Kant 1793.
Nello stesso anno 1793 in cui, in Francia, fu approvata la cosiddetta co-stituzione giacobina, uno dei maggiori filosofi dell’epoca, Immanuel Kant, in uno scritto che non può essere astratto da quelle che, allora, erano le «circostanze attua- li», si occupò del «rapporto della teoria con la prassi nel diritto dello Stato (contro Hobbes)»: uno scritto sul quale è opportuno soffermarsi brevemente per valutare appieno la portata innovativa della costituzione francese del 1793.
Scrive Kant:
«lo stato civile, considerato semplicemente in quanto stato giuridico, è fondato sui seguen- ti principî a priori:
1. La libertà di ogni membro della società, come uomo. 2. L’eguaglianza di ogni membro con ogni altro, come suddito. 3. L’indipendenza di ogni membro del corpo comune, come cittadino».
Nel trattare in dettaglio il terzo punto, egli afferma che «tutti coloro che sotto leggi pubbliche già esistenti sono liberi e uguali» sono tenuti all’osservanza delle leg- gi e godono della protezione che esse offrono. Ma non tutti, «in ciò che riguarda il diritto», sono a suo avviso «da considerare come uguali nel dare le leggi». E solo chi è capace di questo diritto è cittadino.
«Ora, colui che in questa legislazione ha il diritto di voto si chiama cittadino (...) La qualità che si esige a questo fine, eccetto quella naturale (che non sia donna né bambino) è esclusivamente questa: che egli sia suo proprio signore (sui iuris), e cioè abbia una qualche
proprietà (in cui può includersi anche ogni arte, lavoro manuale, o arte bella o scienza),
che lo mantenga; vale a dire che egli, nei casi in cui debba acquistare da altri per vivere, acquisti solo attraverso la alienazione di ciò che è suo, non attraverso la concessione che egli dia ad altri di far uso delle sue forze; di conseguenza, che egli non serva nel senso proprio della parola, nessuno se non il corpo comune».
In una nota Kant si attarda a spiegare la differenza tra il lavoro degli artifices e quello di domestici e altri operarii che non sono membri dello Stato né cittadini: l’artigiano scambia la sua proprietà (opus) con l’altro, domestici e altri operarii scambiano l’uso delle loro forze, che cedono a un altro (opera)1. I domestici dunque
non sono i soli ad essere esclusi: lo sono anche gli operai. Kant giustifica l’esclusione sulla base di ragioni in parte diverse da quelle addotte da altri autori2. Resta però il fatto che anche un filosofo del suo peso e della sua autorevolezza considera il domestico e il cittadino come due figure inconciliabili: un’ennesima conferma del diffuso conservatorismo che per molto tempo ha caratterizzato i modi di pensare i domestici da un lato e, dall’altro, del valore di rottura della costituzione francese del 1793, che lanciava un messaggio davvero rivoluzionario. Eppure anche nelle sue pieghe si nascondevano delle insidie. Torniamo in Francia.
In Francia.
«Ogni uomo nato e domiciliato in Francia, che ha compiuto 21 anni;
Ogni straniero, che pure ha compiuto 21 anni, che da un anno vive del suo lavoro nella Re- pubblica e vi è domiciliato;
Colui che acquisisce una proprietà in Francia, e vi è domiciliato da un anno; Colui che sposa una francese, ed è domiciliato in Francia da un anno;
1
I. KANT, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi (1793), in I. KANT, Scritti di storia, politica e diritto (1995), a cura di F. Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 123-161 (pp. 137, 141-142). Kant chiude la nota ammettendo la difficoltà di determinare i requisiti per essere sui iuris. Il testo tedesco è disponibile nella edizione elettronica delle opere kantiane (che riprende la Akademie-Ausgabe): Elektronische Edition der Gesammelten Werke Immanuel Kants. La prima citazione suona: «Der bürgerli- che Zustand also, bloß als rechtlicher Zustand betrachtet, ist auf folgende Principien a priori gegründet: 1. Die Freiheit jedes Gliedes der Societät, als Menschen. 2. Die Gleichheit desselben mit jedem Anderen, als Unterthan. 3. Die Selbstständigkeit jedes Gliedes eines gemeinen Wesens, als Bürgers»; la seconda citazio- ne recita: «Derjenige nun, welcher das Stimmrecht in dieser Gesetzgebung hat, heißt ein Bürger (citoyen, d. i. Staatsbürger, nicht Stadtbürger, bourgeois). Die dazu erforderliche Qualität ist außer der natürlichen (daß es kein Kind, kein Weib sei) die einzige: daß er sein eigener Herr (sui iuris) sei, mithin irgend ein Ei- genthum habe (wozu auch jede Kunst, Handwerk oder schöne Kunst oder Wissenschaft gezählt werden kann), welches ihn ernährt; d. i. daß er in den Fällen, wo er von Andern erwerben muß, um zu leben, nur durch Veräußerung dessen, was sein ist, erwerbe, nicht durch Bewilligung, die er anderen giebt, von seinen Kräften Gebrauch zu machen, folglich daß er niemanden als dem gemeinen Wesen im eigentlichen Sinne des Worts diene».
