Il secolo delle serve.
La Congregazione di San Vitale era una congregazione ma-schile145. I confratelli, quando si trattava di porsi come interlocutori di tutti i servito- ri, si mostravano ben consapevoli del fatto che tra i domestici vi erano sia maschi sia femmine. Questo avveniva soprattutto in occasione della raccolta di elemosine: gli avvisi per le collette si rivolgevano sempre ai «servitori dell’uno, e dell’altro sesso»146.
143
R. SARTI, Servire al femminile, servire al maschile nella Bologna sette-ottocentesca, in COMUNE DI CARPI, Operaie, serve, maestre, impiegate, a cura di P. Nava, Torino, Rosenberg & Sellier, 1992, pp. 237-264 (p. 248, Tab. 1a).
144
R. SARTI, Who are Servants?, con riferimenti, pp. 15-35. 145
Sulla partecipazione femminile a confraternite e congregazioni, non sempre ammessa, sebbene esistes- sero confraternite femminili, cfr. R. RUSCONI, Confraternite, compagnie, devozioni, in Storia d’Italia, Annali, 9: La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. CHITTOLINI – G.MICCOLI, Torino, Einaudi, 1986, p. 494; D. ZARDIN, Le confraternite in Italia settentrionale fra XV e XVIII secolo, «So- cietà e storia», 10/1987, pp. 95-96, 108-109, 113-114, 117; L. CHÂTELLIER, L’Europa dei devoti. L’origine della so- cietà europea attraverso la storia della Compagnia di Gesù: le congregazioni mariane, la vita quotidiana, le critiche e le polemiche, l’ideologia (1987), Milano, Garzanti, 1988, pp. 26-29, 148, 155, 257; A. TORRE, Il con- sumo di devozioni. Religione e comunità nelle campagne dell’Ancien Régime, Venezia, Marsilio, 1995, pp. 68, 273-278, 291 e, su Bologna, soprattutto N. TERPSTRA, Women in the Brotherhood: Gender, Class, and Politics in Renaissance Bolognese Confraternities, «Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme», 26/1990, pp. 193-212; N. TERPSTRA, Lay Confraternities and Civic Religion in Renaissance Bologna, Cambrid- ge University Press, 2002; N. TERPSTRA (ed), The Politics of Ritual Kinship: confraternities and social order in early modern Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 2007.
146
US, b. 8, Memoriali, lettere e documenti vari: Notificazione a stampa, non datata (elemosine per fare una corona alla Madonna del Carmine); Notificazione a stampa, 4 aprile 1718 (elemosine per il restauro della pittura del portico di San Luca); Notificazione A tutti li Servidori dell’uno, e l’altro Sesso, Bologna, Peri, 1721 (elemosine per il restauro dei rasi e degli angeli della Vergine del Rosario in S. Domenico); Notificazione, Bologna, Longhi, 1732 (ringraziamento alla Vergine del Soccorso per la liberazione dal male delle bestie bo- vine); Invito all’Università delli servitori di Bologna, Bologna, all’Insegna della Rosa, 1733 e Avviso alli servi- tori dell’uno, e dell’altro sesso di questa Città, Bologna, dalla Volpe, 1742 (elemosine per la cupola del santua- rio della madonna di San Luca); Avviso Alli Divoti Servitori dell’uno, e dell’altro sesso, a stampa, non datato (elemosine in onore della vergine di San Luca per le rogazioni dell’anno 1762); b. 7, Riscossioni e spese per la
Le donne, tuttavia, erano (tacitamente) escluse dalla possibilità di aggregarsi alla congregazione: negli statuti, l’unico accenno alle serve si riferiva (appunto) a una contribuzione, quella prevista nel 1719 per realizzare l’ambizioso progetto (mai con- cretizzato) di costruire un ospedale grazie a un’offerta annua di dieci soldi da parte di tutti i servitori bolognesi, maschi e femmine147.
