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La diffamazione per lesione del diritto all’oblio

5. Alcuni casi significativi tratti dalla giurisprudenza

5.2. La diffamazione per lesione del diritto all’oblio

Una delle principali caratteristiche di internet è costituita dalla sua incapacità di dimenticare. La memoria della rete sembra essere talmente vasta da apparire inesauribile, perché i dati, le immagini, le informazioni che sono immesse nel web possono qui restare registrate per un arco di tempo potenzialmente illimitato. Mentre, infatti, non è diffusa la pratica di cancellare dai siti internet i dati che vi sono stati precedentemente immessi (né tale operazione di cancellazione risulta sempre agevole),

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Tale principio è stabilito dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza 25 ottobre 2011 (C- 509/09 e C-161/10). Con tali pronunce la Corte di Lussemburgo ha cercato di rispondere agli interrogativi sollevati dal Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) e dal Tribunal de grande instance de Paris (Francia) in merito alla competenza territoriale nell’ipotesi di violazione dei diritti della personalità mediante la diffusione on-line di contenuti denigratori.

è pratica comune quella di replicarli in altre pagine web, anche al fine di renderli più facilmente fruibili al momento della richiesta.

Gli interrogativi che la memoria sconfinata di internet pone, sul piano del diritto alla riservatezza e, più di recente, del diritto all'oblio, non sono da sottovalutare e da tempo hanno attratto l'attenzione dei giuristi1 anche al di fuori dei confini nazionali103.

Per quanto più ci riguarda un primo problema è sicuramente costituito dalla difficoltà dell’utente comune di distinguere nel “caos informatico” tra documenti che si riferiscono a fatti realmente accaduti e dotati di un qualche pregio informativo o tecnico- scientifico, e documenti che invece siano sotto tale profilo privi di ogni valore.

Appurare l’attendibilità di questi contenuti non è sempre agevole, anche perché talora è incerta persino la paternità dell’opera, di talchè non si può seguire l’ipse dixit ciceroniano che ci porterebbe ad affermare il valore dello scritto in ragione del prestigio dell’autore. Non si tratta però solo di assicurarsi che la persona che ha prodotto certi contenuti, fosse competente, ma anche che gli stessi siano stati aggiornati con il passare del tempo. Internet può essere equiparato ad un grande archivio, nel quale sono registrate una miriade di informazioni non necessariamente organizzate secondo sistemi di tipo cronologico, anzi, può persino accadere che certi contenuti siano inseriti in rete senza che nessun utente, con il passare del tempo, si preoccupi di curarne l’aggiornamento. È chiaro che in tale modo l’informazione reperibile nel web non sarà corretta, dato l’evolversi dei tempi. Da ciò consegue che gli utenti che faranno affidamento su quei contenuti otterranno una conoscenza inesatta della realtà.

Proprio quest’ultima questione ci permette di richiamare l'importante sentenza pronunciata dalla Corte Edu, il 16 luglio 2013, nel caso Wegrzynowski e Smolczewski c. Polonia (Ric. n. 33846/2007)104. In questa sentenza il giudice di Strasburgo non si è limitato ad affrontare il tema del diritto all'oblio105, vale a dire il diritto a che gli eventi

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FERRARIS, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, ed. Laterza, 2009; MAYER- SHONBERGER, Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale, ed. Egea, 2010.

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Il testo integrale della sentenza, in lingua inglese, è consultabile alla pagina web: http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-122365#{"itemid":["001-

122365"]} 105

Secondo quanto sostiene G. FINOCCHIARO, La memoria della rete e il diritto all’oblio, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, Fasc. 3, 2010, con l'espressione diritto all'oblio ci si riferisce <<al diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all’accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo>>. Ci troviamo quindi davanti a notizie che attengono a fatti realmente accaduti

passati siano dimenticati dalla collettività senza divenire ostacolo alla vita futura del soggetto che ne era stato protagonista, ma si è soffermato sulla pretesa, del tutto legittima, a che la propria identità personale, non sia plasmata da notizie non veritiere e

ab origine diffamatorie106.

La vicenda si è sviluppata a partire da un articolo che era stato pubblicato nel 2000 da un noto giornale polacco, nel quale si denunciava il coinvolgimento dei due ricorrenti, in certi circuiti illegali che avrebbero permesso loro di arricchirsi. A ciò aveva fatto seguito la pronuncia del giudice polacco che, accertato il carattere diffamatorio dell'articolo, aveva disposto oltre al risarcimento in favore degli offesi, anche la subitanea pubblicazione da parte del quotidiano di una lettera di scuse. Sennonché, il successivo inserimento dell'articolo incriminato nell'archivio on-line del quotidiano, senza alcuna indicazione della vicenda giurisprudenziale che ad esso aveva fatto seguito, determinava di fatto la perpetuazione del pregiudizio nei confronti dei diffamati. Chiunque, inserendo il nome di queste persone, in un qualsiasi motore di ricerca, avrebbe potuto risalire all'articolo apprendendone così i contenuti denigratori, senza essere messo al corrente della successiva pronuncia del giudice polacco.