2
La distinzione tra locatio operarum intesa come cessione di forza lavoro e locatio operis intesa come ces- sione, dietro compenso, del risultato di un lavoro, è presente già nel diritto romano.
Colui che adotta un bambino o mantiene un anziano, ed è domiciliato in Francia da un anno;
Ogni straniero, infine, che il Corpo legislativo giudicherà benemerito presso l’umanità;
è ammesso all’esercizio dei diritti di cittadino francese»3.
Così recita l’articolo relativo ai requisiti necessari per godere dei diritti di cittadi- no francese approvato l’11 giugno 1793 dalla Convenzione, ed entrato nella versione definitiva della costituzione dell’anno primo con lievi modifiche di carattere esclusi- vamente redazionale4. Si tratta di un articolo che esprime una visione della cittadi- nanza molto inclusiva. Però...
La versione dell’articolo sottoposta alla discussione differiva da quella approvata. Non insisteva sulla necessità di essere domiciliati in Francia: il primo comma non ne faceva cenno; il secondo trattava solo di stranieri di almeno ventun anni che viveva- no in Francia del loro lavoro; il terzo e il quarto parlavano di “residenza” (non di “domicilio”). La versione approvata accoglieva un emendamento del vicepresidente Thuriot, che lo aveva richiesto con le seguenti motivazioni:
«Penso che si debba determinare lo stato dell’individuo, perché un uomo ricco potrebbe assumere un gran numero di operai e domestici per votare per lui, e voi dovete prevenire questi abusi. Chiedo che si sostituisca la parola “domiciliato” alla parola “risiede”; perché, per essere domiciliati, bisogna aver affittato l’appartamento o comperato la casa dove si al- loggia»5.
Da un lato si proclamava che la legge non riconosceva la domesticità; dall’altro, in ossequio ai tradizionali sospetti e pregiudizi verso i servitori6, si prevedeva una con- dizione che senza dubbio avrebbe potuto ridurne significativamente l’accesso al vo- to. I domestici, infatti, spesso abitavano presso i padroni, e non possedevano una ca- sa né avevano un appartamento in affitto. Non avevano dunque un “domicilio” nel senso inteso dall’articolo della costituzione7.
Quasi a voler prevenire possibili esclusioni dovute all’assenza di un domicilio o a requisiti di natura fiscale, Anacharsis Cloots, nella petizione dei domestici del 28
3
AP, tome 66, p. 283 (11 aprile 1793): «Tout homme né et domicilié en France, âgé de 21 ans accomplis; Tout étranger âgé pareillement de 21 ans accomplis, qui depuis une année vit de son travail dans la République et y est domicilié [sic]; Celui qui acquiert une propriété en France, et y est domicilié depuis un an; Celui qui épouse une Française, et domicilié en France depuis un an; Celui qui adopte un enfant ou nourrit un vieil- lard, et domicilié [sic] en France depuis un an; Tout étranger enfin, qui sera jugé par le Corps législatif avoir bien mérité de l’humanité; est admis à l’exercice des droits de citoyen français».
agosto 1792 analizzata nel capitolo precedente, aveva proposto un’originale interpre- tazione del loro status, sostenendo che un domestico è un «locatario che paga il suo affitto con la sua manodopera e che paga le imposte per mano altrui»8.
Non è dato di verificare l’impatto effettivo del requisito del domicilio previsto dalla costituzione del 1793. Sottoposta a referendum e approvata dai votanti, essa,
4
«De l’état des citoyens. Article 4. - Tout homme né et domicilié en France, âgé de vingt et un ans accom- plis; - Tout étranger âgé de vingt et un ans accomplis, qui, domicilié en France depuis une année - Y vit de son travail - Ou acquiert une propriété - Ou épouse une Française - Ou adopte un enfant - Ou nourrit un vieillard; - Tout étranger enfin, qui sera jugé par le Corps législatif avoir bien mérité de l’humanité - Est ad- mis à l’exercice des Droits de citoyen français.
