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Quando ci si interroga sul momento consumativo della corruzione in atti giudiziari non si riscontrano peculiarità problematiche diverse da quelle che sono state da tempo affrontate e risolte con riferimento alle ipotesi di corruzione ordinaria.

Più precisamente, anche per tale fattispecie, la Suprema Corte si è allineata all’indirizzo, oramai consolidato in tema di corruzione116, se-

condo cui anche il delitto in esame si presenta come reato c.d. a duplice schema, con la conseguenza che il momento consumativo non può dirsi unitario, variando a seconda che ci si trovi dinanzi al modello c.d. prin- cipale od ordinario ovvero al modello c.d. sussidiario o contratto.

Danno contenuto al primo di essi due essenziali attività, tra loro col- legate e l’una funzionale all’altra, rappresentate dall’accettazione della promessa e dal ricevimento dell’utilità; poiché ricorrono entrambe, il reato potrà dirsi consumato al momento della ricezione del denaro, che avrebbe l’effetto di assorbire il precedente atto di accettazione della pro- messa, dando vita ad un’ipotesi assimilabile a quella del reato progressi- vo, poiché contraddistinta dal passaggio necessario da un minus (la promessa) ad un maius (la dazione). Percorrendo tale iter, la promessa, quale momento prodromico, verrebbe a saldarsi con la dazione, perden- do la propria autonomia, confondendosi con quest’ultima e contribuen- do entrambe al completamento della fattispecie. Soltanto con la dazio- ne, infatti, si realizzerebbe quell’“approfondimento dell’offesa tipica”117,

116 Affermatosi in realtà soltanto a partire dalla metà degli anni 90 (si veda Sez. VI, 10 luglio 1995, Caliciuri, in Cass. pen., 1996, p. 2549, con nota critica di R.RAM-

PIONI,Momento consumativo del delitto di corruzione ed escamotages giurispruden-

ziali in tema di decorso del termine di prescrizione), perché sino ad allora, fatta ec- cezione per un isolato precedente (Sez. VI, 26 marzo 1974, Galluzzo, ivi, 1975, p. 755) ripreso pedissequamente da una sola pronuncia (Sez. VI, 25 gennaio 1982, Albertini, ivi, 1983, p. 1966), poteva dirsi prevalente il contrario indirizzo, per il qua- le il delitto di corruzione si sarebbe consumato con il mero raggiungimento del- l’accordo tra corrotto e corruttore, a prescindere dall’effettiva dazione delle ricom- pense (per tutte, Sez. VI, 27 marzo 1984, De Rosa, in Giust. pen., 1985, II, c. 27; Sez. VI, 7 dicembre 1989, Lombardo, in Riv. pen., 1990, p. 877).

117 In questi termini A. PAGLIARO,La fattispecie di corruzione come legge mista al- ternativa, in Dir. pen. proc., 1997, p. 850 ss.; A. PAGLIARO-M.PARODIGIUSINO,Princi-

sub specie di offesa crescente dello stesso bene giuridico, che “esauri- sce” la fattispecie, determinandone la consumazione. Conseguente- mente, ove la dazione-ricezione avvenga in più rate, il momento con- sumativo andrebbe postergato al versamento dell’ultima rata, poiché ciascuna di esse attualizzerebbe, di volta in volta, l’offesa all’interesse tutelato118.

Connota il modello c.d. sussidiario o contratto, invece, la sola pro- messa accettata, a cui non segua la dazione-ricezione del denaro o di altra utilità. Soltanto in questa ipotesi potrebbe farsi coincidere il mo- mento consumativo con quello della conclusione del pactum sceleris, facendo difetto quella maggiore concretizzazione dell’attività corrutti- va, consistente nel trasferimento della moneta o di altra utilità da un soggetto ad un altro, la quale costituirebbe un aspetto centrale della condotta antigiuridica119.

pi di diritto penale, Parte speciale, I, cit., p. 258 ss.; nello stesso senso M.B.MIRRI,

Corruzione, cit., p. 9; G. RICCIO,Corruzione (delitti di), in N. Dig. it., IV, Torino, 1959, p. 902, per il quale la “fattispecie” della promessa sarebbe assorbita in quella della consegna.