Escluse dalla possibilità di aggregarsi alla congregazione, le serve bolognesi non godevano delle varie forme di assistenza che essa offriva, se si eccettua la distribu- zione natalizia di elemosine ai domestici bisognosi introdotta nel 1763 (ma già dal 1785 limitata ai soli confratelli). Certo le serve – a differenza dei servitori – convive- vano quasi sempre con i padroni, ed erano dunque verosimilmente più inserite nel sistema di obbligazioni reciproche tra padroni e domestici. Ciononostante, non mancavano le serve licenziate perché vecchie e/o malate, anzi148. E, in ogni caso, alle donne era preclusa la possibilità di rafforzare la propria identità professionale attra- verso l’accesso alle forme di assistenza messe a disposizione dall’attività mutualistica di coloro che si riconoscevano come facenti parte della sia pur sfaccettata comunità dei domestici. Potevano invece riconoscersi (ed erano riconosciute) come parte dell’“università dei servitori” partecipando alla raccolta di elemosine e alle altre atti- vità devozionali “di mestiere”. Complessivamente, dunque, la loro posizione era am- bigua: facevano parte dell’“università dei servitori” quando con tale definizione ci si riferiva a tutti i servi bolognesi; non ne facevano parte quando con essa si faceva rife- rimento alla Congregazione di San Vitale. Nell’Ottocento, la marginalità femminile si venne ulteriormente accentuando: da un lato, a quanto è dato di giudicare, la con- gregazione ridusse quegli interventi nel campo della vita religiosa cittadina che in passato avevano reso possibile il coinvolgimento delle donne; dall’altro, anche i po- chi realizzati apparivano ora appannaggio solo maschile.
Beata Vergine di San Luca e altre attività devozionali; BUB, ms 770, A. F. GHISELLI, Memorie antiche manu- scritte di Bologna raccolte et accresciute sino a’ tempi presenti, 93 voll. + indici (2 voll.), vol. LXXX, c. 173 (22 marzo 1712).
147
Riforma de’ Capitoli, e Statuti della Congregazione di S. Vitale detta l’Università de’ Servitori In Bologna Fatta l’Anno 1719, pp. 10-11.
148
Per un esempio cfr. il caso in ARCHIVIO DI STATO DI BOLOGNA, Torrone, Atti processuali, reg. 7371, Città, 1691, fasc. 21.
Forse, tuttavia, è più esatto ribaltare i termini della questione: era la congrega- zione a essere sempre più marginale rispetto alle donne. La loro presenza nel com- plesso dei servitori, maggioritaria anche nel Sei-Settecento (57-62 per cento circa), stava infatti aumentando, seppur in modo non lineare: all’inizio del XX secolo le ser- ve avrebbero rappresentato quasi 80 per cento del personale domestico149. Se, nell’Ottocento, la capacità della Congregazione di San Vitale di aggregare servitori di sesso maschile e di porsi come rappresentante di tutti i servi e le serve bolognesi scemò, ciò fu senza dubbio dovuto anche al crescente peso delle donne tra i dome- stici da un lato, e, dall’altro, alla pervicace indifferenza dei confratelli nei loro con- fronti. La chiusura alle donne può insomma essere annoverata tra le cause del decli- no della confraternita. Anche per questa chiusura la congregazione proponeva un modello di servitore sempre meno attuale: un servitore di sesso maschile, dalla spic- cata identità cittadina, impegnato in attività specializzate, di condizione prevalen- temente civile. Ma il servizio domestico era sempre più un mestiere umile svolto da donne di origine contadina immigrate in città150.
Questa trasformazione era l’esito di fenomeni diversi, che stavano coinvolgendo le differenti figure dello sfaccettato universo servile: in parte, il peso relativo delle donne aumentava per sottrazione, a cause dalla scomparsa, di cui si è detto sopra, di numerose figure maschili e della loro fuoriuscita (o se vogliamo emancipazione) dai ranghi sempre più stigmatizzati della servitù. In parte, cresceva per sostituzione: nel- le cucine, ad esempio, le cuoche tendevano a rimpiazzare i cuochi maschi151. In parte, era dovuta al diffondersi di nuove figure specializzate nell’educazione e istruzione dei bambini, oggetto di crescenti attenzioni. Senza dubbio le balie da latte risultava-
149
R. SARTI, Notes on the feminization of domestic service, p. 145. 150
R. SARTI, Il servizio domestico: un canale di mobilità sociale? Il caso di Bologna ( fine ‘700-inizio ‘900), in SOCIETÀ ITALIANA DI DEMOGRAFIA STORICA, Disuguaglianze: stratificazione e mobilità sociale nelle popola- zioni italiane (dal secolo XIV agli inizi del secolo XX). Relazioni e comunicazioni presentate da autori italia- ni al II congré Hispano Luso Italià de Demografía Histórica, Savona, 18-21 novembre 1992, Bologna, Clueb, 1997, vol. I, pp. 145-167; R. SARTI, “Noi abbiamo visto tante città, abbiamo un’altra cultura”, pp. 17-46; R. SAR- TI, Domestic Service as a “Bridging Occupation”. Past and Present, in S. PASLEAU – I. SCHOPP (eds), con R. SARTI, Proceedings of the Servant Project, vol. IV, pp. 163-185.
