A proposito del percorso.
I concreti rapporti tra esseri umani erano e sono, ingenere, molto più complessi, magmatici, negoziabili (anche perché “inquinati” da sentimenti) rispetto alla lineare e cristallina univocità disegnata nel testo di Aristote- le. La sua rappresentazione delle relazioni nella sfera domestica e politica, qui sinte- tizzata in modo quasi stilizzato, nel corso dei secoli ha avuto tuttavia una varia (ma notevolissima) fortuna: numerosi pensatori l’hanno direttamente o indirettamente ripresa; molte leggi che regolavano le relazioni domestiche e l’accesso alla cittadi- nanza recano tracce della sua influenza. È allora anzitutto all’inseguimento di questa fortuna che mi muoverò nelle prossime pagine. Illustrato il punto di partenza, è ora anzi possibile, e senza dubbio opportuno, aggiungere qualche precisazione a quanto già detto nell’Introduzione circa il percorso che svilupperò in questo libro.
Focalizzando l’attenzione sul rapporto servo-padrone, in primo luogo indagherò, appunto, la “presa” della concezione aristotelica in età moderna e la sua persistenza fino alle origini dell’età contemporanea, ragione forse non ultima di alcuni durevoli problemi nella partecipazione politica formalmente allargata a soggetti un tempo da essa esclusi. Parlando di “presa” del modello aristotelico non intendo sopravvalutar- ne la portata, sia ben chiaro. L’età moderna e, prima, quella medievale, sono testi- moni di una pluralità di concezioni e pratiche delle relazioni familiari e della cittadi- nanza che sarebbe fuorviante ridurre a un unico modello unitario, come peraltro emergerà anche da questo lavoro. Se ho scelto di partire dal pensiero dello Stagirita e di inseguirne le rivisitazioni è perché, in modo diretto o mediato, e pur con una va- rietà di letture, proprio ad esso molti autori fanno riferimento, tanto che non manca chi ha sostenuto che costituisse addirittura la «filosofia socio-politica normale dell’Europa pre-rivoluzionaria»20.
Senza alcuna pretesa di esaustività, che in questo caso sarebbe comunque un ideale impossibile, nelle prossime pagine proporrò pertanto una breve rassegna di autori che hanno dato una rappresentazione delle relazioni domestiche e politiche
20
riconducibile, in ultima istanza, al modello elaborato da Aristotele21. Come detto nell’Introduzione, non mancherò comunque di accennare ad altre rappresentazioni e altre filiere, né di mostrare che – quando trattavano di servi – anche autori le cui idee erano complessivamente lontanissime da quelle dello Stagirita spesso sostenevano posizioni simili a quelle aristoteliche, o quantomeno da esse non troppo dissimili.
Già si è chiarito che passerò poi al concreto dibattito politico spostando lo sguar- do su due contesti cruciali per l’elaborazione delle “moderne” concezioni e pratiche della cittadinanza, vale a dire la Prima Rivoluzione inglese e la Rivoluzione francese. In particolare, valuterò come nei due casi fu affrontato l’accesso alla cittadinanza ri- spettivamente di servants e domestiques, eredi – per certi versi – dello schiavo (δοῦλος) di aristotelica memoria. Ma su questo è necessario un chiarimento.
Δοῦλοι, schiavi, servi, servants, domestiques.
