bile, se una legge sbagliata ci marchierà con le stigmate della riprovazione universa- le», aveva denunciato la petizione dei domestici scritta da Cloots46. Le persone one- ste, continuava, abbandoneranno tale condizione ormai considerata infamante e de- stinata a divenire quella di «paria occidentali»47. In parte, tali previsioni colsero nel segno, anche se il crescente disprezzo cui il personale domestico appariva condanna- to non può essere ricondotto solo alla sospensione dei diritti politici per i domestici, come pareva suggerire Cloots.
Lo stesso Rousseau, che Cloots citava nella chiusa della petizione a supporto delle sue tesi («J.-J. Rousseau n’a jamais rougi d’avoir été domestique»), aveva in realtà ve- rosimilmente contribuito ad alimentare tale disprezzo, sia pur in modo contraddit- torio. Jean-Jacques, come è noto, era stato domestico. Orfano di madre, fino all’età di dieci anni era stato istruito dal padre, orologiaio calvinista di discreta cultura. Con lui aveva letto Bossuet, Plutarco, La Bruyère, Fontenelle, Molière. «Da queste inte- ressanti letture, dalle conversazioni che esse generavano fra mio padre e me, si for- mò quello spirito libero e repubblicano, quel carattere indomabile e fiero, insofferen- te ad ogni giogo e ad ogni schiavitù, che mi ha tormentato per tutto il tempo della mia vita», scrisse nelle Confessioni48. Tutto cambiò nel 1722, quando il padre per una
46
AP, tome L, pp. 671-672, Pétition des domestiques: «la domesticité tombera dans le plus honteux avilis- sement, l’orgueil des maîtres deviendra insupportable, si une loi erronée nous imprime les stigmates de la réprobation universelle. Qu’est-ce qu’il en résultera? Les honnêtes gens renonceront à un état désormais infâme et les crimes domestiques se multiplieront en raison de l’avilissement d’une classe proscrite, d’une caste abjecte, de parias occidentaux».
47
Ibidem, corsivo nel testo. L’uso del termine parias (ma anche prolétaires) da parte di Clootz ha reso il discorso oggetto di interesse per la storia della lingua francese, cfr. F. BRUNOT –C.BRUNEAU,Histoire de langue française des origines à 1900, tome IX, La Révolution et l’Empire, deuxième partie, Les événements, les institutions et la langue, Paris, Armand Colin, 1937, pp. 710-711. Non manca di accennare al discorso di Cloots E. VARIKAS, Les rebuts du monde. Figures du paria, Paris, Stock, 2007, p. 35.
48
J.-J. ROUSSEAU, Le confessioni, Milano, A. Mondadori, 1990, p. 59 (ho lievemente modificato la punteg- giatura; corsivo mio). In alcune note preferirò la traduzione di G. Cesarano, Milano, Garzanti, 1976. Per l’originale cfr. J.-J. ROUSSEAU, Oeuvres, tome X, Contenant la premiere Partie des Mémoires composée des
Confessions & des Rêveries du Promeneur Solitaire, Genève, l’édition du Peyrou et Moultou, J.M. Gallanar, éditeur, 1782): «De ces intéressantes lectures, des entretiens qu’elles occasionnoient entre mon pere & moi,
lite lasciò Ginevra. Jean-Jacques fu messo in educazione in campagna presso il pasto- re Lambercier e la sorella di questi49. Rientrato a Ginevra, fu collocato come appren- dista presso il cancelliere Masseron: insofferente dell’«assog-gettamento» (assujettis-
sement)50, fu cacciato. Allora fu collocato in apprendistato presso un incisore51. Il racconto di tale esperienza è un’analisi lucida e impietosa degli effetti disastrosi dell’asservimento e della dipendenza. Villano e violento, il padrone Ducommun:
«riuscì in brevissimo tempo a offuscare tutto lo splendore della mia infanzia, ad abbrutire il mio carattere affettuoso e vivace e a ridurmi, sia nello spirito che nella condizione, al mio vero stato di apprendista. Il mio latino, la mia passione per le antichità e per la storia, tutto fu dimenticato per molto tempo; non ricordavo neppure che al mondo fossero esistiti dei Romani. Mio padre, quando andavo a trovarlo, non vedeva più in me il suo idolo; non ero più per le signore il galante Jean-Jacques, e io stesso sentivo a tal punto che il signore e la signorina Lambercier non avrebbero più riconosciuto in me il loro allievo, che ebbi ver- gogna di ripresentarmi a loro, e da allora non li ho più rivisti. I gusti più vili, la più bassa
licenziosità subentrarono ai miei divertimenti gentili»52.
