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Baroni tedeschi e lacchè.

In passato, i francesi si vantavano di avere dei baroni

tedeschi a servizio nelle loro scuderie, e in Germania si faceva sfoggio del fatto di avere un marchese francese impiegato in cucina, sosteneva polemicamente Anachar- sis Cloots nella ormai più volte citata petizione dei domestici, in cui, come si è detto, paventava anche il rischio che i domestici divenissero «paria occidentali»103. Lascia-

100

J.-J. ROUSSEAU, Julie, ou La Nouvelle Héloïse, p. 91: «Les valets imitent les maîtres & les imitant gros- sierement ils rendent sensibles dans leur conduite les défauts que le vernis de l’éducation cache mieux dans les autres». Si veda ad esempio J.S. SHKLAR, Men and Citizens. A Study of Rousseau’s social theory, Cam- bridge, Cambridge University Press, 1985, pp. 111-112.

101

J.-J. ROUSSEAU, Julie, ou La Nouvelle Héloïse, p. 100: «quand il s’agit de l’intérêt sacré du maître, l’affaire ne sauroit demeurer secrete; il faut que le coupable s’accuse ou qu’il ait un accusateur. [...] Alors, après avoir écouté paisiblement la plainte & la réponse, si l’affaire intéresse son service, elle [= Julie] remercie l’accusateur de son zele. Je sais, lui dit-elle, que vos aimez votre camarade; vous m’en avez toujours dit du bien & je vous loue de ce que l’amour du devoir & de la justice l’emporte en vous sur les affections particu- lieres; c’est ainsi qu’en use un serviteur fidele & un honnête homme» ([sic]).

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J.-J. ROUSSEAU, Le Confessioni, trad. it. di V. Valente, p. 92. 103

AP, tome L, pp. 671-672, Pétition des domestiques: «les Français d’autrefois [...] se vantaient d’avoir des barons allemands dans leurs écuries, tandis qu’en Allemagne on se vantait d’avoir des marquis français dans les cuisines». I francesi «d’autrefois» sono distinti dai francesi «régénérés».

mo da parte gli aspetti nazionalistici e concentriamoci su quelli sociali. La frase era solo in parte iperbolica: nelle corti e nelle famiglie ai vertici della società, i membri del personale di servizio potevano davvero appartenere anche alla nobiltà104. E tale realtà sociale non fu completamente spazzata via neppure dalla Rivoluzione: Cavour (che era nato nel 1810), da ragazzo servì Carlo Alberto in qualità di paggio (1824- 1826), per non citare che un esempio molto noto105.

Possiamo allora chiederci: come cambiarono la composizione e la posizione so- ciale dei domestici? La risposta è complessa. Vale però la pena di trattare brevemen- te la questione, nonostante il rischio di schematizzare troppo, per necessità di sinte- si, fenomeni molto sfaccettati106.

In antico regime, il personale domestico era una galassia dai confini incerti e mol- to diversificata: un servo di campagna era evidentemente altra cosa rispetto a un maggiordomo. Era poi anche molto gerarchizzata: nelle grandi case, in particolare, era presente una pluralità di figure diverse, dal mozzo di stalla al prete di casa, dal cuoco al precettore, dalla sguattera alla governante, per non fare che qualche esem- pio. Una distanza sociale che poteva essere enorme separava chi si trovava alla base e chi, invece, era ai vertici di tali sfaccettate gerarchie. Semplificando la complessità delle articolazioni interne, si può dire che, in genere, le figure che popolavano i ran- ghi inferiori dell’universo servile erano di bassa origine sociale; quelle che occupava- no le posizioni apicali erano spesso di estrazione sociale media o anche nobile. Non mancavano, tuttavia, possibilità di carriera che permettevano a individui di umili na- tali di “scalare” la gerarchia della servitù, arrivando a ricoprire, al suo interno, gli in- carichi più prestigiosi. La situazione era resa ancora più complicata dal fatto che, quanto più era elevato lo status del padrone, tanto più lo era quello dei suoi dome-

104

Il tema sarà oggetto di trattazione dettagliata nel secondo volume di quest’opera. 105

Il fatto è menzionato praticamente in tutte le biografie di Cavour. Si veda ad esempio R. ROMEO, Vita di Cavour (1984), Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 15-17; E. PASSERIN D’ENTRÈVES, ad vocem, in DBI, vol. XXIII (1979).