151
R. SARTI, Melhor o cozinheiro? Um percurso sobre a dimensão de gênero da preparação da comida (Euro- pa ocidental, séculos XVI-XIX), «Cadernos Pagu», 39/2012, pp. 87-158, in part. pp. 130-132, con riferimenti a ulteriori studi.
no vieppù rare, per via dell’affermarsi dell’allattamento materno. Ma si moltiplicava- no bambinaie, educatrici, istitutrici, maestre, mademoiselles...152
Certo, realtà anche non troppo distanti mostravano dinamiche peculiari. È il caso di Bologna e Firenze153. Quasi ovunque, però, nell’Ottocento, aumentava il peso rela- tivo delle serve, seppur in modo non sempre lineare154. Tale trasformazione era lega- ta all’intrecciarsi della crisi dello stile di vita nobiliare tradizionale con l’affermazione culturale e l’espansione numerica delle borghesie, tradizionalmente meno inclini a impiegare servitù maschile rispetto alla nobiltà, se si escludono dal novero dei do- mestici gli apprendisti, i garzoni, i commessi di negozio155.
Come già accennato, tra gli uomini serpeggiava una crescente indisponibilità a lavorare come domestici tout-court o ad accettare alcune condizioni imposte dai pa- droni ai loro servitori, come indossare la livrea, posticipare e/o rinunciare al matri- monio156: «Venni via da me perché oltre a farmi fare da cuoco mi facevano andare in livrea al teatro», spiegò ad esempio Raffaello Minguzzi a un giudice del tribunale di Firenze che lo interrogava nel 1876, esprimendo un’avversione verso la livrea condi- visa da altri domestici157. Almeno in alcuni contesti, la maggior flessibilità delle don-
152
R. SARTI, Per una storia del personale domestico, pp. 30-31, 52-54. 153
Sul caso di Firenze si vedano M. CASALINI, Il servizio domestico femminile nella Firenze dell’Ottocento, «Passato e presente», 9/1990, pp. 135-149; M. CASALINI, Le serve e i loro padroni, in COMUNE DI CARPI, Ope- raie, serve, maestre, impiegate, pp. 265-286; M. CASALINI, Servitù, nobili e borghesi nella Firenze dell’Ottocento, Olschki, Firenze 1997;M. CASALINI,Un univers en mutation. La domesticité à Florence au XIXe siècle, in S. PASLEAU – I. SCHOPP (eds), con R. SARTI, Proceedings of the Servant Project, vol. IV, pp. 101- 124; M. CASALINI, Retour sur la féminisation et la professionnalisation du service domestique au XIXe siècle, à partir du cas toscan, «Annales de démographie historique», 117/2009, pp. 121-151; G.B. SALINARI,De la montagne à la ville: le long des parcours migratoires des servantes en Toscane au XIXe siècle, in S. P
ASLEAU – I. SCHOPP (eds), con R. SARTI, Proceedings of the Servant Project, vol. II, pp. 87-100; G.B. SALINARI, Anatomia di un gruppo senza storia: i domestici a Firenze (1800-1875), «Polis. Ricerche e studi su società e politica in Italia», 18/2004, pp. 47-76.
154
R. SARTI, Notes on the feminization, in part. pp. 160-163 per dati comparativi a livello europeo, con relati- va bibliografia; passim per la non linearità del fenomeno.
155
Sui problemi definitori vedasi il secondo volume, cap. IV e R. SARTI, Who are Servants?
