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Fino a che punto deve arrivare la sottomissione agli ordini del padro ne? Nella partita che si sta giocando in questi primi dibattiti, libertà e uguaglianza,

pur presentate come diritti naturali, inalienabili e sacri («droits naturels, inaliénables et sacrés»68), non sono la carta risolutiva, l’asso in grado di battere le antiche gerar- chie facendone piazza pulita. Per secoli, l’assenza di volontà è stata vista come ele- mento costitutivo dell’esser servo, fosse essa concepita come dato naturale o come “dovere professionale”. Certo, molti autori, come accennato, ritenevano che tale as- senza di volontà non dovesse essere assoluta, e sollecitavano i servitori a non asse- condare i voleri padronali fino al punto di eseguire ordini contro la religione, la legge o la morale. Che le idee circa la passività dei servi fossero più radicate di quelle circa la loro capacità di scelta autonoma lo testimonia, tuttavia, proprio il fatto che – nel momento stesso in cui i principi di libertà e uguaglianza erano affermati con tanta enfasi – non se ne estendesse anche a loro l’effettivo godimento tramite l’esercizio del voto proprio a causa di una presunta mancanza di volontà libera e indipendente. Allo stesso tempo, però, non manca chi richiama proprio il diritto-dovere dei ser- vi di disobbedire per dissuadere i domestici dall’abbracciare la causa dei padroni, qualora questi ricorrano alle armi per difendere i loro privilegi ingiusti e tirannici. Si tratta dell’autore di uno dei tanti libelli pubblicati nel fermento rivoluzionario, l’Avis

à la livrée. Timoroso di sconvolgimenti radicali, egli chiarisce di non voler affatto at-

tizzare «lo spirito di indipendenza e di ribellione», né «abbattere la barriera» tra ser- vi e padroni che l’ordine sociale prevede. Al contempo, tuttavia, fa appello alla soli- darietà di classe per indurre i servitori a difendere la causa rivoluzionaria. E cerca di

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AP, tome XII, pp. 260-262: «Art. 7. Ne seront réputés domestiques ou serviteurs à gages, les intendantes ou régisseurs, le ci-devant feudistes, les secrétaires, les charretiers ou maîtres-valets de labour, employés par les propriétaires, fermiers ou métayers, s’ils réunissent d’ailleurs les autres conditions exigées». Per la traduzione di “maîtres-valets de labour” con “capofattori” seguo A.G. Michler, alla quale si deve la traduzio- ne italiana del volume di P. ROSANVALLON, Le sacre du citoyen, cfr. P. ROSANVALLON, La Rivoluzione dell’uguaglianza, p. 132.

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Vedasi nota 65. 68

guadagnarsi la fiducia di chi è restio a seguire i suoi consigli per paura di perdere il posto, prospettando un «nuovo ordine» che aumenterà il numero dei ricchi e molti- plicherà le occasioni d’impiego, visto che «l’uomo ricco avrà sempre bisogno di servi- tori». L’autore che cerca di barcamenarsi in questo modo tra conservazione e rinno- vamento si presenta come un domestico desideroso di comunicare le sue riflessioni ai colleghi («mes camarades»)69. Non si può escludere, naturalmente, che fosse tale, ma pare più verosimile che si trattasse di un borghese70. Il testo è comunque interes- sante proprio per i suoi equilibrismi:

«Ecco il momento [...] di discutere fino a che punto deve arrivare il nostro attaccamento ai padroni e la sottomissione ai loro ordini. A Dio non piaccia che io voglia distrarvi dalla fe- deltà, che la ragione così come la religione rende per noi un dovere! [...] niente dispensa dal rispettarla [...] Obbediamo dunque ai nostri padroni in tutto ciò che è giusto, ragione- vole, legittimo. Prestiamoci anche ai loro capricci [...] Ma se la loro volontà li spinge a tur- bare l’ordine pubblico, a sovvertire la società, noi siamo di diritto dispensati dall’obbedirli. Le leggi divine e umane ci sottraggono alla loro autorità [...] Se [...] i nobili [...] concepisse- ro il progetto insensato di voler difendere a mano armata le prerogative ingiuste e tiranni- che che hanno usurpato, e che un troppo lungo godimento fa loro considerare come diritti