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Tali studi verranno in parte richiamati nelle prossime note. Mi permetto di rimandare ad essi per ulte- riori indicazioni bibliografiche sui singoli aspetti. Il tema verrà ripreso nel secondo volume di questo lavoro.

stici, che, per certi versi, brillavano di luce riflessa107 (ma per altri versi contribuiva- no, con il loro status d’origine, a rafforzare o indebolire quello del loro signore: riu- scire ad avere al proprio servizio persone di alta estrazione irrobustiva la propria preminenza)108.

Gli studi storici condotti sulle società di antico regime e su quelle ottocentesche mostrano, tuttavia, che, nel lungo periodo, la distanza sociale tra le varie figure della gerarchia interna al personale domestico tende ad attenuarsi e la varietà dei ruoli tende, entro certi limiti, a semplificarsi109.

Cappenere e livree.

Nella prospettiva di cogliere le gerarchizzazioni interne al

personale domestico e le trasformazioni che le caratterizzarono nel corso del tempo, è di particolare interesse la vicenda della confraternita che raccoglieva i domestici bolognesi110. Intitolata a San Vitale, servo di Sant’Agricola111, e nota anche come Uni- versità dei servitori, era stata canonicamente fondata nel 1697112. Il primo gruppo di servitori che si era riunito per dare origine alla congregazione era composto da servi- tori di «cappanera» e da «staffieri». Era dunque formato sia da membri di quella che nelle grandi case rappresentava la servitù “alta”, talvolta definita come “famiglia su- periore”, che in genere vestiva con abiti propri (donde il nome di cappenere), sia da membri della servitù bassa, la “famiglia inferiore”, tenuta a portare la livrea113. I “capi-

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Si ricordi che, in origine, il temine “satellite” indicava una guardia del corpo, un servitore armato che seguiva ovunque un potente per difenderlo, e fu inizialmente impiegato nell’ambito astronomico da Keple- ro all’inizio del Seicento, cfr. ad vocem in Vocabolario Treccani online.

108

R. SARTI,Per una storia del personale domestico, pp. 21-105.

109 Ibidem. 110

Riprendo qui, con qualche aggiustamento, alcune parti del mio saggio R. SARTI, L’Università dei Servitori di Bologna.

111

G.D. GORDINI, Vitale e Agricola, in Bibliotheca Sanctorum, Roma, La Città Nuova, 1969, vol. XII, coll. 1225-1228; G. FASOLI (ed), Vitale e Agricola. Il culto dei protomartiri di Bologna attraverso i secoli nel XVI centenario della traslazione, Bologna, Centro Editoriale Dehoniano, 1993.

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I primi statuti della Congregazione facevano riferimento a una precedente compagnia spirituale di servi- tori, che essi si proponevano di rifondare. Di tale antica congregazione, tuttavia, erano «quasi intieramente periti i fondamenti», sebbene non ne mancassero «le memorie», seppur scarse e frammentarie, cfr. US, b. 4, SS (1697-1758), Libro A, N. 1, Campione, Capitoli della Congregazione di S. Vitale erretta da Servitori ap- provati dall’Eminentissimo, e Reverendissimo Signor Cardinale Giacomo Boncompagni Arcivescovo di Bolo- gna, e Principe del Sacro Romano Impero, cc. 5v-6v.

