Si realizzerebbe, cioè, un percorso inverso rispetto a quello tradizionalmente ritenuto proprio delle circostanze, nelle quali si assiste di regola al passaggio dalla fattispecie astratta al caso concreto e non viceversa.

Sebbene le circostanze aggravanti indefinite siano ad oggi presso- ché scomparse dal sistema, avendo per lo più condiviso la sorte della depenalizzazione riservata alle corrispondenti fattispecie base, l’indi- scussa inconciliabilità tra circostanze (aggravanti) indefinite e princi- pio di legalità non può dirsi ancora risolta, soprattutto in considera- zione dell’estrema problematicità connessa alla diversa interpretazio- ne delle modalità di espletamento del giudizio valutativo-discreziona- le sotteso al riconoscimento dell’aggravante della recidiva69;

b) il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee rappre- senta, senza dubbio, il nucleo centrale attorno a cui ruota il sistema di commisurazione della pena, in particolare in seguito alla “strutturale” riforma attuata dal D.L. n. 199/1974, convertito nella L. n. 220/1974, che, come noto, ne ha esteso l’ambito di operatività anche alle circo- stanze ad effetto speciale ed a quelle inerenti la persona del colpevole. Non è certo questa la sede per spendersi, come meriterebbe, in un’a- nalisi puntuale dei numerosi nodi problematici che originano dall’at- tuale conformazione dell’istituto e, segnatamente, dei suoi riflessi sui rapporti tra discrezionalità giudiziale e legalità. Ciò che qui si intende sottolineare è che, per quanto non si possa condividere l’impostazione critica di chi si spinge sino a considerare iniquo il giudizio di prevalen- za perché finirebbe per cancellare, elidendolo, un elemento espressa- mente tipicizzato dal legislatore se valutato come soccombente70, ri-

68 Si veda L. P

ELLEGRINI, Circostanze del reato, cit., p. 261.

69 Per una ricostruzione dei vari orientamenti esegetici, tra giurisprudenza di legittimità e giudice delle leggi, cfr. ancora, diffusamente, L. PELLEGRINI, Circo- stanze del reato, cit., p. 262 ss.

70 Di questo avviso, invece, M.B

OSCARELLI,La disciplina del concorso complesso di circostanze nel quadro dei «vizi tecnici» del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, p. 1256 ss.

mane il fatto che si tratta pur sempre di un meccanismo, la cui con- creta operatività inquina e non poco il principio di tassatività, quanto meno nell’accezione “tradizionale” a cui si è soliti rifarsi per coglierne i tratti costitutivi.

Se, infatti, come è stato acutamente osservato71, è vero che l’ele-

mento che risulta subvalente non viene estromesso dal momento com- misurativo ma più propriamente “degradato” a circostanza impropria, trovando pertanto considerazione nella successiva fase della determi- nazione della pena base, non può neppure trascurarsi che, attraverso il giudizio di bilanciamento, si attribuisce al giudice un potere discre- zionale particolarmente penetrante ed incisivo, giacché gli si consente di selezionare ciò che è elemento circostanziante proprio e ciò che non lo è, relegando quest’ultimo a mero indice di commisurazione della pena.

In buona sostanza, in caso di concorso eterogeneo di circostanze proprie, il giudice viene investito di un potere di tipo contra-norma- tivo, perché, pur muovendosi, per lo più (in caso di circostanze defini- te) nell’alveo di una scelta elettiva del legislatore, è in grado di rimet- terla in discussione, dando risalto alle sole circostanze del segno pre- valente e senza che la possibilità di “recuperare” quelle soccombenti appaia strumento in grado di arginare un processo di vera e propria determinazione giudiziale della fattispecie circostanziata, ancor prima che di commisurazione giudiziale della pena.

Il fatto poi che si cerchi di contenere la discrezionalità del giudi- cante, imponendogli di applicare tutte le circostanze riconosciute co- me prevalenti e non soltanto alcune di esse, esprime l’esigenza di ino- culare nel sistema-bilanciamento una residuale istanza legalistica, che, se da un lato mira a realizzare una funzione di commisurazione legale della pena, dall’altro non sembra presidio sufficiente ad assicurare quella tassatività che, viceversa, si invoca quando ci si confronta con gli elementi costitutivi di un reato.

Stando così le cose, viene d’altra parte però anche da chiedersi se sia corretto misurare il “tipo” o il “grado” di tassatività tra elementi essenziali ed elementi accidentali avvalendosi dello stesso criterio di giudizio, nonostante essi siano regolamentati da una disciplina forte- mente differenziata, che non può, all’evidenza, non riverberarsi anche sulle specifiche modalità applicative in sede giudiziale;

c) infine, anche il principio di irretroattività si modula diversamen- te a seconda che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie autonoma o ad

71 G. MARINI,Le circostanze del reato, cit., p. 253; G.DEVERO,Circostanze del reato e commisurazione della pena, Milano, 1983, p. 200.

una fattispecie circostanziale. Ma tale indiscutibile sfasamento altro non è se non il precipitato della natura accessoria delle circostanze e della loro dipendenza rispetto al reato base. Trattandosi di elementi non essenziali, ovvero di “sottotipi” che si relazionano al tipo-base or- bitando nel medesimo alveo disvaloriale – su cui pure vanno ad inci- dere in termini sia qualitativi che quantitativi – è inevitabile che essi siano defettibili e dunque incapaci di resistere dinanzi al fenomeno abrogativo, per la più che evidente ragione che non può continuare ad esistere ciò che esiste soltanto in una logica puramente relazionale. È dunque un effetto derivante dal predicato stesso dell’elemento circo- stanziale, che, nel suo essere ‘soltanto’ accidentale, non può che legare indissolubilmente la sua presenza nel sistema a quella del reato con il quale va a confrontarsi.

