siamo a Hobbes, spostandoci da un’opera concepita negli ambienti calvinisti tede- schi vicini alle Province Unite (allora in lotta con la Spagna), quale appunto la Politi-
ca di Althusius (1603)121, a un testo, il Leviatano, scritto a Parigi negli anni della Prima Rivoluzione inglese e del Commonwealth, e pubblicato a Londra nel 1651122. Pur so- stenendo, per altri versi, posizioni lontanissime da quelle dello Stagirita, Hobbes – come Aristotele e gli aristotelici – parla di potere paterno e di potere dispotico123.
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Ivi, vol. I, pp. 290-291, cap. III, 39: «Hisce natura consociatis et unitis hominibus affines sunt, qui vocan- tur domestici, sub uno eodemque tecto viventes, apud familiam, cui se federe, vel fide devinxerunt, obtem- perantes imperio unius, qui familiae caput et princeps, atque paterfamilias dicitur, οἰκοδεσπότης, cujus so- cia est materfamilias, uxor patrisfamilias.
Domestici autem ejusmodi sunt famuli, servi, liberi, mercenarii, clientes, et omnes, qui contubernio nostro sunt juncti, familiares et conjuncti, qui una domo continentur, subjectique sunt patrifamilias et matrifami- lias iisque operas praestant artificiales, vel obsequiales, pertinentes ad convictum et vitam hanc socialem». 121
Nel 1586 Althusius fu chiamato a insegnare diritto romano nella Hohe Schule di Herborn, accademia cal- vinista di recente istituzione voluta dal conte Giovanni VI di Nassau-Dillenburg, detto il Vecchio, fratello di Guglielmo d’Orange, detto il Taciturno, leader della rivolta antispagnola delle Province Unite. Negli anni successivi, Althusius svolse il ruolo di consigliere comitale e insegnò in diversi altri istituti calvinisti. Nel 1599, tornò alla Hohe Schule (che nel frattempo era stata trasferita a Siegen), e ne gestì il rientro a Herborn, dove nel 1603 vide la luce la prima edizione della Politica methodice digesta. Grazie al successo dell’opera negli ambienti calvinisti, Althusius fu chiamato come Syndikus a Emden, importante centro calvinista tede- sco della Frisia orientale, al confine con i Paesi Bassi (non a caso considerata la “Ginevra del Nord”). Al- thusius sarebbe rimasto fino alla morte (1638) nella città, impegnata in una dura lotta contro i principi ter- ritoriali che tentavano di ridurre le prerogative degli ordini, di sostituire all’autogoverno cetuale una buro- crazia signorile e di imporre la confessione luterana. Lì avrebbe avuto modo di mettere in pratica le sue dot- trine sul diritto di resistenza e antiassolutiste e avrebbe pubblicato la seconda e la terza edizione (profon- damente riviste) della Politica (rispettivamente 1610 e 1614), cfr. C. MALANDRINO,Introduzione: La Politica methodice digesta di Johannes Althusius, in J. ALTHUSIUS U.J.D., La politica, vol. I, pp. 7-130 (in part. pp. 11- 20).
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Nel 1640, Hobbes concluse gli Elements of Law Natural and Politic, opera che inizialmente circolò mano- scritta. Essa, tra l’altro, rispondeva all’esigenza di contrastare le idee antimonarchiche. Pertanto, quando le tensioni tra il sovrano Carlo I Stuart e il Parlamento si acuirono, Hobbes, temendo per la sua vita, fuggì a Parigi e vi restò fino al 1651 lavorando, tra l’altro, al De Cive e al Leviatano, pubblicato a Londra in quell’anno. La pubblicazione del Leviatano gli inimicò i realisti inglesi e i cattolici francesi. Alla fine del 1651, Hobbes tornò in Inghilterra, dove ottenne la protezione del governo inglese uscito dalla Rivoluzione, vedi ad esempio T.SORRELL, ad vocem, in Encyclopaedia Britannica.
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Il termine usato è «dominion» o «sovereignty». Spiega Hobbes: «and this kind of dominion, or sover- eignty, differeth from sovereignty by institution only in this, that men who choose their sovereign do it for
Egli, tuttavia, non fonda questi poteri sulla natura, ma sul consenso, esattamente come fa per il potere del sovrano124. Il potere paterno, infatti, pur definito come «dominio per generazione», non deriva a suo avviso dal semplice fatto che il padre genera il figlio; deriva, invece, dal «consenso del figlio»125. Quanto al dominio dispo- tico del signore o padrone sul servo, l’autore del Leviatano, facendo un preciso rife- rimento critico ad Aristotele, rifiuta l’idea che ci siano servi per natura:
«So che Aristotele nel primo libro della sua Politica pone come fondamento della sua dot- trina che gli uomini sono per natura, alcuni più disposti per comandare [...] altri per servi- re [...] come se i padroni e i servi non fossero stati introdotti dal consenso degli uomini, ma dalla differenza dell’ingegno, cosa che non solo è contro la ragione, ma anche contro l’esperienza. Ci sono infatti pochissimi così sciocchi da non preferire di governarsi da sé
piuttosto che di essere governati da altri»126.