5
AP, tome 66, p. 283 (11 giugno 1793): «Je pense qu’il faut déterminer l’état de l’individu, car un homme riche pourrait occuper un grand nombre d’ouvriers ou de domestiques pour voter en sa faveur, et vous devez prévenir cet abus. Je demande qu’on substitue au mot réside le mot domicilié; car pour être domicilié, il faut avoir loué l’appartement ou avoir acheté la maison où on loge».
6
Un altro esempio significativo di un persistente modo di considerare i domestici come minori è offerto da un catechismo rivoluzionario in cui si sostiene che padri e madri, padroni e padrone, maestre e maestri hanno l’obbligo di insegnare ai propri figli, domestici e allievi i diritti dell’uomo (e il catechismo, risalente all’anno II, cita naturalmente anche l’art. 16 della costituzione, secondo il quale la legge non riconosce do- mesticità), cfr. P. SÉRANE, Catéchisme du citoyen à l’usage des jeunes républicains français, Paris, Martin, an 2, p. 11.
7
Fin dagli anni Novanta, Anne Verjus ha sostenuto che il criterio del domicilio faceva sì che i domestici non fossero in realtà toccati dall’universalizzazione del suffragio, cfr. A. VERJUS, Les femmes, épouses et mères de citoyens ou de la famille comme catégorie politique, pp. 224-225; A. VERJUS, Vote familialiste et vote familial, p. 31, nota 6. Avendo letto solo di recente questi lavori di Verjus e non essendo pienamente consapevole del significato tecnico del termine “domicile”, nei miei precedenti studi non avevo dato il giusto peso al requisi- to del domicilio. La questione mi si è peraltro chiarita in tutta la sua portata solo quando ho letto la citazio- ne qui riportata in apertura del paragrafo, individuata grazie ad un lavoro piuttosto sistematico sugli atti parlamentari. Si noti che in antico regime era stato fatto divieto ai domestici di affittare camere senza il permesso dei padroni e una disposizione analoga sarebbe stata introdotta nel 1810. Su quest’ultima disposi- zione vedi nota 21; sulla situazione in antico regime cfr. ad esempio M.-H.-C. MITTRE, Des Domestiques en France, pp. 191-193; J.P. GUTTON, Domestiques et serviteurs, p. 138.
8
AP, tome L, Pétition des domestiques rédigée par Anacharsis Clootz, p. 671: «c’est un locataire qui paye son loyer avec sa main-d’oeuvre et qui paye les impôts par la main d’autrui». Si noti che quando, nel 1695, era stata introdotta la capitation, che gravava su tutta la popolazione, i domestici ne erano stati esentati (i pa- droni dovevano invece pagare un surplus per ogni domestico impiegato). Alcuni domestici, sentendosi di- scriminati, chiesero di pagarla, ma senza successo, cfr. M.-H.-C. MITTRE, Des domestiques en France, p. 14; C. FAIRCHILDS, Domestic Enemies, p. 6; C. PETITFRÈRE, L’oeil du maître, pp. 90, 174. Vedasi anche ivi, pp. 190- 191 sui limiti che i criteri del domicilio e del pagamento delle imposte avevano imposto alla partecipazione dei domestici anche prima della Rivoluzione. La capitation venne abolita durante la Rivoluzione. La contri- bution mobilière, introdotta nel 1791, si divideva in due parti: una, comune a tutti gli abitanti, assumeva co- me base imponibile (base de répartition) il valore dei beni che davano la qualifica di cittadino attivo, i do- mestici impiegati, i cavalli e i muli da sella e da carrozza nonché il valore annuale dell’abitazione; l’altra par- te, che gravava sui salari pubblici e privati, i redditi dell’industria e dei «fonds mobilières», assumeva come base imponibile tali redditi «évalués d’après la cote des loyers d’habitation». Il valore dell’alloggio era dun- que cruciale, cfr. AP, vol. XXII, p. 169 (12 gennaio 1791), art. 3 e 4.
infatti, non fu mai applicata: il 10 ottobre, la Convenzione ne rinviò l’applicazione fino al raggiungimento della pace9. Prima che la pace fosse raggiunta, fu però sosti- tuita da un nuovo testo costituzionale, la costituzione del 22 agosto 1795, che rein- trodusse la sospensione dei diritti politici per i domestiques à gages10. Così, neppure i domestici che avevano casa propria poterono godere dei frutti del cambiamento di prospettiva recepito dalla costituzione del 1793.