Se, in definitiva, sia pure con qualche riserva, la premessa del ragio- namento può essere condivisa, non altrettanto può dirsi per la conclu- sione, perché il dubbio invincibile sulla qualificazione potrebbe de- terminare un affievolimento delle garanzie formali sottese alla legali- tà, e dunque far optare per la natura circostanziale, soltanto ove si ri- tenesse fondata l’equazione tra incertezza della natura giuridica ed in- determinatezza del contenuto dell’elemento dubbio. In altri termini, soltanto ove si muovesse dal postulato che l’indeterminatezza della qualifica emerga solo a fronte di un elemento dalla formulazione in- determinata potrebbe porsi un problema di possibile elusione delle garanzie che debbono governare la previsione delle fattispecie auto- nome in modo più stringente rispetto a quanto è richiesto per quelle circostanziali. Ma in realtà non si può certo escludere che un dubbio di qualificazione possa sorgere anche con riferimento ad un elemento puntualmente definito nei suoi tratti essenziali; e allora, ricorrendo tale ipotesi, risolversi per la natura circostanziale anziché per la natura co- stitutiva significherebbe prediligere una disciplina piuttosto che un’al- tra, perché, come abbiamo avuto modo di osservare, la tassatività e l’irretroattività assumono declinazioni diverse in ragione del differen- te assetto e della diversa funzione assolta dagli elementi costitutivi ri- spetto agli elementi circostanzianti.

In sintesi, una volta sciolto l’equivoco che indeterminatezza della qualifica equivalga ad indeterminatezza del contenuto e che le ulte- riori articolazioni della legalità in realtà attengono al diverso profilo del regime disciplinare, un criterio che, sia pure in via sussidiaria, operi con automatismo a favore della natura circostanziale rischia di trasformarsi in un’aprioristica opzione per il trattamento astratta- mente più favorevole anche in assenza di quelle istanze garantistiche, che, in linea di principio, professa di voler soddisfare.

segnare natura circostanziale all’elemento di difficile collocazione72,

si è da più parti osservato come anzitutto riesca difficile riconoscere a tale indice una connotazione ‘sostanziale’ anziché processuale, perché appare fuor di dubbio che, piuttosto che come canone ermeneutico, esso si atteggi a principio che regola l’applicazione della legge al caso concreto, risolvendo gli eventuali dubbi in tema di accertamento del fatto in senso favorevole all’imputato73.

Poi, anche da un punto di vista più propriamente pratico-applica- tivo, non è affatto scontato che la configurazione come circostanza ri- sulti in effetti più favorevole all’imputato, sia per quanto già detto cir- ca i limiti legislativi sempre più diffusamente apposti al giudizio di bi- lanciamento; sia, al contrario, perché quest’ultimo, se applicato ad una circostanza attenuante, può determinare conseguenze in concreto peg- giorative per il reo (se in ipotesi ritenuta equivalente o addirittura sub- valente rispetto alle concorrenti aggravanti) rispetto ad una qualifica- zione in termini di fattispecie autonoma74; sia, infine, perché, in pre-

senza di circostanze aggravanti, esse potrebbero essere addebitate al- l’imputato anche solo per colpa, a differenza di quanto accade per le fattispecie autonome delittuose, di regola rimproverabili al reo soltan- to a titolo di dolo.

Se la pluralità dei criteri gerarchicamente ordinati non di rado of- fre all’interprete una soluzione in termini di verosimile certezza anche nelle ipotesi più controverse75, ciò non toglie che residuino casi nei

72 Così G. M

ARINI, Le circostanze del reato, cit., p. 88. 73 Ancora R. G

UERRINI, Elementi costitutivi e circostanze del reato, cit., p. 69; L. MASERA, Accertamento alternativo ed evidenza epidemiologica nel diritto penale, Mi- lano, 2007, p. 324 ss.