L’Europa d’età tardo-medievalee moderna non aveva bandito la schiavitù: nel vecchio continente (oltre a servi della gleba22) erano presenti veri e propri schiavi, intendendo con questa definizione per- sone legalmente di proprietà di un padrone. C’erano schiavi nel mondo mediterra- neo: si trattava, in prevalenza (ma non solo) di musulmani nell’Europa cristiana, e di cristiani nell’Europa ottomana, gli uni e gli altri catturati durante le guerre “ufficiali” tra croce e mezzaluna o i continui attacchi e razzie perpetrati da corsari e pirati a
21
In proposito, va precisato che la riproposizione del modello aristotelico, a volte davvero pedissequa, può assumere significati diversi e avere diverse implicazioni politiche a seconda del contesto in cui è inserita. In questa sede, però, non è possibile procedere a una disamina che permetta sempre di svelare, per ogni singo- lo autore, come e in che misura specifiche frasi e parole vadano intese, e questo anzitutto perché per ogni opera sarebbe necessaria una lunga trattazione, e poi perché in molti casi sono possibili interpretazioni diverse, la cui valutazione critica sarebbe a sua volta molto laboriosa. Pertanto, mi limiterò a fornire indica- zioni su autori e testi che propongono rappresentazioni delle relazioni domestiche e politiche di più o me- no lasca ascendenza aristotelica, ritenendo anche questa operazione, pur meno ambiziosa, degna di inte- resse.
22
Sui servi della gleba cfr., per un quadro di sintesi, W. RÖSENER, I contadini nella storia d’Europa (1993), Roma-Bari, Laterza, 1993. Per una discussione della situazione russa in prospettiva comparata, che critica l’idea che possa essere tracciata una netta distinzione tra una Russia caratterizzata da forme di lavoro coatto e un Occidente caratterizzato dal lavoro libero, cfr. A. STANZIANI,Serfs, Slaves, or Wage Earners? The Legal Status of Labour in Russia from a Comparative Perspective, from the Sixteenth to the Nineteenth Century, «Journal of Global History», 3/2008, pp 183-202 e ora A. STANZIANI,Bondage: Labor and Rights in Eurasia from the Sixteenth to the Early Twentieth Centuries, Oxford-New York, Berghahn Books, 2014.
danno di imbarcazioni in mare e popolazioni rivierasche23. Ma c’erano schiavi anche altrove. Ce n’erano, in genere portati dalle colonie, anche in Inghilterra, dove in teo- ria vigeva il principio secondo il quale «England was too pure an air for slaves to breathe in». I giudici inglesi, infatti, esitarono a pronunciarsi contro la schiavitù fino al caso Somerset, celebrato da Lord Mansfield nel 1772 e forse, peraltro, sovrastimato quanto alle sue implicazioni abolizioniste24. E ce n’erano pure in Francia, sebbene vigesse il principio che chiunque ponesse piede sul suolo della nazione fosse per ciò stesso libero: almeno a partire dal Trecento, magistrati e avvocati francesi avevano affermato che «nul n’est esclave en France», e nel 1571 il Parlamento della Guienna aveva sancito che «La France, mère de la liberté, ne permet aucun esclave»25. Ciono- nostante, sistematiche violazioni del principio di libertà furono ammesse per giusti- ficare il ricorso a schiavi impiegati come rematori nelle galere (in genere musulmani, talvolta anche ortodossi)26. Con l’espansione coloniale, inoltre, il principio del sol li-
bre fu temperato. Non è possibile in questa sede ricostruire tale complessa vicenda:
basti ricordare che un editto regio del 1716 e una dichiarazione regia del 1738 (che pe- rò non furono registrati dal Parlamento di Parigi) concessero ai proprietari di schiavi di portarne dalle colonie in madrepatria, seppur per periodi limitati e sotto precise condizioni. Certo il Parlamento di Parigi, che aveva giurisdizione su un terzo circa
23
Oltre ai testi citati alla nota 15 dell’Introduzione si veda, per una rassegna degli studi in merito, S. BONO,
La schiavitù nel Mediterraneo moderno: storia di una storia, «Cahiers de la Mediterranée», 65/2002. Sulla fine della schiavitù legale in Italia cfr. R. SARTI,Tramonto di schiavitù. Sulle tracce degli ultimi schiavi pre- senti in Italia (sec. XIX), in F. GAMBIN (ed), Alle radici dell’Europa. Mori, giudei e zingari nei paesi del Medi- terraneo occidentale (volume II: secoli XVIII e XIX), Firenze, Seid, 2009, pp. 281-297.