Significativamente, il disagio del giovane Jean-Jacques non dipendeva né dal lavo- ro in sé, né dalle condizioni strettamente materiali: «non ero assolutamente mal nu- trito in casa del mio padrone», ammise nelle Confessioni53. A risultargli intollerabile
se forma cet esprit libre & républicain, ce caractere indomptable & fier, impatient de joug & de servitude qui m’a tourmenté tout le tems de ma vie» [sic la grafia]). Nelle note che seguono indicherò le pagine dell’edizione italiana e, tra parentesi, il testo francese tratto dall’edizione indicata. Nelle prossime note verrà fornito il link alle opere di Rousseau pubblicate su http://www.e-rara.ch. Le opere del Ginevrino sono di- sponibili anche sul sito http://www.rousseauonline.ch.
49
J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, p. 63. Rousseau restò con gli zii e questi lo misero in educazione a Bossey, con il loro figlio.
50
Ivi, p. 82. G. Cesarano, nell’ed. Garzanti, traduce invece il termine con «dipendenza» (p. 31). 51
J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, p. 82. Rousseau avrebbe preferito un orologiaio, come da tradizione fami- liare, ma non se ne lamentò: «Il disprezzo del cancelliere mi aveva profondamente umiliato, e obbedii senza protestare» («Les dédains du greffier m’avoient extrêmement humilié & j’obéis sans murmure»).
52
Ivi, p. 83, ho lievemente modificato la traduzione, seguendo su qualche punto quella di G. Cesarano, p. 31 (l'originale suona: «Mon maître M. Ducommun étoit un jeune homme rustre & violent, qui vint à bout en très-peu de tems de ternir tout l’éclat de mon enfance, d’abrutir mon caractere aimant & vif & de me réduire par l’esprit ainsi que par la fortune à mon véritable état d’apprentif. Mon latin, mes antiquités, mon histoire, tout fut pour long-tems oublié: je ne me souvenois pas même qu’il y eût eu des Romains au monde. Mon pere, quand je l’allois voir, ne trouvoit plus en moi son idole; je n’étois plus pour les Dames le galant Jean- Jaques & je sentois si bien moi-même que M. & Mlle. Lambercier n’auroient plus reconnu en moi leur éleve, que j’eus honte de me représenter à eux & ne les ai plus revus depuis lors. Les goûts les plus vils, la plus basse polissonnerie succéderent à mes aimables amusemens», [sic grafia e corsivi]).
53
J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, trad. it. di V. Valente, ed. Mondadori, p. 86 (l'originale recita: «Je n’étois pas absolument mal nourri chez mon maître» [sic]).
e ad avere su di lui conseguenze devastanti, fino al punto di renderlo un «ragazzo perduto» (enfant perdu), erano la mancanza di libertà e di uguaglianza:
«Non era il mestiere in sé a dispiacermi; [...] speravo di raggiungervi la perfezione. Ci sarei arrivato, probabilmente, se la brutalità del mio padrone e l’eccessiva soggezione non mi avessero disgustato del lavoro. Gli sottraevo il mio tempo per impiegarlo in occupazioni dello stesso genere, ma che avevano per me l’attrattiva della libertà. [...]
La tirannia del mio padrone finì per rendermi insopportabile il lavoro, che avrei amato, e per procurarmi vizi che avrei odiato, quali la menzogna, la poltroneria, il furto. Nulla mi ha insegnato la differenza che corre tra la dipendenza filiale e la schiavitù servile, quanto il ricordo dei mutamenti che quel periodo produsse in me. [...] Avevo goduto di una libertà onesta, che sino allora s’era andata solo gradualmente restringendo, ed ora svanì del tutto. Ero ardito in casa di mio padre, libero in quella del signor Lambercier, discreto da mio zio; divenni pavido presso il padrone, e da allora fui un ragazzo perduto. Abituato a una perfet-
ta eguaglianza con i miei superiori nel modo di vivere [...] si giudichi che cosa dovetti di-
ventare in una casa dove non osavo aprir bocca, dove bisognava allontanarsi dalla tavola a un terzo del pasto, e dalla stanza non appena non avevo più nulla da farvi, dove, incatena- to senza tregua al lavoro, vedevo solo oggetti di godimento per gli altri e di privazione per me; dove l’immagine della libertà del padrone e dei lavoranti aggravava il peso della mia
dipendenza (assujettissement); dove nelle discussioni sugli argomenti che meglio conosce-
vo non osavo aprir bocca; dove insomma tutto ciò che vedevo diventava per il mio cuore oggetto di cupidigia unicamente perché ero privo di tutto [...].