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Avis à la livrée, par un homme qui la porte, A l’antichambre et se trouve à l’office, 1789, p. 31, pp. 34-35: «L’homme riche aura toujours besoin de serviteurs [...] le nouvel ordre des choses fera plus de gens riches, & multipliera les places pour nous»; «né sous la livrée, & la portant depuis de trente ans»; «Je ne cherche point à semer parmi vous l’esprit d’indépendance & de rébellion. Mon but n’est pas de renverser la barrière que l’ordre social a posée entre nous & nos patrons». Questo scopo non impedisce all’autore di parlare con amarezza, seppur senza accenti rivendicativi, della condizione di oppressione in cui vivono i domestici e del fatto che sono «privés par notre état de toute influence, de toute voix dans les assemblées de nos paroisses» (p. 3). Di questo opuscolo esiste anche una seconda edizione (che non ho visto) sempre del 1789. Louis- Marie Prudhomme (1752-1830), libraio-stampatore, scrittore, giornalista, editore dal luglio 1789 al febbraio 1794 di «Révolutions de Paris», in un accenno autobiografico sulle pagine di tale giornale si presenta come editore dell’opuscolo. Il riferimento è all’aprile 1783, ma si tratta verosimilmente di un accenno che fonde due diversi casi in cui Prudhomme ebbe a che fare con la polizia, uno nel 1783 e uno nel 1789. Lo si evince dalla lettura del libro nella recensione del quale si trova il cenno autobiografico, cfr. «Révolutions de Paris», N°. 104, troisième année de la liberté française, huitième trimestre, pp. 669-674, in part. 671. L’opera recen- sita è P. MANUEL, La police dévoilé, Paris, J. B., Garnery – Strasbourg, Treuttel – Londres, de Boffe, L’an se- cond de la Libertè [1791], 2 voll.: nel vol. 1, alle pp. 69-72, si parla di Prudhomme e, tra l’altro, si menziona un sequestro di libri da parte della polizia; uno dei libri sequestrati è definito come Les conseils à la livrée (ma Prudhomme, parlando del fatto, cita il libro come Avis à la livrée). Tale sequestro è collocato da Manuel nell’estate del 1789 (i riferimenti temporali non sono chiarissimi ma parrebbe avvenuto il 20 giugno o poco dopo). Le informazioni su Prudhomme sono tratte dal Catalogo delle Bibliothèque Nationale de France (http://catalogue.bnf.fr).

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C. PETITFRÈRE, L’oeil du maître, p. 76, lo ritiene senza dubbio un borghese; altri autori (autrici in questo caso) insinuano il dubbio che non sia scritto da un domestico ma senza poi pronunciarsi in modo esplicito (ad esempio S. MAZA, Servants and Masters, p. 305: «allegedly written by a servant»; C. FAIRCHILDS, Dome- stic Enemies, p. 230: «Ostensibly written by a domestic»).

imprescrittibili, dovremmo farci loro complici? Noi non possiamo abbracciare la loro causa senza tradire la nostra. Noi dobbiamo proteggerli e difenderli, anche a rischio della vita, contro i malfattori ma saremmo colpevoli di lesa maestà tanto quanto loro, se fornissimo loro le nostre braccia contro gli ordini del re. Cosa difendono? dei diritti che opprimono la

classe in cui siamo nati, e noi dovremmo aiutarli a conservare questo dispotismo?»71.

Istrioni e boia, ma non domestici.

Le ambiguità dell’Avis à la livrée sono senza

dubbio legate ai suoi intenti propagandistici. Ma forse dipendono anche dal fatto che l’opuscolo probabilmente risale all’alba della Rivoluzione, quando i valori dell’antico regime sono ancora ben presenti (forse è addirittura precedente alla Dichiarazione

dei diritti del 26 agosto 178972). Rispetto all’Avis, le solenni prese di posizione dell’Assemblea nazionale e gli articoli della costituzione sono chiaramente altra cosa, hanno tutt’altro peso, profondità e implicazioni. Eppure anche lo spavaldo bastimen- to dei principi universali si schianta contro le scogliere di una tradizione bimillena- ria, e larghe falle si aprono nello scafo. L’affermata universalità di fatto va a picco. Resta a galla qualche parte dell’imbarcazione, dove orgogliosi si leggono ancora i nomi di uguaglianza e libertà. Meglio di nulla: la navigazione in qualche modo con- tinua. Ma non è l’arca di Noè, che salva tutti: gli imbarcati sono un gruppo ristretto,