24
Ad esempio S. PEABODY, “There are no slaves in France”. The Political Culture of Race and Slavery in the Ancien Régime, New York-Oxford, Oxford University Press, 1996, p. 4; C. STEEDMAN, Lord Mansfield’s Women, «Past and Present», 176/2002, pp. 105-143. L’A. ricorda che il giudizio di Lord Mansfield stabiliva soltanto che un padrone non potesse portare uno schiavo fuori dall’Inghilterra contro la volontà di quest’ultimo. Sottolinea, inoltre, come lo stesso Mansfield non credesse che la sua sentenza abolisse defini- tivamente la schiavitù (p. 138). La storica, infine, come altri autori, pensa che la schiavitù in Gran Bretagna sia tramontata grazie allo sforzo dei singoli schiavi di ottenere la libertà «rather than by the more conven- tionally evoked abolition established by legislation» (p. 133).
25
C. VERLINDEN, L’esclavage dans l’Europe médiévale (1955), 2 voll., Gent, Drukkerij Universa Te Wetteren, op Houtvrij Velijn, 1977, vol. I, pp. 851-854.
26
A. ZYNSBERG, Les galériens. Vies et destins de 60 000 forçats sur les galères de France 1680-1748, Paris, Seuil, 1987, pp. 66-67; G. WEISS, Infidels at the Oar: A Mediterranean Exception to France’s Free Soil Prin- ciple, «Slavery & Abolition», 32/2011, pp. 397-412.
del Regno, e il Tribunale dell’Ammiragliato, cui competevano le questioni relative alla marina e alla navigazione, si pronunciarono sistematicamente a favore degli schiavi che reclamarono la propria libertà in giudizio a partire dalla metà del Sette- cento. Ciò non impedì, tuttavia, che anche sul suolo francese ci fossero schiavi, sep- pur con uno status oggetto di controversie. Essi erano venduti e acquistati alla luce del sole. Tali compravendite furono vietate nel 1762. Per contrastare il fenomeno (ma anche per evitare lo sviluppo di una società multirazziale) nel 1777 fu vietato l’ingresso di neri, mulatti e persone di colore nel paese, ma la legge non fu rigida- mente applicata27. Insomma, la schiavitù non era un fenomeno relegato nelle colonie ma presente nel cuore dell’Europa, dalla Spagna all’Inghilterra, dall’Italia alla Ger- mania, sebbene la situazione, come si può intuire da queste brevi note, fosse alquan- to sfaccettata28.
Dal punto di vista legale, la condizione degli schiavi presenti in Europa in età tar- do-medievale e moderna in effetti non era omogenea, vuoi per le differenze tra i di- versi tipi di schiavitù, vuoi per le specificità delle tradizioni normative locali e delle trasformazioni che le caratterizzarono. Malgrado ciò, la condizione di tali schiavi era
27
S. PEABODY, “There are no slaves in France”, p. 5 e passim, cui si rimanda per la complessa vicenda della legislazione francese relativa agli schiavi portati in Francia dalle colonie; S. PEABODY, An Alternative Genea- logy of the Origins of French Free Soil: Medieval Toulouse, «Slavery & Abolition», 32/2011, pp. 341-362. Vedasi anche R. SARTI, Freedom and Citizenship? The Legal Status of Servants and Domestic Workers in a Compar- ative Perspective (16th-21st Centuries), in S. PASLEAU – I. SCHOPP (eds), con R. SARTI, Proceedings of the Servant Project, vol. 3, pp. 127-164 e in V. CRESCENZI (ed), Libertà e lavoro, numero monografico di «Diritto romano attuale», 15/2006, pp. 163-202, in part. 135-138. È indicativo del rifiuto di riconoscere la schiavitù, da parte di una porzione dei francesi, il fatto che la voce «Domestique» dell’Encyclopédie affermi che in Fran- cia «il n’y a point d’esclaves». La voce, firmata (A), si deve a A.-G. BOUCHER D’ARGIS, cfr. Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Paris, chez Briasson, David l’Aîné, Le Breton, Durand, vol. V, 1755, p. 29. Si noti che il divieto di ingresso in Francia del 1777, conosciuto come Police des Noirs, faceva riferimento al colore della pelle. La scelta era in parte dovuta al fatto che il Parlamento di Pari- gi verosimilmente non avrebbe approvato una norma che contenesse la parola “schiavi”, mentre approvò la Police des Noirs, cfr. S. PEABODY, “There are no slaves in France”, pp. 106-120. La norma segna un momento tristemente rilevante nella storia del razzismo, tema che richiederebbe un’ampia trattazione e al quale inve- ce, in questo lavoro, farò solo qualche cenno.