Significativamente, nell’estate del 1795 anche la riorganizzazione della guardia nazionale tornò a limitare la partecipazione dei domestici, seppur, ufficialmente, per non gravare sulle fasce di popolazione meno fortunate11. E, nel 1798-1799, i legislatori francesi arrivarono addirittura a discutere se i domestici potessero portare la coccar- da tricolore, che nel 1792 era stata resa obbligatoria per tutti gli uomini: secondo al- cuni, il simbolo dell’indipendenza e della cittadinanza rivoluzionarie sarebbe stato svilito dal fatto che lo indossassero anche i domestici. Le discussioni in seno al Con- siglio dei Cinquecento non arrivano a tradursi in legge, e durante i dibattiti non mancò chi sostenne una posizione inclusiva. Il fatto stesso che se ne discutesse è pe- rò significativo, alla luce dell’importanza dei simboli nel periodo rivoluzionario12.
Pierre Rosanvallon ricorda che la sospensione del diritto elettorale per i domesti-
ques à gages sarebbe stata abolita nel 1806 per le assemblee cantonali, ma con
un’apertura di fatto solo formale13. Nel 1837, comunque, la Cour de Cassation chiarì
9
AP, tome LXXVI, p. 312 (10 ottobre 1793). 10
Titre II, État politique des citoyens, Article 13: «L’exercice des droits de citoyen est suspendu: [...]- 3° Par l’état de domestique à gage, attaché au service de la personne ou du ménage».
11
Decreto 28 pratile anno III = 16 giugno 1795, art. 5: «Les citoyens peu fortunés, domestiques, journaliers et manouvriers des villes ne seront plus compris dans les contrôles des compagnies, à moins qu’ils ne récla- ment contre cette disposition; dans le cas où on battra la générale, ils prendront place dans la compagnie de leur quartier, pour contribuer au secours où à la défense commune», cfr. J.B. DUVERGIER, Collection com- plète des Lois, Décrets, Ordonnances, Réglemens [sic], Avis du Conseil-d’Etat, tome 8, p. 141.
12
J. HEUER,Hats on for the Nation! Women, servants, soldiers and the ‘sign of the French’, «French History», 16/2002, pp. 28-52. Sulle coccarde e più in generale sull’abbigliamento durante la Rivoluzione cfr. L. HUNT, Freedom of Dress in Revolutionary France, in S. MELZER – K. NORBERG (eds), From the Royal to the Republi- can Body. Incorporating the Political in Seventeenth- and Eighteenth-Century France, Berkeley, University of California Press, 1998, pp. 224-249.
13
P. ROSANVALLON, La Rivoluzione dell’uguaglianza, pp. 210, 475 e 202. Per il testo della disposizione cfr. Décret Impérial N.° 1255, 17 gennaio 1806, in Bulletin des lois, 4.e série, tome IV, Paris, Imprimerie nationa- le, 1806, pp. 216-237. Il decreto prevedeva un domicilio politico che poteva essere diverso dal domicilio civi- le.
che l’art. 5 dell’atto costituzionale del 22 frimaio anno VIII (13 dicembre 1799) doveva ritenersi ancora in vigore, poiché nessuna legge posteriore era intervenuta a modifi- carlo. Tale articolo stabiliva che l’esercizio dei diritti di cittadinanza era sospeso «par l’état de domestique à gages, attaché au service de la personne ou du ménage»14. All’epoca, il sistema elettorale francese, rigidamente censitario, avrebbe peraltro escluso gran parte dei domestiques anche qualora non fossero state previste barriere specifiche. Se alle elezioni del 1792 la percentuale dei votanti aveva raggiunto l’85 per cento degli uomini di più di ventun anni, durante la Restaurazione e fino alla Rivolu- zione del 1848 tale percentuale oscillò infatti tra l’1 e il 2,3 per cento15. È comunque interessante che le barriere specifiche per i domestici venissero mantenute: in Fran- cia, i servitori (maschi) ottennero finalmente il voto solo nel 1848, quando fu intro- dotto il suffragio universale maschile. A lungo, tuttavia, furono esclusi dall’elettorato passivo nelle elezioni dei consigli comunali16. Trattando della legge municipale del 5 aprile 1884, che ancora una volta ne ribadiva l’ineleggibilità, un commentatore spie- gava che la scelta di escluderli non era certo dovuta alla loro povertà o alle loro umili condizioni: era dovuta solo alla loro particolare situazione, che non avrebbe loro permesso di esercitare le funzioni di consigliere comunale «con una piena indipen- denza»17. Tale preclusione sarebbe venuta meno solo nel 193018.