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Avis à la livrée, pp. 9-10, 13-14. Riporto un estratto più lungo di quello tradotto nel testo (le pagine sono comunque quelle indicate): «Voici le moment [...] de discuter à quel degré nous devons porter t’attachement à nos maîtres, & notre soumission à leurs ordres. A Dieu ne plaise que je veuille vous dé- tourner de cette fidélité, dont la raison nous fait un devoir aussi bien que la religion! Mais c’est dans cette dernière même, que je trouverai la mesure de l’étendue que nous devons donner à ce dévouement. Dans quelque état que l’on soit, rien ne dispense de le remplir. S’il vous déplait; quittez-lé; mais tant que vous y êtes & qu’il pourvoit à vos besoins toutes les obligations qu’il vous impose sont sacrées pour vous, si oné- reuses, si humiliantes qu’elles puissent être. Obéissons donc à nos maîtres dans tout ce qui est juste, rai- sonnable, e légitime. Prêtons-nous même à leurs caprices [...] Mais si leur volonté les meut à intervestir [sic] l’ordre public, à troubler la société, nous sommes de droit dispensés de leur obéir. Les loix [sic] di- vines & humaines nous soustraient à leur autorité [...] Si le malheur arrivoit [sic] que les nobles attirés par la puissance suprême des loix [sic], & de la nation assemblée, formassent le projet insensé de lutter contre elles, & de vouloir défendre à main armée les prérogatives injustes & tyranniques qu’ils ont usurpées, & qu’une trop longue jouissance leur fait regarder comme des droits imprescriptibles: est-ce à nous de nous rendre complices? Nous ne pouvons embrasser leur cause sans trahir la nôtre. Nous devons les protéger & les défendre, au péril de notre vie, contre les malfaiteurs mais nous serions criminels de lèse-majesté aussi bien qu’eux, si nous leur prêtions nos bras contre les ordres du roi. Que défendent-ils? des droits qui op- priment la classe dans laquelle nous sommes nés, & nous les aiderions conserver ce despotisme»? 72

ben lontano dalla totalità degli umani. Accanto ai domestici, ne sanno qualcosa, na- turalmente, anche le donne, e gli altri esclusi.

Significativamente, fa appello proprio alla contraddizione tra altisonanti afferma- zioni di principio ed esclusioni di fatto un altro opuscoletto che si rivolge ai domesti- ci, ma perseguendo un diverso obiettivo rispetto all’Avis à la livrée: esaltare la «buo- na causa» di re Luigi XVI e distogliere i servitori da possibili simpatie per la demo- crazia («sur tout point de démocratie»). L’occasione che spinge l’autore a scriverlo è l’ammissione alla piena cittadinanza, nel dicembre del 1789, di attori e carnefici, mentre permane l’esclusione dei domestici.

«Signori, sopporterete ancora a lungo di essere separati dalla classe dei cittadini? se voi l’accettate con il vostro silenzio, ecco due classi [di cittadini] riconosciute, cosa contraria alla dichiarazione dei diritti dell’uomo, primo principio, e prima base sulla quale si fonda la costituzione [...] Signori, vi si è potuto dire che eravate liberi, e vi si avvilisce più di quanto non lo foste, privandovi [del diritto] di partecipare alle assemblee, di avervi voce, e lo si accorda agli ISTRIONI,ai BOIA!»73

Implicitamente, attraverso l’uso frequente del nous, accanto a quello del vous, l’autore anche in questo caso si presenta come un domestico.

Dichiara di essere un domestique, questa volta con nome e cognome, anche tal Germain-Nicolas Leblond, detto Comtois, che invia l’opuscoletto alla redazione del «Moniteur Universel» affinché venga pubblicato. Gli è stato offerto – spiega – mentre

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Avis très-important, adressé à tous les Intendants, Maîtres d’hôtel, Cuisiniers, Pâtissiers, Rôtisseurs, Valets de chambre, Domestiques en livrée et autres, Suisses, Portiers, Cochers, Postillons, Jockeis, Ceux des négo- ciants, Financiers, Bourgeois et Artisans: en un mot, tous ceux qui reçoivent des salaires, jusqu’aux Bonnes, Femmes de chambre, Cuisinières, Filles de cuisine et Marmitons: si tratta di quattro facciate, senza indica- zioni tipografiche; a penna vi è apposta la data 1789. Le citazioni sono tratte dalle pp. 2-3: «souffrirez-vous, Messieurs, que vous soyez séparés plus long-temps de la classe des citoyens? si vous l’adoptez par votre si- lence; voilà deux classes reconnues, ce qui est contraire à la déclaration des droits de l’homme, premier principe, et premiere [sic] base sur laquelle-est fondée la constitution [...] Messieurs, on a pu vous dire que vous étiez libres, et on vous avilit plus que vous ne l’étiez en vous privant d’assister aux assemblées, d’y avoir voix, et on l’accorde aux HISTRIONS, aux BOURREAUX!». L’elenco delle persone al quale l’autore si rivolge, ci dà probabilmente misura di quanto il concetto di domestique potesse essere vago. È interessante che includa anche le domestiche, quasi a voler coinvolgere anche loro in un comune moto di sdegno contro quelli che vengono definiti demagoghi. Sul dibattito relativo al voto ad attori e carnefici, ma anche a protestanti ed ebrei, che ebbe luogo nel dicembre 1789, cfr. P.J.B.BUCHEZ en collaboration avec J.BASTIDE –E.S. DE BOIS-LE- COMTE –A.OTT, Histoire parlementaire de la Révolution française, tome II, Paris, Hetzel, 1846 (II ed.), pp. 443-445. Per una sintesi recente cfr. A. VENERI, Robespierre costituente, tesi di dottorato, Università di Par- ma, 2008, pp. 223-224.