28
ISTITUTO “F.DATINI”-PRATO, Schiavitù e servaggio nell’economia europea secc. XI-XVIII - Serfdom and Slavery in the European Economy 11th-18th centuries, a cura di S. CAVACIOCCHI, Firenze, Firenze University Press, 2014. La schiavitù in Germania è divenuta di recente oggetto di ricerca, cfr. ad esempio A. WEINDL, Slave Trade of Northern Germany from the Seventeenth to the Nineteenth Centuries, in D.ELTIS –D.RICH- ARDSON (eds), Extending the Frontiers. Essays on the New Transatlantic Slave Database, New Haven, Yale University Press, 2008, pp. 250-271.
senza dubbio simile a quella del δοῦλος aristotelico (che era «un oggetto di proprie- tà»29) molto più di quella dei servi e dei domestici formalmente liberi, per quanto questa nozione di libertà, nell’epoca qui analizzata, vada presa con la dovuta cautela, come si dirà meglio più avanti30. In età tardo-medievale e moderna, tuttavia, chi, parlando di servi, usava concetti di più o meno diretta ascendenza aristotelica rara- mente limitava il suo discorso agli schiavi. Spesso, invece, in modo ora esplicito, ora implicito, si riferiva anche (o soprattutto) ai servi liberi. Torquato Tasso, ad esempio, pur sottolineando che «anticamente i servi erano schiavi», mentre ai tempi suoi era- no «per lo più uomini liberi», definiva il servo come «instrumento dell’azioni, anima- to e separato»31. Naturalmente, il fatto che alcune categorie interpretative in origine elaborate per definire la condizione degli schiavi fossero (in toto o in parte) ripropo- ste in relazione a servi e domestici liberi è di estremo interesse per chi, come me, mi- ri a cogliere persistenze, vischiosità, adattamenti e riadattamenti nel lungo periodo. L’analisi svolta nella prima parte di questo lavoro è anzi funzionale a mostrare quan- to i pur sfaccettati modi di concepire il rapporto servo-padrone siano stati ampia- mente modellati, nel corso del tempo, su idee le cui radici affondavano in un passato remoto.
Entro certi limiti, questo è vero anche rispetto ai dibattiti secenteschi inglesi sullo
status dei servi – servants, appunto, non slaves; e rispetto ai dibattiti tenutisi durante
la Rivoluzione francese su domestiques e serviteurs di condizione libera (il 28 set- tembre 1791 in Francia fu peraltro codificata la massima secondo la quale ogni indi- viduo che avesse messo piede sul suolo francese fosse ipso facto libero, e il 4 febbraio 1794 fu abolita la schiavitù anche nelle colonie)32.
29
Cfr. supra, nota 1 del presente capitolo. 30
R.J. STEINFELD, The Invention of Free Labor; R. SARTI, Freedom and Citizenship?; M.L. PESANTE, Come ser- vi.
31
T. TASSO, Il padre di famiglia, in T. TASSO, Opere, a cura di E. MAZZALI, Napoli, Fulvio Rossi, 1969, vol. II, pp. 503-566 (p. 532 e p. 537).
32
S. PEABODY, “There are no slaves in France”, p. 138. Nelle colonie francesi la schiavitù fu reintrodotta da Napoleone nel 1802.