118 Con riferimento alla corruzione propria cfr., tra le tante, Sez. VI, 6 maggio 2014, n. 23365, in www.penalecontemporaneo.it; Sez. VI, 30 novembre 2006, n. 39781, in Guida dir., 2007, n. 3, p. 81; Sez. VI, 6 dicembre 2004, n. 47191, in Giur. it., 2005, c. 1695; Sez. VI, 24 luglio 2003, n. 31402, in Guida dir., 2003, n. 10, p. 83; Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 23248, in Cass. pen., 2004, p. 2395; Sez. VI, 29 gennaio 2003, n. 13619, ivi, 2004, p. 2300.

119 In tema di 319 ter c.p. cfr. Sez. un., 25 febbraio 2010, Mills, cit.; Sez. VI, 9 luglio 2007, Fezia, cit.; Sez. VI, 4 maggio 2006, Battistella, cit. In tema di corru- zione, accanto al prevalente orientamento giurisprudenziale al quale quello ripor- tato nel testo aderisce mutuandone i passaggi argomentativi per applicarli alla fat- tispecie di corruzione in atti giudiziari, si registra un diverso percorso ermeneuti- co, intrapreso da qualche sparuta sentenza della Suprema Corte (cfr. Sez. VI, 20 maggio 1998, De Michelis, in Giust. pen., 1999, II, c. 385; Sez. VI, 12 novembre 1996, Rapisarda ed altri, in Cass. pen., 1998, p. 1994; Sez. V, 13 dicembre 1993, Agostinelli ed altri, in C.E.D. Cass., n. 197723), secondo cui la promessa e la da- zione integrerebbero due fattispecie autonome e concorrenti di pari gravità, tra lo- ro legate dal vincolo della continuazione, con la duplice conseguenza che la com- petenza per territorio determinata dalla connessione dovrebbe radicarsi, ai sensi dell’art. 16 c.p.p., nel luogo in cui è stato commesso il primo reato e, dunque, ove si è concluso l’accordo; mentre il termine di prescrizione avrebbe dovuto decorrere (non essendo allora intervenuta la modifica, poi introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, all’art. 158, comma 1, c.p., che ha sottratto il reato continuato alla disciplina a tutt’oggi prevista per il reato permanente) dal momento della cessazione della continuazione, vale a dire dall’ultima dazione. Si tratta, tuttavia, di una ricostru- zione dogmatica senza dubbio fallace, perché si fonda sull’implicita ed erronea ascrizione della corruzione tra le disposizioni a più norme, quando invece essa de- ve essere più correttamente collocata tra le norme a più fattispecie (alternative Mi-

Di pressoché esclusiva derivazione giurisprudenziale, questa impo- stazione ha trovato, di recente, un avallo dottrinale nel ripensamento di chi120, avendo originariamente assunto una posizione critica nei con-

fronti della frammentazione del reato nei due diversi “modelli” di rea- lizzazione sopra illustrati, ha ritenuto di condividere l’idea che il delit- to di corruzione – e quindi anche quello di corruzione in atti giudizia- ri – presenti una “figura-madre”, costruita sulla dazione e sull’effettiva ricezione del denaro quale “momento più qualificante dell’attività cor- ruttiva”, ed una sottofattispecie, costituita dalla accettazione della pro- messa, che il legislatore avrebbe inteso sanzionare, al pari della – astrat- tamente – più grave condotta di ricezione del denaro, al fine di repri- mere con tempestività un comportamento già di per sé idoneo ad al- terare, inquinandolo, il rapporto tra pubblica amministrazione e col- lettività. È per questa ragione che la dazione effettiva non potrebbe essere espunta dalla tipicità del reato come se fosse un fatto esterno alla struttura della fattispecie ma, al contrario, identificherebbe il mo- mento consumativo “sostanziale” di un reato, nel quale la promessa ac- cettata ma non “eseguita” altro non sarebbe se non una sottofigura sus- sidiaria rispetto alla principale, attorno a cui andrebbe dunque a con- centrarsi il disvalore di fattispecie.

