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L’art 3 della Costituzione e le nuove forme di discriminazione on-line

Nel documento I reati di espressione a mezzo di internet (pagine 108-113)

Le disposizioni appena esaminate, nelle quali è affermato a livello sovranazionale il principio di non discriminazione, richiamano probabilmente alla mente dello studioso di diritto italiano il 1° comma dell’art. 3 della Cost ituzione, il quale afferma la pari dignità sociale e l’eguaglianza di tutti i cittadini – ma sulla base di una lettura combinata con l'art 2 Cost. ben si potrebbe dire di tutti gli uomini – innanzi alla legge <<senza distinzione di

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Si inserisce in questo quadro la decisione n. 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa a un programma comunitario pluriennale per la protezione dei bambini che usano internet e le altre tecnologie di comunicazione.

sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali>>.

Questa eguaglianza, che costituisce principio cardine del nostro ordinamento, è proprio ciò che i reati di odio, muovendo dai preconcetti su cui si innestano, finiscono per negare. La dignità, che costituisce bene giuridico primario, da riconoscere a tutti gli appartenenti al genere umano in quanto tali, è qui avvilita riducendosi ad essere una sorta di privilegio riconosciuto solo a coloro ai quali non si ricolleghino certi attributi stigmatizzanti. Non si tratta, quindi, di esprimere una critica, più che legittima, nei confronti di altri modi di essere partecipi del mondo, quanto piuttosto c'è una pretesa di escludere determinate persone dalla società, di emarginarle o addirittura di degradarle ad una sorta di <<sottospecie dei viventi>>135, negando loro proprio quella dignitas che è il valore primo su cui si fondano tutti gli altri diritti della persona (il diritto alla vita, all’integrità fisica, il diritto di essere liberi da maltrattamenti ed alla non discriminazione)136. In questa accezione, la <<pari dignità sociale>> di cui parla il Costituente, non può essere letta disgiuntamente dall’art. 2 Cost., vale a dire da quei diritti inviolabili che sono prerogativa di ogni essere umano, senza distinzioni di sorta.

I crimini di odio che sono commessi mediante l’ausilio delle nuove tecnologie dell’informazione, sono in grado di arrecare una lesione di maggiore portata al bene giuridico della dignità. Questo perché il contenuto d’odio, offensivo dell’identità di un singolo soggetto o più spesso di un’intera comunità, quando è divulgato nei confronti di un pubblico di utenti potenzialmente globale, resta qui pubblicato per un tempo indeterminato – in genere finchè non ne sia disposta la rimozione da parte delle autorità competenti – contribuendo in tal modo alla propaganda della cultura dell’odio e della violenza.

Guardare all’art. 3 della Costituzione è interessante anche sotto un altro profilo, dal momento che, quelle stesse differenze per le quali ivi si stabilisce che non possano avvenire discriminazioni sono, a ben guardare, le medesime sulle quali si innestano i

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L’espressione, carica di significati, è ripresa da G.A. DE FRANCESCO, Una sfida da raccogliere: la codificazione delle fattispecie a tutela della persona, in Tutela penale della persona e nuove tecnologie, L. PICOTTI, 2013, Cedam. Nella stessa direzione è consultabile anche L. PICOTTI, Istigazione e propaganda della discriminazione razziale, tra offesa dei diritti fondamentali della persona e libertà di manifestazione del pensiero, in S. RIODANTO, Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale, Cedam, 2007.

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crimini di odio. Le distinzioni di sesso (da intendersi sia nel senso di identità sessuale, con particolare riferimento alla situazione dei c.d. transgenders, sia all’orientamento sessuale, e quindi al fenomeno dell’omosessualità), di razza, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali (pensiamo a chi è affetto da disturbi o da handicap anche di tipo psichico), rilette alla luce del pregiudizio, costituiscono, infatti, il presupposto dell’azione discriminatoria condotta nei confronti di tali categorie di soggetti. I crimini di odio, anche laddove siano commessi con l’ausilio delle nuove tecnologie, muovono sempre da un preconcetto che si sviluppa proprio a partire dalle differenze che un gruppo di individui presenta a giudizio di un altro gruppo (in genere il gruppo dominante o maggioritario), pregiudizio che può essere più o meno diffuso nella società ed al cui radicamento contribuisce in modo rilevante anche l’uso distorto di internet.

Illuminante, in proposito, è la felice definizione che è stata proposta a livello europeo circa il fenomeno dell’omofobia, secondo cui questo costituisce <<una pura avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio, analogo al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo>>137. È il pregiudizio, quindi, il principale elemento che distingue i reati d’odio dagli altri atti criminali, il preconcetto sul cui terreno si sviluppa quell’irragionevole ostilità che, nei casi più gravi, può portare alla commissione di veri e propri reati motivati dall’intolleranza, ingiustificata ed ingiustificabile, per un gruppo.

Il principio di uguaglianza garantito dalla Costituzione italiana, così come da alcuni dei più importati atti realizzati a livello sovranazionale (la Dichiarazione dei Diritti Umani, la Cedu, la Carta di Nizza), finisce in tal modo per essere negato, calpestato dalla divulgazione in rete di contenuti di odio che reiterano il pregiudizio su cui si fonda la discriminazione. La strumentalizzazione di internet per favorire la propaganda della cultura dell’intolleranza e della violenza, rende il cyberspazio un luogo ostile alle minoranze, che potrebbero vedere replicate nel web quelle stesse discriminazioni cui sono già esposte off-line, finendo, nei casi più gravi, per subire aggressioni ed intimidazioni anche nello spazio virtuale.