passava sul Pont-Neuf. Dopo averlo letto, ha avuto la tentazione di bruciarlo ma poi ha deciso di inviarlo al giornale per dargli pubblicità, in modo che i suoi colleghi possano guardarsi dallo spirito infernale che l’ha dettato. Aggiunge di non aver ri- nunciato alla prospettiva di diventare cittadino “attivo” grazie alle sue economie. Si tratta dunque di un domestico che spera in un riscatto: riscatto che potrà però rea- lizzarsi solo se le sue economie si accompagneranno a un cambiamento di mestiere, visto che i domestici sono esclusi in quanto tali, indipendentemente dal censo74.

Non siamo forse francesi?

La scelta di non annoverare i domestici tra i cosiddet-

ti cittadini “attivi”, quelli appunto che godono del diritto di voto, non pare dunque cadere nell’indifferenza. Gli atti parlamentari ce ne danno conferma. Il 12 giugno 1790, una deputazione di gens de maison si presenta all’Assemblea nazionale per do- nare alla Patrie 3000 livres d’argento e altri beni. Uno di loro è ammesso a parlare all’Assemblée nationale. Le sue parole sono rivelatrici di sentimenti confusi e con- traddittori, che ci danno la misura di quanto certi stereotipi potessero essere condi- visi anche da chi ne era vittima. Ma rivelano anche una profonda consapevolezza delle ragioni socio-economiche che costringono i poveri a farsi servi dei ricchi. In questo senso, l’oratore mostra un rispetto quasi timoroso per l’autorità dell’augusta assemblea alla quale si rivolge; non ne critica certo le decisioni – tutt’altro. E al con- tempo ammette che sì, è difficile conciliare l’esercizio della libertà con la condizione di domestico. Non manca però uno scatto di orgoglio: nelle sue parole si sente vibra- re la dignità ferita e la frustrazione sua e dei suoi compagni per la presunzione di bassezza morale che l’esclusione implica. Si muove su un terreno scivoloso: ricono- scere che i domestici non hanno volontà propria significa dare ragione a chi li esclu- de; sottolinearne il libero volere significa dipingerli come persone che scelgono l’asservimento e, pertanto, sono indegne di godere i frutti della libertà. Ricorre a un argomento sottile: la necessità. Ci sono persone talmente povere da essere costrette ad accettare condizioni avvilenti. Abilmente, nel momento stesso in cui si inchina

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Réimpression de l’ancien Moniteur, tome 4, Assemblée Constituante, Paris, Plon, 1860, pp. 11-116 (N°. 105, 15 Avril 1790).

alle decisioni dell’Assemblea, la sollecita a intervenire in modo davvero rivoluziona- rio sulle condizioni socio-economiche che obbligano i poveri a entrare a servizio: se avessero di che vivere molti tra loro abiterebbero ancora nelle loro umili case. E se i ricchi avessero meno risorse, avrebbero anche meno fantasie: un chiaro appello a una maggiore giustizia sociale, che ridurrebbe sia l’offerta sia la domanda di dome- stici. In modo accorto, presenta le condizioni che stanno alla base dell’ampia diffu- sione del servizio domestico come un “disordine”: un qualcosa, dunque, che – se si vuole instaurare un nuovo ordine – va necessariamente rimosso. Esprime la speranza che proprio le nuove istituzioni rivoluzionarie e la costituzione che l’Assemblea sta preparando aprano la strada alla rigenerazione e al riscatto. E prospetta un futuro in cui anche i domestici saranno liberi di scegliere la propria occupazione e potranno correre in soccorso della patria. Un piccolo capolavoro di arte retorica.