Ecco come imparai a desiderare in silenzio, a nascondermi, a dissimulare, a mentire, e per- sino a rubare, fantasia che fino a quel momento non mi era mai venuta, e dalla quale da al- lora non sono più riuscito a guarire del tutto. Cupidigia e impotenza portano sempre là.
Ecco perché tutti i domestici sono furfanti e tutti gli apprendisti devono esserlo; ma questi
ultimi, in uno stato costante e tranquillo, in cui tutto ciò che vedono è alla loro portata, perdono, crescendo, tale vergognosa inclinazione. Non avendo goduto lo stesso vantaggio,
non ho potuto trarne il medesimo profitto»54.
54
J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, trad. it. di V. Valente, ed. Mondadori, pp. 83-85 e trad. di Cesarano, ed. Garzanti, pp. 32-33, ho seguito ora l’una ora l’altra traduzione, e fatto qualche minima correzione personale (L'originale suona: «Le métier ne me déplaisoit pas en lui-même; j’avois l’espoir d’en atteindre la perfection. J’y serois parvenu, peut-être, si la brutalité de mon maître & la gêne excessive ne m’avoient rebuté du travail. Je lui dérobois mon tems, pour l’employer en occupations du même genre, mais qui avoient pour moi l’attroit de la liberté» [...] «La tyrannie de mon maître finit par me rendre insupportable le travail que j’aurois aimé & par me donner des vices que j’aurois hais, tels que le mensonge, la fainéantise, le vol. Rien ne m’a mieux appris la différence qu’il y a de la dépendance filiale à l’esclavage servile, que le souvenir des changemens que produisit en moi cette époque [...] j’avois joui d’une liberté honnête qui seulement s’étoit restreinte jusque-là par degrés & s’évanouit enfin tout-à-fait. J’étois hardi chez mon pere, libre chez M. Lambercier, discret chez mon oncle; je devins craintif chez mon maître & dès lors je fus un enfant perdu. Accoutumé à une égalité parfaite avec mes supérieurs dans la maniere de vivre [...] qu’on juge de ce que je dus devenir dans une maison où je n’osois pas ouvrir la bouche, où il falloit sortir de table au tiers du repas & de la chambre aussi-tôt que je n’y avois rien à faire, où sans cesse enchaîné à mon travail, je ne voyois qu’objets de jouissances pour d’autres & de privations pour moi seul, où l’image de la liberté du maître & des
Fatto oggetto di un umiliante disprezzo, il giovane Jean-Jacques si avvia su un percorso di degradazione che le punizioni (in modo solo apparentemente paradossa- le) finiscono per legittimare. «In breve, a forza di subire maltrattamenti, divenni meno sensibile ad essi», racconta. «Reputavo che picchiarmi come un mascalzone significasse autorizzarmi ad esserlo»55.
A queste prime esperienze ne seguono altre. Lacchè in livrea a Torino in casa di Madame de Vercellis, sperimenta la frustrazione di sentirsi spersonalizzato, ridotto alla funzione che svolge56. Sprofonda nell’abbruttimento: ruba e incolpa, creduto, una ragazza innocente57. In casa Gouvon, prova la mortificazione di essere ignorato, il piacere di imporsi all’attenzione dei padroni, le ambiguità di essere al contempo discepolo e domestico (senza livrea), il disagio per la gelosia degli altri servitori, il peso di essere oggetto passivo di progetti altrui, tanto da andarsene con arroganza e finanche ingratitudine, pur di riaffermare la propria indipendenza58. E poi, ancora, è segretario e interprete di un sedicente archimandrita, precettore in casa Mably, do- mestico dell’ambasciatore francese a Venezia... Nuove case, nuovi servizi: ruoli che non sono più quelli di lacchè o valletto, come ci terrà a precisare, polemizzando con- tro l’assimilazione di tutti i domestici sotto il «vil titre de valets»59. Ma che restano
compagnons augmentoit le poids de mon assujettissement, où, dans les disputes sur ce que je savois le mieux, je n’osois ouvrir la bouche, où tout enfin ce que je voyois devenoit pour mon coeur un objet de con- voitise, uniquement parce que j’étois privé de tout. [...] Voilà comment j’appris à convoiter en silence, à me cacher, à dissimuler, à mentir & à dérober enfin; fantaisie qui jusqu’àlors ne m’étoit pas venue & dont je n’ai pu depuis lors bien me guérir. La convoitise & l’impuissance menent toujours là. Voilà pourquoi tous les laquais sont fripons & pourquoi tous les apprentis doivent l’être; mais dans un état égal & tranquille, où tout ce qu’ils voyent est à leur portée, ces derniers perdent en grandissant ce honteux penchant. N’ayant pas eu le même avantage, je n’en ai pu tirer le même profit» [sic grafia, corsivi miei]).