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toli” (cioè le regole del sodalizio) discussi nelle prime riunioni stabilivano che il prio- re della congregazione dovesse «sempre essere uno di cappanera»114, e «di riguarde- vole conditione»115. La maggioranza degli staffieri era d’accordo sul fatto che il capo della futura associazione fosse una persona di un certo livello sociale, caso frequente tra le cappenere, ma non tra i servitori di livrea: forse gli staffieri trovavano ovvio che a comandare fossero i membri della servitù alta alla quale essi erano quotidianamen- te sottoposti. Due staffieri, tuttavia, erano di altro avviso, e se ne andarono lasciando «intendere di voler procurare l’erettione d’un altra simile congregatione»116. E così fecero: pochi giorni dopo radunarono un gruppo di servitori, stesero degli statuti che non concedevano alcuna preminenza alle cappenere e presentarono all’arcivescovo un memoriale in cui chiedevano di poter erigere la nuova congregazione117. In tal modo, batterono sul tempo i membri dell’altro gruppo (in gran parte “braccieri”118): quest’ultimi, quando si recarono a loro volta dal vicario, si sentirono dire che un’analoga richiesta era già stata avanzata dagli staffieri, ai quali era stata promessa una risposta affermativa una volta soddisfatte alcune condizioni. Essi, pertanto, «ve- dessero se potevano unirsi con li staffieri, e formare frà tutti due le Università una sola, che all’hora si havrebbe concesso ogni opportuna facoltà»119.

All’udire tale proposta i braccieri protestarono: erano stati loro i primi a riunirsi per dar vita alla congregazione! La prospettiva di fare un’associazione insieme alle cappenere non piacque tuttavia neppure agli staffieri, che, nello spiegare al vicario le loro ragioni, ci hanno lasciato un documento straordinario della loro percezione del- le gerarchie e dei conflitti interni all’“universo servile”. Essi si dichiaravano disponi- bili ad accettare i braccieri, ma, per intanto, solo nella classe “larga”: nella “stretta”,

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US, b. 2, LC (1697-1767), vol. 1, 1697 Stracetto per li negotij attinenti alla Congregatione, 4 giugno 1697. 115

US, b. 1, SR (1696-1821), fasc. 1, statuti senza titolo (cap. VIII). 116

US, b. 2, LC (1697-1767), vol. 1, 1697 Stracetto, 4 giugno 1697. 117

US, b. 4, SS (1697-1758), Libro A, N. 1, Campione, Memoriale presentato per parte de servitori di Bologna al Signor Cardinale Arcivescovo, 2 luglio 1697, cc. 1v-2r; US, b. 2, LC (1697-1767), vol. 2, Libro Primo delle Con- gregazioni de Servitori e loro Università prima degli Anni della Beata Vergine, e di S. Antonio, e poscia di S. Vitale che comincia li 4 luglio 1697 e termina sotto li 28 novembre 1700, 4-17 luglio 1697, cc. 1r-7v.

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Il bracciere era il domestico che accompagnava le dame nelle loro uscite. Il termine è talvolta usato in un senso più ampio per indicare domestici di alto livello.

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che avrebbe dovuto «reggere tutto il peso» della congregazione120, non c’era più po- sto. Aggiungevano, tuttavia, che a loro avviso i braccieri non avrebbero mai accettato di entrare a tali condizioni: «desiderando essi superiorità soprà li staffieri, non vor- ranno mai questi dichiararsi minori, non che eguali à quest’altri». In fondo era stata proprio la pretesa delle cappenere di «essercitar loro tutti li ufficij, e posti maggiori nella congregazione, et insomma [di] esser loro li plenipotenziarij di quella» a pro- vocare la secessione degli staffieri. «Chimerica, e fuori d’ogni ragione» era d’altra parte, secondo gli staffieri, la motivazione che i braccieri avevano addotto per giusti- ficare le loro pretese, e cioè che per la congregazione fosse decoroso affidare le cari- che principali alle cappenere; disdicevole, al contrario, permettere a persone in livrea di recarsi, all’occorrenza, a trattarne gli affari con le autorità cittadine in qualità di suoi rappresentanti. Se, infatti, si voleva davvero formare una congregazione di servi-

tori, sostenevano gli staffieri, non si poteva ignorare che il “titolo” di servitore era