A conclusioni non dissimili, ancorché sviluppate lungo una diret- trice dogmatica nient’affatto coincidente, perviene quella parte della dottrina121 che, nel condividere l’idea che consumazione si abbia sol-

tanto con la dazione, ricorre, per spiegarne i tratti di operatività, alla figura del reato eventualmente permanente – inteso quale protrazione in concreto dell’offesa, senza che ciò sia richiesto dalla legge per l’esi- stenza del reato – segnando così una rimarchevole distanza rispetto all’ipotesi di realizzazione in forma “contratta”, sulla cui natura di reato

istantaneo nessuno ha mai avanzato dubbi di sorta122.

Per un secondo orientamento, invece, siccome il disvalore della corruzione sarebbe integralmente riposto nella stipulazione del pac- tum sceleris – come comprovato dal fatto che, nella corruzione ante-

schgesetze), ove le varie opzioni comportamentali descritte dal legislatore assumo- no un carattere meramente modale, di condotte tra loro fungibili ed equivalenti, dalla cui plurima realizzazione origina comunque un unico reato e non più reati avvinti dal vincolo della continuazione.

120 C.B

ENUSSI,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., pp. 685-686. 121 Cfr. G. M

ARRA,Corruzione: norma a più fattispecie o disposizione di legge a più norme?, in Cass. pen., 1998, p. 88.

122 Qualifica, di recente, la corruzione per l’esercizio della funzione come reato eventualmente permanente Sez. VI, 27 novembre 2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619.

cedente, sia l’esercizio della funzione conforme all’ordinamento che il compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio sono estranei alla tipicità del delitto e, come tali, indifferenti ai fini della consumazione – ciò dovrebbe, a maggior ragione, valere per l’adempimento della pro- messa – ovvero per la materiale consegna o messa a disposizione di quanto precedentemente concordato – anch’esso senz’altro non inqua- drabile tra gli elementi costitutivi e dunque valutabile soltanto come comportamento susseguente al reato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 133 c.p., trattandosi di un’ipotesi di post factum non punibile123.

In definitiva, la corresponsione del denaro o di altra utilità, posse- dendo un carattere di mera esecutività rispetto all’accordo, risultereb- be assorbita nella promessa, ricadendo nell’alveo del penalmente in- differente.

A nostro avviso, il primo orientamento, sebbene da ritenersi oramai “diritto vivente” per la sua diffusa capacità di “penetrazione” nell’inte- ro panorama giurisprudenziale, deve essere respinto, perché sorretto più dalle esigenze pratiche che esso mira a soddisfare che dal rispetto della dimensione precettiva della norma incriminatrice e, quindi, in ultima analisi, del principio di tipicità.

La fragilità delle soluzioni prospettate al fine di “offrire” alla posti- cipazione del momento consumativo un corretto inquadramento dog- matico rappresenta un elemento fortemente indiziante della forzatura ermeneutica impressa dalla tesi che qui si critica, dominata dallo sforzo di postergarlo onde scongiurare, anzitutto, il rischio di una declaratoria di estinzione del reato di corruzione (e, per quel che qui interessa, di corruzione in atti giudiziari) per decorso del termine di prescrizione124.

