«Il principato del padre sopra i figli suoi si rassomiglia al governo regale [...] Il principato poi, che tiene il marito sopra la consorte [...] non à regal dominio si rassomiglia, ma ad un governo di piu huomini principali, & virtuosi; o ad un civil governo piutosto, secondo il quale coloro, che son posti ne’ magistrati, non con assoluta, ma con limitata potestà go- vernano la città all’osservantia delle leggi scritte, in questo medesimo modo al marito con- vien di reggere la sua consorte, salvo solamente che, dove nel governo civile hora à questi cittadini, & hora à quelli, secondo che di tempo in tempo ne’ magistrati succedono, s’appartien il carico di governare: il marito, non per alcun tempo determinato, ma per tut- ta la vita sua dee essere nel modo, c’ho detto, superiore alla moglie: salvo se alcuna volta accadesse, che, per la poca prudentia di un’huomo, & per lo gran valore di una donna, bi- sognasse, che, contra l’ordine della natura, la donna reggesse l’huomo co’l suo sapere. Il dominio poi del padrone sopra i servi da ambedue le specie de’ principati gia detti è diver- so percioche, essendo l’uno, & l’altro di quelli tra liberi, & liberi; questo per contrario si ri- trova tra libero, & servo: havendo noi già sopra dimostrato, che molti nascono per natura atti a servire; & alcuni, benche pochi, à reggere e governare. Si può adunque assomigliar questo governo signorile in qualche parte al tirannico conciosia cosa che, si come il tiran- no, non obligandosi à legge alcuna; & non havendo rispetto alla salute de’ sudditi, ma so- lamente all’utile, & al piacer suo, regge, & comanda; cosi ancora il padron nella sua fami- glia, per beneficio principalmente, & utile della sua casa, con ampia potestà, dal suo voler solo dipendendo, dispone, & ordina de’ servi suoi»,
scrisse il già citato nobile senese Alessandro Piccolomini nella sua Institution mora-
le77.
«Il principato del Padre sopra i Figliuoli è simile al governo Regale (…). Il principato del Marito sopra la Consorte si rassomiglia ad un governo civile, nel quale, sendo i Cittadini per la maggior parte uguali fra loro, quei che sono posti in Magistrato governano con po- destà limitata dalle leggi scritte; come con podestà limitata conviene, che il Marito regga sempre la sua Consorte. Il dominio del Patrone sopra i Servitori si può in qualche modo assomigliare al governo tirannico, perche se bene il Patrone, à diferenza del Tiranno, deve haver riguardo al danno del Servitore, dispone però, & ordina de i Servi suoi con ampia podestà per beneficio principalmente della sua famiglia»,
si legge nel Breve Trattato del Governo Famigliare pubblicato nel 1609 dal nobile bo- lognese Pompeo Vizani (o Vizzani), autore dei XII. libri di storia della sua patria78.
77
A. PICCOLOMINI, Della Institution Morale (ed. 1575), pp. 487-488. 78
P. VIZANI, Breve Trattato del Governo Famigliare Estratto dalle Institutioni Morali di Monsig. Alessandro Piccolomini, Dalla Economica Christiana Del P. Chrisostomo Iavellio, Et da altri buoni Autori, Bologna, He- redi di Gio. Rossi, 1609, pp. 8-9. Sulla figura di Vizani storico cfr. G. FASOLI, La storia delle storie di Bologna, «Atti e Memorie. Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna», 1965-1968, pp. 69-91, in part. p. 82 (poi ripubblicato in G. FASOLI, Scritti di storia medievale, a cura di F. BOCCHI –A.CARILE –A.I.PINI, Bolo-
Forse composto non dal Vizani ma dal nobile piemontese Emanuele Tesauro79 ed estratto, come recita il frontespizio, proprio «dalle Institutioni Morali di Monsig. Alessandro Piccolomini», oltre che «dalla Economica Christiana Del P. Chrisostomo Iavellio80, et da altri buoni Autori», il trattatello non si poneva dunque come opera originale. Certo non era originale il modo in cui il suo autore immaginava e presen- tava le relazioni domestiche, e proprio questo aspetto risulta interessante per la pro- spettiva qui adottata.