«proporzionato à qualunque stia all’attual servizio d’un altro, nulla importando il ve- stir di proprio, ò il vestir l’habito del padrone, cioè la livrea»: era sbagliato pensare che l’uno comportasse maggior «distinzione, et honorevolezza» dell’altro. E ciò era tanto più vero alla luce del fatto che la distinzione tra una cappanera e uno staffiere non era data una volta per tutte: oggi, notavano gli staffieri,

«un servitore diventa camariere, e bracciere, e domani (...) quell’huomo à cappa nera è in necessità di vestir livrea, se vogliono tanto li uni, come li altri procacciarsi il vitto, essendo che ogni servente si butta à tal mestiere di servire, ò nell’uno, ò nell’altro modo, cioè a cappa nera, ò à livrea, conforme se gli rappresenta l’occasione, per esser ciascheduno pri- vo, e di arte, e di facoltà, non potendosi dire che uno si ponghi all’altrui servizio per fare il

gentil’huomo, e per proprio capriccio»121.

Siamo “solo” nel 1697 e affermazioni del genere possono stupire: a quest’epoca, nelle corti e nelle grandi case, come si è detto, il personale domestico è estremamen- te complesso e gerarchizzato, e comprende, nei suoi strati superiori, anche nobili. A Bologna, tuttavia, non c’è una corte. Inoltre, se l’organizzazione domestica delle di- more ai vertici della scala sociale costituisce una fonte di ispirazione, o addirittura

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ARCHIVIO GENERALE ARCIVESCOVILE DI BOLOGNA, Raccolta degli statuti, cart. XXI, Enti ecclesiastici, fasc. 392, Congregazione di S. Vitale detta Università dei Servitori in Bologna, Capitoli (1697-1698), c. 3v.

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un modello, anche per famiglie di minor levatura sociale, certe figure professionali, nella misura in cui si diffondono, sono verosimilmente sempre più spesso incarnate (anche) da persone che non provengono né dalla nobiltà né dalle borghesie medio- alte122.

Comunque sia, gli staffieri bolognesi erano convinti che braccieri e camerieri non godessero di «maggiori prerogative» rispetto a loro. Ritenevano giusto, pertanto, formare una congregazione in cui tutti fossero «eguali» e «fratelli in Christo», «il quale di propria bocca detesta queste chimeriche ambizioni», tanto più alla luce del fatto che in città c’erano molte università spirituali formate da «gradi di persone» ben più lontani. Supplicavano dunque il vicario di continuare a favorirli: così facendo avrebbe tra l’altro procurato «alla Repubblica» un beneficio maggiore di quello che sarebbe derivato dal favorire i braccieri, dal momento che «si trovaranno in Bologna circa due mila serventi à livrea, et altro, e non si ritrovaranno trecento tra braccieri, e camerieri»123. Il vicario, tuttavia, insistette che si procurasse l’unificazione. Ma non ci fu nulla da fare: per alcuni anni ci furono in città due congregazioni concorrenti. So- lo nel 1703, quella che per comodità definiremo unione delle cappenere confluì nella congregazione degli “staffieri”124 (in realtà comprendeva anche staffieri, e ormai sen- za discriminazioni125). Nella competizione tra i due gruppi, quello degli “staffieri” aveva vinto. Il fatto che fosse l’associazione delle cappenere a confluire nell’altra, e non il contrario, confermava forse che, diffondendosi, le figure professionali un tem- po presenti solo nelle grandi famiglie perdessero parte del loro prestigio e fossero più facilmente assimilabili agli strati medio bassi del personale domestico.

122

G. FRAGNITO, La trattatistica cinque e seicentesca sulla corte cardinalizia. «Il vero ritratto di una bellissi- ma e ben governata corte», «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 17/1991, pp. 135-185; R. SARTI, Per una storia del personale domestico, pp. 55-91.