55
J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, trad. it. di V. Valente, p. 87 e trad. di Cesarano, p. 36, ho seguito in parte una in parte l’altra traduzione (riporto un brano un po’ più lungo di quello tradotto nel testo: «Bientôt à force d’essuyer de mauvais traitemens, j’y devins moins sensible; ils me parurent enfin une sorte de com- pensation du vol, qui me mettoit en droit de le continuer. [...] Je jugeois que me battre comme fripon, c’étoit m’autoriser à l’être. [...] Sur cette idée je me mis à voler plus tranquillement qu’auparavant [sic])».
56
J.-J. ROUSSEAU, Les Confessions, p. 105: «à force de ne voir en moi qu’un laquais, elle m’empêcha de lui paroître autre chose. Je crois que j’éprouvai des-lors ce jeu malin des intérêts cachés qui m’a traversé toute ma vie» [sic].
57
J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, trad. it. di V. Valente, pp. 136-142. 58
Ivi, pp. 149-157. 59
Réponses aux questions faites par M. de Chauvel 1766, in J.-J. ROUSSEAU, Œuvres, tome XVII, Nouvelles lettres de J.J. Rousseau, p. 148: «mais bien qu’eux & moi fussions ses domestiques, il ne s’ensuit point que
più o meno ambiguamente nell’ambito della domesticità. Insofferente di ogni dipen- denza, ora abbandona gli impieghi, ora si fa licenziare, cercando costantemente di migliorare il proprio stato. Ama la libertà, odia l’assoggettamento60.
Renoncer à sa liberté c’est renoncer à sa qualité d’homme.
«Renoncer à sa liberté c’est renoncer à sa qualité d’homme», scrive Rousseau nel Contratto sociale, trattando della schiavitù e della questione se un uomo possa alienare se stesso61. A suo avviso, una cessione del genere darebbe al padrone il diritto di pretendere tutto dallo schiavo, lasciando quest’ultimo senza alcun diritto sul padrone62. Poiché un contratto implica sempre uno scambio, sarebbe un atto nullo. Ma se la schiavitù non può nascere da un contratto, da che cosa deriva? Aristotele, scrive Rousseau, aveva ragione: ci sono uomini nati per essere schiavi; l’uomo nato in schiavitù nasce per la schiavitù. Niente di più certo. Gli schiavi, infatti, con le loro catene perdono tutto, perfino il desiderio di esser liberi. Lo Stagirita scambiava però l’effetto per la causa: se ci sono schiavi per natura è perché ci sono stati schiavi contro natura. È l’uso della forza, infatti, che ha introdotto la schiavitù tra gli uomini. Ed è la loro la viltà che l’ha perpetuata63. Per Rousseau, lo schema interpretativo di Aristotele va ribaltato: è la schiavitù che fa dello schiavo un mentecatto, non viceversa. Privato della possibili- tà di scegliere (dunque ridotto a strumento della volontà del padrone, per usare ilnos fussions ses valets»; lettera a M. Du Theil, Venise, 8 agosto 1744, in Oeuvres complètes de J.J. Rousseau avec des notes historiques, tome IV, Dialogues – Correspondance, Paris, Furne, 1836, p. 189 («M. l’ambassadeur, qui s’est fait des maximes de confondre tous ceux qui sont à son service sous le vile titre de valets»). Il riferimento è al ruolo avuto al servizio dell’ambasciatore a Venezia.
60
Lo ripete spesso, cfr. ad esempio J.-J. ROUSSEAU, Les Confessions, p. 47: «J’adore la liberté: j’abhorre la gêne, la peine, l’assujettissement». La sua insofferenza per la servitù è tale che si rifiuta di scrivere al princi- pe di Conti per non dover usare con nessuno la tradizionale formula «il vostro umile servitore», cfr. R. TROUSSON,Jean-Jacques et ‘les dernier des hommes’, «Studi francesi», 104/1991, pp. 249-259, p. 249.
61
J.-J. ROUSSEAU,Du contrat social ou principes du droit politique, in Oeuvres, tome I, pp. 186-360 (in part. pp. 192-193).
62
J.-J. ROUSSEAU,Il contratto sociale o principi di diritto politico (1762), Milano, Rizzoli, 1982, pp. 57-58; cfr. anche J.-J.ROUSSUEAU, Du contrat social.