Antoon van Dyck, Ritratto della Marchesa Elena Grimaldi,
moglie del Marchese Nicola Cattaneo, 1623 ca.,
Washington, National Gallery of Art, 1942.9.92
Fonte:
The Yorck Project: 10.000 Meisterwerke der Malerei.
DVD-ROM, 2002. ISBN 3936122202. Zenodot Verlagsgesellschaft
Distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH.
Fonte:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/com mons/3/36/Anthonis_van_Dyck_016.jpg Monumento dei Quattro mori, Livorno, par-
ticolare di uno dei mori, opera di Pietro Tacca (1623-1626) Fonte:
http://static.panoramio.com/photos/large/83 52318.jpg
Servi “liberi”.
Naturalmente sarebbe interessante inseguire e ricostruire le ri-proposizioni e rivisitazioni del modello di relazioni patriarcali che trova una compiu- ta formulazione in Aristotele tenendo presenti tutti e tre i soggetti subordinati al pa-
terfamilias – moglie, figli e servi33. In questo libro, non mancherò di dedicare qualche attenzione ai figli e, più estesamente, alle mogli (e alle donne in generale). Tuttavia, mi concentrerò prevalentemente sui servitori, soprattutto – appunto – su quelli che
non erano schiavi. Se ho già accennato fin troppe a volte a questa delimitazione del
campo di indagine, è ora opportuno motivarla meglio di quanto fatto nelle pagine precedenti. In parte frutto di un mio antico interesse per il tema, in parte espressio- ne di una più recente attenzione stimolata dal frequente ricorso alle categorie di ser- vo e padrone nell’analisi del mondo contemporaneo, tale scelta di prospettiva mira anche a colmare, almeno in parte, una lacuna.
La riflessione femminista ha giustamente dedicato innumerevoli studi ai modi in cui è stata teorizzata e praticata la dipendenza delle donne nella sfera domestica e la loro esclusione dalla sfera politica. Studiosi di storia del diritto di famiglia, delle rela- zioni tra genitori e figli, della pedagogia etc. hanno analizzato, per i vari ambiti stori- ci, le concezioni e implicazioni della dipendenza della prole dai genitori. Anche le giustificazioni teoriche, le “figure” e la storia socio-economica della schiavitù sono state oggetto di vastissima attenzione. Il caso dei servi liberi è parzialmente diverso. Certo gli aspetti storico-sociali anche in questo caso sono stati ampiamente analizza- ti34. Né è mancata una discreta attenzione al significato stesso dell’essere servi liberi nei diversi contesti storici e geografici. Secondo Robert J. Steinfield (per citare alme-
33
Oltre a quanto verrà detto nel presente lavoro, alcune considerazioni sugli altri membri della famiglia nel mio volume Vita di casa, in part. pp. 31-39 e 278-305 e nei saggi Variations sur le thème de la dépendance e Quali diritti per ‘la donna’?.
34
R. SARTI, La servitù domestica come problema storiografico, «Storia e Problemi Contemporanei», 20/1997, pp. 159-184; R. SARTI, Who are Servants?, pp. 48-57; R. SARTI, Introduction nell’ambito del Forum:
Domestic Service since 1750, a cura di R. SARTI, «Gender and History», 18/2006, pp. 187-198. Negli ultimi quindici-vent’anni anni è andato crescendo, sino a raggiungere proporzioni notevolissime, anche l’interesse da parte di sociologi e altri scienziati sociali per i lavoratori domestici, in particolare quelli migranti, cfr. a mero titolo di esempio, oltre a quanto citato nella nota 18 dell’Introduzione, A. MOOR,Migrant Domestic Workers: Debating Transnationalism, Identity Politics, and Family Relations. A Review Essay, «Comparative Study of Society and History», 40/2003, pp. 386-394; H. LUTZ,Introduction: Migrant Domestic Workers in Europe, in H. LUTZ (ed), Migration and Domestic Work. A European Perspective on a Global Theme, Alder- shot, Ashgate, 2008, pp. 1-10; R. SARTI, Historians, Social Scientists, Servants, and Domestic Workers.