123

US, b. 2, LC (1697-1767), vol. 2, Libro Primo, 17 luglio 1697, c. 6v. 124

Il “gruppo delle cappenere” aveva assunto il titolo di San Floriano. Sull’unione delle due associazioni cfr. US, b. 2, LC (1697-1767), vol. 1, 1697 Stracetto; vol. 3, Libro per le congregazioni [sic] di S. Vitale eretta da servitori di Bologna dalli 21 gennaro 1701 sino, e per tutto li 25 giugno 1707, c. 23v e segg.; vol. 4, Ristretto, 6 gennaio - 15 marzo 1703; b. 4, SS (1697-1758), Libro A, N. 1, Campione, Memoriale presentato à Monsignor Vicario Generale di Bologna in occasione dell’Unione, ò sia aggregazione all’Universita de Servitori de devoti di S. Floriano con suo rescritto sotto li 10 marzo, cc. 27r-28v.

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Ma se da un lato, appunto, la storia della nascita della confraternita rispecchiava un appiattimento verso il basso della complessa gerarchia servile, dall’altro la con- gregazione avrebbe in seguito portato avanti una politica di prestigio volta a dare di- gnità ai servitori. Questo sostanzialmente in due modi. Anzitutto attraverso una scelta mutualistica volta a sottrarre i domestici all’indigenza in caso di malattia e du- rante la vecchiaia: «Habbiamo pensato di spropriarci di qualche porzione delle no- stre sostanze per aiutarci reciprocamente l’uno con l’altro»126, si spiegava nella fase fondativa. E poi con una vivace presenza sulla scena cittadina attraverso i funerali dei confratelli e l’attiva partecipazione a varie iniziative devozionali. Scelte azzeccate che avrebbero contribuito al successo della confraternita: negli anni Ottanta del Set- tecento sarebbe arrivata ad avere più di cinquecento membri.

Le truppe napoleoniche, al loro arrivo a Bologna, nel 1796, trovarono i confratelli impegnati nell’organizzazione di una solenne celebrazione della festa di San Vitale in occasione del centenario dell’erezione della congregazione, che cadeva l’anno suc- cessivo127. Nonostante il cambio di regime, la festa ebbe luogo128. E la congregazione non fu tra quelle soppresse. Certo, nel 1799 i pagamenti delle quote associative e sus- sidi vennero sospesi. Ma alla fine del 1799 l’attività riprese, seppur in tono minore rispetto al passato, e continuò poi abbastanza regolarmente per tutto il periodo na- poleonico. Il numero dei confratelli ebbe una ripresa durante la Restaurazione. Dagli anni Trenta dell’Ottocento in poi subì invece un declino inarrestabile: la congrega- zione perse la capacità di farsi interprete della totalità dei servitori, portando all’estremo una tendenza forse avviata già nel tardo Settecento. La sua Weltan-

schauung si rivelò sempre più inattuale, e le sue strategie insostenibili. Nel 1883, ul-

timo anno per il quale si può ricavare un dato, i confratelli erano ridotti a trentaquat- tro. Un’intera parabola si era compiuta: trentaquattro, ironia della sorte, erano stati,

126

US, b. 4, SS (1697-1758), Libro A, N. 1, Campione, Capitoli, c. 6v. 127

US, b. 3, LC (1767-1848), vol. 3, Libro, 18 gennaio 1796. 128

US, b. 15, Bilanci annuali (1755-1883), 1797 Conto dell Incasso, e Spese fattosi per la festa di S. Vitale detta la Centinara.

infatti, anche i servitori che quasi due secoli prima si erano riuniti per fondare la confraternita129.

Un mondo in mutamento.

Braccieri, cappenere, staffieri e lacchè – le figure che

avevano dato vita alla congregazione – nell’Ottocento andavano scomparendo. Mini- stri di casa, segretari e computisti, che per decenni ne avevano animato l’attività, erano sempre più spesso considerati impiegati privati, piuttosto che servitori. La cronologia delle trasformazioni che investivano il personale di servizio era specifica per ogni tipo di domestico130. Rispetto a ciascuno di essi, tuttavia, il cosiddetto pe- riodo “giacobino” e napoleonico fu però un momento importante.