Pur con sfumature talvolta diverse, classificazioni delle relazioni familiari analo- ghe a quelle qui citate sono comuni nei testi riconducibili alla tradizione letteraria dell’“economica” quali, appunto, il volume di Piccolomini e il trattatello pubblicato a Bologna. Il medico toscano Francesco Tommasi, per citare qualche altro esempio, nel suo Reggimento del padre di famiglia, pubblicato a Firenze nel 1580, esamina il «governo politico» del marito sulla moglie, il «reggimento reale» o «regio» del padre sui figli e il «governo» «dispotico» ovvero il «reggimento» «tirannico» del padrone sui servi81; più di un secolo e mezzo dopo, il già citato professore padovano Jacopo Facciolati, pur parlando di «Padronanza» e non di tirannia o dispotismo in relazione al governo dei servi, sostiene comunque che
«il corpo Civile è un composto d’altri corpi minori, come dicemmo, i quali altresì anno [sic] le loro parti. Il primo e più picciolo è quello, che si dice Famiglia. Le parti che lo com- pongono, sono persone, e cose. Le persone si riducono a tre classi, e sono marito e moglie, genitore e figli, padrone e servi [...] La prima classe contiene marito e moglie. Queste due
gna, La fotocromo emiliana, 1974) e C. CASANOVA, La storiografia a Bologna e in Romagna, in A. BERSELLI (ed), Storia della Emilia Romagna, Bologna, University Press, 1976-1980, vol. II, pp. 613-624.
79
Secondo G. FANTUZZI, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna, San Tommaso d’Aquino, 1781-1794, 9 to- mi, t. 8, pp. 206-213, tale opera, postuma (Vizani era morto nel 1607), non sarebbe stata scritta da Vizani ma da «Emanuele Tesauro gentiluomo Piemontese, e fatta l’anno 1581. alli 20 Luglio, come si è trovato notato fra Mss. di Pompeo [Vizani]» (p. 211). Il presunto autore dell’operetta sarebbe dunque un Emanuele Tesauro diverso dall’omonimo gesuita torinese autore de Il Cannocchiale Aristotelico, nato nel 1592 e morto nel 1675. 80
Si tratta della Philosophia economica divina atque christiana del domenicano Crisostomo Iavelli (o Gia- velli, noto anche come Crisostomo da Casale e Canapicius, 1470 o 1472-1538), stampata in appendice alla sua Philosophia civilis christiana, Venetiis, per Ioannem Antonium de Vulpinis de Castro Giusfredo, Expensis vero Andreæ Arrivabeni, ad signum Putei, 1540, pp. 125-244 (più sommario non numerato). Su questo auto- re si veda D. VON WILLE, ad vocem in DBI (vol. 62, 2004). Iavelli parla di servi come strumenti razionali a p. 138v.
81
F. TOMMASI, Reggimento del Padre di Famiglia, in Fiorenza, Nella Stamperia di Giorgio Marescotti, 1580, pp. 79-80, 128-129, 193-194.
persone formano un certo dominio civile, che si può dire Aristocratico. Imperciocchè il più perfetto, ch’è l’uomo, regge il meno perfetto, ch’è la donna; e tutti due insieme governano la famiglia. Sono egualmente liberi, ma uno diventa dipendente dall’altro per ragione del matrimonio; appunto come i Cittadini d’una stessa Repubblica per se stessi sono eguali, ma per legge uno diventa superiore all’altro, quando riceve l’incombenze, i titoli, e le inse- gne del magistrato [...]. La podestà paterna è simile alla regia, essendo il padre per natura superiore al figlio, come cagione di lui, e come di lui più perfetto nel modo appunto, che il Re sovrasta a’ suoi sudditi [...] La terza classe [...] si forma di padrone e servo. Il servo è
uno strumento animato del padrone»82.
L’elenco potrebbe continuare, ma credo che gli esempi forniti nel testo e in nota bastino, se mai ce ne fosse ancora bisogno, a confermare la persistenza di lunghissi- mo periodo delle riproposizioni e rivisitazioni del modello aristotelico83.
(Più di) duemila anni di stabilità?