74 Ed è essenzialmente sulla base di questa osservazione che le Sezioni unite Fedi negano validità a tale criterio.

75 Di particolare interesse la ricognizione effettuata da F. B

ASILE, Reato auto- nomo o circostanza?, cit., p. 1585 ss., il quale dimostra come in effetti, applicando i canoni ermeneutici tradizionalmente richiamati, sia possibile addivenire a con- clusioni per lo più condivise, in grado di ovviare ad elaborazioni giurisprudenziali fluttuanti e non preventivabili. Si citano le fattispecie di cui all’art. 378, comma 3, c.p. e 570, comma 2, nn. 1 e 2, c.p., al confronto, rispettivamente, con quella di cui all’art. 378, comma 1, c.p. e 570, comma 1, c.p., che debbono ritenersi titoli auto- nomi di reato per la semplice ragione che manca la condicio sine qua non di un rapporto di genus ad speciem con il reato di riferimento; i delitti di cui agli artt. 624 bis e 609 octies c.p., in relazione a quelli di cui agli artt. 624 e 609 bis c.p., anch’essi senz’altro titoli autonomi di reato, anzitutto per la tecnica di formula- zione del precetto, stante l’integrale ridescrizione del fatto tipico, corroborata dall’attribuzione di un autonomo nomen iuris e dalla loro collocazione in un sepa- rato articolo; le lesioni gravi o gravissime di cui all’art. 583 c.p. rispetto al reato di

quali la carenza di indici probanti, in uno con la contradditorietà del- le indicazioni fornite da parametri meramente indizianti, conducono ad una situazione di impasse, da cui sembra possibile uscire soltanto mediante lo strumento dell’interpretazione sistematica.

Più precisamente, potrà essere intrapreso il percorso di verifica della coerenza, in termini di risultato conseguito, tra la qualificazione ipotizzata ed il significato di altre norme dello stesso rango presenti nel sistema, soltanto a condizione che, alla mancata ricorrenza, nel caso di specie, di criteri gerarchicamente sovraordinati perché dotati di efficacia probante, difettino anche elementi indizianti a carattere univoco, non potendosi in alcun modo avvalere di una soluzione in termini meramente quantitativi. Il fatto cioè che la corruzione in atti giudiziari trovi collocazione in una disposizione ad hoc, contenente un autonomo nomen iuris, pur essendo il fatto tipico descritto per re- lationem non sarebbe affatto sufficiente a far concludere, anche sol- tanto a livello indiziario, per una sua qualificazione in termini di fat- tispecie autonoma, perché ci si fonderebbe sulla prevalenza, sul piano puramente numerico, di determinati indici su altri di segno opposto.

Un approccio esclusivamente quantitativo, prescindendo dal “pe- so” del singolo elemento considerato, ancorché indiziante, si mostra del tutto incapace di esprimere una scelta di valore, che non può certo essere ricostruita attraverso una sommatoria di criteri “deboli”, la cui efficacia “persuasiva” rimane inalterata anche al cospetto di una loro (potenziale o effettiva) proliferazione.

Al contrario, il confronto tra la fattispecie in esame e l’intera disci- plina nella quale essa si trova inserita può far emergere “incongruenze macroscopiche”76, che si oppongano all’una o all’altra natura ovvero

può, in positivo, consentire di individuare determinate opzioni di po- litica legislativa, che facciano propendere per una certa qualificazione di quell’elemento, altrimenti non in grado di manifestarsi.

Ed è proprio sul terreno dell’interpretazione sistematica che è, a no- stro avviso, possibile cogliere segnali in grado di lumeggiare sulla natu- ra circostanziale o autonoma della fattispecie di cui all’art. 319 ter c.p., risolvendosi, in ultima analisi, nella valutazione della maggiore o mino- re fondatezza degli argomenti sostenuti a favore dell’una o all’altra tesi, che traggono linfa proprio dalle ricadute applicative derivanti dall’op-

lesioni dolose di cui all’art. 582 c.p., che al contrario debbono essere considerate come circostanze aggravanti per la qualificazione espressa in questi termini conte- nuta sia nel testo dell’art. 582 c.p. che nella rubrica dell’art. 583 c.p., oltre che per la descrizione del fatto per relationem.

76 Espressione che si deve a R. BARTOLI, Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, cit., p. 310.

zione prescelta in termini di armonizzazione della disposizione con il contesto (ordinamentale) nel quale essa va a collocarsi.

In particolare, secondo l’impostazione assolutamente prevalente, si ritiene che la corruzione in atti giudiziari sia un autonomo titolo di reato in ragione di una duplice considerazione di tipo (per lo più) sistematico:

1) si attribuisce, in primo luogo, al dolo specifico (“per favorire o danneggiare una persona in un processo civile, penale o amministra- tivo”) – mediante il quale si realizza un’evidente anticipazione della soglia di punibilità rispetto al passato, quando l’applicazione della circostanza aggravante della corruzione in atti giudiziari era subordi- nata all’effettiva verificazione dell’evento danno o favore nei confronti di una parte processuale – la funzione di distinguere la fattispecie in oggetto dalla corruzione ordinaria77, alla stessa stregua di quanto ac-

cade per altre norme del sistema, parimenti debitrici all’elemento fi- nalistico “aggiuntivo” della loro autonomia. Si pensi, ad esempio, al sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) o a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289 bis c.p.) rispetto al sequestro di persona (art. 605 c.p.).

In realtà, più che per il tramite di un’interpretazione sistematica, si tende ad assegnare al dolo specifico un ruolo discriminatorio tra di- versi titoli di reato per la valenza teleologica da esso espressa, nel senso che, nell’ambito di questa fattispecie, detto elemento finalistico con- tribuirebbe a “rimodellare” tutto il piano dell’offesa, anziché limitarsi