123 Di questo avviso M.R

OMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., pp. 146-147; A.SEGRETO-G.DELUCA,I delitti dei pubblici ufficiali, cit., pp. 436-437;

C.F. GROSSO,Corruzione, cit., p. 165. Parla di reato di mera condotta, che come tale si consuma all’atto della definizione del pactum sceleris, V. RUSSO,Corruzione, in A. CADOPPI-S.CANESTRARI-A.MANNA-M.PAPA,Trattato di diritto penale. I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 237. In giurisprudenza, senz’altro minoritaria, cfr. Sez. VI, 26 aprile 2004, Medici, in C.E.D. Cass., n. 229780, che sottolinea come il momento consumativo sia unico e che esso si cristallizza nell’accettazione dell’ac- cordo corruttivo da parte del pubblico ufficiale, anche se poi il reato può articolarsi, nelle sua modalità esecutive, nella corresponsione ‘frazionata’ in rate mensili del cor- rispettivo pattuito; Sez. VI, 27 maggio 1996, Bevilacqua ed altri, ivi, n. 206201; Sez. VI, 16 aprile 1996, Squillante, in Cass. pen., 1997, secondo cui la materiale dazione di somme di denaro costituirebbe “un semplice momento satisfattivo della comples- siva vicenda”, incapace di modificare il locus commissi delicti; Sez. VI, 25 marzo 1994, Caputo, ivi, 1996, pp. 3340-3341.

124 È piuttosto comune da parte degli autori che si oppongono a tale impostazio- ne (tra gli altri: R. ZANNOTTI,I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica ammi-

In primo luogo, non appare plausibile invocare la figura del reato progressivo. Esso, quale species del reato complesso in senso lato, po- stula due fattispecie di reato, nelle quali l’una contenga, quale elemen- to costitutivo o eventuale, l’altra, di talché la commissione del reato maggiore implichi il passaggio, necessario o eventuale, attraverso il reato minore.

Applicato tale schema concettuale al caso che ci occupa, si vorrebbe sostenere che l’equiparazione quoad poenam tra accordo e dazione av- venga soltanto in una prospettiva di anticipazione della tutela, senza che tuttavia possa escludersi che la seconda esprima un disvalore più inten- so rispetto al primo, alla stessa stregua di quanto accade per il danno rispetto al pericolo. Di conseguenza, soltanto al momento della effettiva corresponsione del denaro – rispetto alla quale il patto altro non sareb- be che un passaggio preliminare – il fatto di reato raggiungerebbe la sua massima gravità concreta, giungendo così alla consumazione.

Ebbene, anche al di là della opinabile scissione tra perfezione e consumazione, qui sostanzialmente riproposta ma in realtà più pro- priamente riferibile (soltanto) ai reati permanenti anziché ai reati istantanei125, va segnalato come, nell’ipotesi in parola, non vi sia al-

nistrazione: inefficienze attuali e prospettive di riforma, in Cass. pen., 2004, p. 1830; nello stesso senso M.ROMANO,I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 148; R.RAMPIONI,Momento consumativo del delitto di corruzione, cit., p. 2563) l’osserva-

zione che si tratti di una soluzione artificiosa, escogitata soltanto per “contingenti ragioni processuali riconducibili ai tempi normalmente lunghi occorrenti per l’ac- certamento dei reati di corruzione”. Ma non è soltanto la prescrizione – che comun- que assolve ad una funzione di garanzia processuale e sostanziale e non è soltanto un male da programmaticamente evitare – ad essere interessata dallo slittamento del momento consumativo: esso infatti può determinare rilevanti effetti anche in tema di amnistia (che potrebbe risultare non applicabile); di concorso di persone nel reato (per chi dia il proprio contributo soltanto alla dazione ma non anche alla conclusione del patto); di arresto in flagranza (che sarebbe possibile sino a quando i soggetti, a seguito del patto, siano impegnati nel trasferimento del denaro dalla sfera patrimoniale dell’uno a quella dell’altro); di legge penale applicabile (che potrà essere quella in vigore al momento dell’ultima frazione dell’azione, anche se più sfa- vorevole rispetto a quella vigente al tempo della prima frazione della condotta); e, infine, di competenza per territorio (dovendosi ritenere competente a giudicare il giu- dice del luogo ove si sia verificata l’ultima consegna-ricezione dell’utilità pattuita).