Invero, le nuove tecnologie potrebbero essere utilizzate per aggravare il pregiudizio al bene primario della dignità, nei confronti di chi sia già vittima di crimini d’odio nel mondo reale. Basti pensare al maggiore pregiudizio che riceverebbe chi, dopo

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Tale definizione è contenuta nella Risoluzione dell’omofobia in Europa realizzata nel gennaio del 2009.

aver subito un’aggressione per motivi razzisti veda divulgato sul web, da parte dei suoi aggressori, un filmato in cui la violenza perpetrata ai suoi danni è riportata in modo canzonatorio.

In secondo luogo, però, potrebbe anche accadere che le violenze, si manifestino per la prima volta proprio nello spazio virtuale, per poi trasferirsi solo successivamente nella realtà materiale. In questo modo il web diventerebbe una sorta di banco di prova per la sperimentazione di azioni di carattere discriminatorio che, se da una parte puntano alla propaganda, dall’altra cercano di emarginare già nel cyberspazio, mediante attacchi virtuali (minacce, ingiurie, discorsi di odio, utilizzo di malware in grado di danneggiare l’altrui sistema informatico) rivolti contro coloro che appartengano, o siano anche solo sospettati di appartenere, a determinati gruppi o di essere a questi vicini.

In linea con la politica di contrasto ad ogni forma di discriminazione si è mossa l’Unione Europea la quale con l’emanazione della Decisione Quadro 2008/913/GAI ha affermato all’art. 4, che il movente razzista o xenofobo, associato ad un crimine, debba essere considerato come circostanza aggravante dello stesso. Tale disposizione, come sostenuto dalla Commissione Europea, è stata correttamente adempiuta da parte del nostro Stato il quale, inoltre, con la ratifica della Convenzione di New York

sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (L. 654/1975) e

l’emanazione del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa e poi convertito nella c.d. legge Mancino (L. 205/1993), ha cercato di far fronte con decisione al problema della discriminazione in Italia, in qualunque forma sia realizzata.

All’art. 3, comma 1, della legge Mancino138 si stabilisce, infatti, che laddove i reati puniti con pena diversa dall’ergastolo siano <<commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà>>. Inoltre, eccetto il caso in cui il reato sia stato commesso da parte di un minore degli anni diciotto, le attenuanti che si riferiscono alla commissione dell’illecito non potranno mai essere ritenute né equivalenti né prevalenti rispetto alla suddetta aggravante.

Ciò significa che il legislatore italiano, guardando alla pluralità di fattispecie criminose (delitti contro la persona e contro il patrimonio) già disciplinate dal nostro

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Per una più approfondita disamina sulle misure antidiscriminatorie contenute nella Legge Mancino si rimanda a Leg. Pen., 1994, con commento di G.A. DE FRANCESCO.

ordinamento e punite con pena diversa dall’ergastolo, ha previsto che nell’ipotesi in cui il soggetto agente sia stato motivato da una delle ragioni enumerate dall’art. 3 della legge Mancino, questi sia meritevole di un trattamento sanzionatorio più severo. In altre parole, perché l’aggravante risulti applicabile, è necessario che l’atteggiamento soggettivo dell’agente sia inquadrabile nello schema psicologico del dolo specifico, dal momento che la sola realizzazione del fatto tipico non giustifica un trattamento sanzionatorio più rigoroso in mancanza della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale, religioso o laddove non vi fosse lo scopo di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che perseguono tali obiettivi.

Il legislatore non ha, quindi, introdotto in relazione ai questo tipo di illeciti nuove fattispecie penali ma, partendo dalla considerazione che i reati d’odio sono caratterizzati non tanto dalle modalità di esecuzione della condotta criminosa, quanto dalle finalità che si intendono perseguire con quell’agire, ha stabilito che i motivi di discriminazione e di odio su cui si fonda la realizzazione dell’illecito costituiscano un’aggravante dello stesso. Per la corretta qualificazione del reato è allora importante che siano accertate le circostanze per le quali la vicenda criminosa ha avuto origine, al fine di appurare se la condotta incriminata sia stata posta in essere per uno dei suddetti motivi e quindi se integri o meno gli estremi della fattispecie dei reati d’odio. Ciò non è sempre facile, soprattutto in quei casi nei quali il movente d’odio non appare in modo evidente, o quando le ragioni che potrebbero aver portato alla commissione del reato ai danni del soggetto passivo sono molteplici.

Non con altrettanta risolutezza l’Unione si è pronunciata sui reati di odio commessi in ragione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, rispetto ai quali, difatti, la Decisione Quadro non trova applicazione, sebbene si tratti pur sempre di episodi criminosi originati da un intento discriminatorio. Anche in ambito nazionale benché, la violenza o l’istigazione alla violenza per motivi di razza, di origine etnica, di nazionalità o di religione, sia riconducibile alla fattispecie dei crimini d’odio, lo stesso non accade nell’ipotesi in cui il reato sia commesso per motivi di identità di genere e di orientamento sessuale. In questo caso, infatti, al reato, che non viene considerato crimine d’odio, è applicabile solo l’aggravante dei motivi abietti e futili prevista dall’art. 61, n.1 c.p. Va tuttavia sottolineato che recentemente la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, in una seduta tenutasi il 9 luglio 2013, ha approvato il testo base della proposta di legge in materia di contrasto all’omofobia e alla transfobia (c.d. d.d.l. Scalfarotto), attualmente all’esame del Senato, che prevede l’estensione della c.d. legge Mancino anche a queste forme di discriminazione.

Nel documento I reati di espressione a mezzo di internet (pagine 108-113)

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