Otto Brunner dedicò all’economica un sag-gio tanto noto e per certi versi stimolante quanto criticato (giustamente, a mio pare- re). In tale saggio egli sostenne che essa «va da Senofonte e Aristotele, attraverso la scolastica medievale, fino all’età moderna», e più precisamente fino all’Illuminismo. Intesa come «pensiero di un “mondo nobiliare”» che si basava su un fondamento contadino, sarebbe tramontata quando quel mondo, a partire dal XVIII secolo, andò frantumandosi. Brunner diede insomma dell’economica una lettura che ne enfatiz- zava la presa e la continuità bi-millenaria. «L’antica economica europea – scrisse – ha mantenuto il suo dominio per due millenni». Un concetto più volte ribadito84.
82
J. FACCIOLATI, Il giovane cittadino istruito nella scienza civile, pp. 7-14. 83
Qualche anno dopo la pubblicazione della prima edizione del libro di Facciolati, apparso nel 1740, veniva ad esempio proposta al pubblico italiano una traduzione «accresciuta» delle Istitutiones oeconomicae del benedettino austriaco Otto Aicher, professore di filosofia morale all’Università di Salisburgo (O. AICHER, Istitutiones oeconomicae, sive Discursus morales, Salisburgi, Typis Melchioris Haan, Typographi & Biblio- polae, 1690). Per il testo italiano cfr. O. AICHER,Regole economiche, ovvero Discorsi morali, Trento, Per Gianbattista Parone Stampator Vescovile, 1746. L’opera era tradotta da P. Giuseppe Antonio Maria Santini, carmelitano. L’opera si presentava divisa in tre libri, nei primi due dei quali, si leggeva sul frontespizio, «della Economia Aristotelica si contengono tutt’i principj d’un insegnamento domestico per governo d’una Famiglia». Non a caso, allora, nel libro si sosteneva che «l’imperio del Padrone ne’ Servi egli è perpetua- mente tirannico», e si definivano i servi stessi «quasi istromenti del Padrone» (p. 11) – «Servos, qui sunt tanquam Organa Domini», si leggeva nell’originale (p. 16). Inoltre, si assimilava la potestà del marito sulla moglie all’aristocrazia (p. 11) e se ne parlava come di imperio politico (p. 27) sostenendo, infine, che l’imperio del padre sui figlioli è cosa da re (p. 37).
84
O. BRUNNER, La ‘casa come complesso’ e l’antica ‘economica’ europea (1950), in O. BRUNNER, Per una nuo- va storia costituzionale e sociale, a cura di P. SCHIERA, Milano, Vita e Pensiero, 1970, pp. 133-165, citaz. a pp.
Discostandosi dall’interpretazione brunneriana, Daniela Frigo ha invece sottoli- neato i tratti di originalità dell’economica cinque-secentesca rispetto alle fonti cui essa attinge. Pur sostenendo, come Brunner, che tale produzione costituisce un ge- nere «nobiliare», la studiosa ritiene che in essa non si rispecchi un universo presso- ché immobile ma, piuttosto, il «definitivo consolidarsi della società aristocratica di antico regime»85. L’economica rappresenta pertanto a suo avviso «un luogo d’osservazione privilegiato dei quadri mentali, delle categorie culturali, dei modelli e delle idealità, ma anche del “senso comune”, di tutta un’epoca, caratterizzata sul piano politico-istituzionale dal predominio dei ceti nobiliari sui residui ordinamenti cittadini e sui più vasti istituti giuridici del contado»86. Essa ha anche un notevole valore politico: il governo della casa che ne costituisce l’oggetto vi è infatti concepito come controllo di una sfera, quella domestica appunto, che sola permette «il pieno raccordo tra il singolo e la collettività politica»87. Proprio l’enfatizzazione della con- tinuità tra sfera domestica e sfera politica costituisce, secondo Frigo, un elemento caratteristico dell’economica cinque-secentesca che anzi, nel passaggio dal primo al secondo Cinquecento, rivela «una più marcata adesione all’idea di famiglia come ambito fondamentale dell’organizzazione e dell’assetto civile: la realtà viene ora in- terpretata sulla base dello schema aristotelico “individuo-famiglia-città”». In tali te- sti, l’assetto politico non si definisce in opposizione all’ambito privato ma a partire da esso; il buon governo della città o della repubblica è teorizzato e teorizzabile «so- lo nella misura in cui sia stato già delineato e attuato il “buon governo” della casa»88. La famiglia è oggetto di precetti specifici «non come realtà a sé stante, ma come tas- sello necessario di un mosaico più ampio»: essa è concepita come «microcosmo di