125 Per le argomentazioni a sostegno dell’idea per cui soltanto nel reato permanente non vi sarebbe coincidenza tra momento “realizzativo” e momento “consumativo”, avendosi qui un reato perfetto ma non ancora “esaurito” sul piano dell’offesa, a diffe- renza di quanto accade nei reati istantanei, nei quali la consumazione si risolve ne- cessariamente in un punctum temporis, cfr., diffusamente, R.RAMPIONI,Contributo alla

teoria del reato permanente, Padova, 1988, p. 235; ID.,«Evanescenza» del contenuto del- l’offesa e «mobilità» del momento consumativo dei delitti di corruzione nella divagazioni giurisprudenziali in tema di competenza per territorio, in Cass. pen., 2004, p. 2318 ss.

cuna previsione legale autonoma, invero necessaria ai fini di un in- quadramento dell’istituto nell’alveo del reato progressivo, che tipizzi, da un lato, la promessa e, dall’altro, la dazione/ricezione, le quali ven- gono descritte dal legislatore come condotte alternative (nel segno del- le c.d. norme a più fattispecie e non delle disposizioni a più norme), pe- raltro accomunate dal medesimo trattamento sanzionatorio.

Né si potrebbe validamente assumere che la dazione del compenso realizzi un approfondimento dell’offesa tipica, perché, se si muove dal postulato, da tutti condiviso, che l’accordo corruttivo sia di per sé suf- ficiente ad incidere sul buon funzionamento della pubblica ammini- strazione, non si vede in che modo alla ricezione del denaro possa cor- rispondere una maggiore compromissione del bene giuridico tutelato.

In sostanza, la natura “reale” (dazione-ricezione) della modalità di concretizzazione del patto sta oltre la tipicità, la quale risulta già com- piutamente integrata dalla natura meramente “obbligatoria” (promes- sa-accettazione) di essa e potrà caso mai, al più, essere oggetto di va- lutazione ai fini della commisurazione della pena, ai sensi dell’art. 133, comma 2, c.p.

D’altro canto, non si mostra persuasivo neppure quel diverso ap- proccio, che tende a ricondurre il c.d. duplice schema alla categoria dei reati eventualmente permanenti.

Prima di illustrare le ragioni per cui anche tale impostazione non meriti accoglimento appare opportuna una breve digressione su quale sia la più corretta accezione di reato eventualmente permanente e co- me debba essere declinato il rapporto tra perfezione e permanenza.

In proposito, si contendono il campo due diverse impostazioni, che si pongono come obiettivo quello di assegnare un’esatta collocazione alla permanenza quale fase giuridicamente rilevante.

Secondo un primo indirizzo, per la verità sostenuto da una parte minoritaria della dottrina, la permanenza non potrebbe essere conce- pita come una particolare modalità di realizzazione del fatto, necessa- ria ai fini dell’integrazione del tipo, perché, così opinando, si finirebbe per confonderla con il carattere non istantaneo che connota il mo- mento perfezionativo di talune fattispecie incriminatrici (si parla, al riguardo, di reati a perfezione non istantanea)126.

126 Di questo avviso, in particolare, A. P

ECORAROALBANI,Del reato permanente,

in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, p. 416 ss.; R. RAMPIONI,Contributo alla teoria del reato permanente, cit., p. 20 ss.; ID.,Reato permanente, in Enc. dir., XXXVIII, Mila- no, 1987, p. 859; G.A.DEFRANCESCO,Associazione per delinquere e associazione di

tipo mafioso, in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, pp. 290-291; ID.,Profili strutturali e processuali del reato permanente, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, p. 567, secondo cui la categoria dei reati necessariamente permanenti non sarebbe altro che il pre-

In altri termini, la permanenza, lungi dal potersi “contaminare” con la tipicità e dunque con la perfezione del reato, darebbe avvio ad una nuova fase, a questa successiva, del tutto eterogenea rispetto al mo- mento dell’esecuzione del reato e della conseguente integrazione dei suoi elementi costitutivi, e come tale di per sé non oggetto di incrimi- nazione per quanto con questa in rapporto di “dipendenza contenuti- stica”127, limitandosi il legislatore a descrivere il fatto tipico e non an-

che la sua eventuale durata nel tempo.