In ragione di ciò i soggetti offesi, risultati vincitori nel primo giudizio si erano di nuovo rivolti al giudice nazionale, chiedendo questa volta la rimozione dell’articolo incriminato dal sito internet. A seguito del respingimento della domanda da parte di detto giudice, la questione è infine approdata innanzi alla Corte di Strasburgo. A questa i ricorrenti hanno chiesto di disporre l'integrale rimozione del contenuto diffamatorio dall'archivio internet, dal momento che ogni nuova lettura dell'articolo da parte dei fruitori della rete, sarebbe equiparabile ad una nuova pubblicazione, sottolineando inoltre che i caratteri di atemporalità, propri dello spazio virtuale, non rendono possibile applicare i principi che sono alla base dell'archiviazione giornalistica.

e che sono state oggetto di legittima diffusione a suo tempo, ma la cui ripubblicazione, a lunga distanza, potrebbe determinare pregiudizio per il protagonista di tali eventi, considerando la nuova immagine sociale che questi potrebbe essersi costruito. La questione che qui affrontiamo è in parte diversa, dal momento che in questo caso la notizia alla quale è data diffusione è falsa e di contenuto denigratorio. Il problema che si pone anche in questo caso è però legato alla memoria del web e quindi alla possibilità o meno per l'offeso di ottenere la cancellazione definitiva di quei contenuti.

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NANNIPIERI, Il mantenimento di contenuti diffamatori negli archivi on-line di quotidiani e la pretesa alla conservazione dell'identità digitale in una recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 2014. Consultabile alla pagina: http://www.forumcostituzionale.it/site/ images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/corte_europea_diritti_uomo/0030_nan nipieri.pdf

La Corte Edu, affronta la questione facendo riferimento agli art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 10 (libertà di espressione) della Cedu, affermando la necessità di effettuare un corretto bilanciamento tra i due diritti. Il diritto al rispetto della vita privata, secondo quanto afferma il giudice di Strasburgo, comporta la necessità di proteggere i consociati da indebite ingerenze dei pubblici poteri e dei soggetti privati, salvo il caso in cui queste siano giustificate da esigenze di sicurezza. Allo stesso modo anche la libertà di espressione, di cui all'art. 10 Cedu, può essere limitata solo nei casi e nei limiti in cui ciò sia strettamente necessario per garantire la salvaguardia dei diritti dei terzi, tra cui rientra anche quello alla reputazione, violato dalla diffamazione.

La questione è ancora più delicata in considerazione dell'importanza che ha assunto la rete globale quale mezzo di divulgazione delle informazioni e dell'inestensibilità alla stessa della medesime forme di regolamentazione e controllo cui è già soggetta la stampa. A parere della Corte, al fine di individuare un punto di equilibrio tra i due diritti dei quali si vuole garantire tutela, è necessario adottare nuove misure in linea con le peculiarità della rete, che riescano a salvaguardare la vita privata dei consociati senza arrivare ad ostacolare l'attività di archiviazione on-line, data la sua importanza per la ricerca e la divulgazione delle informazioni e quindi per le finalità educative e storico/democratiche che ad esso sono legate.

Laddove quindi, come nel caso in esame, un articolo sia stato dichiarato diffamatorio da parte dell'autorità giudiziaria, lungi dal negare la possibilità di procedere all'archiviazione on-line di detto contenuto, i giudici di Strasburgo, riconoscono al contrario come la catalogazione nel registro virtuale debba avvenire, ma con l'aggiunta alla notizia diffamatoria di una appendice o di una nota, indicizzata nei motori di ricerca, che faccia riferimento alla pronuncia passata in giudicato. In questo modo, alla stampa non sarebbe impedito di esercitare la sua funzione sociale e i diritti di dignità e di rispettabilità del soggetto offeso sarebbero adeguatamente salvaguardati. Non altrettanto si potrebbe dire invece, nell'ipotesi in cui si disponesse la rimozione integrale dell'articolo incriminato dall'archivio presente in internet, perché ciò rappresenterebbe un intervento di tipo revisionista che non rientra in alcun modo tra i poteri dell'autorità giudiziaria, oltre a porsi in netto contrasto con l'art. 10 della Cedu.