134 e 151-152. Per le critiche mosse a Brunner cfr., tra altri, C. OPITZ, Neue Wege der Sozialgeschichte? Ein kritischer Blick auf Otto Brunners Konzept des 'ganzen Hauses', «Geschichte und Gesellschaft», 20/1994, pp. 88-98; V. GROEBNER, Ausser Haus. Otto Brunner und die 'alteuropäische Ökonomik', «Geschichte in Wissenschaft und Unterricht», 46/1995, pp. 69-80; R. DÜRR, Mägde in der Stadt. Das Beispiel Schwäbisch Hall in der Frühen Neuzeit, Frankfurt-New York, Campus, 1995, pp. 11-22; H. DERKS, Über die Faszination des 'Ganzen Hauses', «Geschichte und Gesellschaft», 22/1996, pp. 221-242; V. GROEBNER, La forza, i concetti ed il classico. Otto Brunner letto da Gadi Algazi, «Rivista storica italiana», 111/1999, pp. 227-234, ecc.
85
D. FRIGO, Il padre di famiglia, p. 8. 86 Ivi, p. 12. 87 Ivi, p. 11. 88 Ivi, p. 200.
relazioni analoghe ai rapporti politici»; padre da un lato e principe dall’altro vengono disegnati come figure omologhe, «rappresentanti di un potere pre-giuridico, pre- contrattuale» che trova la sua legittimazione nell’“ordine naturale”89. In questo sen- so, l’economica farebbe parte «di un progetto di “costituzione” generale dell’antico regime»90. Elemento cruciale dell’aristotelismo scolastico, tale visione del potere po- litico verrebbe messa in discussione dalle dottrine contrattualistiche e giusnaturali- stiche, che permetterebbero di superare l’approccio naturalistico e organicistico al potere politico91.
Frigo, insomma, legge i testi dell’economica cinque-secentesca alla luce del con- testo politico e sociale in cui videro la luce. Restituendoli alla storia, li smaschera come prodotto culturale contingente, «diverso e originale rispetto alle fonti antiche cui pure si ispirano»92. Anche l’ordine domestico (e socio-politico) che essi perse- guono, dipinto come prodotto immutabile di necessità naturali e presentato perciò stesso come pienamente legittimato, appare un costrutto ideologico inventato, o quantomeno re-inventato, in un preciso momento storico e con precise finalità. Se e quanto, poi, il modello teorico “aderisca” alla realtà sociale dell’epoca è questione che esula dall’indagine di Frigo, che non si propone di «confrontare questa teorizza- zione con gli sviluppi reali del potere aristocratico», pur portando alcune prove a so- stegno «dell’aderenza tra modello teorico e realtà»93. Agli occhi (sostanzialmente no- stalgici) di Brunner, l’ordine domestico presentato dall’antica economica europea corrisponde invece senza dubbio a un effettivo ordine sociale dotato di una stabilità bi-millenaria94.
Personalmente trovo l’approccio di Frigo più convincente di quello di Brunner. Anche la posizione della studiosa, tuttavia, suscita in me qualche perplessità. Frigo, infatti, riconduce la crescente enfatizzazione della continuità tra sfera domestica e sfera politica (a suo avviso caratteristica dell’economica cinque-secentesca) a una più
89 Ivi, pp. 201-202. 90 Ivi, p. 200. 91 Ivi, p. 206. 92 Ivi, p. 195. 93 Ivi, 205. 94
marcata adesione «allo schema aristotelico “individuo-famiglia-città”»95. Attribuisce cioè allo Stagirita una visione che mi pare non tenga debitamente conto dei passi in cui il filosofo sottolinea le profonde differenze tra l’autorità del paterfamilias e quella dell’uomo di stato, tra l’amministrazione della casa e il governo della πόλις96. In que- sto senso, gli autori che distinguono nettamente tra la sfera domestica e quella poli- tica, come Paolo Caggio o Piccolomini97, mi paiono più vicini alle posizioni aristote- liche rispetto agli autori che concepiscono la casa come una «piccola città»98. Più che ad Aristotele, la visione che sottolinea la continuità tra le due sfere mi sembra ricon- ducibile all’aristotelismo scolastico, come peraltro la stessa Frigo non manca di nota- re in altre pagine99.