Chiarito che il potere dispotico non trova il suo fondamento in una differenza na- turale tra padrone e servo, Hobbes sostiene che esso è «acquisito dal vincitore allor- quando il vinto, per evitare al presente il colpo della morte, pattuisce, o con parole espresse o con altri sufficienti segni della volontà, che finché gli saranno concesse la
fear of one another, and not of him whom they institute: but in this case, they subject themselves to him they are afraid of», Leviathan, cap. XX, Of dominion paternal and dispotical.
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Alcune interessanti considerazioni in merito in D. BAUMGOLD, Hobbes’s Political Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 93-100.
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T. HOBBES, Leviatano (1976), Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1987, cap. XX, pp. 195-196. Se contasse solo la generazione, il dominio paterno spetterebbe in misura uguale a entrambi i genitori; cosa tuttavia impossibile, secondo Hobbes, perché nessuno «può obbedire a due padroni». Nello stesso stato di natura, in cui si suppone non ci siano leggi sul matrimonio, sono pertanto talvolta presenti patti tra l’uomo e la donna volti a risolvere la questione del controllo della prole. È il caso delle amazzoni, che si sarebbero mes- se d’accordo con gli uomini con cui si accoppiavano per assicurare la procreazione al fine di tenere con sé solo le figlie femmine. In assenza di patti, il dominio, nello stato di natura, è invece della madre, la cui ge- nerazione è certa e che può decidere se nutrire il figlio o esporlo. In merito, e in part. sui diritti delle madri, cfr. Ibidem e T. HOBBES, Elementi di legge naturale e politica (1968), Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1985, seconda parte, cap. IV, p. 193-194 e il cap. VIII del De Cive.
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T. HOBBES, Leviatano, cap. XV, p. 148 (il testo originale suona: «I know that Aristotle in the first book of his Politics, for a foundation of his doctrine, maketh men by nature, some more worthy to command, meaning the wiser sort, such as he thought himself to be for his philosophy; others to serve, meaning those that had strong bodies, but were not philosophers as he; as master and servant were not introduced by con- sent of men, but by difference of wit: which is not only against reason, but also against experience. For there are very few so foolish that had not rather govern themselves than be governed by others». Cfr. anche gli Elementi di legge naturale e politica, seconda parte, cap. III, pp. 187-191 e il De Cive, cap. IX. Riguardo alla complessa posizione di Aristotele, cfr. cap. I, nota 1).
vita e la libertà del suo corpo, il vincitore ne avrà l’uso a suo piacimento. Dopo aver fatto tale patto il vinto è un servo e non prima»127.
Hobbes, per il suo approccio contrattualista, è insomma molto distante dagli au- tori che riconducono il potere del paterfamilias su mogli, figli e servi a necessità na- turali. Tuttavia, pur fondando tale potere diversamente, non lo mette in discussione. Anch’egli ripropone, inoltre, pur con qualche limitazione, l’analogia tra famiglia e stato. Scrive nel Leviatano:
«Insomma i diritti e le conseguenze del dominio, sia paterno che dispotico, sono proprio le stesse [sic] di quello di un sovrano per istituzione [...] una grande famiglia, se non fa parte di qualche stato, è in se stessa, per quanto riguarda i diritti di sovranità, una piccola mo- narchia, sia che la famiglia consista di un uomo e dei suoi figli, o di un uomo e dei suoi servi, o di un uomo, dei suoi figli e dei suoi servi insieme; in essa il padre o padrone è il so- vrano. Ma tuttavia una famiglia non è propriamente uno stato, a meno che non abbia un potere tale, per il suo numero o per altre opportunità, da non essere soggiogata senza il ri-
schio di una guerra»128.
In questo senso, se da un lato le pagine sulla fondazione della sovranità comuni- cano l’impressione che, nella visione di Hobbes, non ci sia spazio per “poteri inter- medi” tra il sovrano e i sudditi, dall’altro le pagine sul potere paterno e dispotico in- ducono a concludere il contrario, e si disegna una profonda differenza tra il suddito libero che «serve solo lo Stato» e il servo che «serve oltre che lo Stato anche un citta- dino»129.
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T. HOBBES, Leviatano, cap. XX, p. 197 (Nell'originale inglese: «Dominion acquired by conquest, or victory in war, is that which some writers call despotical from Despotes, which signifieth a lord or master, and is the dominion of the master over his servant. And this dominion is then acquired to the victor when the vanquished, to avoid the present stroke of death, covenanteth, either in express words or by other sufficient signs of the will, that so long as his life and the liberty of his body is allowed him, the victor shall have the use thereof at his pleasure. And after such covenant made, the vanquished is a servant, and not before»). Negli Elementi di legge naturale e politica, pp. 188-189, si ammette anche il caso in cui non ci sia alcun patto; lo schiavo, tenuto in catene o in prigione, ha allora il diritto di liberarsi con qualunque mezzo.
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T. HOBBES, Leviatano, cap. XX, p. 199 (Nell'originale inglese: «In sum, the rights and consequences of both paternal and despotical dominion are the very same with those of a sovereign by institution [...] a great family, if it be not part of some Commonwealth, is of itself, as to the rights of sovereignty, a little monarchy; whether that family consist of a man and his children, or of a man and his servants, or of a man and his children and servants together; wherein the father or master is the sovereign. But yet a family is not properly a Commonwealth, unless it be of that power by its own number, or by other opportunities, as not to be subdued without the hazard of war»). Cfr. anche Elementi di legge naturale e politica, seconda parte, cap. IV, p. 197 e De Cive, cap. VIII.
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