156 Ovviamente tale affermazione cerca di cogliere una linea di tendenza. Si vedano in questo senso A. A
RRU, Il servo. Storia di una carriera nel Settecento, Bologna, il Mulino, 1995, in part. pp. 43-45, 92, 104, R. SARTI, "All masters discourage the marrying of their male servants", pp. 417-449. Non mancavano però i domestici disoccupati, che avrebbero voluto lavorare nel settore ma non trovavano impiego, come ha mostrato Casali- ni per Firenze verso la metà dell’Ottocento, cfr. M. CASALINI, Servitù, nobili e borghesi, pp. 201-205.
157
M. CASALINI, Servitù, nobili e borghesi, p. 100, nota 70 (ripreso da ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Tribu- nale di Firenze, Processi penali, 1876, busta 785, fascicolo 2044). Casalini riporta alcune altre testimonianze
ne, la loro maggiore disponibilità, rispetto ai maschi, a convivere con i padroni, a ri- mandare il matrimonio o a non sposarsi affatto ne facilitava una più vasta penetra- zione nel settore del lavoro domestico, senza dubbio favorita anche da altri fattori, tra i quali il costo minore, rispetto agli uomini. La crescente immigrazione stava pe- raltro facendo affluire nelle città masse montanti di donne di origine rurale disponi- bili o interessate a lavorare come serve158.
Parlare di femminilizzazione del personale domestico per il periodo ottocentesco non deve però trarre in inganno: tra i domestici ci sono sempre stati sia maschi sia femmine. Il peso relativo degli uni e delle altre, tuttavia, varia sensibilmente non solo nello spazio e ma anche nel tempo. Christiane Klapisch-Zuber, ad esempio, ha soste- nuto che, a Firenze, il Quattrocento fu, per le serve, una sorta di «età dell’oro», men- tre il Cinquecento vide aumentare la presenza di servitori maschi159. Dennis Romano ha suggerito che un trend analogo fosse in atto nella Venezia del XVI secolo160. Kla- pisch ha ricondotto la ri-mascolinizzazione del mercato del lavoro domestico alla crescente pressione demografica; Romano all’aristocratizzazione dell’élite veneziana e alla connessa enfatizzazione dell’onore, del consumo vistoso, dell’assunzione di servitori (maschi) investiti della funzione di status symbol161.
di servi che esprimono disagio o disappunto per il fatto di dover indossare la livrea. L’uso della livrea, a quanto è dato di giudicare, è comunque sempre più raro. In merito si veda anche il secondo volume, cap. IV.
158 Si veda in questo senso soprattutto il caso romano studiato da A. A
RRU, Il servo, pp. 99-102; 203-213 e pas- sim. Della stessa A. ARRU su questi temi anche Il matrimonio tardivo dei servi e delle serve, «Quaderni stori- ci», 23/1988, pp. 68, 469-96; A.ARRU, A che prezzo la carriera! Nubilato e servizio domestico a Roma nell’Ottocento, in SOCIETÀ ITALIANA DI DEMOGRAFIA STORICA, Popolazione, società, ambiente. Temi di demo- grafia storica italiana (secc. XVII-XIX), Bologna, Clueb, 1990, pp. 103-123. Sul caso fiorentino: G. SALINARI, Anatomia di un gruppo senza storia: i domestici a Firenze (1800-1875), «Polis», 18/2004, pp. 47-76. Sull’accesso al matrimonio da parte dei domestici cfr. R. SARTI, "All masters discourage the marrying of their male servants".
159
C. KLAPISCH-ZUBER, Célibat et service féminins dans la Florence du XVe siècle, «Annales de démographie historique», 1981, pp. 289-302; C. KLAPISCH-ZUBER, Women Servants in Florence (14th-15th Centuries), in B. HANAWALT (ed), Le serve a Firenze nei secoli XIV e XV (1986), in B. HANAWALT, La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 253-283.
160
D.ROMANO, Housecraft and Statecraft. Domestic Service in Renaissance Venice, 1400-1600, Baltimore and London, The Johns Hopkins University Press, 1996, pp. XXI, 229-230, e il saggio The Regulation of Do- mestic Service in Renaissance Venice, «Sixteenth Century Journal», 22/1991, pp. 661-677.
161