14
M.-H.-C. MITTRE, Des domestiques en France, p. 17, la sentenza cui fa riferimento risale al 14 agosto 1837. Mittre (che non parla del decreto del 1806) ricorda che tale interpretazione restrittiva era stata contestata alla Camera dei deputati in occasione della discussione della legge municipale (verosimilmente quella 21 marzo 1831). Per il testo dell’atto costituzionale cfr. ad esempio http://www.dircost.unito.it/cs/docs/13-12- 1799.htm. Sulla sospensione dei diritti di cittadinanza dei domestici cfr. ad esempio anche L. RONDONNEAU, Collection des lois françaises constitutionelles..., tome I, Paris, Ange Clo, 1811, p. 3. Sui dubbi precedenti alla presa di posizione della Cour de Cassation del 1837 cfr. E.M.MIROIR -CH.JOURDAN, Formulaire Municipal..., Seconde édition, Tome VI, Grenoble, Prudhomme, 1846, p. 137.
15
A. TIANO, Les pratiques publiques d’exclusion depuis la Révolution française, p. 46. 16
O. FOURCADE, De la condition civile des domestiques, Paris, A. Rousseau, 1898, pp. 152-153; P. ROSANVAL- LON, La Rivoluzione dell’uguaglianza, pp. 427-428, 475-477.
17
L’articolo 32 della legge 5 aprile 1884 elencava le caterogorie di persone che «ne peuvent pas être conseil- lers municipaux» e al 4° alinea recitava: «4° Les domestiques attachés exclusivement à la personne», cfr. P. L. MORGAND, La loi municipale. Commentaire de la loi du 5 avril 1884, Paris-Nancy, Tome I, Berger-Levrault et C.ie, 19026, p. 23 e, per la citazione, p. 213: «ce n’est pas du tout parce qu’ils [= les indigentes et les domes- tiques] sont pauvres ou dans une humble condition que la loi les déclare inaptes à faire partie du conseil municipal, mais uniquement parce que leur situation particulière ne leur permettrait pas d’exercer leurs fonctions avec une indépendance complète».
Per quanto riguarda il formale riconoscimento dei diritti, i domestici continuaro- no a subire anche altre discriminazioni. Prima del 1848, la possibilità di essere giura- to in tribunale era stata riservata a coloro che godevano dei diritti elettorali. Quando fu introdotto il suffragio universale maschile, ci si affrettò ad approvare una norma che escludesse i domestici dalla funzione di jurés (decreto 7 agosto 1848). Come spiegò il ministro della giustizia in una circolare di poco successiva (10 settembre 1848), tale esclusione
«non implica né disistima né disprezzo. Al contrario, ha origine in un’idea elevata e mora- le; infatti, l’inattitudine legata a questa condizione si fonda sul fatto che il giurato deve go- dere di una piena indipendenza, ed essere al riparo da ogni genere di influenza. Ne deriva che tale esclusione concerne al contempo i domestici al servizio della persona e quelli al servizio della casa. Gli uni e gli altri non hanno un’indipendenza sufficientemente comple-
ta per poter esercitare le funzioni di giurato»19.
Fu solo con la legge del 13 febbraio 1932 che domestiques et gens de maison si vi- dero riconosciuto «le droit d’être juré»20. Dunque quasi un secolo dopo essere stati ammessi a godere del diritto di voto.
Pur destinata a non restare in vigore tanto a lungo, un’altra norma che ledeva il principio di uguaglianza a tutto svantaggio dei domestici era la previsione dell’art. 1781 del Codice civile. Il Codice, come è noto, risaliva al 1804. Recepiva tuttavia un uso, verosimilmente pressoché universale nella Francia di antico regime, in base al
18
La legge 8 gennaio 1930 eliminò il 4° alinea dell’art. 32 della legge 5 aprile 1884 (su cui vedi nota pre- cedente), cfr. Loi du 8 janvier 1930 supprimant le quatrième alinéa de l’article 32 de la loi du 5 avril 1884 sur l’organisation municipale (ma il testo della legge non è disponibile online).
19
O. FOURCADE, De la condition civile des domestiques, pp. 150-151: «Elle n’implique ni dédain, ni mépris; elle prend sa source au contraire dans une idée élevée et morale; l’inaptitude qui est attachée à cette situa- tion est fondée en effet sur ce que le juré doit jouir d’une entière indépendance, et être à l’abri de toute es- pèce d’influence. Il suit de là qu’elle s’applique à la fois aux domestiques attachés su service de la personne, et à ceux attachés au service de la maison. Les uns et les autres n’ont pas une indépendance assez complète pour exercer les fonctions de juré». L’esclusione sarebbe stata mantenuta dalle successive leggi del 4 giugno 1853 e del 21 novembre 1872.
20
Loi du 13 février 1932 conférant aux domestiques et gens de maison le droit d’être juré (ma il testo della