Per un secondo indirizzo, a tutt’oggi prevalente128, la permanenza ri-

leverebbe anche ai fini della perfezione, la quale, nei reati permanenti, troverebbe la sua concretizzazione non solo nella condotta mediante la quale si instaura uno stato antigiuridico, ma anche in quella funzio- nale al suo mantenimento per un lasso di tempo giuridicamente ap- prezzabile. Incriminando il legislatore anche la successiva condotta di protrazione dell’offesa, la permanenza entrerebbe a far parte della ti- picità, di cui condividerebbe un nucleo comune, per poi innescare una fase ulteriore ed autonoma, solo in parte estranea alla descrizione della fattispecie astratta e che rileverebbe soltanto ad altri fini, quali quelli espressamente richiamati in tema di decorrenza del termine di prescri- zione (art. 158 c.p.), di competenza per territorio (art. 8, comma 3, c.p.p.) e di durata dello stato di flagranza (art. 382, comma 2, c.p.p.)129.

Così sommariamente ripercorse le cadenze del dibattito in ordine alla sussistenza o meno di profili di interferenza tra permanenza e struttura della fattispecie legale, è necessario segnalare quali ricadute applicative discendano da tali divergenti approcci concettuali.

cipitato di un errore di prospettiva, consistente nell’indebita sovrapposizione tra condotta esecutiva di durata e permanenza; R. BARTOLI,Sulla struttura del reato per-

manente: un contributo critico, ivi, 2001, p. 139 ss.

127 Il che significa, in altri termini, che alla distanza che separerebbe perfezione e permanenza da un punto di vista squisitamente cronologico si accompagnerebbe una perfetta coincidenza sul piano del contenuto di disvalore, che si protrarrebbe identico a se stesso in tutta la fase di durata successiva alla perfezione. Sul punto, di estremo interesse ai fini della individuazione di un criterio discretivo tra essen- za della permanenza e suoi effetti, torneremo tra breve.

128 Così F. M

ANTOVANI,Diritto penale, Parte generale, cit., p. 429; G. FIANDACA-E.

MUSCO,Diritto penale, Parte generale, cit., p. 209 ss.; M.ROMANO,Commentario si- stematico del codice penale, I, Milano, 2004, p. 18; T. PADOVANI,Diritto penale, Mi- lano, 2012, p. 274.

129 A ben vedere si registra anche un terzo indirizzo, propugnato da un’isolata dottrina, secondo cui la permanenza in senso stretto si esaurirebbe nella tipicità della fattispecie legale, dovendo la lesione del bene necessariamente protrarsi per un certo periodo di tempo, decorso il quale il reato permanente potrebbe dirsi “con- sumato”. In questo senso cfr. M. SPASARI,L’omissione nella teoria della fattispecie penale, Milano, 1957, pp. 156-157.

Distinguendosi, come fa il primo orientamento, tra reati che si per- fezionano in un solo istante e reati nei quali il momento integrativo della fattispecie (e non la permanenza) è necessariamente di durata, giacché non è sufficiente che gli elementi costitutivi del reato vengano ad esistenza ma si richiede che essi si “mantengano” per un minimum di tempo giuridicamente apprezzabile, il punto di “frattura” tra reati istantanei (se del caso ad effetti permanenti) e reati permanenti po- trebbe cogliersi soltanto nella concreta protrazione, ad opera del sog-