no un esempio), nell’Inghilterra d’età moderna il lavoro libero come lo intendiamo oggi semplicemente non esisteva: la rottura del contratto era considerata un reato e il servo che avesse abbandonato il padrone prima del termine pattuito avrebbe potu- to essere imprigionato35. Essere libero significava poter scegliere di entrare a servizio
35
R.J. STEINFELD, The Invention of Free Labor, in part. pp. 22-24 e passim. Il principio è espresso chiaramen- te da Kant: «il padrone di casa può, quando il suo servo scappa via, ricondurlo in suo potere per mezzo di un arbitrio unilaterale; ma quanto alla materia, vale a dire all’uso che egli può fare di questi suoi famigli, il padrone non potrà mai comportarsi come se egli fosse proprietario di essi (dominus servi), perché egli li ha avuti in suo potere soltanto mediante un contratto», cfr. I. KANT, La metafisica dei costumi, Roma-Bari, La- terza, 1970, p. 102 (il testo originale, pubblicato nel 1797, suona: «Das Gesinde gehört nun zu dem Seinen des Hausherrn und zwar, was die Form (den Besitzstand) betrifft, gleich als nach einem Sachenrecht; denn der Hausherr kann, wenn es ihm entläuft, es durch einseitige Willkür in seine Gewalt bringen; was aber die Materie betrifft, d. i. welchen Gebrauch er von diesen seinen Hausgenossen machen kann, so kann er sich nie als Eigenthümer desselben (dominus servi) betragen: weil er nur durch Vertrag unter seine Gewalt gebracht ist»). Rispetto al contesto inglese, apparentemente nella Francia di antico regime c’era meno seve- rità nonostante i numerosi provvedimenti volti a limitare la possibilità, per i domestici, di lasciare i propri padroni ad libitum e di stare senza occupazione. In Francia, strumento importante di questa politica so- stanzialmente di polizia fu l’imposizione di un congedo scritto che doveva essere fornito dal padrone quan- do il domestico se ne andava; in assenza del congedo il servitore senza impiego sarebbe stato considerato un vagabondo e sarebbe incorso nelle pene previste per reprimere il vagabondaggio (un primo editto in questo senso data al 1565, molti altri ribadirono in seguito l’obbligo del congedo). Si trattò, tuttavia, di uno strumento di efficacia limitata (ma con un lungo avvenire davanti). Significativamente, la voce Domestique dell’Encyclopédie sosteneva che «tous les domestiques sont libres; ils peuvent quitter leur maître quand ils jugent à propos, même dans les pays où il est d’usage que les domestiques se louent pour un certain tems [sic] Si le domestique quitte son maître avant le tems [sic] convenu, le maître n’a qu’une action en dommage & intérêts». La voce dell’Encyclopédie precisava che solo alcune categorie di domestici dovevano rispettare norme particolari per potersene andare (i domestici della corte e degli ufficiali della casa reale; i domestici degli ufficiali dell’esercito durante le campagne militari se erano stati al loro servizio durante l’inverno pre- cedente; quelli di alcuni istituti), cfr. Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, vol. V, p. 29. Sui vari provvedimenti si veda M.-H.-C. MITTRE, Des Domestiques en France dans leurs rapports avec l’économie sociale, Paris, M.-H.-C. Mittre, Delaunay et Dentu e Versailles, Angé, 1837, pp. 167-174, 184-193; A. BLANCHE, De l’application des livrets aux domestiques des deux sexes de la ville et de la campagne, Paris, Dupont, 1845, pp. 3-8; J.P. GUTTON, Domestiques et serviteurs dans la France de l’ancien régime, Paris, Aubier Montaigne, 1981, pp. 136-137; S.C. MAZA, Servants and Masters in Eighteenth-Century France. The Uses of Loyalty, Princeton, Princeton University Press, 1983, pp. 54-55; C. PETITFRÈRE, L’oeil du