In primo luogo, l’arrivo dei francesi a Bologna, nel 1796, aveva permesso di tra- durre in pratica, accentuandoli, gli attacchi allo stile di vita nobiliare, improntato al lusso e allo spreco, che già da tempo erano nell’aria131. Era stato vietato l’uso delle li- vree ed era stata introdotta un’imposta suntuaria sull’impiego di domestici132. L’arrivo dei francesi aveva poi generato un clima effervescente, caratterizzato, tra l’altro, da dure condanne dell’uso delle portantine in nome della libertà e dell’uguaglianza. Così, tuonava, nel 1778, il cittadino Luca Sgargi al Gran circolo co- stituzionale bolognese, ritenendo che tale uso, tra tutti i «comodi» in cui i ricchi dis- sipavano i loro patrimoni, fosse quello che più disonorava l’umanità:

«Questi moderni barbari mirateli entro di quella cassa rinchiusi che sugl’omeri riposa di due de suoi simili; volgete indi l’occhio conpassionevole [sic] a questi miseri come, fatti quasi giumenti, anelano per sostenerla; come largo il sudore piove dalla sua fronte [...] la

129

R. SARTI, L’Università dei Servitori di Bologna, pp. 720-723. 130

R. SARTI, Per una storia del personale domestico, pp. 55-91 e 156-159. 131

R. SARTI, Comparir “con equipaggio in scena”, pp. 160-166. 132

Raccolta de’ bandi, notificazioni, editti &c. pubblicati in Bologna dopo l’ingresso delle truppe francesi Ac- caduto li XVIII. Giugno MDCCXCVI, Stamperia Camerale, Bologna 1796-1797, parte IX, pp. 30-31; ivi, parte XVII, pp. 11-13. Cfr. anche Costituzione della Repubblica Cispadana (19 marzo 1797), “Dichiarazione dei dirit- ti e dei doveri dell’uomo”, art. VI, in A.AQUARONE -M. D’ADDIO -G.NEGRI (eds), Le costituzioni italiane, p. 42; Ia Costituzione della Repubblica Cisalpina (8 luglio 1797), tit. XIV, art. 369, ibidem, p. 119; IIa Costituzione

della Repubblica Cisalpina (1° settembre 1798), tit. XIV, art. 362, ibidem, p. 152 (le costituzioni sono disponi- bili, come ricordato, anche sul sito http://www.dircost.unito.it/cs/cs_index.shtml); Raccolta de’ bandi, noti- ficazioni, editti &c. pubblicati in Bologna dopo l’ingresso delle truppe francesi Accaduto li XVIII. Giugno MDCCXCVI, parte XVIII, pp. 8-10 (30 fiorile a. VI = 19 maggio 1798); ivi, parte XIX, p. 36 (20 pratile a. VI = 8 giugno 1798).

lor condizione, e [sic] così degradata, che quasi s’avvicina a quella delle bestie stesse;... Ma

nò Cittadini, ella è anche peggiore»133

.

Erano state così avviate o accelerate trasformazioni che neppure la Restaurazione avrebbe arrestato: l’uso delle portantine viene abbandonato. I braccieri scompaiono. Staffieri e lacchè diventano rari134. Si tratta di trasformazioni che si inseriscono in un trend che vede diminuire l’ampiezza degli staff domestici. Un trend che non è solo bolognese: anche i più ricchi hanno limitato il numero dei domestici, sostiene ad esempio Marius-Henri-Casimir Mittre nel 1837 a proposito della situazione francese. Nessuno, aggiunge, crede più che si possa esser serviti al meglio se si impiega un esercito di valletti dediti ai vizi legati all’ozio forzato, litigiosi oppure coalizzati con- tro il padrone135.

In secondo luogo, il periodo rivoluzionario, con la sua esaltazione dell’uguaglianza, della libertà, dell’indipendenza, aveva finito per portare a stigma- tizzare più che in passato la condizione di servo, come si è visto. Significativamente,

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