Allargando lo sguardo dall’economica cinque-secentesca a un periodo storico più lungo e a una più vasta produzione culturale, emerge, in effetti, che la tendenza ad accentuare tale continuità cominciò a manifestarsi già in epoca medievale. Se da un lato, infatti, i pensatori dell’età di mezzo dimostrarono uno straordinario interesse per la Politica di Aristotele, grazie in particolare alla traduzione che ne fece Gugliel- mo di Moerbeke (1215 ca.-1286), dall’altro ne diedero in genere letture che tendevano a enfatizzarne alcuni aspetti a scapito di altri.
Nota Pietro Costa a proposito della questione di chi sia il soggetto medievale:
«esiste, in senso proprio, non il soggetto, ma una molteplicità di condizioni soggettive ge- rarchicamente connesse. È in rapporto ad esse che si viene costituendo un soggetto “eccel-
95
D. FRIGO, Il padre di famiglia, p. 200. 96
ARISTOTELE, Politica, I (A), 1255b, 16-21 (vedi cap. I, nota 18). 97
P. CAGGIO, Iconomica nella quale s’insegna brevemente per modo di dialogo il governo famigliare, Vinegia, nel segno del Pozzo, 1552, p. 4v-5r: «il padre di famiglia de’ conoscere, che differenza sia tra l’ufficio suo, e quello del Principe; così saprà, che non solo differisce il governo della repubblica dal governo della famiglia, si come le città, e le case particolari differiscono tra loro, ma che nella Repubblica sono piu quegli, che ten- gon lo scettro del dominio; che non sono in casa [...] tutti color, che tengono il Magistrato nella città, si di- cono imperare, à cui è forza che si presti ubbedienza [...] Ma non è così nella casa il cui dominio s’appartiene à un capo solo; e quello si domanda padre di famiglia»; A. PICCOLOMINI, Della Institution Mo- rale (ed. 1575), p. 491: «molto fuor di ragione si credono alcuni, che qual si voglia adunanza, ò di case, ò di borghi, ò civile, altra diversità non ritenga l’una dall’altra, che quanto comporta la moltitudine, ò maggiore ò minor di coloro, che sono in essa; come quasi una gran casa da una città picciola non differisca, cosa in vero lontana da ogni verità».
98
G. LANTERI, Della Economica. Trattato [...], nel quale si dimostrano le qualità, che all’uomo et alla donna separatamente convengono pel governo della casa, Venezia, Valgrisi, 1560, p. 159.
99
lente”, il paterfamilias, che in quanto libero, maschio e adulto detiene il potere funzionale di governare l’insieme dei rapporti che a lui fanno capo e proprio per questo viene a tro-
varsi in un rapporto diretto con la civitas»100.
La definizione del soggetto attraverso asimmetriche e ordinate relazioni di potere sarebbe all’origine del fatto che le interpretazioni medievali dei passi aristotelici qui esaminati tendevano a glissare sulla distinzione tra sfera domestica e sfera pubblica, sottolineando, invece, appunto, la continuità tra l’una e l’altra:
«È proprio la definizione del soggetto attraverso la costitutiva asimmetria delle relazioni di potere che corrisponde alle aspettative del lettore medievale. Questi semmai resterà incer- to di fronte all’idea aristotelica di una perfetta uguaglianza e intercambiabilità di ruoli fra cittadini, ansioso come è di connettere città e ordine, di ritrovare, nella città, la gerarchia: e, ancora, esiterà a far propria la distinzione, in Aristotele così netta, fra governo della casa e governo della città, preferendo sottolineare la continuità del passaggio dall’una all’altra sfera»101.