La tutela dell'identità personale, a fronte delle falsificazioni e diffamazioni che avvengono con il mezzo di internet, passa quindi per il ripristino della verità mettendo da parte ogni intento revisionista che niente avrebbe a che spartire con l'interesse sociale, del tutto legittimo, a conoscere solo ciò che è vero.

Non c'è quindi a ben vedere una esplicita affermazione del diritto all'oblio, dal momento che non c'è niente che deve essere propriamente dimenticato, quanto piuttosto si ha un tentativo di ripristinare la realtà violata prevedendo il dovere per chi si propone di informare i terzi (in questo caso nello svolgimento di un'attività professionale), di garantire la massima correttezza delle notizie diffuse, anche curandone l'aggiornamento a seguito di immissione nell'archivio multimediale, di modo che i fruitori della rete possano avere una conoscenza dei fatti che sia il quanto più possibile corrispondente alla realtà.

Nonostante l'indiscusso rilievo della pronuncia, la dottrina107 non ha mancato di muovere alcune critiche alla Corte di Strasburgo, dal momento che la sentenza non affronta alcuni delicati aspetti del problema che rischiano di lasciare il diffamato, risultato vincitore dinnanzi al giudice, con un provvedimento che gli garantisce in astratto una tutela che è però difficile, se non impossibile, tradurre nella pratica.

In primo luogo l'equiparazione che la Corte sembra fare tra l'archiviazione di tipo "classico" e quella virtuale, presenta alcuni profili di criticità. In mancanza di una definizione di archivio che valga in riferimento al mondo informatico, praticamente qualsiasi sito web potrebbe essere considerato tale, data la sua idoneità a ospitare numerosi documenti del più vario genere108. Inoltre, gli archivi on-line sono realizzati e spesso operano, secondo logiche non assimilabili a quelli tradizionali, fatto questo che può suggerire la necessità di fare delle distinzioni tra tali strumenti, piuttosto che sostenere in modo troppo precipitoso la loro sovrapponibilità.

In secondo luogo, non si può non tenere presente che qualsiasi contenuto sia inserito nella rete globale è nella sostanziale disponibilità degli utenti che possono replicarlo, modificarlo e riproporlo innumerevoli volte. Il rimedio dell'annotazione di un articolo on-line e la correlativa indicizzazione nei motori di ricerca, potrebbe quindi non essere sufficiente a garantire una piena tutela al diffamato, dal momento che, se anche a seguito della pronuncia del giudice nell'archivio la notizia è consultabile con le dovute integrazioni, questa, nella sua forma primitiva (se non ulteriormente manipolata), e quindi

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NANNIPIERI, Il mantenimento di contenuti diffamatori negli archivi on-line di quotidiani e la pretesa alla conservazione dell'identità digitale in una recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 2014. Consultabile alla pagina: http://www.forumcostituzionale.it/site/ images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/corte_europea_diritti_uomo/0030_nan nipieri.pdf

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F. DI CIOMMO - R. PARDOLESI, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e responsabilità, n. 7/2012, p. 714.

lesiva dell'altrui onore, potrebbe continuare ad essere reperibile in molti altri luoghi virtuali che si collocano al di fuori dell'archivio.

Individuare delle tecniche per far fronte a queste problematiche non appare agevole; eppure una qualche soluzione deve essere individuata e non sembra che ciò possa avvenire se non proprio guardando alla rete. Tra le soluzioni che vengono proposte109 si possono ricordare, in particolare, quella che si basa sull'adozione di tecniche che permettano di procedere ad una radicale eliminazione di tutte le copie di dati lesivi dell'altrui onore che siano diffuse sul web, al fine di impedirne il recupero con qualsiasi mezzo tecnico fino ad oggi conosciuto, e quella che suggerisce invece la conversione dei dati in copie crittografate, non decodificabili dalla massa degli utenti. Inoltre potrebbe essere vietata ai motori di ricerca l'indicizzazione di talune notizie in modo tale da rendere meno agevole il reperimento delle stesse. Si tratta, chiaramente, solo di proposte, che necessitano per la loro concreta attuazione oltre che di solide competenze in campo informatico, che permettano di discernere la soluzione più opportuna, anche di una attenta considerazione questa volta da parte del giurista, di tutti i diritti coinvolti onde garantire quel difficile bilanciamento tra la tutela della dignità della persona e la libertà di manifestazione del pensiero che deve costituire il fine ultimo oltre che il parametro di riferimento dell'agire dell'autorità, tanto giudiziaria, quanto legislativa.

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