63
Ivi, p. 193: «Aristote avoit raison, mais il prenoit l’effet pour la cause. Tout homme né dans l’esclavage, naît pour l’esclavage, rien n’est plus certain. Les esclaves perdent tout dans leurs fers, jusqu’au desir d’en sortir: ils aiment leur servitude comme les compagnons d’Ulysse aimoient leur abrutissement. S’il y a donc des esclaves par nature, c’est parce qu’il y a eu des esclaves contre nature. La force a fait les premiers esclaves, leur lâcheté les a perpétués».
linguaggio dello Stagirita), l’uomo asservito non ha peraltro personalità morale: «to- gliere ogni libertà alla volontà, significa togliere ogni valore morale alle azioni»64. La schiavitù costituisce lo scalino più basso della dipendenza personale, dove il giusto e l’ingiusto cessano di essere possibili65.
Riconoscere la contingenza e la storicità della schiavitù (paradigma di tutte le forme di dipendenza personale, anche quelle meno estreme) non implica tuttavia alcuna particolare simpatia, da parte di Rousseau, per chi le subisce. I servi, che, nel- la penosa scala della dipendenza, sono a suo avviso solo un gradino sopra gli schia- vi66, gli appaiono tutti furfanti (fripons). Arroganti, approfittatori, imbroglioni, cana- glie... Il vocabolario che usa per definirli è tutt’altro che lusinghiero67. Non si stanca di ripetere che è opportuno assumerne il minor numero possibile, per avere meno nemici ed essere meglio serviti68. Raccomanda che la buona madre e il buon padre allevino in prima persona la prole, evitando di affidarla a nutrici mercenarie e a do-
64
J.-J. ROUSSEAU,Il contratto sociale o principi di diritto politico, pp. 57-58; cfr. anche J.-J.ROUSSUEAU, Du contrat social.
65
J. SHKLAR, Jean-Jacques Rousseau and Equality, «Daedalus», 107, 3/1978, pp. 13-25, pp. 14-15. 66
Ivi, p. 15. 67
J.-J., ROUSSEAU, Les Confessions, p. 39: «tous les laquais sont fripons»; ivi, pp. 345-346: «Passe encore quand il y a peu de domestiques; mais dans les maisons où j’allois, il y en avoit beaucoup, tous très-rogues, très-fripons, très-alertes, j’entends pour leur intérêt, & les coquins savoient faire en sorte que j’avois succes- sivement besoin de tous» (J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, trad. it. di V. Valente, p. 598: «passi ancora quando ci sono pochi domestici; ma nelle case in cui andavo ce n’erano molti, tutti molto arroganti, molto imbroglioni, molto svegli, intendo dire per il loro interesse, e quei bricconi sapevano fare in modo che io avessi successivamente bisogno di tutti»); cfr. anche J.-J. ROUSSEAU, Lettre au Prince Louis-Eugene de Wir- temberg, 10 novembre 1763, in J.-J. ROUSSEAU, Oeuvres, tome XII, Pièces sur divers sujets et recueil de lettres sur la philosophie, la morale et la politique, Lettres sur divers sujets de philosophie, de morale et politique, Genève, Barde et Manget, 1782, pp. 145-159 (p. 155 recita: «Mettez du choix dans ceux que vous garderez, & préférez de beaucoup un service exact à un service agréable. Ces gens qui applanissent tout devant leur maître, sont tous des fripons» [sic]); R. TROUSSON,Jean-Jacques et ‘les dernier des hommes’; R. TROUSSON – F.S. EIGELDINGER, Le Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau, Paris, Honoré Champion, 1996, voce domes- tique. Vedasi anche nota 70.
68
J.-J. ROUSSEAU, Julie, ou La Nouvelle Héloïse. Lettres de deux amans, habitans d’une petite ville au pied des Alpes, tome II, Genève, Barde et Manget, 1780, p. 70 recita: «Il n’arrive gueres qu’on soit mal servi par peu de domestiques»; J.-J. ROUSSEAU, Émile ou de l’éducation, contenant les derniers livres d’Émile ou de l’Éducation suivis d’Émile & Sophie, ou les solitaires, tome II, Genève, Barde et Manget, 1782, p. 177: «Pour être bien ser- vi, j’aurois peu de domestiques: cela déjà été dit, & cela est bon à redire encore» [sic grafia]; anche J.-J. ROUSSEAU, Lettre au Prince Louis-Eugene de Wirtemberg, 10 novembre 1763, p. 155: «Réduisez votre suite au moindre nombre de gens qu’il soit possible; vous aurez moins d’ennemis, & vous en serez mieux servi. S’il y a dans votre maison un seul homme qui n’y soit pas nécessaire, il y est nuisible; soyez-en sûr» [sic].