Individuare queste diverse prospettive e le precise cronologie del loro sviluppo è evidentemente rilevante al fine di cogliere i differenti modi di concepire la parteci- pazione dei patresfamilias alla vita della πόλις. Secondo Aristotele, infatti, come si è visto, la struttura fortemente gerarchica delle relazioni familiari non ha corrispettivi nella sfera politica, alla quale i cittadini partecipano su un piano di eguaglianza, di- stinguendosi solo per il fatto di occupare o meno cariche pubbliche102. Invece, per
100
P. COSTA, Civitas. Storia della Cittadinanza in Europa. 1. Dalla civiltà comunale al Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 41. G. TODESCHINI (Come Giuda. La gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’epoca moderna, Bologna, il Mulino, 2011, p. 244) ricorda i sospetti, nelle città dell’Europa bassomedieva- le, verso chi (come appunto i servi) si trovava «ai margini della cittadinanza perché assoggettato al dominio di qualcun altro» ma «agiva tuttavia in pubblico negli ambiti creditizio o commerciale sia in quanto stipen- diato che vendeva o impegnava le proprie braccia, sia in quanto piccolo o piccolissimo imprenditore». 101
P. COSTA, Civitas, p. 39. 102
Vedasi par. L’οἰκία e la πόλις del presente capitolo. Lo Stagirita ammette che l’accesso alla (piena) citta- dinanza possa essere diverso a seconda dei contesti, ma comunque ne esclude coloro che, nella sfera dome- stica, sono soggetti al paterfamilias, cioè donne, figli e schiavi, cfr. in part. ARISTOTELE, Politica, III (I’), 1274b, 32-1276a,7. Egli ritiene che i ragazzi non siano cittadini «in senso pieno» e li considera cittadini «non formati» (ivi, 1278a, 5-6: «οὐδὲ γὰρ οἱ δοῦλοι τῶν εἰρημένων οὐδέν, οὐδ᾽ οἱ ἀπελεύθεροι. τοῦτο γὰρ ἀληθές, ὡς οὐ πάντας θετέον πολίτας ὧν ἄνευ οὐκ ἂν εἴη πόλις, ἐπεὶ οὐδ᾽ οἱ παῖδες ὡσαύτως πολῖται καὶ οἱ ἄνδρες, ἀλλ᾽ [5] οἱ μὲν ἁπλῶς οἱ δ᾽ ἐξ ὑποθέσεως: πολῖται μὲν γάρ εἰσιν, ἀλλ᾽ ἀτελεῖς»). Quanto agli schiavi, li esclude dalla cittadinanza, come si è visto (in part. ivi, I (A), 1255b, 16-21, vedi supra, cap. I, nota 18) ma, trattando di «quanti acquistarono il diritto di cittadinanza in seguito a cambiamento di costituzione» ri- corda che Clistene, dopo l’espulsione dei tiranni da Atene, «iscrisse nelle tribù molti stranieri e meteci in condizione di schiavitù» (ivi, III (I’), 1275b, 35-38: «ἀλλ᾽ ἴσως ἐκεῖνο μᾶλλον ἔχει ἀπορίαν, ὅσοι [35] μετέσχον μεταβολῆς γενομένης πολιτείας, οἷον Ἀθήνησιν ἐποίησε Κλεισθένης μετὰ τὴν τῶν τυράννων
molti autori medievali e di età moderna che pure si ispirano allo Stagirita, le relazio- ni tra governanti e governati sono simili, o addirittura uguali, alle relazioni di autori- tà/dipendenza che strutturano la vita domestica, in particolare quelle tra padri e figli e quelle tra padroni e servi103.
Non altrettanto può dirsi di donne, figli e servi, la cui relazione con la città, in en-
trambe le prospettive, è definita, in negativo, dalla loro posizione all’interno dello
spazio domestico. Essi sono infatti esclusi dalla partecipazione alla sfera politica tan- to nella visione aristotelica, che distingue nettamente le relazioni interne all’οἰκία da quelle che caratterizzano la πόλις, quanto nella visione di quegli autori che, pur ri-