«Se dei motivi che noi rispettiamo vi hanno indotto a escludere il personale domestico [les

Gens de Maison] dalla cosa pubblica, i nostri cuori sapranno sempre superare la barriera

che la vostra saggezza ha ritenuto di porre tra noi e i Cittadini. Noi lo capiamo, e il nostro patriottismo pertanto ne è meno umiliato: è difficile conciliare l’esercizio della libertà con il regime della domesticità. La necessità ha stabilito una dipendenza che una certa classe di uomini non può evitare; ma, nati nel seno della Patria, liberi nella scelta delle nostre oc- cupazioni, noi guarderemo come un momento felice quello in cui potremo correre in suo soccorso. Sarebbe a dir poco insultarci presumere che la bassezza e la degradazione dei sentimenti siano sempre comuni a tutto il personale domestico. Non abbiamo forse anche noi dei genitori, una patria? Non siamo forse francesi? E, dal momento che voi preparate tanto gloriosamente la rigenerazione dell’Impero, potremmo noi non rispettare una Costi- tuzione che un giorno potrà proteggerci? Suvvia! in un regime meno disastroso per gli abi- tanti delle campagne, la metà di noi abiterebbe ancora nella sua umile casa, coltiverebbe l’eredità dei suoi avi. I ricchi, avendo meno risorse, avrebbero [avuto] meno fantasie. Gli abitanti delle campagne, meno tartassati dalle imposte, non sarebbero venuti nella capitale a scambiare la loro miseria con un genere di servizio che umilia l’uomo molto più di quan- to non lo arricchisca. La vostra saggezza, signori, farà cessare questo genere di disordi- ne»75.

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Adresse des gens de maison à l’Assemblée Nationale, dans la Séance du 12 Juin imprimé par ordre de l’Assemblée Nationale, Paris, chez Baudouin, Imprimeur de l’Assemblée Nationale, s.d. (da cui riporto la citaz.); AP, tome XVI (12 giugno 1790), p. 201 (il testo riportato negli atti parlamentari differisce solo sotto aspetti formali, come l’uso delle maiuscole): «Si des motifs que nous respectons, vous ont déterminés à sé- parer les Gens de Maison de la chose publique, nos coeurs sauront toujours franchir la barrière que votre sagesse a cru poser entre nous et les Citoyens. Nous le sentons, & notre patriotisme en est moins humilié: il est difficile de concilier l’exercice de la liberté avec le régime de la domesticité. La nécessité a établ [sic] une dépendance qu’une certaine classe d’hommes ne peut éviter; mais, nés dans le sein de la Patrie, libres dans

Nell’accogliere l’offerta dei domestici e nell’ascoltare le loro parole, il presidente si mostra sensibile alla loro amarezza. Si dice sicuro del loro patriottismo e chiarisce che l’Assemblea, formata di amici dell’uguaglianza, non ha certo voluto «la mécon- naitre, cette égalité, à votre égard». Piuttosto, con saggia precauzione che, rivelando- si vantaggiosa per l’utilità pubblica, lo sarà anche per loro, ha avuto riguardo al fatto che la loro stessa sensibilità e l’affetto tanto rispettabile che essi mostrano nei con- fronti delle persone alle quali prestano i loro servizi potrebbero spesso esercitare una forte – troppo forte – influenza sulle loro opinioni. Sottolinea il carattere transitorio dell’esclusione, parlando di «sospensione momentanea dei diritti politici». Essa, in effetti, non è assoluta, come nel caso delle donne, ma legata a una condizione di domesticità che può essere abbandonata. Il tono della sua risposta finisce però per risultare paternalistico e consolatorio, se non addirittura dolciastro76.

L’intervento dei domestici suscita comunque giudizi positivi: «il loro linguaggio è quello di cittadini liberi ma sottomessi alla legge», si afferma nella corrispondenza dei deputati di Angers77. «Nel loro discorso, che esprime tutti i sentimenti di un’anima libera, essi osano appena mostrare rammarico per i vantaggi di cui la loro dipendenza li priva», commenta il «Journal des débats et des décrets»78.

le chois de nos occupations, nous regarderons comme un moment heureux celui où nous pourrons voler à son secours. Ce seroit [sic] du moins nous faire injure que de présumer que l’avilissement & la dégradation des sentiments fussent toujours le partage des Gens de Maison. N’avons-nous pas nos parens [sic], une Pa- trie? Ne sommes-nous pas François ? Et quand vous préparez si glorieusement la régénération de l’Empire, pourrions-nous ne pas respecter une Constitution qui peut un jour nos protéger. Hélas! sous un régime

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